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Autore: SheilaUnison    04/04/2014    1 recensioni
Mai, MAI prendere in giro qualcuno senza motivo, soprattutto se quel qualcuno ha qualcosa di sinistro, oscuro, inafferrabile. Questa storia vi mostrerà il perché.
(Spero vivamente che Edgar Allan Poe non si rivolti nella tomba per quello che ho scritto.)
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per ora vi dirò che mi chiamo Ambra. Questo vi basti.
Ho sentito il bisogno di raccontare questo fatto che mi ossessiona ormai da lungo tempo, perché questo è così assurdo ed inquietante che avevo necessità di sbarazzarmene una volta per tutte trasponendolo sulla carta.
Se vi apprestate a leggere questa storia assicuratevi di non farlo di notte, chiamate un parente od un amico a farvi compagnia e, se non potete, uscite di casa e state fra la gente. Insomma, non rimanete da soli nel buio, perché è lì che si celano forze oscure ed ignote che vi potrebbero perseguitare, sempre assetate di paura e sangue umano.
Dunque, eccomi qui. Ancora una volta butto nel cestino di questo squallido ospedale gli psicofarmaci che l'infermiera mi ha appena portato. Non ne ho bisogno. Io sono perfettamente lucida.
Lei, l'infermiera, non mi crede. Lo psichiatra non mi crede. I miei genitori non mi credono. Nessuno mi crede. Tutti pensano che sia solo una fase causata da quello che ho vissuto. Pensano che mi inventi le cose per attirare l'attenzione, ma non è così! Che colpa ho io di essere rimasta l'unica testimone di quel nefasto evento?
L'unico ringraziamento che ho ricevuto è stato l'essere chiusa qui, in questo lurido luogo, in cui ci sono persone, a differenza di me, davvero malate. I loro volti deformati dal mostro che li divora tormentano i miei sogni notturni. Invece io, sul serio, non sono pazza.
Ma ora basta annoiarvi.
Se morirò qui, visto che sembra che non vogliano farmi uscire, voglio almeno che questi fogli facciano conoscere alla gente la verità. Dunque mi appresto a farvi venire a conoscenza degli avvenimenti che mi sono capitati.
Qualche mese fa mi trovavo nella mia ormai ex scuola, in cui avevo vissuto gli anni dell'adolescenza. Oh, anni così sereni irreparabilmente macchiati da un tale spaventoso giorno!
Era un edificio ottocentesco, in cui le scale si intrecciavano coi corridoi in un labirinto infinito.
I muri erano decadenti, l'intonaco slabbrato si staccava spesso dalle pareti; le aule strette ed anguste contenevano banchi ammassati ed abbandonati al caso, in cui gli studenti, pallidi dallo studio mortale, assorbivano con sguardo vacuo il discorso di un professore dal volto consumato dagli anni o, forse, dai secoli.
In tale ambiente io crebbi, ingenua e piena di speranze, sempre accompagnata dalla mia inseparabile amica Melania. Passavamo le giornate a combattere il grigio di quel palazzo con la vitalità della nostra gioventù. Non volevamo che ci spegnessero.
Proprio al quinto anno, a causa della nostra semplicità di carattere e della nostra vivacità, rimanemmo escluse dalla maggioranza della classe – con poche eccezioni -, troppo impegnata ad invecchiare anzitempo. La falsità e il pettegolezzo dilagavano incontrastati.
In quei giorni oscuri che ne stavamo nell'angolo con Tommaso e Virginia a pensare ai nostri amici fuori dalla scuola, mentre gli altri ridacchiavano per chissà quale motivo.
A volte ci prendevano in giro, soprattutto Melania, perché aveva un'indole più debole rispetto al resto del nostro gruppo. Subiva passiva i malvagi scherni, mentre noi tentavamo, invano, di difenderla.
Col passare del tempo, negli ultimi mesi in particolare, era diventata irritabile, nevrotica, strana. Vestiva con abiti scuri, parlava di cose come stregoneria e magia nera. Noi accettavamo quel cambiamento, perché, dopotutto, era sempre cordiale nei nostri confronti. Tuttavia commentava malignamente ogni frase pronunciata dai nostri compagni; il suo sguardo si faceva sempre più cupo: gli occhi, prima castani, ora erano color pece. Minacciava vendetta, rideva da sola qualche volta e guardava con una strana luce chi ci prendeva in giro, come se sapesse qualcosa che noi ignoravamo.
La vedevo ogni giorno diventare irrimediabilmente sempre più nera, nera come il suo nome.
La sua stessa aura sembrava impregnata di quel colore, che trasudava fuori mentre lei affermava che: “Un giorno sarò io a ridere dei miei compagni.”
All'epoca non davo molto peso a ciò che diceva, anche perché con noi era buona e gentile. Il suo repentino cambiamento, però, mi inquietava profondamente.
In un funesto giorno di pioggia, che preannunciava il terribile evento, stavamo scendendo le scale per andare in palestra a seguire la lezione di educazione fisica.
Mentre parlottavano, meschini, i miei compagni avevano iniziato (non lo avessero mai fatto!) a prendersi gioco della mia amica.
“Guarda! Il tuo abito è così macabro! Cos'è, devi andare ad un funerale?”aveva chiesto Nora, ridacchiando sotto i baffi con Cristiana. Erano le due più pettegole della classe.
Stavo per riempirle di insulti, ma Melania mi aveva bloccata con la mano.
“Sì, il vostro.” aveva riposto la mia amica, lapidaria. Mi ero voltata verso Tommaso e Virginia, che erano rimasti ammutoliti. Quella frase ci aveva turbati: non aveva mai risposto a tono agli altri.
“Ah ah! Ma che simpatica! Ma lo sai che sei proprio deprimente?” le aveva detto Cristiana.
“E allora?”aveva replicato la mia amica, mentre il suo volto si stava deformando in un ringhio.
“E allora nessun ragazzo ti degnerà mai di uno sguardo! Poi guarda questo scialle. È così da sfigati!”
“Già – Nora aveva annuito. - Sembra un corvo! Ah ah! Vediamo come voli!”
A quel punto Nora e Cristiana si erano lanciate uno sguardo e avevano spinto la mia amica giù per le scale.
Nessuno si aspettava quel che sarebbe successo.
Melania si era inciampata e, mentre faceva una sorta di capovolta, aveva battuto la testa contro lo scalino di marmo. Il suo corpo era crollato per terra con un tonfo.
Ricordo ancora le risate dei miei compagni scomparire e lasciare il posto al puro terrore.
Nel vedere la caduta avevo trattenuto il fiato, paralizzata. Melania, o meglio, ciò che ne rimaneva, era ferma, immobile. Dovevo fare qualcosa: avevo ripreso di colpo a respirare, come appena uscita dall'acqua, mi ero precipitata con l'inquietudine nel cuore sul corpo disteso. Avevo urlato a quelle cretine di Nora e Cristiana di andare a chiamare aiuto, mentre Tommaso e Virginia avevano allontanato i nostri compagni che si stavano accalcando su Melania: bisognava farla respirare.
La chiamavo, le davo leggeri colpetti sul viso per risvegliarla, le tiravo su le gambe per far circolare il sangue, ma niente.
Poi, dopo qualche istante, la mia amica aveva socchiuso gli occhi, mi aveva afferrato la testa e l'aveva avvicinata alla sua bocca.
“Presto riderò di loro, non temere. Vi voglio bene.” aveva sussurrato debolmente, poi le forze l'avevano abbandonata. La sua pelle si era tinta di un pallore spettrale e gli occhi, come il resto del corpo, erano immobili, spenti e guardavano me.
Puro orrore mi aveva invasa. Tutto andava al rallentatore. Virginia mi aveva tirata via a forza dal corpo mentre Tommaso sentiva il polso di Melania: muto.
Con crescente disperazione mi ero stretta nel pianto ai miei due amici.
L'ambulanza chiamata da Nora era arrivata in fretta, ma non abbastanza.
Melania era morta. Me l'avevano portata via.
Interrogate dai medici sull'accaduto, Nora e Cristiana avevano confermato che Melania si era inciampata ed era tragicamente caduta. Insomma, si era trattato di un incidente. Alche, davanti ad una tale ipocrisia, avevo lasciato i miei amici soli e mi ero fatta portare via dai miei genitori, piena di dolore e odio, incapace di tollerare ulteriori menzogne.
Avevo pianto tutto il pomeriggio, ma, allo stesso tempo, qualcosa mi mozzava il fiato. Avevo ricercato in me le cause di quell'angoscioso pensiero e le avevo trovate: le ultime parole di Melania pesavano come piombo sul mio cuore. Cosa aveva voluto dire? Non ero riuscita a darmi risposta. lì per lì avevo deciso di abbandonare quella tormentosa questione, ma presto, senza volerlo, avrei ottenuto la soluzione a quell'enigma.
Il giorno dopo non ero andata a scuola perchè mi sentivo troppo male.
Il frenetico mondo moderno concede troppo poco tempo agli uomini per elaborare un lutto.
La mattina successiva le lezioni erano di nuovo state sospese per il funerale di Melania. Vi assisteva la mia classe, i miei insegnanti e la preside.
La triste bara, uscita da un carro funebre, aveva sfilato tra le grida di disperazione fino all'altare. Dopo il discorso del sacerdote ero stata chiamata per commemorare la mia amica con qualche parola che mi ero preparata il giorno prima. Riuscivo a vedere il corpo freddo e rigido nell'eterno sonno, uno spettacolo a cui non volevo nemmeno assistere.
Mi ero appostata davanti al microfono e avevo detto, con voce spezzata:
“Melania non era solo un'amica, era una persona con cui condividevo tutto. Era come una sorella per me. Spero vivamente che la ricorderete tutti come una ragazza gentile e sempre buona, anche nei periodi più difficili. Ultimamente era abbastanza triste, come se avesse saputo di stare per morire. Tuttavia voglio davvero che lassù sia felice. - avevo poi guardato in alto, rivolgendomi al cielo. -Se c'è una giustizia divina, spero che dia il giusto peso a questo incidente. Ti voglio bene anche io.”
A quel punto, inesplicabilmente, era scoppiata da qualche parte una frenetica risata. La platea, gelata, aveva ascoltato insieme a me con gli occhi sgranati quel gracchiare che non aveva nulla di umano. Quel suono metallico era proseguito per qualche secondo, rimbombando tra le pareti della chiesa, mandandomi brividi lungo la spina dorsale.
Tutti si guardavano attorno, ma nessuno riusciva a capire da dove provenisse quella voce. Poco dopo il silenzio.
Ero tornata al mio posto, sconvolta, poi le funzioni erano riprese normalmente. Per il resto del funerale tutto era proceduto con regolarità.
Ricordo di essermi morbosamente chiesta se avessi dovuto avere paura per quella risata che era scoppiata proprio quando avevo finito di parlare. Era una minaccia nei miei confronti?
Alla fine la colpa era stata attribuita a un qualche bambino piccolo, giusto per placare la gente.
I volti di Tommaso e Virginia erano carichi di sgomento. Mi erano venuti a chiedere se stessi bene o no. Non riuscivano a spiegarsi quello strano fenomeno.
Eravamo tornati a casa tutti un po’ sconvolti.
Il giorno successivo erano riprese le lezioni. Io e i miei amici avevamo deciso di non rivolgere più la parola a Nora e a Cristiana. Del resto loro ci evitavano accuratamente. Speravo con tutto il cuore che il senso di colpa stesse corrodendo loro l’anima.
Dopo alcune settimane la classe aveva deciso di rendere visita a Melania al cimitero, un gesto tanto nobile quanto falso.
Avevo raccolto delle rose dal mio giardino e me le ero portate dietro; così avevano fatto anche Virginia e Tommaso: sapevamo che erano i fiori preferiti della nostra defunta amica. Ci eravamo messi in fila insieme agli altri, capeggiati dalla professoressa di matematica.  Ci eravamo incamminati in una vera e propria marcia funebre verso il camposanto. Giunti al nero cancello, eravamo entrati un po’ timorosi. La nebbia lattiginosa dilagava, creando un’ atmosfera spettrale e congelando le ossa. Vagavamo come fantasmi nel silenzio dei morti, mentre gli alti cipressi comparivano improvvisamente dinnanzi a noi, come mostri giganti.
Il gelo ci aveva spinti a stringerci l’uno con l’altro. Le statue imponenti ci sorvegliavano, minacciose, guardiane alle porte dell’oltretomba.
“Per di qua, ragazzi!”aveva urlato la professoressa.
Leggermente smarriti, ci eravamo diretti verso l’origine del suono.
Davanti a noi un angelo straziato dal dolore, piangente, era in ginocchio, abbracciato ad una croce. Sotto, la tomba di Melania. A quella vista mi erano salite le lacrime. Avevo stretto i miei amici tra le mie braccia.
Chi aveva i fiori li aveva deposti sulla fredda lastra di marmo. Nessuno parlava. Non c’era molto da dire.
Eravamo muti lì a contemplare la tomba da qualche minuto, quando l’insegnante ci aveva concesso mezz’ora per visitare il cimitero. Ci avrebbe aspettati al cancello.
Avevo detto una preghiera per Melania poi, col mio gruppetto, avevo fatto un giro senza allontanarmi troppo dal luogo di riposo della mia amica.
“Non importa a nessuno.” aveva osservato Tommaso.
“Lo so. – aveva affermato Virginia, lo sguardo perso nella nebbia – Guardate là.”
Mi ero voltata per guardare: stava indicando la tomba di Melania. Là Nora e Cristina sembravano parlare al sepolcro.
“Che facce toste! Adesso mi sentono!”
Stavo per partire a trucidarle, ma l’insegnante ci stava iniziando a chiamare.
“Voi andate! Io vado a vedere cosa stanno combinando.”
Mi ero allontanata dal gruppo e mi ero diretta verso le mie compagne.
Dopo averle ben osservate, ero rimasta scioccata: stavano ridendo! Solo quando mi ero avvicinata avevano taciuto.
“Non avete alcun rispetto.” Avevo commentato, amareggiata.
“Che problemi hai? Stavamo solo parlando!” aveva esclamato acida Cristiana, squadrandomi dall’alto verso il basso.
“Come osate ridere davanti a lei?”avevo chiesto, furiosa.
A quel punto avevo chiaramente udito un sussurro.
Ridere.
Quella parola rimbombava nel cimitero.
“Cos…?” aveva chiesto Nora. Aveva gli occhi sgranati.
Cristiana si guardava attorno con circospezione.
La nebbia era sempre più fitta, non riuscivo a vedere a due metri da me. Sembrava incombere su di noi come un’oscura presenza.
“Non riesco a muovermi.” aveva detto Nora. Cristiana aveva fatto per muoversi verso di lei, ma invano: era bloccata. Avevo provato anche io, ma ero ugualmente paralizzata.
Le bocche si erano serrate: non riuscivamo nemmeno più a parlare! Che stava succedendo?
Ridere. Ridere. Ridere.
Il sussurro si era presto tramutato in un grido agghiacciante, mostruoso.
Sembrava volersi prendere gioco di noi.
Un intimo terrore si stava scatenando in me, simile a tormenta.
I volti delle mie compagne erano impalliditi ed ora rassomigliavano a quelli dei morti.
Ih ih ih!
Che Dio mi salvi! Quella gelida risata era identica a quella al funerale!
Non posso descrivere quale angoscia stava trasfigurando i volti delle mie compagne, unica parte in grado di muoversi; anche loro avevano riconosciuto quello stridio maledetto!
Quale tormento! Temevo seriamente per la mia vita.
Sapete solo ridere.
Quella volta le parole erano state pronunciate ad un volume talmente acuto che, se avessi potuto, mi sarei tappata le orecchie.
Invece ero stata costretta ad udire quella terribile voce, che mi aveva fatta disperdere in un baratro di oblio. Ero in trappola.
La nebbia soffocante si stava chiudendo su di noi.
All’improvviso mi ero resa conto che Nora e Cristiana stavano intensamente fissando un punto alla mia sinistra. Avevo guardato in quella direzione: un filamento di nebbia più spesso stava salendo come vapore dalla tomba di Melania.
Il mio cuore stava iniziando a tremare in maniera preoccupante: quell’essenza di spirito stava assumendo le sembianze di una mano!
Le mie compagne, non riuscendo a parlare, mugolavano, spostando gli occhi da destra a sinistra.
Un odore di incenso e sangue si stava diffondendo nell’aria. Riuscivo a percepire un inquietante sentore di morte: quell’essere mostruoso, evocato dall’Ade, era forse venuto per me? Quella risata al funerale era forse il preludio della mia chiamata agli Inferi? Allora perché aveva parlato al plurale? Perché anche le altre ragazze erano coinvolte?
Nel frattempo davanti a me si stava delineando la silhouette della creatura più abominevole che avessi mai visto: era una salma fatta di fumo, i cui confini erano appena riconoscibili.
Nella parte alta, un’ombra scura, senza fondo, aveva assunto la forma di quella che pareva una spaventosa bocca; più sopra, due sfere di fuoco ardenti brillavano a sagomare gli occhi.
Non riesco ad esprimere a parole il turbamento che stavo provando. Era forse il tristo mietitore venuto a reclamare la nostra anima? O era qualcosa di ancora più ignoto, insondabile e terrificante? Era il demonio stesso?
“Pietà!” avrei chiesto, se avessi potuto. Sarei anche fuggita, se avessi potuto. Ma mi era impedito di muovere ogni singolo muscolo.
L’essere si stava avvicinando lentamente a Nora, che non riusciva a reagire.
Ora chi è che ride, Nora?” sibilò la creatura.
Conosceva il nome della mia compagna! Com’era possibile?
Improvvisamente aveva allungato il braccio verso di lei. La sua mano era penetrata, senza resistenze, nel petto della ragazza, facendole strabuzzare gli occhi. Qualche secondo, il tempo di vedere la pelle di Nora sbiancare, poi era caduta per terra, inerme.
A quella vista il mio corpo aveva iniziato ad essere preda di spasmi e convulsioni interne. Sentivo di essere sul punto di svenire, eppure qualcosa mi teneva in piedi.
Possibile che nessuno si fosse accorto della nostra assenza? A quel punto avrei davvero venduto l’anima al diavolo pur di salvarmi.
L’ectoplasma, poi, era fluttuato in direzione di Cristiana. La odiavo, ma avrei voluto urlarle di scappare.
La mano, come una falce, si era conficcata inesorabilmente nel cuore della mia compagna e, come prima, la ragazza era impallidita ed era crollata su se stessa.
Cosa era successo a quelle due? Cosa stava per succedere a me? Stavo per soccombere?
Il mostro si era voltato verso di me, in tutta calma. Solo allora avevo potuto vedere bene il suo aspetto: la bocca era un vortice più profondo del Maelstrom, non ne si poteva vedere la fine. Gli occhi erano due pire funebri che mi chiamavano a sé.
Il mio cuore batteva così forte che stava per cedere dallo sforzo.
Quegli attimi mi parevano ore. Il fantasma si stava avvicinando, allungandomi il braccio. Paralizzata, attendevo con assoluto terrore la mia mortale sentenza.
Tuttavia l’essere, con mia enorme inquietudine, aveva portato entrambe le sue mani sulle mie spalle. Non riuscivo a percepirne il tocco, però emanavano un flebile calore.
Il fantasma sembrava scrutarmi nel profondo, rendendo il mio animo irrequieto.
Hai visto? Ho riso di loro. – aveva bisbigliato. – Ti…vi voglio bene.
Quell’ultima frase mi aveva fatto gelare il sangue. Avrei riconosciuto quella voce tra mille.
“Ragazze! È tardi! Torniamo a scuola!”
La voce della professoressa.
A quel richiamo avevo guardato con la coda dell’occhio l’avvicinarsi dell’insegnante. Ero riuscita a scorgere il suo sguardo terrorizzato nel vedere me, il mostro e le mie compagne a terra.
Si era portata le mani alla bocca, immobile. In quel momento avevo guardato innanzi a me: lo spirito, così com’era apparso, si era improvvisamente dissolto nella nebbia, che stava lasciando posto al sole.
Le orecchie fischiavano, la vista si anneriva, il corpo tremava. Avevo avuto solo più il tempo di vedere la docente correre agitata verso di noi.
Mi ero risvegliata in questo stesso ospedale, ma in un reparto diverso. Mi avevano detto che le mie compagne erano morte, ma non si conoscevano le cause. Tutt’oggi i miei incubi sono dominati da quel funesto evento. La mia professoressa si è licenziata e si è trasferita all’estero. Ho raccontato tutto a Tommaso e a Virginia, ma pensano semplicemente che io stia vivendo una sorta di shock dopo la morte della nostra amica.
Io, da allora, non sono più la stessa. Ho continui attacchi di panico e soffro di insonnia. Per questo sono qui.
Perché, nonostante nessuno mi creda, nel profondo della mia tormentata anima, io so cosa ho visto. So chi era quello spirito: era Melania.
  
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