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Autore: JunJun    05/04/2014    3 recensioni
[post-episodio 9x03] [Destiel]
Dean, suo malgrado, ha dovuto cacciare Castiel dal bunker. Poco tempo dopo, nel tentativo di salvarlo dai suoi fratelli, finisce intrappolato con lui in un mondo perverso e privo di qualsiasi logica.
Nel frattempo, uno strano angelo invita Sam ad un pigiama party…
Genere: Azione, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Ottava stagione, Nel futuro
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(‘)Not(t)e:
Quando ho iniziato a scrivere queste pagine, erano solo 3.
POI NON SO COSA E’ SUCCESSO MA QUANDO HO ABBASSATO GLI OCCHI SUL CONTAPAGINE ERANO DIVENTATE 15 AKLJKALSFKSASDFA
Also, posticipo l’epilogo al prossimo giro. E’ brevissimo (stavolta seriamente), ma non mi andava di metterlo in coda qui… anche perché devo ancora renderlo in un italiano leggibile. @_@
Infine, vi chiedo scusa per il casino di queste pagine: impegni mi costringono a scrivere da tempo nei pochi minuti fra l’1:00 AM e il mio cedimento fisico (l’asterisco non indica un cambio di scena… era il tasto che urtava il mio naso quando crollavo di faccia sulla tastiera).

* * *



Castiel riusciva a sentire la voce di Sam: le sue preghiere disperate risuonavano nella mente dell’angelo in un eco debole e sempre più lontano.
Il cacciatore lo stava supplicando di tornare, ma Castiel non poteva, perché le sue ali erano state spezzate.
Castiel non sapeva si trovava. Il sigillo attivato da Sam avrebbe dovuto rispedirlo in Paradiso, ma i Cancelli erano stati sbarrati da Metatron, per cui lui e i suoi fratelli erano precipitati nuovamente nel mondo terreno, ognuno in un diverso angolo del mondo.
Castiel stava ancora cadendo: si era schiantato contro un muro d’acqua con la forza di una meteora, e da quel momento non aveva più smesso di precipitare verso il basso, allontanandosi sempre più dalle preghiere di  Sam e da Dean
Ora, la sua caduta era lenta e silenziosa; man mano che sprofondava, il peso che gravava sul suo corpo aumentava.
Ad un certo punto, la sua schiena si adagiò sul fondo di quella fossa. Era freddo, buio e un peso immenso premeva sul suo corpo. Se fosse stato un umano, sarebbe morto schiacciato; ma lui non rispondeva alle leggi fisiche per cui, ovunque fosse finito, Castiel avrebbe continuato a sopravvivere.
Non aveva davvero la forza di muoversi. Poco prima, la Grazia di Ezekiel aveva rischiato di sfuggire dal suo controllo e bruciarlo; inoltre, ne aveva rilasciata troppa per spezzare il fragile incantesimo che bloccava Sam, ed era stato punito severamente per questo: le catene avevano scavato nella sua pelle e lacerato la sua essenza, lasciandolo a terra devastato dall’agonia, ma non ferito abbastanza gravemente da ucciderlo.
Tentò di muoversi, ma una nuova ondata di dolore dardeggiò nel suo corpo, facendolo trasalire. D’istinto, schiuse le labbra per esalare un gemito, ma la sua bocca si riempì di un fluido freddo e disgustoso che scese giù per la gola e invase i suoi polmoni. La sensazione era fastidiosa, ma l'angelo non poteva far nulla per evitarla.
Era prigioniero delle sue catene, disperso in quel luogo oscuro. Non avrebbe potuto rispondere alle preghiere di Sam neanche se avesse voluto.
Castiel desiderò di essere morto.


*

Dean venne operato d’urgenza al Saint Rose Hospital di Henderson.
Non riuscendo a svegliarlo, Sam lo aveva caricato sull’impala e lo aveva trasportato lì, spiegando ai medici che era stato investito da un pirata della strada.
Dean aveva riportato svariate fratture e un trauma cranico. L’operazione alla testa era stata molto delicata, e il chirurgo aveva stabilito che era necessario procedere con i piedi di piombo. Di conseguenza, Sam aveva prenotato una stanza nelle vicinanze e aveva avvertito Kevin che si sarebbero trattenuti ad Henderson ancora un po’.
Sam rimase seduto accanto al letto di Dean per cinque interminabili giorni: fissava desolato i tubicini che pompavano nelle vene di suo fratello il mix di anestetici e barbiturici che lo tenevano addormentato; chiedeva continue delucidazioni sul suo stato di salute al medico che si occupava di lui; sobbalzava ogni volta che l’elettrocardiografo emetteva un bip anomalo.
Il tempo sembrava non trascorrere mai, e Sam lo riempiva cercando di fare mente locale sugli ultimi eventi: ormai ricordava tutto, ma c’erano cose che ancora non riusciva a comprendere, come ad esempio il modo in cui Dean e Castiel erano riusciti a fermare Shahat.
Sam sospettava che questa parte della storia fosse collegata all’angelo che, a dire di Dean, si era impossessato di lui.
Il giovane non ricordava nulla di lui, e si chiedeva cosa fosse accaduto di così grave da convincerlo a dirgli di sì.
Dean gli doveva parecchie spiegazioni a riguardo.
C’era poi un’altra cosa su cui Sam continuava a rimuginare. Dopo anni di caccia, si era abituato a vedere Dean fare cose stupide, ma mai avrebbe pensato che sarebbe arrivato al punto da puntarsi la Colt alla tempia e sparare contro sé stesso con tale rapidità e freddezza. Lo aveva fatto per creare un diversivo, ed era questo ciò che terrorizzava Sam: suo fratello aveva rischiato l’oblio solo per creare un diversivo. Avrebbe potuto distrarre Ariel in decine di altri modi, ma aveva scelto il più pericoloso di tutti. Certo, doveva aveva immaginato che lei lo avrebbe salvato, ma Sam aveva avuto sin dall’inizio l’impressione che, anche se così non fosse stato, a Dean non sarebbe importato.
Si chiese se, dopotutto, il Limbo non lo avesse fatto impazzire, così come aveva fatto impazzire Ariel.
Non era sicuro di voler conoscere la risposta.

*

Quando i medici decisero che Dean poteva uscire dal coma farmacologico, Sam tirò un sospiro di sollievo.
Dean riaprì gli occhi tre giorni dopo, mentre Sam era seduto a due metri da lui con il portatile in grembo: stava digitando le parole ‘strani avvistamenti di meteore’ sulla barra del motore di ricerca quando Dean mugolò qualcosa  di incomprensibile e i macchinari che lo circondavano iniziarono a trillare in modo preoccupante. Nella foga di correre a chiamare gli infermieri, Sam rischiò seriamente di far cadere a terra il computer.

*

La prima cosa che Dean disse a Sam quando tornò ad essere lucido fu un fiacco: “A-Allora, Sammy… sono… sono stato convincente?”
“No, sei stato un idiota,” replicò lui con un sorriso sfinito.
Dean ricambiò il sorriso, e poi passò ad esaminare con lo sguardo la stanza in cui si trovava: era piccola, spoglia e asettica; al momento, lui e Sam erano gli unici occupanti.
Si sollevò goffamente per sbirciare dietro le robuste spalle del fratello.
“Cas non è qui,” annunciò lui con voce tesa, intuendo i suoi pensieri.
“Dov’è? E’… E’ ferito?” chiese Dean con urgenza,  preoccupato dall’espressione funerea che aveva assunto Sam.
“Non agitarti. Sei ancora debole,” mormorò lui in tono evasivo.
“Sam, che cosa è successo?!”
Il giovane spinse la sedia vicino al letto e vi si sedette, poggiando i gomiti sulle cosce. “L’ho mandato via io,” ammise.
Un lampo di confusione balenò sul viso scavato di Dean.
Sam gli raccontò il modo in cui Castiel aveva polverizzato Ariel, e di come  lui era stato costretto a usare il sigillo per allontanare gli angeli. Mantenne la voce ferma e pacata e non si dilungò nei dettagli, ma era evidente che le sue, più che spiegazioni, erano un’ammissione di colpa.
“Ma il Paradiso è diventato un club privato,” obiettò Dean debolmente, sfregando le dita sulla barba che gli era cresciuta mentre era in coma. “Non credo che si possa entrare senza invito... neanche se vieni sparato lì dentro con un cannone.”
“Lo so. Per questo motivo ho ipotizzato che quegli angeli siano ancora qui. Ma in questi giorni ho setacciato internet e i notiziari, e…”
“E…?”
Sam scosse la testa, depresso.
Dean non parve reagire. “Ah,” constatò, voltandosi verso la finestra.
Poco dopo, l’infermiera di turno avvertì Sam che l’orario delle visite era terminato, e lui fu costretto ad andare via.
Dean rimase solo.

*

Insieme alla coscienza di Dean, tornarono anche i poteri del bracciale degli angeli. Conscio del pericolo di quell'oggetto, Sam aveva supplicato sin dal primo momento i medici di non toccarlo “perché era un caro ricordo di famiglia”, ma adesso dovette sbrigarsi a trovare il modo di distruggerlo perché, da quando Dean si era svegliato, gli aghi delle flebo che gli infermieri cercavano di infilargli nel braccio venivano espulsi spontaneamente dopo pochi secondi.
La cosa aveva iniziato ad attirare l’attenzione degli infermieri, e questo non andava per nulla bene.
Visto che il bunker distava 16 ore d’auto, Sam fu costretto a lavorare con Kevin a distanza: barcamenandosi fra cellulare e webcam, i due riuscirono a trovare un fascicolo degli Uomini di Lettere che sembrava fare al caso loro. Kevin ripescò dal fondo del deposito del bunker la lama di ossidiana a cui faceva riferimento la documentazione e la spedì a Sam con un corriere espresso.
Non appena Sam segò il bracciale e ne sfilò i resti dal polso di Dean, lui li scaraventò dall’altra parte della stanza con un’imprecazione. Era uscito dal coma da meno di due giorni, ma già non sopportava più l’idea di dover stare in quel posto.
Dean firmò le carte per uscire dall’ospedale la sera stessa e quella notte, quando Sam uscì dalla doccia della sua stanza nel motel, lo ritrovò seduto sul suo letto a fare zapping per i canali della TV via cavo alla ricerca di un porno a caso.

*

Un’ora dopo essere partiti da Henderson, Dean aveva già litigato tre volte con Sam, che si rifiutava di cedergli il volante.
“Sono perfettamente in grado di guidare,” protestò il maggiore per la quarta volta.
“No. Hai una faccia orribile,” dichiarò l’altro senza troppi complimenti.
“Andiamo, Sam, non ti fidi di me?”
“Dean, come posso fidarmi di una persona che si è puntata una pistola in fronte ed ha sparato?”
Lui gli rivolse uno sguardo in tralice. “Già, in fondo eravamo tutti pieni di idee geniali in quel momento, no?” replicò a denti stretti.
Sam strinse il volante, concentrandosi sul lungo serpente di asfalto che si snodava davanti a lui. Non voleva discutere; erano entrambi troppo provati per discutere. E poi, Sam sapeva benissimo qual’era il vero problema di Dean, ma non sapeva cosa dirgli per farlo stare meglio. Un “mi dispiace per Castiel” non avrebbe cambiato lo stato delle cose.
“Sai benissimo anche tu che non potevamo combattere contro di loro,” disse alla fine.
“Non stavo pensando agli angeli,” rispose rapidamente Dean.
Sam emise uno sbuffo poco convinto.  “Senti, starà bene,” insistette. “Gli è successo altre volte, ed è sempre tornato. Lo farà anche stavolta.”
Dean non rispose. Gettò la schiena contro il sedile dell’auto e mormorò qualche imprecazione esasperata.
Non parlarono per molto tempo.
Sapevano entrambi benissimo che, le altre volte, Castiel aveva le sue belle ali bibliche, non era stato ferito da una stronza psicotica e non aveva delle catene che lo torturavano ogni volta che faceva appello ai suoi poteri.
Le altre volte non aveva neanche un Apostolo incazzato alle calcagna che voleva impossessarsi del suo corpo. E, ad ogni modo, non avevano  idea di dove il sigillo lo avesse mandato: per quanto ne sapevano, Castiel poteva essere benissimo morto.
Dean deglutì, la bocca improvvisamente impastata.
Non era riuscito neanche a dirgli addio.
Lo aveva pregato, mentre era in ospedale. All’inizio si era rifiutato di farlo e aveva cercato di pensare ad altro: ad esempio, aveva scoperto che l’infermiera del turno della mattina, oltre ad essere molto attraente, era una grande fan dei Led Zeppelin. Ma, dopo un po’, Dean aveva capito che era tutto una farsa inutile. Aveva lasciato perdere la ragazza e, ben presto, i suoi pensieri si erano trasformati in implorazioni, ma Castiel non era tornato.
“Non possiamo farci niente, Sam. E comunque, se si è fatto ammazzare, sono problemi suoi,” concluse il cacciatore ad alta voce. Mentiva: se Castiel era stato costretto a tornare ad essere un angelo e a sacrificarsi, era stato per colpa sua. Era sempre colpa sua. Si era ripromesso di tirarlo fuori da quel posto e, alla fine, non solo non era riuscito a salvarlo, ma, a causa della sua stupida debolezza, lo aveva quasi ammazzato con le sue stesse mani.
Ignorando la sensazione del cuore che gli si stringeva nel petto, Dean si accorse che Sam lo stava studiando di sottecchi. Aprì la bocca per vomitare una qualche battuta sul fatto che, se proprio voleva guidare, doveva guardare la strada e non il suo bellissimo fratello maggiore, quando improvvisamente trovò difficile coordinare le parole. Boccheggiò.
“Ehi, ti senti bene?”
Il respiro di Dean divenne rapido e pesante. Le sue pupille si dilatarono, mentre il controllo che aveva sul suo corpo si allentava. Di colpo, la luce venne risucchiata via; qualcosa si infranse. Sam scomparve, così come l’Impala e tutti i suoi pensieri. Ciò che rimase fu un miscuglio di urla, visioni e impulsi orribili che gli riempirono la testa in un flusso così rapido e violento che Dean non riuscì ad elaborare più nulla. Nel buio, qualcosa allungò le mani verso di lui e lo afferrò. Terrorizzato, il cacciatore lottò per divincolarsi, accorgendosi solo dopo molti secondi che era suo fratello a stringerlo.
Quando tutto cessò, Dean si accorse che Sam aveva accostato la macchina sul bordo della strada e che lo stava tenendo saldamente per le spalle, scuotendolo nel tentativo di farlo tornare in sé.
C’era orrore nei suoi occhi. Dean lo ricambiò con uno sguardo incredulo, incapace di comprendere ciò che gli era appena successo. Si accorse che le sue mani stavano tremando.
“Sto… sto bene,” gemette. “Va tutto bene,” ripeté poi, con voce leggermente più ferma. “Hai ragione, Sammy. Forse è meglio se guidi tu.”
Sam allentò la presa su di lui e lo guardò inquieto. “Ascolta,” iniziò.
“Ti ho detto che sto bene!”  sbottò Dean in tono nervoso, chiudendo la discussione.

*

Dean non stava affatto bene.
Con il passare dei giorni, iniziò ad avere degli attacchi molto simili a crisi epilettiche. In quei momenti, mentre la sua visione si oscurava, aveva delle allucinazioni. Le prime volte erano delle esplosioni di immagini rapide e confuse; ma, pian piano, con l’aumentare della durata delle crisi, le visioni di Dean divennero più lunghe, dettagliate e dolorose.
Era colpa di Shahat. Quando Dean era crollato, concedendogli l’accesso, quell’essere si era insinuato nella sua anima e l’aveva spezzata. Aveva scavato, strappato, squarciato e alla fine era ritornato trionfante in superficie in compagnia di tutti i traumi, gli orrori e i sensi di colpa che Dean aveva accuratamente seppellito dentro di sé per anni. Per il Re del Limbo, che si nutriva di tutto ciò che causava quella roba, l’anima di Dean era una specie di ristorante di lusso.
La luce della Grazia di Ezekiel aveva momentaneamente allontanato tutta quell’oscurità ma, ormai, si era consumata così tanto da essere poco meno di una fiammella tremolante in mezzo ad una notte di tempesta.
Così, ora che le luci si erano abbassate, lo spettacolo era ricominciato: Dean rivedeva il male che aveva causato, gli errori che aveva commesso, le anime che aveva torturato. Riviveva tutte le volte in cui aveva fallito, tutte quelle in cui aveva fatto rischiare la vita a Sam; tutte le persone che non era riuscito a salvare. Le sensazioni che provava erano così vivide da essere quasi palpabili. Anche quando la crisi finiva, i sensi di colpa lo laceravano, i rimorsi lo tormentavano acuiti e,  ogni volta che Dean cercava di soffocarli nel sonno, si trasformavano in incubi che lo facevano svegliare gridando.
Di giorno, Dean fissava il vuoto in silenzio per lunghi minuti, facendo preoccupare Sam. Se lui tentava di parlargli, non provava più neanche a cercare una scusa, ma si limitava semplicemente ad ignorarlo.
Ricominciò a bere. L’alcool riusciva a soffocare gran parte dei suoi pensieri, trasformandoli in un groviglio indefinito di dolore.
Pregava Castiel. Non sapeva neanche lui perché continuava a farlo e spesso, più che di preghiere, si trattava di insulti; ma sperava ugualmente che, da qualche parte, lui lo stesse ascoltando.
Sam, dal canto suo, era mortificato. Sentiva che suo fratello era sempre più assente e lontano e si sforzò di convincersi che si trattava solo di stress post-traumatico. Cercò di tenergli la mente impegnata, costringendolo a lavorare con lui sul problema di Abbaddon. Sam evitava accuratamente di discutere degli angeli in presenza di Dean, lo trascinava a letto quando era troppo ubriaco, gli offriva la sua presenza fisica e faceva finta di non sentire le sue urla durante la notte.
Era consapevole che ci sarebbe voluto del tempo prima che suo fratello fosse tornato normale, ma era sicuro che alla fine ce l’avrebbe fatta perché diamine, si ripeteva, è di Dean Winchester che stiamo parlando.

*

Due settimane dopo, Sam capì che le cose non stavano così.
Erano in un’acciaieria abbandonata, sulle tracce di alcuni demoni molto vicini ad Abbaddon, ma le cose precipitarono e i demoni gli tesero una trappola. Sam cercò di recitare un esorcismo, ma perse i sensi quando uno di loro lo sollevò di peso e lo scaraventò in mezzo ad un ammasso di lamiere arrugginite.
Quando si svegliò, Dean gli stava fasciando il braccio destro con un lembo di stoffa.
“Dove… dove sono i demoni?” gli chiese il giovane, facendo guizzare gli occhi nella penombra a cui non era ancora abituato.
“Morti,” rispose apatico Dean, assicurando il bendaggio di fortuna con un nodo. “Li ho interrogati. Non sapevano dov’era la stronza.”
Sam deglutì, individuando a pochi metri da lui il cadavere a pezzi di uno dei demoni. “Dean… eravate tre contro uno,” gli fece notare in un sussurro carico di tensione.
Il fratello gli rivolse uno sguardo vuoto. “E allora?”

*

Qualche tempo dopo, durante un caso a Lexington, Dean lottò contro un demone che stava possedendo il corpo di un bambino: gli squarciò il ventre con il coltello senza battere ciglio, per poi continuare ad infierire su di lui fino a che Sam non lo tirò indietro con la forza. Dean reagì come se le mani di Sam fossero roventi e lo spinse via. Sam lo fissò, sconvolto, e lui gli lanciò di rimando uno sguardo così furioso da farlo rabbrividire.
Durò un istante, poi Dean lasciò cadere il coltello insanguinato e tornò normale.
Un paio di giorni più tardi, Sam fu costretto ad allontanarsi per qualche ora da Dean per incontrare dei cacciatori. Quando ritornò nel bunker, Kevin era steso a terra in un lago di sangue e Dean, svenuto, stringeva ancora il coltello nel pugno chiuso.

*

*

Dean si svegliò di soprassalto, scattando a sedere sul letto. Sudava freddo e il suo corpo era scosso da brividi. Massaggiandosi le tempie, emise un gemito lieve. Allungò una mano verso la lampada che teneva sul comodino, ma la lasciò sospesa a mezz’aria quando scoprì che non c’era nessuna lampada, perché non era più nella sua camera.
La panic room in cui si trovava era una grossa stanza tonda, fredda e vuota. Lui e Sam l’avevano scoperta mentre esploravano il bunker, ma non avevano mai avuto il bisogno di usarla. Sulle pareti di marmo grigio erano scolpiti simboli esoterici di ogni tipo, mentre a terra e sul soffitto erano incise delle trappole del diavolo. L’unica luce disponibile era fioca e fredda e proveniva da due lampade poste ai lati del portone di ferro su cui Sam stava poggiando la schiena.
Dean si strofinò la fronte, perplesso. “Che cosa è successo?” chiese al fratello, “perché siamo qui?”
Sam non si mosse. “Hai perso il controllo, e hai colpito Kevin,” spiegò con calma dopo alcuni secondi, le braccia incrociate. “Sono stato costretto a portarti qui.”
“Che cosa?” esclamò Dean, allarmato. Strizzò gli occhi, cercando di ricordare ciò che era successo: nella sua mente, era tutto così irreale e confuso da sembrare un sogno.“K-Kevin..?” balbettò. “Io… io ho…?”
“Era solo questione di tempo,” osservò Sam, incamminandosi nella sua direzione. “Sei pieno di rabbia, Dean. Soffri perché continui a tenerti tutto dentro. Se solo riuscissi ad accettarti per quello che sei...”
“Dov’è Kevin?” domandò Dean, balzando in piedi. “L’ho ucciso? L’ho ucciso, Sam?!”
Sam curvò la labbra in un sorriso. “Già, proprio come hai ucciso il povero Cas.”
Il respiro di Dean si spezzò. “Tu non sei Sam.”
“Non importa chi io sia. Tu sei maledetto,” sospirò l’altro, affranto, imitando perfettamente la voce e l’aspetto di Sam.
“Vattene,” bisbigliò Dean, stringendo gli occhi.
Sam si grattò il mento, guardandolo con aria di sufficienza. “Non avresti mai dovuto uscire dall’Inferno, fratello mio. Non hai fatto altro che deluderci, in ogni modo possibile – non sei stato in grado neanche di restare morto,” lo schernì.
“VATTENE!” urlò Dean, scagliandosi contro di lui, che lo respinse usando i suoi poteri demoniaci.

Sam, il vero Sam, fuori dalla panic room, osservò suo fratello combattere e gridare contro il nulla tramite la feritoia del portone.
Aveva commesso un errore; la situazione era peggiore di quanto avesse immaginato.
Non era stress post- traumatico, Dean stava impazzendo e lui non aveva idea di come aiutarlo.
Una parte di lui avrebbe voluto entrare nella stanza e cercare di tranquillizzarlo, ma l’altra sapeva che sarebbe stato inutile. Alla fine, odiandosi, Sam chiuse la feritoia e lasciò suo fratello solo con i suoi incubi.

*

 “Mi ha attaccato all’improvviso, senza alcun motivo. Era come se fosse un demone,” raccontò poco dopo Kevin a Sam, mentre lui gli ricuciva la ferita alla spalla. “Credevo che sarei morto,” ammise il ragazzo.
Anche Sam lo aveva creduto. Ma Kevin si era ripreso quasi subito, rispondendo ai suoi tentativi di rianimarlo, e il cacciatore aveva presto constatato con sollievo che Dean non gli aveva inflitto dei colpi mortali.
Kevin si era spaventato a morte e ed aveva perso molto sangue, ma, grazie al cielo, le sue ferite non erano gravi.

“Non preoccuparti, Kev,” lo rassicurò il cacciatore, riponendo il disinfettante e le forbici in un cassetto. “Ti riprenderai. Ora riposa.”
Kevin, distrutto, fece del suo meglio per trovare una posizione sul letto che non gli facesse contorcere il viso dal dolore. “Che cosa gli sta succedendo, Sam?” gli domandò non appena si fu sistemato.
Lui corrugò la fronte, aggiustandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Non lo so. Ma lo scoprirò.”

*
 
Sfortunatamente, le ricerche di Sam non portarono a nulla. Setacciò l’archivio degli Uomini di Lettere da cima a fondo, ma non trovò nessuna informazione né sul Limbo né sui sintomi del malessere di Dean.
Lui continuava a peggiorare rapidamente.  Rinchiuso nella panic room, era perseguitato giorno e notte dalle sue allucinazioni: non era in sé per la maggior parte del tempo, mangiava a malapena e, se Sam provava ad entrare nella stanza, scattava senza esitazione verso la sua gola con l’intento di ucciderlo.
Le ricerche di Sam arrivarono ad un punto morto tale che il cacciatore iniziò seriamente a considerare la possibilità di chiedere aiuto a Crowley, che tenevano ancora prigioniero.
L’ennesima notte in cui le urla di Dean riempirono il bunker, Sam scese nel sotterraneo in cui era rinchiuso il Re dell’Inferno, ma si fermò un istante prima di aprire la cella del demone: realizzò che la situazione era disperata, ma che stringere un patto con Crowley era un'eventualità inaccettabile in ogni caso.
Sam tornò alla panic room e si accasciò contro il portone, ascoltando impotente la voce singhiozzante di suo fratello dall’altra parte dello stipite. Rovesciò la testa verso il soffitto.
“Castiel,” mormorò. “Dean sta male. Molto male. Ha bisogno di te. Ti prego, se sei ancora vivo, torna.”

*

Dean perse la cognizione del tempo. Ormai passava da incoscienza a realtà a sprazzi e non capiva più cosa fosse reale e cosa no.
Il dolore che le sue visioni gli infliggevano era così grande da essere tangibile, e lo faceva a pezzi. Aveva trascorso quarant’anni all’Inferno, ma quello che stava vivendo… riusciva ad essere anche peggio. Dean lottava per non essere costretto a provare altro dolore, ma ormai cedeva sempre più spesso. Ad un certo punto, nella panic room si materializzò Meg, o forse era Shahat? Poi rivide suo padre: l’odio e la delusione nei suoi occhi erano così profondi che Dean non riuscì far altro che crollare a terra e scoppiare a piangere, ripetendo all’infinito, con voce appena udibile Scusami, papà. Mi dispiace. E’ colpa mia.  E’ colpa mia, mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace.

John lo ascoltò per ore, ma alla fine si stancò di lui e gli tirò un calcio in pieno petto, facendolo strisciare sul pavimento freddo. Dean sapeva di meritarsi ogni cosa, per cui lasciò che suo padre continuasse a colpirlo. Era come se fosse tornato bambino, e incassava ogni colpo senza fiatare.
Di colpo, la porta della panic room si spalancò e la stanza venne invasa dalla luce abbagliante. John smise di colpire Dean e indietreggiò, coprendosi gli occhi con un braccio; si dissolse in pochi istanti.
La luce avvolse Dean: era calda e familiare, densa ed emanava un tepore rassicurante.
Smarrito, la schiena ancora premuta contro il pavimento, Dean tese d’istinto una mano verso di essa per toccarla, avvertendo una presa gentile richiudersi intorno alle sue dita.
“E’ finita, Dean. Scusami se ho impiegato così tanto tempo,” disse Castiel.
 
*

Quando riprese conoscenza, Dean era ancora nella panic room.
Era la prima volta dopo… quanto tempo era trascorso? Non lo sapeva più, ma era la prima volta da tanto che non si risvegliava urlando.
Trascorsero più di dieci secondi e nessuno si ripresentò a torturarlo – il suo oroscopo del giorno doveva essere davvero buono, pensò.
Poi schiuse gli occhi e, nella penombra, lo vide e sussultò.
Castiel era in piedi accanto al suo letto, ma era molto diverso dal solito: era magro, molto più di quanto Dean ricordasse, ed indossava una camicia chiara con il collo alla coreana sopra un paio di jeans strappati. Delle ciocche di capelli scuri spettinati che gli ricadevano sulla fronte. Ciò che colpì Dean, però, fu il fatto che il suo occhio destro era coperto da una benda medica: quella cosa era così strana e sbagliata che provò l’istinto di strappargliela via.
“Perché devi farmi sempre questo?” borbottò invece fiaccamente, premendo due dita della mano sulle tempie. “Castiel, le persone… perdono anni di vita, in questo modo.”
L'angelo aprì la bocca per dire qualcosa, ma Dean non glielo permise. “Lasciami in pace,” comandò. “Tornatene al tuo 2014. E magari manda a quel paese il me stesso di quel mondo. Era un coglione,” concluse.
Dean non voleva concedersi di sperare. Non voleva pensare di poter essere così fortunato. Quante altre visioni di Castiel aveva avuto nelle ultime settimane? Nessuna di loro era finita bene. Prima o poi, tutte avevano iniziato a sanguinare e a maledire la sua esistenza fino a che Dean non si fosse ridotto ad una massa tremante e terrificata.
Eppure, quel Castiel non era come le altre visioni: aveva la fronte corrugata in un’espressione malinconica e, quando gli parlò, Dean il petto di Dean sobbalzò per la nostalgia.
“Sono io,” gli disse l'angelo con voce rauca. “Il sigillo mi ha scagliato in fondo ad un oceano. Ero vivo, ma non potevo muovermi. Ho impiegato settimane per ritornare sulla terraferma.”
Dean sospirò lievemente. Non aveva la forza di affrontare tutto questo. Era stanco, stanco e completamente prosciugato.
“Dovrebbe importarmi?” osservò piatto, chiudendo gli occhi per non vederlo.
Sentì Castiel muoversi dal suo posto e sperò che uscisse dalla stanza, ma l’angelo si limitò ad andargli più vicino. Si sedette accanto a lui, appoggiando la schiena sulla testiera del letto; infilò un braccio fra il cuscino e la nuca di Dean, sollevandolo con gentilezza per sistemarlo sul suo grembo.
Dean era troppo sfinito per protestare, per cui lo lasciò fare.
Castiel allungò una mano sul suo viso per scostargli una ciocca di capelli corti e biondi dalla fronte e Dean fu sicuro che gli stesse facendo qualcosa di angelico, perché non si era sentito così rilassato neanche quando era sano. La sola presenza dell’angelo lo tranquillizzava, anzi, il solo pensiero che Castiel stesse ancora respirando lo faceva stare meglio.
Ma represse velocemente quell'emozione.

“Non dovresti avvicinarti troppo a me, potrei morderti,” bisbigliò, cercando di essere ironico, ma cadde a pezzi nel momento stesso in cui pronunciò le prime parole.
Castiel abbassò la testa per guardarlo, e Dean si girò dall'altra parte. Gli occhi lucidi, contrasse le dita sulle lenzuola. “Io… ho fatto del male a Kevin. E credo… credo anche a Sam. Cas, te l’avevo detto, sta succedendo di nuovo,” si sfogò, mandando al diavolo l’orgoglio. “Sono così debole… non sono riuscito a combatterlo. Io… sono diventato un mostro. Dovete fermarmi.”

Castiel sospirò.“Non sei nulla del genere,” replicò con fermezza. “E chiunque altro, al tuo posto, sarebbe già impazzito. Questa non è una cosa che puoi affrontare da solo.”
“Quindi cosa?” mugolò Dean con amarezza, muovendo il viso per incrociare lo sguardo intenso di Castiel. “Ho bisogno che un angelo mi faccia il lavaggio del cervello ogni volta che sto per trasformarmi in Mr. Hyde?”
“Non sei un… Mr. Hyde,” replicò Castiel, addolcendosi. “Tu mi hai salvato. Ti ho sentito, Dean. Quando ero lì in fondo, ho desiderato di dormire per sempre. Ma ho continuato a cercare una via d’uscita perché sentivo la tua voce ogni giorno. Continuavi a pregare per me. Pregavi per Kevin. Per Sam. Non sei un mostro,” ripeté.
Dean ne non era per nulla convinto. Castiel gli stava accarezzando distrattamente i capelli in un modo che, in tempi normali, lo avrebbe forse fatto sentire a disagio, ma adesso andava bene: la mano di Castiel era calda e il suono della sua voce lo confortava. Dean notò che i suoi polsi erano segnati da una lunga ferita, profonda e non ancora cicatrizzata: Sam doveva avergli tolto quelle dannate manette solo da poco. Doveva essere per questo che ancora non era riuscito a guarire le sue ferite.
“L’ombra di tuo padre che ti stava tormentando… Dean, lui non prova rancore nei tuoi confronti,” osservò l’angelo dopo qualche minuto.
Qualcosa tremò nel petto del cacciatore al pensiero di John. “Avrei dovuto badare a Sammy,” mormorò cupamente. “Me lo aveva ordinato, e invece io…”
“Hai sempre fatto del tuo meglio. Se adesso Sam è vivo, è solo grazie a te.”
“L’ho fatto possedere da un bastardo, Cas! Avrebbe potuto ucciderti... avrebbe potuto incenerirlo. Ma la cosa peggiore di tutte è che, se tornassi indietro… lo rifarei.”
Castiel smise di sfiorare i capelli di Dean e si chiuse nel silenzio il tempo necessario affinché il cacciatore si convincesse che stava per rimangiarsi tutto e abbandonarlo in quella stanza. 
“Quello non eri tu, Dean,” disse però Castiel in tono gentile poco dopo. “Sono state le circostanze a spingerti a compiere quelle decisioni. Volevi salvare Sam e, in quel momento, non c’era altro modo per farlo. Non credo ci sia nulla di sbagliato nel voler salvare coloro che ami,” aggiunse, con aria triste. “Potrei dire di parlare per esperienza personale.”
Dean roteò gli occhi. Certo che parlava per esperienza personale: Castiel aveva trascorso la tua intera vita a fare idiozie peggiori delle sue, a cominciare dal farsi fare a pezzi da Raffaele o al farsi uccidere da Lucifero. Non aveva mai dubitato di aver commesso un errore, e Dean glielo aveva rinfacciato innumerevoli volte – ma, in effetti, Dean sapeva bene che Castiel non aveva mai deciso che strada intraprendere, aveva solo preso l’unica possibile per raggiungere il suo obiettivo. E, per quanto fosse difficile ammetterlo, riusciva a capirlo. Loro due erano molto più simili di quanto avesse immaginato.
Mise una mano sulla sua gamba. “Io credo che siamo semplicemente una coppia di idioti,” osservò.
“E’ molto probabile,” gli fece eco Castiel con un sorriso malinconico.
Puntellandosi sulle braccia, Dean si mise seduto per arrivare all’altezza del suo sguardo. Senza staccare gli occhi dal suo viso, sistemò i gomiti sulle sue spalle,  premendo i fianchi contro i suoi. Appoggiò la fronte sulla sua e sospirò piano quando percepì il calore piacevole del corpo caldo dell’angelo premuto con il suo. Riusciva a sentire il suo respiro solleticargli le labbra. Chiuse gli occhi e lo baciò lentamente, perdendosi nella sensazione. Castiel immerse una mano nei suoi capelli e inclinò la testa di lato per approfondire il bacio, e Dean mormorò il suo nome come in una preghiera quando lui stuzzicò il suo labbro inferiore con i denti. Lo voleva, aveva bisogno di lui. Non l’aveva ancora perdonato per ciò che gli aveva fatto, ma gli era mancato così tanto.
Era ancora avvinto a lui quando, di colpo, avvertì una scossa nella sua testa, come se il suo cervello fosse andato in cortocircuito. Ebbe un’altra crisi prima di poter pensare altro.
Castiel svanì e Dean batté la testa sul marmo freddo. Suo padre gli sferrò un altro calcio, ricordandogli che cosa fosse e cosa si meritasse davvero, e Dean si chiese se fosse quella la realtà, mentre Castiel era stato il sogno.

*

Dean era spezzato. Sapeva di essere stato spezzato, così tanto che nemmeno Castiel poteva aiutarlo. Non voleva morire: il suo corpo fisico era morto troppe volte perché a lui importasse veramente qualcosa. Voleva solo l’oblio. Voleva che la sua anima fosse distrutta e che scomparisse dalla faccia dell’universo.
Non sapeva quanto tempo era passato da quando aveva visto Castiel, ma, quando si ritrovò di nuovo steso sul letto della panic room, l’angelo era di nuovo accanto a lui. Sam era in piedi a due passi, e sembrava terrorizzato dal fatto che lui fosse sveglio. Ora che Dean ci pensava, non gli piaceva quando suo fratello esibiva quella faccia da cucciolo abbandonato in mezzo alla strada: in genere, significava che stava per succedere qualcosa di pessimo.
Illusioni o realtà, lui voleva solo che sparissero entrambi. Non ne poteva più.
Castiel gli rivolse un’occhiata, e Sam annuì. L’angelo si accomodò accanto Dean e si chinò appena su di lui. Aveva ancora la benda sull’occhio.
“Perché non te lo sei curato?” mormorò delirante Dean, accorgendosene. “Mi piacevano quegli occhi.”
Castiel non rispose, ma si abbassò su di lui e iniziò a sbottonargli la camicia, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto.
“Usate la Colt,” pregò Dean, troppo confuso per fare altro. “Non voglio farvi del male.”
“Non lo farai,” replicò Sam. “Cas mi ha detto che può aiutarti, ma dobbiamo fare in fretta. Per favore… lascialo fare.”
Il cacciatore scosse la testa debolmente. “Non… non me lo merito.”
“Non essere ridicolo!” esclamò Sam, esasperato.
Prima che Dean potesse ribattere, Castiel scostò i lembi aperti della camicia e fece scivolare le mani sulle sue spalle, facendole combaciare con l’impronta che vi aveva lasciato anni prima.
A quel contatto, Dean avvertì un formicolio e poi un tepore meraviglioso che partiva dai palmi di Castiel; fu sicuro di poter scorgere un alone luminoso propagarsi dai contorni della sua figura al suo corpo.
Qualcosa iniziò a scorrere dentro di lui. Era un’essenza pura, triste e inafferrabile; era come la tempesta, come la brezza estiva; filtrava nelle crepe profonde della sua anima, riempiendole, colmando ogni vuoto.  
“C-Cosa mi stai facendo?” chiese lui, spaventato.
Castiel non gli rispose. Non lo stava neanche guardando, ma Dean riusciva a vedere i suoi lineamenti contratti per la concentrazione e la fatica, mentre continuava a guarirlo.
Dean non impiegò molto a capire cosa gli stava accadendo.
“La  Grazia di Ezekiel,” realizzò, ricordando quanto Castiel gli aveva detto, settimane addietro. “Quella roba… usarla ti uccide. Per questo non curi le tue ferite…” gemette. “Non puoi farlo. Se continui così, morirai. Sam… Sam, fermalo!”
Sentendo le sue parole, Sam aveva lasciato ricadere le braccia sui fianchi, sconvolto quanto lui. “Cas…” mormorò, facendo scorrere lo sguardo da suo fratello all’angelo.
“Lasciami fare, Sam,” lo supplicò l’angelo, il respiro che iniziava a diventare irregolare. “Dean, io… io voglio solo che tu viva.”
“Sei un idiota,” disse lui, digrignando i denti. Riuscì a trovare la forza di sollevare le braccia e posare le mani sui polsi di Castiel. “Tu credi… che basti salvarmi la vita per farmi stare bene…. che basti tirarmi fuori dall’Inferno…. ma non è così,” scandì, cercando di tirarlo via. “Non è così… maledizione, Cas! Io sono nel mio inferno… Tutte le persone che amavo sono morte a causa mia, e io non voglio – non voglio sopravvivere… e sapere che ho perso anche te a causa mia. Non lo sopporterei, Castiel!”
Attraverso il loro legame, Dean avvertì l’angelo esitare, e cercò di aggrapparsi a quella debolezza per fermarlo. Mentre continuava a tentare di smuovere le mani di Castiel dalle sue spalle, d’istinto, iniziò a desiderare ardentemente che il suo potere non riuscisse a penetrare dentro di lui. Si oppose a lui con tutte le sue forze.
Quando Castiel lo realizzò, sgranò il suo unico occhio, incredulo.
“Se hai… se hai voglia di sacrificarti, Cas, combatti contro Abbaddon perché è un demone. Combatti contro Metatron perché è un coglione, ma non osare… non osare morire per me. Non ti permettere...di farlo!”
In quel momento, Dean riuscì a spingere via le mani di Castiel.
La connessione fra loro due si interruppe.
Dean si sentì come se qualcuno avesse staccato improvvisamente tutte le luci. Non sapeva se aveva fatto in tempo, e perse i sensi prima di poterlo scoprire.

*
*
*

Accadde poco dopo, mentre era perso in un altro incubo.
Dean seppe il momento preciso in cui l’essenza di Castiel si spense.  Riuscì a capirlo perché, in quell’istante, tutto il mondo si congelò e poi cadde a pezzi. Ogni cosa perse colore e un freddo pungente iniziò a dilagare nel suo corpo a partire dal punto in cui Castiel lo aveva marchiato, costringendo i suoi muscoli a contrarsi in uno scatto doloroso.
“Cas ….” Il nome dell’angelo si formò sulle sue labbra senza che lui se ne accorgesse.
Dean tentò di raggiungere l'uscita della panic room per supplicare Sam di aprirgli, ma le gambe gli cedettero dopo pochi passi. La testa iniziò a girargli e delle ombre si formarono intorno a lui.
“No, non adesso,” sussurrò frenetico, iniziando a tremare. “Non adesso!”
Voleva alzarsi, ma qualcosa lo agguantò, sbattendolo contro un muro gelido.
Quando Dean si riprese, si ritrovò incatenato per i polsi, prigioniero di un’altra visione. O, forse, non era stato sveglio sin dal principio.
Sentì dei passi lenti avvicinarsi a lui e lo stridio sottile di due lame strofinate fra di loro. Strattonò le catene, cercando di liberarsi. “Chiunque tu sia, grandissimo figlio di puttana,” disse al buio, minaccioso, “non ho tempo per questo!”
Diede un altro scossone alle catene, mentre una figura umana emergeva  dall’ombra davanti a lui. Non riusciva a vedere il suo viso, ma si accorse che stringeva fra le mani due pugnali.
“Maledizione,” imprecò Dean, lottando per liberarsi. Aveva già vissuto questo scenario innumerevoli volte, ma ora era diverso, lui era diverso: si sentiva rinvigorito, più forte e consapevole; e, soprattutto, sentiva di avere uno scopo: doveva uscire da lì, perché Castiel aveva bisogno di lui. Stava male, forse stava morendo. Doveva andare da lui.
“Sai perché ti senti meglio, Dean?” lo punzecchiò la figura nell’ombra. “Perché quell’angelo ha usato quei poteri blasfemi per rimetterti assieme. Non credo che gli sia rimasto molto da vivere ormai.”
Dean contrasse le dita  in un pugno, mordendosi le labbra mentre iniziava a maledire Castiel, e poi il suo aguzzino. Ma ben presto, rovesciò la testa verso il basso e strinse gli occhi, rinunciandoci. “No, non è questo il punto,” disse, respirando forte. “Non è questo. Il punto è che nella mia vita ho fatto un sacco di stronzate. E mi va bene soffrire per i miei errori – mi va bene. Ma non posso restare bloccato qui per sempre a farmi uccidere dal mio passato, mentre le persone lì fuori continuano a morire. Mi sento un mostro perché non posso salvare tutti, ma se non potessi salvare nessuno… lo sarei davvero.”
“Io non merito Sam,” proseguì Dean rialzando gli occhi, senza riuscire a capire da quale parte di lui provenissero le parole che stava pronunciando, “non merito neanche Cas. Ma loro hanno bisogno di me e Dio mio, che io possa tornare giù all’Inferno in questo preciso momento se ho intenzione di abbandonarli.”
La figura restò immobile, rigirandosi il coltelli fra le mani. “Capisco,” sospirò infine, lanciandoli via con un gesto annoiato. Scomparvero a mezz’aria, così come le catene che imprigionavano Dean. Il cacciatore ricadde in ginocchio a terra e si massaggiò i polsi, puntando gli occhi sull’allucinazione.
“Vai pure da lui, per ora. Ma sappi che tornerò a trovarti, Dean,” lo avvertì quella, dandogli le spalle. “Molto prima di quanto tu creda,” soggiunse sogghignando.
 Furono le ultime parole che proferì perché, un attimo dopo, Dean piombò alle sue spalle e gli afferrò la testa e il braccio, rompendogli l’osso del collo con un colpo secco.
Dean vide le orbite rosse del sé stesso demoniaco spegnersi davanti a lui e disgregarsi insieme al resto del suo corpo. L’urlo strozzato che quell’incubo aveva lanciato riecheggiò nel vuoto.
Quando tutto fu tornato normale, Dean non si soffermò a ragionare su cosa aveva fatto, né su come era riuscito a farlo. Non gli importava. Raggiunse la porta della panic room e la trovò socchiusa: senza pensarci due volte, la varcò.
Era da quando si era ritrovato prigioniero delle catene che Dean non riusciva più a sentire il dolore di Castiel, e non sapeva se questo fosse un bene o un male. Lo cercò per tutto il bunker, ma il rifugio degli Uomini di Lettere sembrava completamente deserto.
Chiamò più volte il nome dell’angelo; chiamò Sam e Kevin, ma non ottenne alcuna risposta. Alla fine, angosciato, decise di tornare nella sala principale per cercare un cellulare.
Dalle bocche di lupo ai lati della stanza filtrava una luce chiara; l’aria era fresca, ma non afosa. Doveva essere mattina.
Dopo tanto buio e sofferenza, Dean fu quasi infastidito da quell’atmosfera così ordinata e familiare.
Individuò uno dei suoi vecchi telefoni, che Sam aveva messo sotto carica. Dean stava componendo rapidamente il numero quando si accorse che Castiel lo stava fissando in silenzio dall’altra parte della stanza. Scioccato, il cacciatore rimase paralizzato sul posto.
“Ciao, Dean,” lo salutò lui con un sorriso lieve.
Castiel era pallido, molto più pallido di quanto non fosse mai stato. La benda sul viso era scomparsa, ma i suoi occhi erano spenti ed arrossati. Aveva i vestiti stropicciati, e dal colletto insanguinato della camicia si intravedeva un enorme livido scuro comparso ad un lato del collo. In generale, sembrava che l’angelo stesse per crollare da un momento all’altro – o forse, era già successo; forse, dopotutto, Castiel non ce l’aveva fatta ed era morto, ed ora di lui non restava altro che il suo spettro.  Dean si sentì male al solo pensiero. Le sue gambe si mossero da sole; non si fermò finché non ebbe raggiunto Castiel. Quando gli fu davanti, avvolse le braccia intorno alla sua schiena e lo strinse: era vivo, pensò, riprendendo a respirare. Dio mio, ti ringrazio.
Sentì Castiel posare le mani sui suoi fianchi nel tentativo di ricambiare l'abbraccio.
“Ti sei ripreso,” mormorò semplicemente, quando Dean sciolse la stretta. Il cacciatore lo osservò con preoccupazione mentre raggiungeva la sedia più vicina e vi si lasciava cadere.
“Già. E’ stato un gioco da ragazzi,” gli disse, scrollando le spalle.
Il viso stanco dell’angelo si rasserenò e, di riflesso, Dean fece la stessa cosa.
“Come ti senti?” gli domandò Castiel.
Dean ci pensò su. “Me stesso,” mormorò alla fine. “Non so come spiegarti. E’ ancora tutto dentro di me, ma credo di aver raggiunto un accordo con me stesso.”
Castiel annuì, ma non disse altro.
“Dove sono Sam e Kevin?” domandò allora Dean.
“Non conosco i dettagli,” rispose l’angelo, “ma so che Kevin era molto provato dalla ferita che gli hai causato qualche giorno fa. Credo che si fosse infettata. Il giorno in cui sono arrivato, Sam l’aveva già portato all’ospedale. Ora sta bene, è con sua madre. Sam ha deciso di andare a trovarli.”
“Qualche giorno fa,” ripeté Dean sottovoce. Quindi, alla fine, aveva iniziato a dare di matto solo qualche giorno fa? E perché Sam aveva deciso di andare via proprio quella mattina?
Dean decise che avrebbe ragionato su questa roba più tardi.
“E tu come te la passi?” chiese a Castiel, anche se la domanda suonava parecchio retorica.
“Sopravvivo,” replicò lui dopo qualche secondo.
“Ne dubito,” borbottò Dean, cercando di mantenere un tono neutro. Afferrò un’altra sedia e si sedette di fronte a lui. Avrebbe voluto prendersela con lui per il fatto di aver di nuovo rischiato la vita per lui, ma si trattenne. “Ti ho sentito, Cas. Non so perché, ma era come se sapessi che tu stavi soffrendo.” 
“Sto bene adesso,” affermò lui.
Dean aveva da ridire a riguardo, ma Castiel non gli diede il tempo di rispondere.
“Ho meditato sulle tue parole,” cominciò, “e ho capito. Avevi ragione, Dean. Io… ho sempre creduto che la salvezza fisica di te e Sam fosse la cosa più importante. E ho sempre agito perseguendo questo obiettivo, anche quando ciò significava distruggere me stesso, perché ero convinto che il fine giustificasse i mezzi. Ma mi sbagliavo. Ho finito per causare ancora più danni e farti soffrire ancora di più. Non avevo capito che cosa tu desiderassi davvero. Mi dispiace. Mi dispiace per tutto,” ammise.
Dean lo ascoltò in silenzio, senza interromperlo. Quando lui finì, prese una delle sue mani fra le sue e prese a giocare distrattamente con le sue dita. “Siamo così simili, Cas. Ma tu… tu non puoi pretendere di fare quello che vuoi solo perché puoi farlo,” gli fece notare.
“E’ così,” convenne lui. “Ma voglio che tu capisca che quello che ho fatto non è mai stato quello che avrei voluto fare. Io non ti ho mai abbandonato, Dean: ogni volta che sono andato via, l’ho fatto perché stavo rinunciando a te. Dean… anche io ho bisogno di te,” gli disse Castiel in un soffio. “E l'unica cosa che voglio fare adesso è restare al tuo fianco.”
Lui non ebbe alcuna reazione visibile a quelle parole, ma le sue mani strinsero d’istinto quella dell'angelo; il cuore iniziò a palpitargli nel petto quando commise l’errore di sollevare gli occhi ed incrociare quelli blu e imploranti del compagno. Stavano brillando di una luce intensa, e qualcosa si contorse dentro di lui. Erano così vicini.
Rimasero in silenzio per molti secondi, ma, alla fine, Dean lasciò andare Castiel e portò indietro la sedia, rialzandosi.
“Io… Io non sono sicuro di poterti credere,” borbottò, indietreggiando. Si grattò la testa, il viso arrossato. “Sono stanco, Cas. Sono un umano che non vale quattro soldi, e tu sei un angelo che tenta di ammaestrare una grazia rubata ad un pezzo d’imbecille. Io… io ne ho abbastanza.”
“E’ comprensibile,” concordò Castiel con calma, con molta più calma di quanto Dean avesse potuto sperare. “Andrò via.”
Dean annuì, convincendosi che sarebbe stata la cosa migliore per entrambi. Appartenevano a due mondi diversi. Castiel avrebbe continuato a combattere battaglie del tutto fuori dalla sua portata e, alla fine, avrebbe usato i suoi poteri del cazzo per fare qualcosa di idiota e se ne sarebbe andato, spegnendosi come un fiammifero. E Dean non l’avrebbe sopportato. Preferiva dirgli addio sin da subito.
“Vorrei solo che tu conservassi questa per me: io non ne ho più bisogno.”
Dean alzò gli occhi su di lui appena in tempo per vederlo staccare un laccio sottile che teneva annodato al collo. Castiel lo raggiunse, gli aprì il palmo della mano destra e vi depositò un sottile ciondolo a forma di prisma.
Il prisma era trasparente e brillava di luce propria, emanando un fievole chiarore argento: era, indiscutibilmente, la Grazia di un angelo.
Sotto shock, Dean trasse un profondo respiro prima di parlare. “Che cosa significa?” domandò.
“Ieri notte, quella sensazione che hai provato,” spiegò Castiel, scrutandolo, “era perché mi stavo liberando della Grazia di Ezekiel. Dopo che tu mi hai respinto, quando sei svenuto… avrei voluto continuare, ma Sam mi ha fermato. Mi ha chiesto di fidarmi di te, e poi mi ha fatto leggere un fascicolo che ipotizzava un modo per estrarre la Grazia di un angelo. Ho guarito il mio tramite, e poi ho chiesto a Sam di procedere. E’ stato traumatico, Dean. Ma mi riprenderò,” sospirò, toccandosi il livido al collo, abbozzando un sorriso stanco.
“Perché lo hai fatto?” chiese Dean, incredulo.
Castiel sollevò le spalle. “Se fossi stato un angelo, avrei potuto essere molto più utile in guerra. Mi sarei battuto per voi e per la mia famiglia, fino a che quella Grazia non mi avesse consumato. Ma per una volta, io… ho desiderato essere egoista.”
Dean si sentì come se il muro che aveva appena eretto gli fosse crollato addosso. “Quindi, adesso… sei umano?” domandò, con un tono di voce più alto di quanto avesse voluto. “Voglio dire, sei davvero umano? Non stai per morire?”
Castiel annuì e sorrise di fronte all’espressione spaventata che aveva assunto Dean. “Sono umano. Non sto per morire,” lo rassicurò. “Un giorno, però, accadrà: non credo riuscirò mai ad abituarmi all’idea,” aggiunse, incerto.
Lanciò un’occhiata al cacciatore e gli sorrise un’ultima volta. Dean rimase a fissarlo ad occhi sbarrati così a lungo che, dopo un paio di minuti, Castiel distolse lo sguardo, sentendosi in imbarazzo.
“Credo… credo di dover andare adesso,” osservò.
Per tutta risposta, Dean gettò da qualche parte il prisma con la Grazia e afferrò il braccio di Castiel, tirandolo contro di sé. Lui era ancora debilitato e Dean fu fin troppo impulsivo, e come risultato quasi gli cadde addosso. Dean lo strinse contro il suo petto, impedendogli di cadere, e  lo baciò con veemenza tale togliergli il fiato. Castiel sembrava non stare aspettando altro fino a quel momento. Portò le braccia dietro il suo collo e lo ricambiò con altrettanta urgenza, spingendolo, se possibile, ancora più vicino a lui. La sensazione della bocca di Dean premuta sulla sua, dei suoi respiri accelerati e delle braccia che scorrevano sul suo corpo era meravigliosa. Se fosse stato un angelo, Castiel avrebbe continuato a baciarlo letteralmente fino alla fine dei tempi. Ma erano entrambi dei umani, e lui aveva appena iniziato a recuperare le forze, per cui fu costretto a staccarsi dalla sua bocca quando i suoi polmoni cominciarono a supplicare per l’assenza di aria. Mentre Castiel cercava di riprendere fiato, Dean continuò a lasciare una scia di baci e carezze sul suo viso e il suo collo, sfiorando appena il livido dovuto all’estrazione della Grazia.
Per quanto fosse delicato, non era piacevole: ben presto, Castiel contrasse la mascella d’istinto per il dolore, e Dean si fermò.
“Scusami,” gli disse rapidamente, baciandogli le labbra più e più volte. “Scusami, Cas.”
Lui fece un cenno con la testa, facendogli capire che non era importante.
“Devo dedurre,” gli sussurrò, ricambiando i suoi baci leggeri, “che hai cambiato idea?”
“Sei umano,” constatò Dean in tono pratico, muovendo un passo indietro. “Questo significa che hai bisogno di un posto in cui dormire, e qui siamo pieni di stanze. Scegli pure quella che vuoi. Ma sappi,” soggiunse, ammiccando, “che la mia ha un letto con un materasso in memory foam.”


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PS.
Sam SAPEVA
  
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