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Autore: Dragon410    31/03/2014    2 recensioni
«Lo so Dominick, ma mettiamo in pericolo migliaia di persone là fuori.» disse Kate puntando il dito verso la finestra.
«Trentamilasettecentoquarantatre, per la precisione.» disse lei saltando giù dalla scrivania. Iniziò a camminare attraverso la stanza nervosamente, passando una mano tra i ciuffi dei capelli corti che andavano un po’ dove volevano.
«Trentamilasettecentoquarantadue, senza l’uomo o la donna che c’è dietro a questi omicidi.»
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Davanti alla finestra del suo ufficio, Dominick si accorse che quel venerdì era arrivato più veloce del previsto: un forte vento soffiava impetuoso e faceva sbattere le imposte di tutti gli edifici lì vicino, mischiandosi a una pioggerellina che presto sarebbe sicuramente diventata grandine.
Nascose il viso nello sciarpone di lana mentre un angosciante senso d’impotenza s’impossessava di lei.
Un ragazzo, piuttosto giovane e di forte corporatura, fece capolino dalla porta dell’ufficio senza bussare: «Dom, hai qualche minuto per me?»
Lei si voltò e gli sorrise: «Sì Lucas, chiudi la porta.»
Lucas era il suo più grande amico fin dai tempi in cui erano ancora quasi neonati; avevano sempre fatto tutto insieme, compreso l’entrare nell’unità speciale di cui facevano parte.
Lui chiuse la porta alle sue spalle e si sedette su una delle due poltroncine di fronte alla scrivania ancora piena di documenti.
Lei gli scompigliò la chioma bruna e riccia, poi si sedette dall’altra parte.
«Sei arrivato presto stamattina, come mai?» lo prese in giro.
Solitamente, Lucas era un gran ritardatario e non si scomponeva per caricare la sveglia, o scrivere un promemoria: «Forse ho qualcosa per te.» disse serio.
Dominick fu dominata da una scossa; era abituata a vederlo sempre sorridente ma imparziale, anche in momenti in cui, come quello che stavano attraversando, sembrava non esistere una soluzione plausibile. Eppure nei suoi occhi c’era qualcosa di nuovo e terrificante. Ora che ci faceva caso, Dominick poté notare che era bianco come la tinta del soffitto.
Si appoggiò con i gomiti sulla scrivania e si sostenne la testa: «Ok, ti ascolto.»
Lucas respirò profondamente: «Ti ho inviato una mail, ma a quanto pare non l’hai letta eh?»
Lei scosse il capo e continuò a rimanere in silenzio.
«Ho scoperto qualcosa, sul nostro caso. Hai le foto dei corpi, qui?»
Dominick cercò di nascondere quella curiosità che l’attanagliava e aprì il primo dei tre cassetti: ne estrasse una busta gialla accuratamente sigillata. La porse a Lucas e lui, con non troppa attenzione, l’aprì e estrasse tutte le foto delle donne che, per un motivo ancora sconosciuto, avevano perso la vita così tragicamente.
«Cosa noti?»
Lei sbuffò, ora notevolmente innervosita: «Niente, come ogni volta che le esamino.»
Lucas accennò un sorriso compiaciuto, consapevole di aver centrato nel segno: «Solo perché è un particolare troppo piccolo.»
Dominick lo guardò interrogativa, cercando di rubargli con gli occhi quella sua sicurezza che tanto desiderava avere.
Lucas afferrò un pennarello rosso indelebile dal portapenne e iniziò a fare piccoli cerchi su ogni foto.
Pian piano, come se fosse una magia, Dominick iniziò a vedere e comprendere ciò che aveva sempre avuto sotto il naso: un particolare così piccolo e solitamente inutile che nessuno aveva notato. Ogni donna, nessuna esclusa, aveva una cicatrice di grandezza diversa sulla mano.
Ogni corpo dell’unità possedeva quelle foto, eppure solo Lucas aveva dimostrato abbastanza elasticità mentale e visiva per notarle.
«Lucas, sei un genio.» sussurrò.
«Non sono ancora sicuro, Dom. Ne ho parlato solo con te e campa tutto ancora per aria. Dobbiamo aspettare questa sera, per forza.»
Lei abbassò lo sguardo, consapevole che il suo migliore amico aveva ragione: poteva ancora essere solo una coincidenza, anche se lei non lo pensava e non lo credeva. Dovevano lasciar morire un’altra donna per salvarne chissà quante altre.
«Dom, devi dare l’ordine di non intervenire sul campo questa sera. Si fidano tutti di te, sono sicuro che non faranno domande.»
Lei si passò una mano tra i capelli: «Forse i miei uomini no, ma il capo sì. Dovremmo renderlo partecipe»
«No!- Lucas quasi urlò, secco- l’ho detto a te perché mi fido. Sono un tuo uomo, non del capo.»
Lei sospirò indecisa: sapeva che Lucas si fidava solo di lei e faceva riferimento solo a lei.
«Lucas, se faccio le cose di nascosto rischio il posto. E a quel punto dovrai per forza fidarti di lui.»
Lui scattò in piedi, furibondo: «Dominick, sono sicuro che ci sia qualcosa di grosso in gioco! Ti prego!»
Lei accavallò le gambe, continuando a osservarlo nel suo sfogo quasi isterico. Lucas aveva un conto in sospeso con il loro capo ormai da un paio di anni: il capo stava portando avanti, al tempo, un azione contro una società pseudo mafiosa che cercava di riciclare denaro sporco dalla vendita di sostanze stupefacenti troppo dannose. Il boss era riuscito, ancora non si spiegavano come, a rapire alcune persone vicine a coloro che facevano parte dell’operazione di sventramento, tra loro la sorella di Lucas. Non erano riusciti a salvarla.
«Non posso ordinare ai miei uomini di non agire, non senza scavalcare il capo. Non posso farlo, Lucas.» disse, arresa, senza trovare il coraggio di guardare gli occhi delusi del suo migliore amico.
«Dom, io mi fido solo di te e so per certo che sei l’unica persona che può fermarlo, o fermarla.»
Ma Dominick non lo ascoltava più: si era rabbuiata, gelata, isolata da Lucas e dai rumori che provenivano dalla strada.
Lucas si avviò verso la porta e l’aprì: «Pensavo avresti capito…»
«Lucas- disse lei fissando improvvisamente gli occhi nei suoi- Kate… anche lei ha una cicatrice sulla mano. Ed è ben visibile.»
Il ghiaccio del polo nord sarebbe stato più caldo di quell’affermazione.


Il pomeriggio stesso, Dominick era ferma davanti alla porta dell’appartamento di Katherine. Avevano deciso, insieme a Lucas che era sempre stato a conoscenza della loro relazione, di non dirle niente su quello che sapevano, ma di cercare di capire se lei avesse notato qualcosa di diverso, di strano. Lucas era riuscito a convincere Dominick a parlare con i suoi uomini e avevano raggiunto un accordo: gli uomini avrebbero comunque fatto le loro ronde, in borghese, ma senza dare nell’occhio e senza intervenire se non avessero avuto la certezza di trovarsi davanti all’omicida.
Dominick salì le tre scale e suonò il campanello.
Avevano parlato dell’andare a convivere, qualche tempo prima, ma Kate continuava a essere insicura; Dominick aveva imparato, a fatica, a non dubitare del suo amore, ma a sopportare anche le sue debolezze.
Katherine aprì la porta, aveva gli occhi arrossati e stanchi.
«Ehi, stai bene?» le domandò entrando.
La casa di Katherine era un piccolo monolocale abbastanza spoglio da mobili e oggetti che, stando molto tempo in ufficio, non avrebbe utilizzato.
«Ho dormito male, i gatti della vicina sono in amore e hanno miagolato tutta la notte.» disse avvicinandosi a lei.
Dominick schiuse le labbra e, prendendo dolcemente il suo viso tra le mani, la baciò con leggerezza ma desiderio.
Continuava a essere inquieta dopo la discussione con Lucas: per lei era stato terribilmente difficile lasciarsi andare a una nuova relazione, abituarsi a rendere conto non più solo a sé stessa ma anche a un’altra persona, a prendersi cura di un angelo.
Ma l’aveva fatto, combattendo contro il passato.
L’idea di non poter far più abbastanza per proteggerla la incatenava nell’abisso del buio.
Prese la mano destra della donna che amava e tastò la cicatrice con un dito.
«Dominick, sei bianca… che succede?» Kate le accarezzò una guancia con il palmo della mano e lei simulò un sorriso tranquillo.
«È tutto okay, davvero. Solo che ieri non ti ho vista e mi sei mancata.»
Katherine si lanciò sul divano e si sdraiò; la canottiera aderente salì e lasciò intravedere il suo ventre perfetto.
«Sono stata fuori per una piccola rapina. Sembrava che il ladro avesse con sé una bomba, ma si è rivelato tutto fondato.»
Dominick si appoggiò al muro. Durante il percorso per arrivare da lei aveva pensato a centinai di scuse per convincerla a non uscire più da sola, o almeno uscire armata. Ma la cosa realmente difficile stava nel convincerla a non intervenire più nelle indagini.
«So che ti sembrerà strano, ma vorrei chiederti se hai notato qualcosa di strano qui in giro, ultimamente.»
Lei si sollevò e si sostenne con i gomiti. Aveva lo sguardo interrogativo: «Cosa mi stai nascondendo, amore?»
«Oh, nulla- rispose subito agitando le mani- vorrei solo assicurarmi che tu non sia in pericolo.»
Katherine sospirò, arresa all’idea che non le avrebbe rivelato niente su quello che le passava per la testa: «Dom, tu hai paura che io non sia al sicuro, ma dimentichi che anche tu sei una donna. E finché non sapremo che cosa spinga quell’assassino, siamo entrambi ottimi bocconi.»
Lei la pregò con lo sguardo di fare la seria e Katherine intuì che non scherzava: «Non ho notato niente di strano, comunque- finì per dire- solo una macchina che non avevo mai visto, qui a fianco, ieri sera.»
Quello non era un particolare preoccupante: una delle sue vicine era una prostituta e spesso portava a casa persone diverse.
Il cercapersone di Dominick suonò; i suoi uomini avevano appena iniziato con le ronde.
«Senti, io ora devo andare, ma tu promettimi una cosa…»
Katherine si alzò e si avvicinò a lei. Dominick la strinse forte a sé, con decisione: « Promettimi che starai attenta. E stasera rimani a casa, siamo già in abbastanza.»
Lei si trovò parecchio confusa: «Come vuoi, troverò altro da fare.» mentì.
Dominick le baciò la fronte e, probabilmente, finse di crederle.


Quando uscì dall’appartamento, il sole stava calando e lei provò un brivido; si guardò in giro, con la netta sensazione di essere seguita. Ma l’unica cosa che vide fu la sua ombra.
Salì nella sua monovolume e guardò l’ora; stava per colpire, o l’aveva già fatto.
Studiò nella mente la strada che avrebbe dovuto controllare e svoltò l’angolo per entrare in tangenziale: spinse l’acceleratore al massimo e mise gli auricolari all’orecchio.
Stava cercando in tutti i modi di accettare che un’altra donna sarebbe dovuta morire per forza.
Immaginò tra le foto dei decessi anche quella di Katherine e trattenne un conato di vomito. Superò un auto e, afferrato il cellulare, compose il numero di Lucas.
«Dove sei?» le chiese subito lui quando rispose.
«Sto per iniziare il mio giro. Ho parlato con Kate, credo che per stasera non si muoverà di casa. Non durerà molto, comunque: credo che da domani dovrò mettere un paio di uomini di guardia.»
«Senti, io ho la parte a Ovest, sono con qualche uomo. Qui per ora è tutto tranquillo. E per Kate vedremo domani come muoverci.»
Dominick accostò in una piazzola e spense l’auto: «Io sono arrivata ora. Ho una delle parti a Est, sono sola. Sono vicina al luogo dell’ultimo omicidio, non credo che accadrà niente. Ci sentiamo più tardi.»
Riagganciò la telefonata e estrasse la pistola dalla fodera per caricarla; fuori tutto era deserto, mosso solo dal vento costante. Le imposte delle finestre erano chiuse in ogni abitazione e solo pochi lampioni illuminavano quell’angosciante silenzio.
Scese deglutendo e nascose la pistola nella giacca, cercando di tenerla il più possibile a portata di mano.
Il suono dei suoi passi rimbombava ovunque, tra i muri di mattoni di quella viuzza che aveva appena iniziato a percorrere. Era quasi sicura che quello non sarebbe stato il luogo in cui avrebbe colpito, troppo vicino a quello precedente, ma non poteva fare a meno di guardarsi indietro a ogni passo.
Svoltò un angolo con la pistola tesa e si voltò di scatto quando un gatto nero fece cadere e rotolare rumorosamente una lattina.
Aveva i nervi tesissimi e le orecchie pronte a captare ogni rumore strano, diverso, pericoloso.
Era inghiottita dal buio e dalla sua stessa ansia.
Quando il suo cercapersone suonò, lei trasalì e si appiattì contro il muro con il fiato affannato.
“Zona Ovest” e il numero di Lucas, ecco cos’era comparso sul piccolo schermo.
“Attendete ordini.” Inviò.
Corse a ritroso verso l’auto, consapevole che un’altra donna era appena passata a miglior vita.
Accese le sirene e corse, dentro la sua auto, verso il luogo dell’omicidio. Cercava di respirare con più calma, senza però riuscirci. Era impossibile per lei.
Quando arrivò sul posto, una folla lì intorno si era radunata per cercare di vedere il cadavere e Dominick fu certa, in quel momento più che mai, che dopo quella sera sarebbero dovuti uscire allo scoperto.
Si fece largo tra la folla e oltrepassò il nastro rosso.
Un uomo dei suoi era chino sul corpo per finire di raccogliere indizi, che sicuramente non avrebbe trovato.
Sorvolò sul cadavere che avrebbe osservato più tardi e si concentrò sulla voce di Lucas che sbraitava contro qualcuno.
Dominick avvampò: Katherine era lì, nonostante gli avvertimenti, che litigava con lui.
«Che cazzo ci fai tu qui?» urlò Dominick andando verso di loro.
Lucas alzò le mani in segno di resa.
«Manda qualcuno tra la folla, Lucas. Qualsiasi persona stia guardando verso la nostra direzione dovrà essere portato in centrale da noi per essere interrogato.» ordinò.
Era arresa all’idea di dover mettere a conoscenza Katherine di quello che stava rischiando.
Lucas si allontanò e Dominick lo seguì con lo sguardo finché non raggiunse il cadavere e non controllò le mani della donna che giaceva in una pozza di sangue. Quando alzò il viso, si capirono solo con uno scambio di sguardi.
«Ora ascoltami bene- disse Dominick voltandosi verso Kate- metti le mani nelle tasche della giacca e assicurati che la tua cicatrice non sia visibile.»
«Ma che cosa…»
L’azzittì: «Fa come ti dico! Ora ti faccio accompagnare a casa da Lucas e lui ti spiegherà quello che devi sapere per forza, non oltre. Io vi raggiungerò appena avrò finito.»
«Come vuoi.» rispose lei senza fare domande.
Dominick spiegò a Lucas quello che doveva fare e gli ordinò di portare con sé altri due uomini. Li avrebbe raggiunti al più presto, quando avrebbe finito con il cadavere.
Con una pacca sulla spalla, gli affidò ciò che di più caro aveva al mondo.
Tra la piccola folla nessuno aveva notato qualcuno particolarmente interessato a Katherine, ma Dominick lo sospettava. Era comunque convinta che l’avesse vista e presa di mira, nascosto da qualche parte in un angolo buio e in disparte.
E non sbagliava.
L’omicida aveva visto Katherine non appena era arrivata sul posto, l’aveva fotografata e messa nella sua lista. Aveva assaporato con dolcezza l’immagine del momento in cui avrebbe sporcato le sue stesse mani con il sangue di quella donna.
E ora, ancora ben nascosto, osservava la cura con cui Dominick cercava, inutilmente, di proteggerla.
  
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