Salgo sul cornicione. Wow, è proprio alto quassù. Non sono convinta di volerlo fare ancora. Guardo giù, anche se so che non dovrei. Le macchine sulla strada sembrano tanti insetti piccoli e veloci, parassiti che corrodono le strade senza sosta. Una lacrima mi sfugge e lentamente mi solca una guancia. La guardo cadere. Tra poco a cadere sarò proprio io. E nessuno potrà fermarmi. Ok, ci siamo. Devo solo slanciarmi in avanti e la forza di gravità farà il resto. E tutto finirà. Niente più dolore, niente più delusioni, solo uno squisito nulla che agogno da tanto tempo. Perché quando cresci sapendo di essere stata solo un errore, un imprevisto, non puoi mai stare davvero bene. Quando vedi tuo padre, che ha dovuto sposare tua madre per non perdere la faccia, richiudersi alle spalle la porta di casa dopo aver portato fuori la sua roba mentre lei piange sul divano, non puoi fare finta di niente. E quando poi vieni continuamente vessata a scuola da coetanei che di te non sanno niente, ma che pretendono di sputare sentenze, allora è proprio il caso di lasciar perdere la vita. Appunto, io non dovevo nemmeno esistere. Quindi alla fine il cerchio si chiude. Mi porterò nella tomba queste lunghe riflessioni prima di morire. Bene … forza. Chiudo gli occhi. Al mio tre salto. Ok. Uno. Due. Tr …
- Oh mein Gott! – sento urlare dietro di me – Was machen Sie? Bitte spring nicht!
- Che cazzo …? - mi giro. Un tizio mi fissa stralunato. Ha un cappellino da baseball da cui si intravedono dei capelli biondi, piercing e due enormi occhi castano chiaro, molto spaventati. Tra le braccia stringe un tenerissimo cagnolino bianco, con qualche chiazza marrone. Ci guardiamo, anche perché io non ho assolutamente idea di cosa abbia detto. Presumo sia un tedesco capitato lì per caso con quel cucciolo terribilmente carino. Quasi quasi non mi butto … no, dai, no. Non sono andata dall’altra parte del mondo per niente. Ho lasciato Roma per Los Angeles perché così nessuno mi avrebbe salvata. Ho speso tutti i miei risparmi per farla finita, cavolo!
- Ehm … I’m ok. Are you ok? – balbetto nel mio stentatissimo inglese.
- Ok? OK?! Das ist nicht ok! Du willst springen! – strilla il tipo.
-  I … nein … no Deutsch … - sussurro. Non sono mai stata brava con le lingue straniere.
- Bitte spring nicht! – il tipo sembra sull’orlo del pianto. Mi fa pena. Dio, che devo fare? Scendo o mi butto? No, cara, no. Non puoi permettere ad un tedesco frignone di sconvolgerti tutti i piani … un momento! Questo tipo ha un’aria molto familiare … ma sì, l’ho già visto da qualche parte! Forse è un VIP. Un VIP tedesco. Fammi pensare …
- Are you a singer? – chiedo. Lui sembra riprendersi dallo spavento, sbatte le palpebre confuso. Mi guarda e annuisce.
- I’m the singer of a German band. You know … Tokio Hotel.
- Cazzo, tu sei Bill Kaulitz! O mio Dio! – esclamo. C’è stato un periodo della mia vita in cui adoravo i Tokio Hotel. Mi piacevano le loro canzoni. E mi piacevano loro … soprattutto Bill. Avevo una cotta per lui. È così cambiato …
- Ja … - cerca di sorridermi – But now come here. Please don’t jump.
- I have to jump, Bill. My life is horrible …
- Don’t do that. Life is too beautiful to lose it. – stavolta quello che illumina il suo volto è davvero un gran bel sorriso. I suoi occhi mi implorano di non saltare. Anche il suo cagnolino mi guarda dolcemente.
Sospiro. Non so se farlo. Non so se sono davvero pronta per lasciare questo mondo. Sono giovane, ho solo diciotto anni … posso fare tante cose. Posso dare una svolta alla mia vita. No, non voglio uccidermi.
Così spicco il volo.
E atterro sulla terra ferma, davanti a Bill.