Anime & Manga > Ayashi no Ceres
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Autore: kaos3003    08/07/2008    0 recensioni
A volte è fin troppo rapido il passaggio dall'idillio alla rovina, e non sempre una dea merita d'essere felice.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi, i nomi e i luoghi qui riportati non mi appartengono, piuttosto sono da attribbuirsi alla loro creatrice Yuu Watase e a chiunque ne detenga i diritti legali.
Quest'opera non ha scopo di lucro alcuno, ma vorrebbe essere forma una mera forma di intrattenimento per voi e per me, soprattutto.

Note dell'autrice: un anno, un anno per concepire un progetto e ragionare sulla mia idiozia galoppante, altro che "lente, lente currite noctis equi".
Comunque, dicevamo? Ah, sì. Un anno per concepire un progetto di sei flash fiction (non oso pensare ai tempi per progetti maggiori) e abbozzare idee, cestinarle, sbattere la testa al muro, cercare inutilmente un beta-reader, sbattere la testa sulla scrivania e decidere che chi fa da sé avrà crampri alla mano destra, ma sicuramente meno emicranie.
Ultima nota poi smetto di rompere, in questa raccolta termini cardine saranno i prompt della sfida "Quella sporca mezza dozzina" (vedi pagina challenge per chiarimenti), ma soprattutto saranno determinanti i significati dei fiori citati nel titolo.
Questa prima storia porta il nome di "Lilium", termine esatto per indicare quello che il volgo preferisce definire giglio. Il Giglio è originario della penisola Balcanica e dell'Asia Minore, da dove fu importato nel resto dell'Europa. La tradizione vuole che il giglio, in origine, fosse un fiore bianco e candido, proprio per questo per i cristiani il Giglio è simbolo della purezza. La mitologia narra che il Giglio nacque da una goccia di latte caduta dal seno di Giunone mentre allattava il piccolo Ercole. Il significato del Giglio è, dunque, quello della purezza e della castità.




Il bianco candido della divisa di quella ragazza non era disturbato da nessuna croce rossa e per Kumi le infermiere dell'ospedale di Tockigi avrebbero dovuto imparare molto sull'abbigliamento da quella bambolina che s'inchinava d'innanzi a lei.
“Dovesse averne bisogno, non esiti a chiamarmi.” la sentì sussurrare prima che sparisse dietro una porta altrettanto candida.
Appoggiando le spalle a quell'uscita, Kumi abbracciò con lo sguardo l'intera stanza che le era stata riservata. Finalmente tutto, dalla biancheria del letto, ai mobili fino ai fiori freschi nei vasi di giada era stato sistemato esattamente come aveva richiesto. Certo, c'era voluto ben più d'un tentativo e aveva cambiato idea non poche volte, ma mai nessuno si era lamentato: compiacerla sembrava essere un dovere e accompagnarla doveva essere un autentico privilegio per quelle piccole donne che si atteggiavano a infermiere, pur comportandosi come le dame di compagnia che aveva visto in un vecchio film americano.
Muovendosi a piccoli passi, si avvicinò al letto. Anche il piccolo sarto di corte aveva fatto un ottimo lavoro alla fine, pur avendo impiegato quasi tre settimane per trovare raso e tulle che le ricordassero la fioritura primaverile di quei ciliegi che aveva visto, ancora bambina, al tempio di Amagoko.
Mentre sfiorava con la mano il serico tessuto, pensò che la biancheria fosse quanto di più fine esistesse solamente perché lei aveva chiesto così, esattamente come una settimana prima aveva richiesto della carta da lettere che profumasse di giglio, simile a quella che sua madre le aveva regalato per Natale. In quel posto era la sua voce a dettare legge, non le lettere di sua madre.
Scrivere lettere era sempre stata una strana abitudine per sua madre, una donna apparentemente poche parole, ma che sembrava trovarsi a proprio agio nel riversare su carta i propri pensieri.
Ovunque andassero acquistava carta da lettere colorata e profumata e inchiostri dei colori più strani che suggerissero l'importanza e il contenuto del messaggio, o almeno così sperava. Se non ricordava male il giorno in cui suo padre aveva lasciato la loro casa sul tavolo della cucina erano rimaste una tazza da the e una busta dall'intenso odore di lavanda. Grazie al cielo, quando le aveva insegnato a leggere il suo nome aveva preferito un foglio profumato di pervinca che ancora conservava in un cassetto della scrivania.
Nel corso degli anni era diventata un'abitudine tutta loro lasciare sul tavolo della cucina una tazza di the e una lettera, e a lungo andare il profumo di questa era diventato quasi più importante delle parole.
Purtroppo sua madre non aveva mai usato quei fogli sanguigni che avevano comprato a Tokyo e che avevano lo stesso profumo dei garofani rossi che coltivava nel suo piccolo angolo di giardino. Allo stesso modo lei non aveva mai voluto scrivere nulla su quei fogli di giglio e aveva rifiutato di sistemare in camera sua le decine di rose bianche che le lasciva nell'ingresso.

Ma ora sarebbe stato tutto diverso, pensò annusando la busta che la piccola infermiera aveva lasciato sul suo comodino, perché la dottoressa Gladis aveva ragione: lei era una dea, e come tale meritava d'essere felice

   
 
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