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Autore: Smaugslayer    04/04/2014    4 recensioni
Sono passati due anni da quando Sherlock ha lasciato la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts tra urla di dolore.
Di lui, John Watson conserva solo tre libri e un ricordo che si sbiadisce ogni giorno che passa. Non ha più notizie del suo migliore amico da quando è stato rinchiuso all'Ospedale di San Mungo.
Finché non se lo ritrova davanti alla prima partita di Quidditch della stagione.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
 
 
 
Fu svegliato dal rumore di una bottiglia che andava in frantumi.
 
Una voce impastata bofonchiò “Reparo”, e poi il silenzio.
 
La sua maglietta era bagnata di un liquido che dall’odore pareva Whiskey Incendiario, ma avrebbe potuto essere qualsiasi altra cosa.
 
Nella Sala Comune di Grifondoro dormivano ancora tutti.
 
Tentò di alzarsi e se ne pentì immediatamente: la testa gli pulsava da morire.
 
Cos’era successo? Pensieri confusi si affacciavano alla sua mente.
 
La festa per l’ultimo giorno dell’anno. Corvonero.
 
Sherlock Holmes.
 
Scostò in fretta la ragazza addormentata sulle sue ginocchia, appoggiandone con delicatezza la testa sul divano di velluto rosso, e decise di uscire subito alla ricerca di novità.
 
Oltrepassò il ritratto della Signora Grassa e si avventurò per i corridoi di Hogwarts.
 
Dovevano essere circa le sei o le sette del mattino, e il castello era ancora deserto.
 
A metà di una scala, si accorse di indossare ancora i vestiti della sera prima, ma non ci fece troppo caso. Doveva andare in infermeria.
 
Davanti a sé, vedeva lui: continuava a sentire la sua voce, e a sapere esattamente che cosa gli avrebbe detto, come si sarebbe atteggiato; sapeva come avrebbe sogghignato, strizzato un paio di volte gli occhi, quegli incredibili occhi verdi, e come infine avrebbe semplicemente sorriso.
 
Merlino, fa che possa vederlo ancora… ti prego…
 
Corse affannosamente giù per le scale e lungo i corridoi, imprecando e maledicendosi per essersi addormentato, quella notte. Gli avevano detto che non poteva entrare, no, non poteva, e lui come un idiota era tornato in Sala Comune e si era unito ai compagni festanti, quanto era stato stupido… come aveva potuto abbandonare il suo migliore amico, e al diavolo le regole?
 
Era tutta colpa di Sherlock. Cosa gli era saltato in mente? Sì, saltare in mente era l’espressione giusta …ma no, non era colpa sua… lui l’avrebbe evitato, era ovvio… invece sì, era tutta colpa di Sherlock se lui ora aveva il cuore in gola e la testa pulsante e la vista appannata dallo sforzo di andare più veloce del vento…
 
Era stato uno stupido egoista ad abbandonarlo in quel modo, era ubriaco di Burrobirra e dolore e aveva desiderato semplicemente che tutto quel casino non fosse mai successo, e ora ne pagava le conseguenze.
 
Lui e Sherlock, la coppia inseparabile, la gente diceva così… erano diventati amici dopo essersi affrontati al Club dei Duellanti del professor Vitious. John ricordava con l’amaro in bocca la prima umiliazione inflittagli da quel piccoletto di Sherlock, che scagliava fatture meglio di un Auror; al secondo anno era solo un bambinetto con le guance paffute e i capelli arruffati, ma con un’aria da vecchio saggio da far invidia ad Albus Silente. Mentre si stringevano la mano, un ragazzino dal pubblico aveva fatto, per puro dispetto, un sortilegio che li aveva incollati insieme, e mentre aspettavano di essere liberati erano diventati amici. Un modo buffo di cominciare, che loro avevano sempre visto come speciale. Come se il destino li avesse –letteralmente- uniti.
 
            Tutti i letti dell’Infermeria erano vuoti.
 
Dov’è…
 
Madama Chips stava allineando delle boccette lungo uno scaffale.
 
“Dov’è Sherlock Holmes?” chiese lui, allarmato.
 
“Intendi il ragazzino che hanno portato qui ieri notte? Poveretto. Stava parecchio male. L’hanno trasferito al San Mungo, il professor Vitious –era Corvonero, sì? - è andato con lui. Penso che debba ancora tornare.”
 
Un ronzio acuto strideva e sfrigolava nelle sue orecchie. Sherlock non era più lì. E lui non l’aveva nemmeno salutato.
 
“Il San Mungo” gorgogliò.
 
“Aspetta, tu come ti chiami?” chiede Madama Chips, corrugando la fronte.
 
“John Watson.”
 
“Ha lasciato una cosa per te. Ad un certo punto ha ripreso conoscenza, e penso che ti abbia lasciato un saluto o qualcosa del genere.” La donna si frugò nelle tasche del grembiule e pescò un foglio di carta tutto spiegazzato, che gli porse con aria di compatimento prima di lasciarlo solo.
 
John si sedette su una seggiola accanto al letto e lesse le ultime parole di Sherlock Holmes.
 
Caro John,
Non per eccedere nei sentimentalismi, ma probabilmente la gente si impossesserà di tutte le mie cose, non appena scoprirà che non tornerò. Quindi ho appellato alcuni dei miei libri, e li ho nascosti nel cassetto del comodino accanto alla sedia su cui sei seduto.
Fanne buon uso e non rovinarli. Ti scriverò il prima possibile.
Sherlock
 
Con crescente stupore, John tirò la manopola del cassetto e vide che, effettivamente, al suo interno erano contenuti tre volumi: Avversario segreto di Agatha Christie, una raccolta di poesie di Th. S. Eliot, e il De amicitia di Cicerone.
 
Letture del genere non erano da Sherlock. Lui non si sarebbe mai sprecato a leggere romanzi, sonetti o elucubrazioni in latino su temi astratti. Probabilmente delirava, al momento di scrivere quella lettera.
 
Nonostante ciò, John li infilò nelle tasche del mantello e uscì dall’Infermeria, desideroso di una boccata d’aria.
 
Ancora non riusciva a credere a ciò che era successo la sera prima.
 
Era l’ultimo giorno dell’anno. I Corvonero organizzavano una festicciola nella loro Sala Comune.
 
Sherlock aveva invitato anche John, che già al quinto anno godeva di una certa popolarità come giocatore di Quidditch. Sherlock non faceva i salti di gioia all’idea di un party (si sa: alle feste bisogna socializzare) ma la presenza del suo migliore amico lo rincuorava un poco. John, per contro, era quasi sovraeccitato.
 
Mancava poco alla mezzanotte. John stava chiacchierando allegramente con un’amica di Sherlock, Mary, una ragazzina bionda e quasi graziosa, benché priva di qualsiasi avvenenza; si trovava a suo agio con lei, cosa che non capitava spesso.
 
Mary gli aveva appena detto qualcosa di spiritoso a proposito della sua barba (una sottile peluria bionda che gli andava ricoprendo le mascelle) quando impietrì e strabuzzò gli occhi.
 
Raggelando, John si voltò lentamente nella sua direzione.
 
Sherlock era caduto a terra e si reggeva la testa fra le mani. Le sue dita affusolate erano contratte dallo sforzo e il suo volto era una maschera di dolore.
 
Sherlock!” urlò John, avventandosi su di lui.
 
Le persone gridavano e si coprivano il volto con le mani, accalcandosi intorno a loro senza sapere che cosa fare.
 
“Lasciatemi passare!” sbraitò John.
 
“Qualcuno chiami Vitious!” ordinò Mary. “Presto!”
 
Levo! Detineo!” John tentò di alleviare la sofferenza dell’amico, ma sembrava che gli incantesimi non avessero alcun effetto.
 
Sherlock si era isolato dal mondo. Dagli occhi strizzati scorrevano fiotti di lacrime. John non aveva mai visto nulla di tanto angoscioso.
 
John non sentiva più le urla, le voci, neppure la presenza degli altri ragazzi. In quel momento, esisteva solo Sherlock. Sherlock che stava morendo.
 
“Di qua!” esclamò Mary da un punto molto distante. Poco dopo, il professor Vitious apparve accanto a John. “Santo cielo!” strillò vedendo il corpo del suo studente. “Dobbiamo portarlo in infermeria… Corporem locomotor! Fate spazio, ragazzi.”
 
Mary trattenne John per un braccio per impedirgli di seguirlo.
 
E l’ultima cosa che lui vide del suo migliore amico fu un lembo di mantello nero.
 
Cercò di scacciare questi pensieri e iniziò a correre. Forse, se avesse semplicemente continuato ad avanzare, avrebbe raggiunto il San Mungo e avrebbe potuto scusarsi con Sherlock Holmes. La sua unica consolazione era che presto sarebbe arrivata una lettera, e lui avrebbe saputo che il suo amico stava bene, che non era nulla di grave e presto sarebbe tornato a casa, a Hogwarts.
           
 
Nei due anni successivi, John Watson aspettò.
 
Ma non gli giunse alcuna lettera.
 
 
 
 
Spazio autrice
Buongiorno/sera/notte a tutti, Sherlockians! Questa è la mia prima fanfiction –purtroppo per me ho scoperto solo da poco la loro incredibile capacità di attrattiva- e probabilmente alla fine non risulterà lunga come le Appendici del Signore degli Anelli, ma ho in mente di andare avanti per un bel po’ di capitoli, blocchi dello scrittore esclusi. E se il tema Harry Potter vi pare ormai usurato… spero solo che non riterrete questa FF identica a tutte le altre!
Mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni, quindi le recensioni sono assolutamente bene accette –positive o negative che siano!
 
 
  
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