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Autore: _BelieveInLarry    03/04/2014    0 recensioni
È vero, avevo solo tredici anni, ma avevo sofferto tanto in quegli anni di vita e nessuno se n’era mai accorto. Mi gira la testa, ma facendo un respiro profondo stringo il margine della lametta tra le dita e, premendola sulla vena principale, la faccio scorrere in profondità. “Ora sarò felice..”.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mia mamma ha sempre creduto che un ragazzo di tredici anni fosse immaturo, felice e capriccioso. Mamma ha sempre creduto che a questa età quelli che definiamo sogni sono solo capricci, che i problemi che affrontiamo sono sciocchezze, che i nostri sorrisi sono veri. Ma mia mamma non conosce la verità, e credo che non lo capirà mai. È questo che penso, mentre sto seduto sul pavimento del bagno e la lametta nella mano destra. Mi guardo il braccio, ricoperto di cicatrici, quelle cicatrici che contenevano tanti dolori e tante sofferenze. Sospiro, esausto di tutto. Mamma crede che sono il ragazzo più felice al mondo, mi vede sempre ridere. Tutti mi vedono sempre ridere. Dice che in questo periodo sono particolarmente felice. Mamma crede di avere il figlio perfetto, crede che sono il migliore del mondo. Crede che non fumo, mentre in realtà fumo canne. Crede che a scuola ho voti alti, mentre non so nemmeno come sono riuscito a non farmi sospendere quando ho picchiato quel ragazzo, mi pare si chiamasse Liam, tipo carino ma deficiente. Crede che non penso mai al sesso, anzi, pensa che non so nemmeno cosa sia, mentre invece guardo porno parecchie volte. Crede che stia bene, ed è questo il suo errore più grande. Stare bene. Mi ripeto la frase nella mente mentre alzo la mano con la lametta fra le dita e l’appoggio leggermente al di sotto del polso. Ed ecco un taglio. Questo è perche ho illuso mia madre, perché ho illuso il mondo. Salgo leggermente e premo forte. Ora il sangue sta scorrendo mentre faccio riscorrere la lametta. Quest’altro è perché non sono come vorrei essere. Non abbastanza, inutile, errore, grasso, rovina, insicuro. E potrei continuare all’infinito. Mi mordo un labbro, il sangue mi ricade sui pantaloni. Penso a come mamma sarà arrabbiata appena vedrà il mio pantalone e il pavimento macchiato di sangue. Inizio a vedere offuscato, il respiro mi si spezza in gola. Sorrido, capendo che finalmente è arrivato il momento. Mi stavo uccidendo da solo, il mondo mi stava uccidendo. Mamma credeva che qui lividi che avevo addosso erano per colpa delle mie cadute, di quando inciampavo nei miei stessi piedi. Ma non sapeva che erano provocati da quel bulletto della scuola, Louis. È vero, avevo solo tredici anni, ma avevo sofferto tanto in quegli anni di vita e nessuno se n’era mai accorto. Mi gira la testa, ma facendo un respiro profondo stringo il margine della lametta tra le dita e, premendola sulla vena principale, la faccio scorrere in profondità. “Ora sarò felice..”.
 
Entro in casa, la luce è accesa. Appoggio la borsa sul divano e mi sfilo i tacchi così fastidiosi. Sbuffo. Sono stanca, dopo una giornata intera di lavoro non desidero nient’altro che stendermi nel letto e dormire. Chiamo Zayn. Di solito quando le luci sono accese significa che sta in casa. lo chiamo più alta voce, pensando che non ha sentito. Nessuno risponde. Forse sarà uscito lasciando le luci accese. No, non è il tipo. Mi incammino verso il corridoio andando a vedere nella sua stanza, ma la luce nel bagno accesa mi fa pensare che forse si sta lavando. Busso alla porta, sempre più forte. Nessuna risposta, nemmeno un rumore. Cerco di aprirla, ma è chiusa a chiave. Busso di nuovo, questa volta con furia e urlo il suo nome sempre più volte. Intravedo il suo telefono sul termosifone mentre mi giro alla ricerca di un qualsiasi oggetto. Ora sono ancora più convinta che lì, in quel bagno, c’è Zayn. Mi tremano le mani, il fiato mi si spezza in gola. Non so cosa fare, troppo presa dalla paura. Corro nel salone a prendere il telefono e digito il numero di mio marito, le mani che tremano. Sento subito la sua voce calda, rassicurante. “Trisha?” Iinizio a respirare a fatica, Zayn chiuso in quel bagno chissà in che condizioni. Forse si è sentito male, forse è svenuto. “Muoviti, torna subito a casa.” Senza nemmeno dargli il tempo di rispondere chiudo la chiamata e butto il telefono sul divano, ritornando davanti alla porta del bagno. Mi ripeto che ce la posso fare, che posso buttare giù la porta. Ed ecco la prima spallata. Ripeto il gesto, questa volta con più forza. Ce la posso fare, ce la posso fare. Prendo un grosso respiro e mi butto contro la porta con tutta la forza che ho in corpo. Chiudo gli occhi prima di sbattere e sento il rumore del legno cadere a terra. Li riapro e di colpo e.. piango. “Zaaaayn! Zayn! Oddio!” Mi precipito sul corpo di mio figlio immerso in una pozza di sangue, la vista offuscata dalle lacrime. Inizio a singhiozzare forte, stringendomi il corpo inerme tra le mie braccia. Urlo. “No! Zayn, no! Zaaayn!” Gli bacio la nuca, rimanendo con le labbra tra i capelli. Ho la maglia macchiata di sangue, del suo sangue. E Dio, vorrei che quello fosse il mio sangue, che quel corpo senza battito che ora giace tra le mie braccia sii il mio. Sento la porta di casa aprirsi, dei passi camminare verso i miei singhiozzi interminabili e sempre più forti. “Ma cosa.. oddio! No, no, no.. Zaaayn!”  Mio marito ha fatto il suo ingresso in bagno, ora affianco a me. “Io.. lui… il sangue.. no, no, dimmi che non è vero. No!” Lui si allungò su di me, stringendo insieme a me il corpo di nostro figlio. È morto. 
  
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