Fanfic su artisti musicali > B.A.P
Ricorda la storia  |      
Autore: Supernavy97    31/03/2014    3 recensioni
Innaturale. Squilibrato. Rifiuto.
Gli insulti partono sempre dai più innocui per poi appesantirsi via via che la situazione degenera e la vittima non può fare altro che accettarli.
Gli insulti sono l’arma dei più deboli, che non possono o non vogliono accettare la diversità e per difendersi attaccano, mirando ai punti più vulnerabili, là dove sanno di poter vincere.
Ci sono due categorie, invece, di persone forti: quelle che sopportano e quelle che se ne fregano e Himchan e Yongguk fanno rispettivamente parte di queste.
[...]
“Non torna” sussurra, cercando di trattenere il dolore che invece lo assilla in continuazione, da settimane ormai, da quando ha deciso che doveva essere forte per entrambi;
“Non torna più, Jun Hong”
[Banghim]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Himchan, Yongguk, Youngjae, Zelo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il buio nei tuoi occhi



Trailer : per chi volesse questo è il link del trailer della fanfiction
Buona lettura c:






http://40.media.tumblr.com/f4ecd7698f800d0e938c628d5e20984f/tumblr_nonrnmOpM91rldch6o1_400.jpg




Il vero amore è come i fantasmi: tutti ne parlano, ma sono pochi quelli che l’hanno visto davvero.
- Francois de La Rouchefoucauld

 

 

Innaturale. Squilibrato. Rifiuto.
Gli insulti partono sempre dai più innocui per poi appesantirsi via via che la situazione degenera e la vittima non può fare altro che accettarli.
Gli insulti sono l’arma dei più deboli, che non possono o non vogliono accettare la diversità e per difendersi attaccano, mirando ai punti più vulnerabili, là dove sanno di poter vincere.

Ci sono due categorie, invece, di persone forti: quelle che sopportano e quelle che se ne fregano e Himchan e Yongguk fanno rispettivamente parte di queste.
Sono agli antipodi, loro, ma non come quelli che la gente ama chiamare “anime gemelle”, che una volta incontrati si fondono e i tasselli di uno risolvono il puzzle dell’altro; no.
Se dovessero essere paragonati, allora, sarebbero più come l’acqua e l’olio che si toccano, si scontrano, ma non si mischiano mai.

Alle persone piace molto anche la parola destino: “era destino che ci incontrassimo”, “è colpa del destino”, “il destino ha scelto per noi”, ma si lasciano ipnotizzare dal futile significato di una parola: il destino non è altro che una convenzione umana.

Eppure Yongguk ci crede e ci pensa proprio mentre gira la chiave nella serratura del grande portone, allontanandosi, ed abbandonando quei genitori che non l’hanno mai capito.
Ci pensa mentre scappa di casa e camminare per le strade di Seoul ha un sapore nuovo: più dolce, ma allo stesso tempo più suggestivo.

Himchan, invece, non si è mai posto quella domanda, ma è piuttosto certo che la risposta sarebbe negativa.
È corso fuori quella mattina presto, forse era l’alba, ma non si è ancora stufato di vagare per le vie della capitale, la polaroid in mano e gli occhi scaltri che cercano i soggetti migliori da immortalare sulla carta lucida della macchina fotografica.

Arrivano a un semaforo, entrambi, verso mezzogiorno, quando il sole scalda così tanto che viene spontaneo chiedersi se si trovi davvero a 150 milioni di chilometri dalla Terra; a dividerli ci sono solo le strisce pedonali ed alcune auto che ora corrono verso destra e ora nel senso opposto.

Yongguk saltella sul posto, impaziente, ansioso di iniziare una nuova vita dove nessuno lo limiti, segnando dei confini che non andrebbero oltrepassati, e dove nessuno gli imponga delle regole. Ha ventun anni: non ha più bisogno di qualcuno che gli faccia da balia in continuazione.

Himchan sospira, soffermandosi sul colore acceso del semaforo: sembra quello della pizza del bar di qualche via prima, quello che passandoci davanti l’ha attratto tanto da fermarlo, ma giusto il tempo di scattare una foto e scappare.

Forse gli sguardi si incrociano mentre la luce rossa lampeggia, ricordando che non possono muoversi, o forse Yongguk ha ragione ed esiste davvero qualcosa come il destino.

 

 

***

 

 

L’aroma forte del caffè raggiunge debole le sue narici, solleticandole e sottraendolo gradualmente dalle grinfie di Morfeo, ma il calore del piumone è così accogliente e rilassante che Himchan si rifiuta categoricamente di uscire dal letto. Si rotola, invece, tra le coperte, come un bambino, cercando di scaldarsi dal freddo agghiacciante che da mesi ha invaso le strade della capitale.
Alza leggermente le palpebre e la luce del nuovo giorno si appropria della sua vista, spingendolo a rientrare nel mondo dei sogni.
Stringe un cuscino e cerca di riaddormentarsi quando qualcosa si appoggia sul materasso, abbassandolo sotto il suo peso e disturbando il sonno leggero: è abbastanza pesante, troppo per i suoi gusti mattutini ed è fastidioso; si muove, sfiorando con le dita la sua pelle candida, accarezzandogli i capelli scuri e bisbigliando parole che dovrebbero essere affettuose ma dietro le quali scorge subito il suo intento provocatorio.
Fa per girarsi, ma due mani gli circondano il viso e gli rapiscono le labbra: resta immobile per qualche secondo, poi veloce si stacca, consapevole di non avere uno dei sapori migliori di primo mattino.
“Stronzo” biascica nascondendosi di nuovo sotto le coperte.
“Buongiorno anche a te” sentenzia l’altro alzandosi e sparendo dietro una stanza.
Ma ormai il danno è fatto.
Himchan, riluttante, appoggia i piedi a terra e apre finalmente gli occhi, mentre barcollando si avvia verso la cucina.
“Potevi lasciarmi dormire” afferma seccato.
“È tardi”
“È domenica” ribatte pronto, guardando il liquido scuro scivolare dentro la piccola tazza davanti a sé.
Himchan ha ancora sonno, nonostante abbia dormito per quasi nove ore, e gli sbadigli vengono spontanei: strizza gli occhi portandosi una mano alla bocca e dondolandosi lentamente sulla sedia.
“Finirai per cadere”
“Non mi rompere”
Himchan odia questo suo lato iperprotettivo che stona così tanto con il suo tipico menefreghismo di tutto e di tutti; non gli si addice e anche lui lo sa, ma lo fa apposta, solo per innervosirlo.
Come se di primo mattino non lo fosse già abbastanza.
Che stronzo.
Sorseggia il caffè e si chiede perché dopo mesi che stanno insieme continui ancora a farlo così: Himchan odia quel sapore amaro, preferisce il caffè macchiato con un cucchiaino di zucchero e invece lui continua a farlo così, acre, che ti lascia quel retrogusto quasi doloroso.
Ma ovviamente a lui non importa e aggiungere un dito di latte e una goccia di dolcificante sembra troppo complicato per i suoi rigorosi standard.
Addenta una ciambella e scaccia il vecchio sapore con uno più dolce, quasi a volergli ricordare che a lui quell’aroma non piacerà mai.

Guarda il ragazzo davanti a sé armeggiare con qualcosa ai fornelli, per poi allontanarsi e ritornare con una sigaretta al lato della bocca; piccoli anelli di fumo si librano nell’aria creando cerchi immaginari.
Avanza fino a sdraiarsi sul divano oltre il bancone e inizia a leggere la carta sottile del giornale che deve aver comprato quella mattina presto: le dita stringono i fogli, fermamente, ma non vanno a rovinarne la delicata superficie mentre gli occhi scorrono da un lato all’altro seguendo l’ordine delle parole stampate tra le righe di omicidi e corruzione.
Himchan si alza, afferra la polaroid e lo raggiunge in salotto, inquadrandolo nell’obbiettivo; preme e l’immagine esce dalla piccola macchina fotografica. Prende un pennarello e sotto la foto scrive in grandi caratteri neri casa.

Che cos’è casa?
Qualcuno sostiene che casa sia la normalità.

Ma che cos’è la normalità? Il dizionario dice “L’essere normale” il che non ha molto senso perché sarebbe come rispondere “Quando vivi” alla domanda “Cos’è la vita?”.

Per Himchan la normalità è guardare il suo fidanzato mentre dorme, seguendo ogni minimo cambio d’espressione: si accuccia sulla sedia nell’angolo, quella tra la libreria e il terrazzo, e lo osserva, cercando di decifrarne i comportamenti che anche dopo mesi di convivenza non ha ancora completamente capito: c’è sempre quella parte, nascosta, che non si decide a rivelare.

Nota che i muscoli sulle braccia si sono accentuati, ma non tanto da farlo sembrare un surrogato di testosterone e di questo gli è grato; anche il nuovo taglio di capelli gli dona e la tinta castana che si è fatto pare quasi sfumare dalla carnagione olivastra.

Ci pensa un po’ finchè decide che per lui è adatto il gusto amaro: lo rispecchia.
Yongguk sarà sempre un tipo da caffè nero.

 

 

***

 

 

La prima nevicata della stagione è sempre spettacolare: tinge di bianco il caos della città, addormentandola e accompagnandola nel lungo inverno che l’aspetta. Cambia il ritmo delle giornate, lo scenario e l’atmosfera che si respira uscendo di casa e imbattendosi nelle strade ormai candide: la ripulisce in qualche modo, dallo smog, ma anche dalle colpe commesse dall’ultima volta che aveva ricoperto i suoi edifici.
Volteggia nell’aria, quasi fluttuando, per poi ricadere leggera sugli abitanti e incantarli con la sua magia; ai bambini piace tanto, la neve, li trasporta in una realtà che sfugge dalle ferree regole della città, quasi fosse un mondo a sé stante.
È fredda, ma per qualche motivo riesce a scaldare i cuori delle persone che nel gelido inverno non sperano che in un fuoco che le aiuti a superare la stagione; è come se fosse un dono che qualcuno ha deciso di regalare agli esseri umani,

Yongguk si stringe nel cappotto, nascondendo il viso nella sciarpa, mentre attraversa le vie di Seoul, le mani che tremano e le cuffie nelle orecchie che gli urlano “You only have one chance you know[1].
“Una sola chance per cosa?” pensa, avviandosi verso il centro commerciale.
Non è mai stato una persona molto riflessiva, ha sempre agito d’impulso senza pensare troppo a cosa fosse giusto o sbagliato, preferendo l’istinto alla ragione.
Eppure alla gente piace seguire il concetto di giusto, si sente bene se resta nelle regole, senza sforare dai limiti concessi loro.
Ma chi ha deciso che il giusto è giusto?
Un uomo come tanti, ma allora perché il suo giusto stona così tanto con il proprio?
Yongguk rifiuta l’idea di sottostare alle leggi di qualcun altro per cui se ne frega: se agli altri non va bene come è fatto, allora è un problema loro.
Vuole mangiare il gelato d’inverno e la cioccolata calda d’estate, vuole dormire di giorno e vivere la notte, vuole poter stare con un uomo senza che la società lo critichi perché cazzo siamo nel ventunesimo secolo non è possibile che ci sia ancora qualcuno che lo trovi innaturale.

Avanza, schiacciando i piccoli granelli di sale sparsi sui marciapiedi, mentre altri fiocchi cominciano a cadere dal cielo; sbuffa e il suo respiro si ghiaccia a mezz’aria, cristallizzato dal freddo che ormai caratterizza la capitale.

Quando varca la soglia del grande centro commerciale, una folata di calore lo investe insieme al classico odore di pop-corn proveniente dal piano del cinema.
Prosegue fino al centro, dove un ragazzino lo aspetta e non appena lo vede gli va incontro salutandolo.

Sei in ritardo” afferma scocciato.
“Capita” non gli dà molta corda; scrocchia il collo, poi sale sul piccolo palco, subito raggiunto dall’altro.
“Sei pronto?” gli chiede soltanto.
“Ovvio” risponde lui.
I capelli ricci gli donano un’aria esuberante e quasi stralunata, ma la maschera che porta sul mento allude al fascino trasgressivo tipico dei giovani.
“One”
“Two”
“Three”
“Four”
La musica parte ed entrambi si lanciano sulle note della melodia, animando l’atmosfera di apatia che stagnava nel grande atrio.
Yongguk ama il canto e la sua voce roca scivola cosi bene sugli spartiti che sarebbe uno spreco tenerla nascosta; Jun Hong invece ha una tonalità più alta nella quale si scorge ancora il suo lato infantile, ma insieme formano quell’unione perfetta di suoni che conquista la gente, stregandola.
Diverse persone, infatti, si fermano mentre l’esibizione sul palco prosegue e i due sfogano l’anima in uno spettacolo dove in realtà raccontano solo bugie.

Hanno litigato, prima, una cosa banale, però a Yongguk ha dato fastidio.
Si trattava semplicemente di cambiare un femminile in un maschile, ma Jun Hong è stato irremovibile: la gente non lo accetta. E così ora si trova a raccontare di un amore fasullo per qualcuno che in realtà non ha mai amato ed è tentato di fregarsene, di cambiare il finale alla canzone, ma non è stronzo a tal punto da farci rimettere anche il compagno, per cui continua la sua farsa e regala parole gentili alle ragazzine che sembrano stravedere per loro.

Mentre canta, però, si chiede se sarà mai libero di vivere in pace perché ultimamente le certezze che aveva si stanno frantumando una dopo l’altra.

Quando finiscono è ancora seccato, ma lascia scivolare il nervosismo dietro al sorriso sincero di Jun Hong e alle banconote che gli sventola davanti rifacendosi a quanto siano stati bravi o a quanto siano stati apprezzati.
Gli dà una spinta affettuosa prima di mettersi il suo tipico cappellino da baseball e riavviarsi verso casa.
“Ci vediamo”
“Già te ne vai?”
“Non rompere” ridacchia salutandolo con la mano.
“Ciao stronzo”
Non riusciranno mai a parlare come due comuni amici, ma in fondo va bene così: a Yongguk non è mai piaciuta la normalità.

 

 

.

 

 

Appena rientra in casa, vede Himchan trafficare con il computer; si leva il cappotto in pelle scura e lo lascia da qualche parte in salotto, raggiungendo il ragazzo seduto alla scrivania.
Ha voglia di cantare altre cose, ora.
Si abbassa e gli lascia piccoli baci sul collo, infuocando la pelle candida al suo passaggio; il ragazzo si gira e subito le labbra si scontrano unendosi ancora in una danza quasi violenta.
Yongguk lo prende in braccio, accarezzandogli la schiena e delineando i contorni del suo corpo perfetto mentre Himchan sorride, scompigliandogli i capelli e allacciando le gambe intorno alla sua vita.
C’è quel desiderio che brilla negli occhi di entrambi e non servono parole per decifrarlo.
Raggiungono la camera da letto e si catapultano nel loro piccolo universo decorato con vecchi dischi in vinile e polaroid attaccate ovunque.
Ce n’è una in particolare che a Himchan piace molto: è incorniciata sopra il letto e li ritrae a Myung-dong, in un bar che fa una pizza davvero buonissima, il giorno del loro primo appuntamento.
Yongguk non ha mai capito perché la adori così tanto quando nessuno dei due è venuto particolarmente bene e la luce è pessima, ma l’espressione che sorge sul suo viso ogni volta che la nomina gli basta per amarla con lui.
Si rifugiano sotto le coperte, spogliandosi degli indumenti ormai inutili e celando ancora una volta i propri peccati che ora sembrano così affascinanti da farne dubitare l’erroneità.

 

 

***

 

 

È passato quasi un anno dal quel lontano giorno d’estate in cui si sono incontrati, nel caldo afoso che non abbandonava Seoul nemmeno di notte: quando l’aria condizionata affollava tutti i negozi, regalando un po’ di sollievo ai cittadini della capitale.
Himchan riguarda le foto scattate allora, la data in basso segna il 21 giugno e sorride ripensando ai vecchi tempi quando ancora non sapeva come la sua vita stesse per essere sconvolta; sorseggia una cioccolata calda sfogliando l’album dei ricordi.
Ci sono lui e Yongguk nel centro di Gangnam, poi nella sala da ballo di Jongup e ancora al mare, in montagna o al centro commerciale il giorno della sua prima esibizione; sono sempre insieme e Yongguk è uscito con espressioni strane, ma Himchan non ha mai scattato una seconda foto: dice che la prima è comunque la migliore, quella che è riuscita ad immortalare l’attimo nella sua fugacità.
La gita a Busan è stata il suo viaggio preferito: le bianche spiagge a ridosso della città davano quella sensazione di libertà, senza però far sentire nostalgia di casa e le onde erano meravigliose, di un blu scuro che si argentava non appena queste toccavano la riva.
La sera si stendevano sempre sulla sabbia, vicino alla grande palma. quella in fondo dove nessuno si spingeva mai, troppo pigro per godersi la tranquillità che invece regalava; un manto di stelle li copriva e si divertivano a trovare più costellazioni possibili, ma ogni qual volta stesse per vincere Yongguk si metteva sopra di lui e lo baciava, finendo inevitabilmente per interrompere il gioco.
Facevano l’amore stesi su un telo, il fragore marino di sottofondo misto al debole frinire delle cicale; carezze, sfioramenti, deboli sussurri che diventavano baci, morsi, risate e ansimi di piacere che finivano per unirsi alla melodia notturna, dando vita ad una musica dal sapore unico.
Senza rivali, la giovinezza di un nuovo amore.
La passione che travolge e il cuore che perde un battito ad ogni tocco, che salta nel petto ad ogni sguardo, ricomponendosi dalle delusioni passate e costruendo i pilastri per una nuova reggia.
Si rivede mentre scivola tra le sue braccia e si stringe, sentendosi protetto e la prova di nuovo quella sensazione di contatto tra opposti, quando il bianco e il nero si scontrano cercando di creare un nuovo colore: lo intravede il loro grigio, eppure non riesce a raggiungerlo.
C’è qualcosa che impedisce loro di avanzare, come se gli ostacoli si divertissero a sorgere proprio là dove sono appena stati sorpassati, ostruendo la strada e aumentando le incertezze: le parole sono solo parole, ma feriscono come lame lacerando i punti più esposti e riaprendo le vecchie cicatrici.
Si dicono che va tutto bene, Yongguk lo spinge verso un mondo quasi magico, ma proprio per questo ancora più irreale: gli dice di fregarsene dei commenti della gente, degli insulti lanciati per disprezzo e Himchan ci prova, accumula e sopporta.
Da quando è nato ha imparato che o stai zitto e annuisci, raccogliendo le critiche, o ti fai valere, ma allora il finale sarà diverso dai progetti pianificati e lui ormai si è abituato ad accettare tutto, in silenzio.
Ma prima o poi esploderà e non sarà da solo.

Chiude l’album delle fotografie e nota che alcune pagine hanno gli angoli stropicciati; tenta di sistemarle, senza risultati fino a quando si arrende, posando il vecchio libro sul comodino e girandosi verso il compagno che ancora dorme di fianco a lui.
A pensarci è una delle poche mattine che si sveglia per primo: non è famigliare l’immagine dell’altro ancora assopito, un braccio sotto la testa e l’espressione rilassata. Il suo respiro regolare scandisce il tempo nella piccola stanza e i secondi diventano minuti, finchè Himchan decide di alzarsi per andare a farsi una doccia.
L’acqua calda scorre sul suo corpo, bruciandolo, ma non brucia davvero.
Gli piace quell’accenno di dolore che l’acqua bollente lascia sulla pelle, lo fa sentire umano e gli serve perché molte volte si dimentica di esserlo.
Innaturale. Squilibrato. Rifiuto.
Non sono altro che lettere accostate tra di loro, sillabe che si susseguono eppure il baratro che lasciano dentro è incolmabile; quella che fa più male, però, è la prima: Innaturale.
La natura non ti ha creato, sei qualcosa che il mondo rigetta, un’imperfezione, uno sbaglio che non doveva avvenire e di cui tu non hai la colpa, ma la colpa su di te ricade lo stesso.
Perché sei tu che lo scegli, anche se in realtà non è una scelta.
Perché sei tu che lo accetti, ma come potresti negare te stesso?
E perché sei sempre tu che lo animi, senza vergogna, ma come tutti del resto in amore.

Himchan chiude il getto d’acqua e guarda le gocce rincorrersi sul vetro della doccia: non ha senso, non ha minimamente senso.
Sconsolato esce, legandosi un asciugamano in vita e scompigliandosi i capelli bagnati; lo specchio lo riflette perfettamente: bocca, occhi, naso…perché gli dà sembianze umane quando in realtà non lo è? Incrementa solo il dolore.
Sferra un pugno verso l’immagine riflessa.
È complicato: lo sa e lo sapeva quando ha incontrato Yongguk e dietro le sue certezze ha scorto un futuro stabile, che invece ora comincia a traballare, agitando il castello di carte che hanno costruito in aria.
Le paure si fanno più vicine, le sente tremare nel petto; inspira ossigeno ed espira timore, ma lo nasconde anche se non dovrebbe.
Spilli che gli assillano la mente, le stesse parole ripetute all’infinito; offese che ingoia, senza digerire, affronti che non raccoglie e quel coraggio di cui vorrebbe essere dotato.

È dura e fa male, ma Himchan è una persona forte e sopporterà, almeno per un altro po’.



 

***

 

 

È quasi Natale quando il maltempo libera la capitale per qualche giorno, concedendo ai suoi abitanti una tregua dal freddo costante a cui erano abituati; la neve però rimane, i raggi del sole sono ancora troppo deboli per riuscire a scioglierla.

Yongguk guarda oltre i vetri: gli alberi ormai spogli seguono l’andamento delle vie, accostandole, e scomparendo dietro i grattacieli oltre ai quali si nascondono, lasciando alla fantasia lo svilupparsi della città.
Nonostante il bianco candore, però, si scorgono ancora i colori accessi delle insegne che tra il gelo cercano comunque di farsi notare.

Abbandona lo scenario e si sposta in cucina dove Himchan è intento a preparare qualcosa: gli occhi fissi e le mani che lavorano tagliando, impastando e mescolando gli ingredienti di quello che probabilmente diventerà un dolce.
Si siede al tavolo in legno e lo segue mentre armeggia con la pentola a vapore e i vari utensili sul bancone, e non appena si accorge della sua presenza sobbalza.

“Mi hai spaventato”

“Scusa” sorride “Cosa prepari?”

Le labbra del ragazzo si piegano, lasciando trasparire i denti bianchissimi “Songp’yòn” [2] dice.

“Per me?”

“Egoista” risponde subito “Per noi” conclude poco dopo.

“Come posso ricambiare questo onore?” scherza.

Himchan ci pensa un po’, “Portami al cinema” afferma qualche minuto più tardi.

Il ragazzo rimane sorpreso alla richiesta poche volte lo ha pregato di uscire dalle mura che definiscono i contorni della loro casa, per insicurezza_ha sempre creduto.

Lo sguardo speranzoso persiste e Yongguk non può che accettare, a quegli occhi scuri non sa resistere.

“Cosa vuoi vedere?”

“Una storia d’amore”

“Quale?”

“Sorprendimi” sentenzia finendo di cuocere i dolcini di riso, per poi sparire dietro la camera da letto a prepararsi.

 

 

.

 

 

Himchan è seduto su una poltrona in velluto rosso, di fianco a lui altre poltrone in velluto rosso e così anche davanti e dietro: sembra quasi un teatro, se non fosse per il grande schermo illuminato di fronte a lui.

È un cinema di classe, allestito come se fosse una reggia tanto che per i corridoi si possono osservare le ricostruzioni in falso oro di alcuni oggetti di lusso.

Yongguk, vicino a lui, gli passa un braccio intorno alle spalle e aspetta impaziente che il film cominci.
L’ha portato a vedere “Notting Hill”, un classico, ma per quante volte lo guardi non lo annoia mai; c’è quella dose di casualità, di tempismo e fortuna, che lo fa sognare.

La storia che si evolve da un piccolo incidente, una banalità che ha creato l’amore di cui i protagonisti sono schiavi.
A volte il “Cosa sarebbe successo se…” gli sfiora la mente e finali alternativi si sviluppano dalla sua creatività, ma non superano mai la bellezza del’originale.

Durante il film l’altro si gira spesso per lasciargli leggeri baci, di nascosto, per ricordargli che è lì con lui e Himchan lo apprezza perché di nuovo si sente importante e con quei gesti gli rende la possibilità di sperare in un futuro ancora insieme.

Sorride mentre si avvicina di più, appoggiando la testa alla sua spalla e inebriandosi del suo profumo.

Non glielo dice, ma mentre Anna e William si sposano e disegnano il loro “happy ending”, Himchan prega per il suo e un po’, forse per il film o per la presenza dell’altro così vicino, lo scorge.

In quel momento si augura davvero che nulla lo scalfisca prima che riescano a raggiungerlo.

 

 

***

 

 

L’apparenza inganna tutti, dai più furbi che pensano di sapere sempre ogni cosa, ai più stupidi che sono i più facili da imbrogliare e si riescono ad eludere con banali trucchi.
Il sorriso è il più semplice da usare e quello che riesce di più del suo intento: basta vedere le labbra piegate all’insù e la gente si convince della tua felicità, del tuo stare bene e non si accorge della falsità che c’è dietro la tua espressione; in fondo a loro non interessa, quello che serve è qualcosa che non porti alle domande e se lasci trapelare le vere emozioni, queste inizieranno, e_anche se al principio potranno sembrare innocue_poi diventeranno accusatrici.
Il sorriso è l’arma più efficace, quella che assicura l’indifferenza necessaria per non attirare l’attenzione su se stessi.

E Yongguk sorride quando gli chiedono con chi è fidanzato, ma non fa nomi perché poi inizierebbe la curiosità e finirebbe tutto nel solito silenzio imbarazzato dove nessuno ha il coraggio di dire che è sbagliato.

E Himchan abbassa la testa, distogliendo lo sguardo, cercando con la propria mano la sua che però non trova.

Poi si cambia discorso, come sempre, con una risata che cancella tutto e sbiadisce le frasi d’amore stampate sul diario della loro storia.

Si parla di amici, feste, dei programmi per il sabato, e non si tocca più quel tastello doloroso che è l’amore. Ma non è per rispetto, è più che altro per fastidio.

“Yongguk per stasera ci si vede a Hongdae?”

Il ragazzo annuisce “Mi porto dietro anche Jun Hong”

“Non puoi certo esibirti da solo” scherza l’altro, facendolo ridere.

“Potere, posso”

“A dopo stronzo” sentenzia congedandosi.

“Ciao” lo saluta, girandosi poi verso Himchan che lo guarda storto e non ne capisce il motivo.

“Cosa c’è?”

Lo sguardo persiste fisso, puntato nei suoi occhi, quasi inquisitorio.

“Stasera” dice dopo un po’ “Dovevamo uscire”

“Puoi venire anche tu”

“Lo sai che non è la stessa cosa” ribatte subito.

“Ci sarà solo qualche amico”

“È proprio quello il punto” afferma, “Ci sarà qualcuno”

Yongguk mostra senza difficoltà la confusione che gli sta causando e l’espressione che gli volge lo irrita ancora di più, quasi non si rendesse conto della situazione.

Qualcuno a cui non vado bene” sputa, voltandosi e allontanandosi.

“Himchan!” urla, ma il ragazzo non si gira.

Yongguk sbuffa guardandolo scomparire nella folla.
È così permaloso a volte.

 

 

.

 

 

Himchan è arrabbiato: non gli succede spesso, ma certi comportamenti lo fanno andare fuori di testa e il fatto che l’altro non capisca non fa che aumentare la sua irritazione.

È ovvio che tutto ciò gli abbia dato fastidio, non può barattare un loro appuntamento con un’uscita di gruppo: c’è una lista di innumerevoli cose che non può fare con gente attorno, c’è un elenco di infiniti baci che non può dare e di frasi che non può dire.

Ci sono carezze che devono essere trattenute e sguardi che non possono essere troppo provocatori e Himchan non capisce perché preferisca la loro compagnia a lui.
Ma una cosa l’ha capita: stanno cambiando.

Forse è Yongguk che se ne sta andando, attratto da nuove esperienze, da una vita normale senza i problemi che con lui è costretto a sopportare; o forse è colpa sua che si nasconde in se stesso celando le proprie paure e accrescendo la distanza fra di loro.

Non gli è mai piaciuta la sua indifferenza, quel non curarsi minimamente delle opinioni altrui perché se da un lato aiuta dall’altro sprofonda; ci sono casi in cui le regole vanno seguite, in cui un bacio rubato diventa troppo, esponendo entrambi a grandi rischi e le cicatrici sulla sua pelle ne sono la conferma,

Passa un dito là dove la carnagione è più chiara e liscia, sfiorando i segni biancastri e il passato si risveglia inesorabilmente.

Avevano litigato anche quel giorno quando la casa era diventata un campo di battaglia e per un momento avevano pensato che il loro amore potesse finire insieme al vaso di fiori a terra, distrutto, e al divano ormai spoglio dei suoi cuscini.

Himchan era uscito urlando, e correndo per le piccole strade del loro quartiere era successo:

un ragazzo aggressivo e una spinta involontaria, le scuse che non servono e le offese che si fanno sempre più aspre, cattive e quando gli occhi scoprono, gli insulti si tramutano in pugni che colpiscono e bruciano le parti più sensibili.

Il dolore che inizia a pervadere il corpo, partendo dalla testa e raggiungendo le dita dei piedi, ma il dolore più grande in realtà è il quello dell’anima: quello incurabile, senza fine, a cui nemmeno i medici non riescono a trovare un rimedio.
E fa male perché non puoi proteggerti, non hai armi contro le parole che ti ricordano ancora che sei diverso e ti dicono di tornare normale, non rendendosi conto che non è una scelta, perché fondamentalmente chi vorrebbe una vita piena di paura, disdegno e umiliazione?

Ed eccolo lì, abbandonato tra i rifiuti, coi lividi che ricoprono la cute candida e le palpebre che non riescono più a rimanere aperte.

Quando Yongguk lo trova, dopo ore passate a cercarlo, pentito, la luna gli sfiora il viso, rischiarandolo e le lacrime alla sua vista sgorgano senza sosta mentre si abbassa sul suo corpo e lo stringe a sé, riparandolo dalla crudeltà del mondo oltre le loro quattro mura.

Quella era stata l’ultima volta che avevano litigato.

Himchan si morde il labbro e calcia i sassolini sulla strada, sfogandosi; il tempo sembra essere tornato improvvisamente indietro con la differenza che ora sono consapevoli dei pericoli che possono incontrare e non sognano più un paradiso terreno.

In un paese come la Corea il menefreghismo è troppo pericoloso e Yongguk deve accorgersene in fretta.

 

 

.

 

 

Le mani in tasca e la sigaretta all’angolo della bocca, i capelli in disordine e la testa pesante, il passo lento e lo sguardo assente sono i dettagli che lo caratterizzano, ma che non lo distinguono dalle tante persone che passeggiando per il centro della città coperto dal buio notturno.

Una debole brezza soffia tra i grattacieli, raffreddando l’aria, mentre cammina verso la discoteca dietro il grande magazzino; “Heaven” la chiamano.

L’insegna al neon risplende nell’oscurità serale e anche restando fuori si sentono la musica e l’odore forte di alcool, l’atmosfera che i giovani adorano, quella di svago e trasgressione.

Yongguk avanza e varca la soglia del locale: la tranquillità di prima diventa un mix di luci, rumore e confusione che lo travolge come un fiume in piena; prova a trovare gli amici tra la folla, ma subito realizza che è come cercare un ago in un pagliaio per cui si sposta verso il fondo della sala e si siede al bancone.

Ordina da bere e si lascia trasportare dalla melodia delle canzoni, annegando nella acqua colorata tutti i problemi che da mesi ormai lo assillano, le preoccupazioni che lo tengono sveglio la notte quando, guardando il ragazzo dormire accanto a sé, si domanda se riusciranno a salvare la loro storia.

Sbatte un piede a terra e si appoggia alla superficie lignea, chiudendo gli occhi e ingerendo ancora rabbia e un vuoto a cui non riesce a dare un nome.

I drink da uno diventano due, poi cinque e la mente oscilla pericolosamente tra la lucidità e la pazzia; l'adrenalina scorre nelle vene e crea una realtà artefatta nella quale tutto sembra essere perfetto e Yongguk adesso è felice perchè finalmente va davvero tutto bene.
Gli sguardi della gente non sono più su di lui e gli insulti diventano la lyrics di una canzone; i colori si alternano, le luci brillano, si spengono per una frazione di secondo per poi riaccendersi e riempire di nuovo la stanza.
Sembra esserci realmente quel mondo di cui illudeva Himchan dell’esistenza.

La testa dondola, afferrando fotogrammi di vita che non fatica a immaginare entro stretti bordi bianchi appesi alle pareti di casa sua, ma questi hanno qualcosa di speciale: sono terribilmente invitanti e la bellezza fugace che li caratterizza gli fa perdere il controllo.

Sono momenti di libertà, finalmente.

C'è un ragazzo, all’angolo del locale, che lo sta fissando da un po’: i capelli corti gli inquadrano il viso sul quale spiccano gli occhi, neri, profondi, lucidi della sua stessa follia.
Aspetta qualche minuto, gli sguardi continuano, imperterriti, e alla fine si avvicina, lentamente, aumentando l’aspettativa e i sensi di colpa che però non riescono ad essere abbastanza convincenti da farsi prendere in considerazione.

“ ‘Sera” lo abborda.

“Annyeong” [3]  risponde Yongguk tranquillamente.

“Sei solo?”

“Come te” allude alzando leggermente il capo.

Sorride, lanciandogli un’occhiata provocatoria. “Direi di si”

“Hai bisogno di compagnia?”

“Chi può dirlo”

La sbronza inizia a farsi sentire.

“Sono liber-“

“Non sono gay” sentenzia subito e Yongguk già la vede quell’espressione, ma il ragazzo, notandolo, aggiunge rapido un “Ma non è un problema” avvicinandosi al suo viso e sussurando sensualmente sulle sue labbra.

“Siamo all’Heaven”

Le bocche si uniscono repentinamente mentre le lingue si scontrano e le mani si cercano, frenetiche, toccando, palpando e lambendo le parti più nascoste,
I corpi si scontrano e le pelli a contatto creano un rumore nuovo, diverso, che fa assaporare l’eccitazione dell’illecito e forse il motivo per cui gli adulti tanto odiano la trasgressività giovanile è proprio perché non l’hanno mai provata: una tale sensazione sarebbe impossibile da detestare, non ci sono dubbi.

Le dita si incrociano e i polmoni pregano ossigeno.
Yongguk, svelto, si guarda intorno e rimane sbalordito: non c’è nessuno, nessuno che lo stia fissando; non ci sono occhi spregianti come non ci sono bocche che sputano odio, solo una grande folla che, incurante di loro, si anima seguendo il ritmo della musica.

Per la prima volta non deve fingere di non vedere.
E per la prima volta la sente, la libertà: ha un sapore pungente, molto simile a quello di quando è scappato di casa, mesi prima, ma è cosi allettante che fa quasi paura.

Il ragazzo capisce e si avvicina ancora, reclamando di nuovo le sue labbra.

“Siamo all’Heaven” ripete, riprendendo quello che poco prima avevano interrotto.

Yongguk non sa precisamente per quale motivo lo stia facendo, perché stia tradendo la sua fiducia senza pensarci due volte, senza tenere in conto l’amore che sa ancora di provare per lui; non lo fa per ripicca, non vuole ingannarlo o fargliela pagare per qualcosa, ma la realtà nella quale ogni giorno sono immersi lo ha spinto al limite senza che lui se ne accorgesse e ora non ha le armi per combattere la libertà che si presenta come una dea davanti a lui.

C’è sempre qualcosa di sbagliato, in tutto, e anche adesso sente uno strano dolore che gli graffia il cuore, però decide di non ascoltarlo, lasciandosi trasportare da quelle nuove emozioni: il piccolo scorcio di paradiso che intravede è fin troppo invitante.

Ha scelto la bellezza effimera e ha lasciato indietro l’amore, ma non c’è da stupirsi: a Yongguk non è mai importato degli altri ed è proprio questo ciò che lo rende forte.

 

 

***

 

 

Himchan si rende conto che c’è qualcosa che non va la mattina in cui sedendosi a tavola trova il caffè macchiato al posto di quello nero.
Fissa il liquido chiaro nella tazzina, la schiuma bianca naviga tra i bordi stonando così tanto con la sua idea di normalità che fa quasi male; versa lo zucchero e lo gira col cucchiaino per poi finire la colazione e insieme a quella tutta la pazienza.

Ha sopportato, Himchan, ci ha provato a non perdere le rendini della loro storia, ma contro un cavallo imbizzarrito non si può fare molto; si alza e posa i piatti nel lavandino, dove altri sono ammucchiati uno sopra l’altro.
È sempre stato un compito di Yongguk la cucina, da quant’è che non è più a casa?
Arriva e poi sparisce, ogni volta c’è una nuova scusa.

Si guarda intorno spaesato: la casa, come loro, si è lasciata andare, ormai in balia di un fallimento che però non riescono ad ammettere a se stessi: per riconoscere i propri errori ci vuole coraggio e nessuno dei due ne è mai stato particolarmente dotato.

Il torto, lo sa, è di entrambi anche se in questo momento è l’altro quello che sembra il più colpevole, forse perché è quello che sta combattendo di meno.

E Himchan non si sente tradito, non lo penserà fino a quando non sarà lui a dirglielo, di persona, occhi negli occhi e la verità che non potrà più essere nascosta: si sente dimenticato, invece, come un libro disperso in soffitta con la polvere a ricoprirlo, come un giocattolo a cui ormai non vengono più date attenzioni, attratti da qualcosa di nuovo.

Si siede sulla sedia, quella all’angolo tra la libreria e il terrazzo e fissa il divano vuoto: la fantasia verde dei cuscini occupa quasi completamente la visuale, solo qualche dettaglio riempe gli angoli e gli spazi che sfuggono al colore così innaturalmente opaco.

Allunga il braccio verso lo scaffale e prende la polaroid bianca: preme il pulsante e stampa una foto che ritrae il salotto spento; le mani tremano un po’ mentre appende l’ultima immagine nella grande bacheca insieme alle altre.

Non c’entra più nulla.

Volta lo sguardo verso la finestra: ormai sono giorni che non nevica più, è sparita anche la magia.

Il sogno finisce e ti risvegli improvvisamente in una realtà che non ti aspettavi: è tutto così veloce che non ti accorgi da quando le notti di amore sono diventate baci rubati, da quando le serate si sono trasformate in un film alla televisione senza nessuno accanto, da quando davanti alla porta d’ingresso ha smesso di esserci il suo paio di scarpe.

Sospira e prende il cellulare, scorrendo verso metà rubrica: preme chiama e aspetta, ma subito il suono metallico della segreteria gli invade le orecchie.

Sale nei contatti e prova un altro numero.

Per qualche momento non si sente nulla poi una voce allegra risponde, sollevandolo.

“Yeoboseyo?”[4]

“Sono Himchan”

“Himchan! Che strano sentirti”

“Ti devo parlare, è importante” subito dice.

“Cosa succede?” il tono ora più cupo.

“Possiamo vederci?”

“Va bene”

“Ai magazzini tra dieci minuti”

“Ok”

 

 

.

 

 

Appena entra nel grande centro commerciale il sorriso di Jun Hong lo accoglie ed è così solare che spera nessuno abbia mai la cattiveria di rubarglielo.

“Ehi”

“Ehi”

“Volevi parlare…”

“Di Yongguk” afferma immediatamente.

“Lo stronzo”

Himchan sorride al nomignolo “Si, di lui”

“Avete litigato”

“Uhm” allude, “Credo sia finita”

“Tu lo credi? E lui?”

“Non c’è a casa”

“Aspettalo” propone, ma lo sguardo del ragazzo lo immobilizza.

“Non torna” sussurra, cercando di trattenere il dolore che invece lo assilla in continuazione da settimane ormai, da quando ha deciso che doveva essere forte per entrambi;

“Non torna più Jun Hong” reclina il viso, realizzando in un momento la concretezza della sua assenza.

Il ragazzo non risponde, la bocca aperta e le parole che non riescono ad uscire: ci aveva creduto anche lui in loro, ci aveva sperato perché in qualche modo erano diventati la sua seconda famiglia e gli avevano permesso di sognare un nuovo futuro che ora invece si frantumava davanti ai suoi stessi occhi.

“M-Mi dispiac-“

Himchan non gli lascia il tempo di finire che subito gli crolla addosso, distrutto dalla sofferenza repressa per troppo tempo, e senza una lacrima annega il male nel silenzio.

Ma sta resistendo, ancora.

 

 

.

 

 

Yongguk si è perso nell’illusione della felicità, di un paradiso terrestre che non capisce essere fittizio; ha continuato ad andarci, all’Heaven, e ogni sera si è perso tra le note di un nuovo amore di cui però sa di non essere il protagonista.

In fondo è consapevole che tutto quello non è che una realtà artefatta però ha così poco peso che è diventata una via di fuga, non ha obblighi ed è proprio questo che gli piace: il non avere regole o costrizioni.

E ancora una volta entra nel locale e ancora una volta incontra il ragazzo misterioso e ancora una volta tradisce la sua fiducia.

Se ne frega, lo ammette, non gli importa più molto di quello che è rimasto della loro storia ora che ha scoperto questa libertà, questa pace che non avere addosso il giudizio continuo della gente gli ha regalato.

“Sei fidanzato?” gli viene chiesto una volta.

“Si” risponde senza vergogna.

“E non ti interessa?”

“È un’altra storia, non c’entra nulla” sorride.

Il ragazzo si siede sulle sue gambe e gli accarezza i capelli.

“Credo che c’entri” gli sussurra poco dopo.

“No” afferma “Non ora” in questo universo Himchan non esite.

“Te ne pentirai”

“Probabile”

Se ne pentirà, sicuramente. ma per ora va bene così: fingere è sempre stata la via più facile.

 

 

***

 

 

Da sempre gli uomini hanno fatto le guerre e che queste comportassero la morte di fratelli, compagni, padri o amici non è mai importato molto, o quantomeno non è mai stata una ragione abbastanza forte da interromperle.
Ci sono altri motivi che con le loro idee hanno sorpassato i principi giusti, creando situazioni di estrema devastazione.

Yongguk, ora, si sente un po’ come uno di quei soldati che combattono: ha rifiutato alcune cose della sua vita per favorirne altre, sviando però dal concetto di correttezza, ma non crede di essere nel torto essendo stati proprio gli altri i primi a non seguire le regole.

Ha temporaneamente messo in pausa la sua storia con Himchan per entrare in un una nuova realtà, falsa, ma meno inquisitoria; non gli ha chiesto pareri, opinioni, ha pensato che fosse la cosa migliore da fare e così ha fatto, come sempre.

Gli serve tempo, quello che tutti agognano, poi quando si sarà ripreso da anni di frustrazione e discriminazione tornerà e lui sarà lì ad aspettarlo e si rianimeranno, premendo di nuovo play.

È convinto che Himchan ci sarà perché lui gli vuole bene, lo ama, e se ami qualcuno sei disposto a sopportare, almeno un po’, ma non si rende conto, Yongguk, che il suo po’ si è già trasformato in tanto e a breve diventerà troppo.

Ma per ora si illude che tutto vada bene e si fa strada tra le vie di Seoul, raggiungendo l’Heaven, il suo paradiso, il suo nuovo mondo.

Si siede sugli sgabelli al bancone e attende.
I ragazzi sono tutti travestiti: individua una Cleopatra, un Batman, gli inconfondibili Romeo e Giulietta e altri cult impossibili da non riconoscere.

Poi da un lato nascosto della stanza si avvicina qualcuno, avvolto in vestiti rossi, e si fa posto accanto a lui; gli occhi languidi e lucidi ai colori accesi del locale che lo fissano, bramandolo, schiavi del suo stesso peccato.

“Come ti chiami?” sussurra sulle sue labbra, sfiorandole appena con le proprie.

Il ragazzo scuote la testa, ma Yongguk persiste.

“Youngjae” rivela poco dopo.

“Portami in paradiso, Youngjae” afferma, traendolo a sé per un bacio talmente caldo di passione e colpe che Youngjae non fatica ad immedesimarsi nel personaggio da cui è travestito.

 

 

***

 

 

Il mare d’inverno è davvero l’opposto di come si presenta durante i mesi estivi e non è solo per il tempo, il freddo che si contrappone al caldo afoso, anche il suoi movimenti sono diversi, più aggressivi.

La sabbia si infila nelle scarpe, e dà fastidio;
l’odore di sale si insinua nelle narici, e pizzica;
il fragore delle onde risuona in sottofondo, e rimbomba.

C’è un frastuono incredibile e Himchan si porta una mano al capo, massaggiandoselo, ma non si accorge che il vero fracasso è proprio lì, nella sua mente che non dà segni di volersi riprendere.

Abbassa le palpebre e cerca di rilassarsi, ma il male persiste.

Ed è masochista, Himchan, a tornare nei posti che sono stati culla del loro amore; è masochista e lo sa, ma si sentiva in dovere di farlo, di dire addio in persona alle radici di quel sentimento che stanno invece lasciando morire.

Quando riapre gli occhi nota che qualche persona si è aggiunta ai granchi che vagavano per la spiaggia ed ora, almeno, lo scenario ha un’aria meno desolata.

Volta lo sguardo a destra, là dove il lido si restringe e una palma solitaria si erge in lontananza, riempiendo l’angolo del paesaggio.

Due figure nascono dal suo inconscio: si rincorrono tra i granelli bollenti, si schizzano giocosi tra le acque e dormono abbracciati alla poca ombra che riescono a scovare.

Sente uno “Stronzo” seguito da una risata e involontariamente sorride, triste, ricordando.

Il vento soffia ribelle, volatizzando le piccole immagini che subito si sfocano per poi scomparire del tutto, rientrando faticosamente nel suo cuore, abbandonati in una scatola etichettata come “Cose a cui non pensare più”.

Ci deve provare, almeno, a dimenticare.

Distruggere tutto per poi ricominciare, anche se è difficile, anche se è più complicato che fingere di non sentire gli insulti sussurrati o di non notare la completa incuranza dell’altro nei suoi confronti.

È una persona abbastanza riflessiva e piuttosto intuitiva, ma di quella spirale in cui sono entrati e dalla quale non riescono a trovare una via di fuga, non comprende molto e ride quando è l’unica cosa che gli importa davvero capire.

Si morde il labbro e trattiene l’impulso di piangere, ormai ci è abituato.

Resisti.

 

 

.

 

 

Yongguk non ha cambiato idea e per ora non è pentito delle sue scelte, ma ancora non ne ha visto il risultato.

Passano i giorni, la routine continua e rispetto ai mesi passati è più tranquillo, forse anche più felice, ma il suo piccolo mondo crolla quando lui smette di incontrarlo.

E la notte diventa più lunga, più fredda, più dolorosa.

Non c’è più nulla, solo un ammasso di ragazzini che ballano che ora, a differenza di prima, gli danno fastidio mentre sembrano vantare al mondo la loro immortale beatitudine.

Inizia a bere di più come se l’alcool potesse cancellare tutto, ma quello fa è solo rimarcare le ferite e brucia, brucia da morire.

Quando torna a casa ricopre l’aria pulita, innocente, con il grigio sporco dei suoi peccati; sbatte la porta e crepe immaginarie si diramano su tutta la superficie portando con sé la rabbia che prova.
Accende una sigaretta e il fumo si disperde subito, riempiendo la stanza del tipico odore acre, ma non aspetta nemmeno che finisca che si dirige verso la camera da letto dove scorge la figura di Himchan, addormentata: lo osserva nell’oscurità, i capelli in disordine e le mani strette al petto; si stende di fianco a lui, schiena contro schiena, e i sentimenti che ancora una volta si agitano e si scontrano con la ragione.

Quella notte si addormenta in fretta, quello che invece non riesce più a riposare è Himchan che nella quiete notturna trattiene le lacrime che combattono feroci contro la sua volontà.

Ma per un’ultima volta, deve essere forte.

 

 

***

 

 

Appena si sveglia, la mattina seguente, la prima cosa che nota è un forte odore di sporco; aleggia nella stanza e si mischia ai loro profumi creando un infuso nauseante.
Porta un braccio nell’altra metà del letto, ancora insonne, ma il freddo del materasso lo avvolge: non c’è.
Eppure la sera scorsa è rientrato, ne è sicuro.
Si alza dal letto, malvolentieri e apre la piccola finestra per fare areare la camera: l’inverno sta passando e con lui la città sembra rianimarsi, ridestandosi dal lungo sonno che l’ha accompagnata negli ultimi mesi.

Dà uno sguardo malinconico alla foto incorniciata sul comodino per poi andare in soggiorno e sedersi al tavolo nella grande sala: la testa pesa mentre sfoglia il giornale cercando di connettere la mente alle notizie stampate sulle pagine bianche.

Il cellulare vibra e l’ennesima chiamata persa di Jun Hong appare sullo schermo, ma non ci fa caso: ormai è una questione tra loro due, nessun altro deve essere ferito.

La resa dei conti è vicina e Himchan vuole davvero sapere cosa succederà: se riusciranno ad attaccarsi ad una qualche ancora di salvezza o se cadranno insieme, ma da soli, nel baratro senza fondo di una delusione amorosa.

Tamburella con le dita sulla superficie liscia, poi si alza e raggiunge la cucina: l’aroma di caffè non si riesce nemmeno ad immaginare, così come la calda atmosfera di famiglia che caratterizzava la loro casa.

Si avvicina all’angolo e strappa un foglio dal calendario: ormai è metà marzo, ma i numeri segnavano ancora gennaio.
Osserva una data, circondata in rosso, che spicca sullo sfondo azzurro chiaro: c’è scritto “Anniversario” seguito da una faccina felice e Himchan sobbalza impercettibilmente controllando il giorno sul telefono: è oggi.

 

 

.

 

 

Yongguk è uscito di nascosto verso l’alba quando il cielo non raggiungeva ancora le tonalità bluastre, ma restava sui colori più caldi: il dolore di vederlo dopo averlo distrutto era troppo da sopportare.

È un vigliacco, un codardo che si nasconde dietro i sensi di colpa; gira per le strade di Seoul, ora più vivaci, senza un posto dove andare o uno in cui ritornare che non si apra con una porta di fiamme e ospiti i dannati perché il paradiso terrestre che credeva di aver trovato è improvvisamente diventato un inferno di tormenti.

C’è una strana sensazione che lo segue da quando si è alzato: è un'angoscia che nasce nel petto e si estende verso tutto il corpo, lo assilla, come a ricordargli qualcosa che invece gli sfugge.
Il male, poi, lo sente anche alla testa che rimbombando gli fa passare uno dei dopo sbornia peggiori di sempre, ma quello è il minore.

E se lo merita, tutto.
Dal sangue che ribolle nelle vene nel disprezzo del suo stesso padrone, alla mente che più cerca di scappare dalla realtà più che da questa viene ferita e ora li vorrebbe davvero vedere gli sguardi di dispregio perché, per la prima volta in tutta quella sofferenza continua che è diventata la sua vita, li apprezzerebbe.

Yongguk si rende conto che ormai, l’amore, sta appassendo come un fiore senz’acqua e si odia perché ha rovinato tutto solo per una felicità apparente, per sfuggire al dolore che lo inseguiva che continuava a fingere di non vedere: tutti gli insulti che fatto credere di non sentire, che ha schivato come proiettili, l’hanno solo reso solo più vulnerabile e ora, alla resa dei conti, il più debole tra i due è proprio lui.

 

 

.

 

 

Himchan prende la tovaglia gialla e la stende sopra il tavolo facendola aderire perfettamente per poi apparecchiare per due col servizio che gli ha regalato sua madre al suo ventiduesimo compleanno, quello che da generazioni si tramandano.
I calici di cristallo riflettono il rosso del vino della bottiglia al centro, vicino alle candele ora spente per la luce naturale che filtra dalla grande portafinestra che si affaccia sul terrazzo.

Ha deciso di dargli un’ultima possibilità, ha ancora una debole speranza che quella sera rientrerà a casa e ceneranno insieme per poi fare l’amore e i pezzi di puzzle dispersi si riassesteranno come se nulla fosse successo.

È disposto ad accettare, perdonare e dimenticare; è pronto a prendersi tutta la colpa e sopportare, come ha sempre fatto, pur di non assistere in prima persona alla loro distruzione.

Coglie una rosa dal piccolo cespuglio che cresce sul balcone e la fa scivolare nel vaso trasparente per poi adagiarlo sulla stoffa chiara insieme al resto.
Spruzza la colonia per scacciare il mal odore e pulisce la casa fino a che i mobili non risplendano da soli: gli viene automatico, i movimenti quasi robotici come a voler celare la proprià umanità in quel lasso di tempo che lo separa dalla fine o da un nuovo inizio.

Quando finisce prende la polaroid e fotografa il nuovo aspetto che ha preso la casa: quando esce la piccola immagine subito la raccoglie e in piccoli caratteri neri vi scrive sopra “Speranza” che è tutto ciò che ora può fare.

Sperare di non essere l’unico a sperare.

Poi si siede sulla solita sedia e inizia ad aspettare.
Il sole è alto nel cielo e per essere marzo scalda decisamente più di quando dovrebbe: i raggi raggiungono i vetri e vi si specchiano, rischiarando l’interno dell’abitazione.

E aspetta.
Socchiudendo gli occhi e respirando il profumo pulito.

Le ore trascorrono lente, quasi a voler prolungare il più possibile un’attesa già interminabile di suo; le lancette si muovono tra i numeri dell’orologio appeso vicino alla porta della cucina, si rincorrono e si uniscono a un quarto del piccolo cerchio.

Un cane abbaia fuori e lo risveglia dal leggero sonno in cui era caduto; sbadiglia alle luci del primo pomeriggio, sistemandosi meglio, un po’ più comodo.

E aspetta.
Ripercorrendo con lo sguardo le polaroid appese ai muri, agli arredi: istantanee della loro storia, finestre che si riaprono con un velo di tristezza; ripensare alle gioie passate nella solitudine del presente è noto, è il male peggiore.

Quando il campanile annuncia l’inizio della sera, Himchan è ancora seduto, immobile a fissare il vuoto, ma il vuoto inizia a sentirlo dentro.

L’idea che non arrivi, che non abbia nemmeno un briciolo di orgoglio da difendere si fa sempre più vera e lo terrorizza.
Ha deciso di concedergli una seconda chance, ma non ha pensato al fatto che lui potesse non volerla: era sicuro in qualche modo che sarebbe tornato, era certo che sentisse il suo urlo disperato eppure il pomeriggio finisce e la luna sorge, il cielo si riempie di stelle e i riflessi si scuriscono, ma tra le ombre al tramonto manca solo la sua.

E aspetta, ancora,
Aspetta e sopporta, aspetta e sopporta.

Il tempo scorre e le probabilità di un futuro insieme diminuiscono ogni istante di più: il cuore rallenta e le mani iniziano a tremare, per rancore e delusione.

Quando manca un minuto alla mezzanotte Himchan realizza quello che nel profondo sapeva sarebbe accaduto, ma decide di concedergli ancora una volta quell’ultima possibilità.

Gli occhi incollati alla porta e l’anima che urla “Apriti” contro un muro immobile che così resta, fermo, per secondi interminabili e quando le lancette si sovrappongono sul dodici, qualcosa dentro di lui si spezza.
Continua a fissare l’ingresso e anche se ormai l’anniversario è passato, insiste nel suo ritorno e lascerebbe correre anche per il ritardo e per tutte le disattenzioni che gli ha dato nell’ultimo periodo, invece non succede niente.

Si è bloccato a quel secondo che in un attimo ha scritto indelebile l’epilogo della loro storia; è impassibile, i minuti passano, ma il ragazzo non si muove, non respira, sigillato nel “THE” del suo finale.

Poi improvvisamente la frustrazione diventa rabbia e il perdono che era disposto a dare si trasforma in vendetta mentre si avvicina al tavolo apparecchiato e alza la tovaglia rovesciando tutto a terra.

I calici di cristallo si frantumano non appena toccano il suolo, scagliando schegge di vetro ovunque, e la bottiglia di vino con loro, spargendo il liquido rosso che macchia il tappeto chiaro, sporcandolo irrimediabilmente.

Grida nella notte, al buio, a nessuno in particolare, ma vuole comunque che lui lo senti, che lo veda mentre affonda dopo essersi aggrappato a tutto quello che poteva assomigliare a una salvezza che, invece, lo sta trascinando giù con sé.

Colma l’assenza con urla disperate, accompagnate dalla confusione dei piatti che si sgretolano, le foto che vengono strappate e colpi al muro fino a quando le nocche iniziano a sanguinare.

È proprio quando arriva al limite che poi si ferma e la delusione che era diventata collera si trasforma in un lungo e infinito lamento: è un pianto liberatorio, trattenuto da troppo tempo tanto che dura per ore fino a quando anche le lacrime si stancano di rigare la sua pelle candida e ritornano dentro di lui, aspettando un nuovo motivo per sgorgare.

Si stringe tra le sue stesse braccia, accucciandosi sulla solita sedia e lancia un ultimo sguardo alla porta, chiusa, la maniglia che non dà cenno di abbassarsi.
Si rassegna, finalmente, Himchan, quando avvolto dalla malinconia si strugge in un dolore che non aveva niente a che vedere con gli insulti della gente: è una sofferenza profonda, incurabile, che solo il tempo, forse, sarà in grado di alleviare, rimarginando le cicatrici e ricomponendo i pezzi di un cuore infranto.

 

 

.

 

 

Rientrando a casa nelle prime ore del mattino Yongguk pensa a come a come affrontare Himchan, ma non appena varca la soglia si rende conto che tutte le possibili opzioni che aveva preso in considerazione si rivelano inutili.

In un primo momento crede che si sia suicidato quando abbassando lo sguardo incontra il tappeto macchiato di quello che immagina essere sangue, ma poco dopo lo vede seduto e si riprende dallo shock subito nella scena presentatagli entrando nel grande salone.

Si guarda intorno ed è sconvolto: vetri in frantumi cospargono tutto il pavimento insieme ai piatti ormai rotti e alla rosa appassita i cui petali si staccano solo a sfiorarla.
Sta per chiedere spiegazioni, ma nel momento in cui si volta verso di lui si scontra con i suoi occhi gelidi e inquisitori che lo fissano, agitandolo più di qualsiasi scenario catastrofico.

E poi lo nota, quello che stringe nella mano, che in un attimo lo fa pentire di tutte le scelte commesse che ora, ad un passo dalla morte, non valgono sicuramente quello che ha sacrificato.

Himchan impugna una pistola e la punta contro di lui, accusatoria, ma nulla inquieta quando il suo sguardo, freddo, spento che non si addice minimamente al ragazzo spensierato che aveva conosciuto mesi prima.

Si rende conto di averlo ucciso, con il suo comportamento, e ora lui vuole fare lo stesso e Yongguk sa che se lo merita, ma è un codardo ed è debole e non riesce ad accettarlo.

“H-Himchan non scherzare” prova, cercando di calmarlo, ma non ottiene risposta, solo quello sguardo fisso su di sé.

“Himchan” ritenta “Parliamo” ma ancora niente.

“Himcha-“

Sei in ritardo. Di quattro ore e quindici minuti” afferma e il ragazzo non capisce a cosa si stia riferendo.

“Ho sbagliato: sedici, non quindici” aggiunge poco dopo “Non importa vero?” chiede, dondolando la mano con l’arma e Yongguk non può far altro che scuotere la testa.

“Himchan cos’è successo?” domanda poi, ormai sicuro della propria fine.

“Niente” sentenzia subito “Non è successo niente” e la voce che si incrina impercettibilmente “Non è mai successo niente”

“Ho sbagliato, lo so, ma tranquillo tenterò di rimedia-“

“Lo so anch’io. Tu da quanto lo sai?” non è una vera domanda quella che gli sta ponendo, ma più una riflessione su come sia riuscito a non curarsi di quei sentimenti che in un angolo del suo cuore lottavano per farsi sentire, ma che lui aveva deliberatamente ignorato.

“Himchan, davvero, metti giù la pistola e parliamo”

“Yongguk mi avevi promesso che sarebbe andata bene, me l’avevi giurato

“Lo so, è colpa mia, ma non fare cose azzardate, metti già quella cosa ti prego”

“Anch’io ti ho pregato, tutto il giorno, ma non sei arrivato”

Yongguk mostra un’espressione confusa alla quale il ragazzo risponde subito.

“Era il nostro anniversario” sussurra mentre un’altra lacrima ribelle straborda dagli occhi ancora lucidi e il ragazzo adesso lo sente il rumore del suo cuore infranto, la carne che si strappa e il sangue che smette di scorrere.

Vede sé stesso a terra, nella pozza rossa che si mischia al vino e ode le sirene in lontananza; una lapide, il cielo che piange e il sorriso cupo di Himchan che non sarà più quello di prima.

Realizza che il vero amore, l’unica cosa che importava e di cui doveva curarsi l’ha lasciata appassire attratto da qualcosa che invece era fittizio e se ne rende conto solo ora quando il mondo che credeva perfetto è crollato e quello a cui tanto teneva minaccia di scomparire.


Only need the light when it’s burning low
Only miss the sun when it starts to snow
Only know you love her when you let her go
[5]

Alza il viso e lo scruta “Rimedierò, te lo prometto”.

Ma il ragazzo non si muove di un centimetro e dopo aver esalato un “Siamo tutti bravi a parole” preme il grilletto e un suono improvviso scuote la stanza, ma è così breve che dopo un secondo tutto si catapulta di nuovo nel silenzio.

Gli occhi di Himchan si argentano, ancora, mentre lascia cadere a terra la pistola.

Per anni, entrambi, si sono illusi di non essere deboli: hanno messo una corazza tra loro e il mondo che gli aiutasse a sopravvivere, ma quella stessa corazza li ha pugnalati dall’interno e alla fine si sono rivelati con l’essere ambedue delle anime fragili che si atteggiavano solamente da forti.

Yongguk ha smesso di respirare, ma solo per un attimo.

La pistola era scarica e Himchan lo sapeva e ancora una volta gli ha rinfacciato quello che si meritava, alleviando però di un po’ la sua pena.
Nonostante tutto, l’amore che prova nei suoi confronti non è scomparso e di nuovo straripa dai bordi del suo corpo cercando di raggiungere quello dell’altro.

Il ragazzo si alza, tremando e gli si avvicina, stringendolo dopo tanto in un abbraccio nel quale Himchan si perde, nascondendosi per l’ultima volta nel suo petto.
Yongguk lo solleva e lo porta in camera per poi stenderlo sul letto e baciarlo, ma non sa di nulla; esplora il suo corpo, come era abituato: preme, quasi aggressivo, marcando la pelle diafana e il ragazzo risponde, grida, si attacca alle sue spalle e graffia la schiena.

Non ci sono più carezze e fare l’amore è diventato una lotta alla supremazia, l’ultimo scontro dal quale entrambi vogliono uscirne vincitori.

E si fanno male, apposta, le unghie conficcate nella pelle così tanto da fare uscire il sangue e le urla di piacere e dolore che si fondono in un’ultima melodia.

Feriscono i loro corpi tanto quanto hanno ferito i loro cuori e forse, finalmente, riusciranno a liberarsi di tutta quella sofferenza.

Himchan chiude gli occhi e si arrende; ormai non deve più sopportare.

 

 

.

 

 

“Suona molto come un addio” Yongguk è disteso sul letto, spoglio di vestiti e volontà, completamente in balia della voce dell’altro.

“Non dovrebbe?” Himchan ribatte debole.

“Si, scusa”

“Ti sei già scusato”

“Lo so”

“Hai già detto anche questo” e il ragazzo quasi ride, guardando il compagno di fianco a sé.

“È proprio impossibile?” chiede consapevole però della risposta.

“Si, per ora, è impossibile” risponde calmo “Forse…”

Forse dopo aver consumato tutto il dolore

“...più avanti” conclude sospirando.

“Posso chiederti un’ultima cosa?”

Himchan annuisce.

“Se potessi tornare indietro nel tempo, decideresti comunque di incontrarmi?”

“Dovresti rispondere tu a questa domanda”

E Yongguk ci pensa, ripercorre uno ad uno i momenti che hanno condiviso: le gioie assaporate insieme e il dolore sofferto a metà.
Dissotterra il suo sorriso sincero, che l’ha affascinato non appena l’ha scorto dietro l’obbiettivo della macchina fotografica e poi la trova la risposta, quella giusta, quella che è sempre stata lì, ma a cui non ha mai fatto caso e capisce anche a cosa si riferiva quella canzone che diceva “You only have one chance” e maledisce la, o meglio le possibilità che ha bruciato incurante delle conseguenze che le sue azioni avrebbero portato.

“No, non lo farei” risponde.
Il buio che ha visto nei suoi occhi quando li ha rincontrati dopo tanto tempo era così profondo che nessuna luce sarà mai abbastanza abbagliante da estinguerlo completamente.
La disperazione che ha mostrato quella notte è qualcosa a cui non lo sottoporrebbe mai un’altra volta per cui decide di no: nonostante il desiderio, dovrà trattenersi ed essere forte per la prima volta accettando il castigo che merita.

E Himchan lo guarda, senza più emozioni, e lo ringrazia: prende la polaroid e mette a fuoco la sua figura tra le coperte; la osserva per un po’, dopodiché preme il tasto e riesce finalmente ad aggiungere l’ “END” all’epilogo della loro storia.

 

 

***

 

 

Il semaforo lampeggia nella luce del giorno, sfumando dal rosso verso l’azzurro: le auto rallentano fino a fermarsi, accostandosi ai marciapiedi, mentre un’orda di persone si appresta ad attraversare la strada, calpestando le piccole strisce bianche.

Himchan alza la polaroid nera e guarda attraverso l’obbiettivo inquadrando la scena movimentata e appena senta il canonico click la abbassa, lasciandola penzolare di nuovo attaccata al cordino che porta al collo.
Avanza, un piede dietro l’altro, ma lentamente.

Yongguk guarda il grande orologio oltre l’incrocio e realizza che è già ora di pranzo: l’ebbrezza di quella nuova libertà gli ha inibito qualsiasi stimolo materiale, ma adesso la fame si fa sentire.
Scorge un piccolo bar in una via laterale e decide che per un pasto veloce può andare bene per cui si affretta e attraversa la strada.

C’è un attimo, sospeso nel tempo, nel quale le loro dita si sfiorano: è un tocco leggero e nessuno dei due lo nota, ma c’è qualcos’altro che invece entrambi sentono e a cui non riescono a dare una spiegazione.

Forse si fermano, mentre la folla avanza, guardandosi intorno, ma Seoul è troppo frenetica per poter trovare il proprio riflesso nello sguardo di un altro.

E ciò che resta è solo un grande vuoto nel cuore.

 

Stopping the time, go back to you
I open this book of memories and I open up your page
And in the book I’m in there, in there with you
. [6]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]You only have one chance” : One Shot – BAP
[2] “Songp’yòn” : dolci coreani.
[3] “Annyeong” : ciao.

[4] “Yeoboseyo?”: pronto?
[5] Only need the light when it’s burning low, Only miss the sun when it starts to snow, Only know you love her when you let her go” : Let her go – Passenger
[6] “Stopping the time, go back to you, I open this book of memories and I open up your page
And in the book I’m in there, in there with you
.” : Miracles in December - EXO






__________________________________________________________________________________________

Angolo dell'autrice:
Salve a tutti temerari che siete giunti fin qua! Non vi ruberò molto altro tempo, volevo precisare alcune cose nel caso nel corso della storia non si fossero capite: la scena iniziale e quella finale fondamentalmente sono la stessa scena, solo che, quella nel prologo, è al momento in cui si sono incontrati per la prima volta ed è accaduta davvero, mentre l'epilogo è come se fosse una "storia alternativa", non so se mi spiego, è come se fosse il principio del "cosa sarebbe successo se..." siccome Yongguk nel finale dice appunto che se fosse tornato indietro nel tempo, non avrebbe voluto rincontrare Himchan.
Ho lasciato comunque un briciolo di tristezza, dato appunto da quel vuoto che sentono quando si sfiorano non consci da che cosa sia dovuto, perchè as always io adoro i finali tragici e bla bla bla
Sto ancora meditando se scrivere un sequel che poi sarebbe più il punto di vista di Youngjae e diciamo la sua storia che comprederebbe anche Daehyun e Jongup, ma, come ho detto, è solo una bozza.
Mhm...credo di aver finito, in generale questa è una delle ff che preferisco quindi spero davvero che vi sia piaciuta e se avete voglia, lasciate un commentino c:
A presto,
Ai-chan.
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > B.A.P / Vai alla pagina dell'autore: Supernavy97