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Autore: DazedAndConfused    05/04/2014    1 recensioni
“Guardo la tua schiena, curvata dall’ennesimo fardello posto sulle tue spalle senza che tu lo richiedessi – senza che tu lo meritassi – e mi rattristo.
Non doveva andare a finire così… non è giusto.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Layne Staley, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note autrice

Lo scorso agosto, mentre stavo cercando informazioni online su Layne, mi sono imbattuta in un messaggio che mi ha praticamente lasciato di sasso: un forum riportava un post che una ragazza, una presunta conoscente di Layne, alcuni anni addietro aveva postato in una discussione su MySpace.

Ora, per quanto io stessa sia scettica riguardo l’autenticità del suddetto messaggio, non posso negare di essere rimasta colpita dalla quantità di dettagli riportati e dalla devozione – perché alla fine di devozione si tratta – che quest’ipotetica Koa ha dimostrato di possedere nei confronti di Layne.  

Per chi volesse leggerlo (e vi conviene farlo, perché altrimenti alcune parti della storia non vi risulterebbero chiare), il messaggio è qui. È molto lungo ed è in inglese, ma credo che ne valga la pena.

Questa storia è nata quindi otto mesi fa, ma è stata subito archiviata perché sentivo che il suo momento non era ancora arrivato… oggi, in questo 5 aprile, sento di poterla finalmente condividere.

 

Era da molto tempo che non scrivevo qualcosa così intriso di emozioni, e devo ammettere che cercare di calarsi nei panni di questa ragazza innamorata – a tratti persino ossessionata – di Layne è stato particolarmente difficile, ma ho cercato di farlo seguendo quelle che sono le sue stesse parole.

Il suo messaggio mi lascia sempre con un nodo alla gola, e mi auguro per lei che tutto questo non sia frutto della sua fantasia ma che sia veramente accaduto… che lei abbia veramente avuto modo di conoscere Layne, di apprezzarlo e farsi apprezzare a sua volta.

Probabilmente – anzi, ne sono certa – la mia storia risulterà melensa, stucchevole e persino ridicola, ma credo che chiunque di noi, almeno una volta, abbia sentito il bisogno d’immergersi totalmente in una sana dose di sentimenti e sensazioni di questo tipo. La fanfiction si sarebbe dovuta concludere con l’ultimo paragrafo normale, ma poi ho deciso d’inserire un flashback/sogno/allucinazione finale – il paragrafo centrato e racchiuso tra due parentesi graffe – per dare un’ulteriore idea di quanto devastante possa essere l’amore ossessivo che certe persone provano nei confronti di altre.

Il mio comunque è solo uno stupido tentativo di ricreare una potenziale storia d’amore, di devozione e ossessione dal punto di vista di una ragazza che a tratti sembra perfino una stalker, ma una stalker sincera, una storia che forse è già stata vissuta da qualcuno o che magari non è mai successa… poco importa: la coraggiosa Koa è riuscita comunque nell’intento di farmi emozionare, e spero che faccia altrettanto con voi.

p.s. il titolo della fanfiction è una citazione tratta da La Freccia del Tempo di Martin Amis.

 

Dazed; 

 

Non c’è nulla di nudo come gli occhi umani:
non sono neppure coperti dalla pelle.

 

Being 28 and living on my own is totally cool.

I've learned to enjoy being with myself and keeping myself busy,

but I would say my greatest fear would be being 45 and living alone.

I hope by that time I have someone that I can fall in love with and have kids. I'd really like a family.

I have tons and tons of goals that I want to accomplish and I'm going to accomplish, and I think my greatest goal is to have a family, a great family.

 

– Layne Staley

 

 

Sbatto le palpebre pigramente, cercando allo stesso tempo di scacciare uno sbadiglio senza farmi notare: non vorrei darti l’impressione sbagliata, magari potresti pensare che non me ne frega un cazzo di quel che mi stai dicendo e che sto solo fingendo di ascoltarti, quando in realtà mi sto praticamente bevendo ogni singola parola che ti esce di bocca. Il problema è che sono le quattro di mattina – fra tre orette scarse dovrei essere già in piedi perché ho il turno in caffetteria e non posso assolutamente mancare – e invece di dormire me ne sto in piedi nella mia stanza, mentre tu continui a parlarmi da quasi due ore.

O meglio, per essere precisi: ti stai esibendo in un sentitissimo monologo in cui continui a maledire “la stronza” – ovvero quella troia della tua ragazza, l’unica modella al mondo che non guadagna un cazzo e che si diverte ancora a buttarti merda addosso e vuotarti il conto in banca – mentre io mi limito a biascicare qualcosa e annuire con la testa, sperando con tutta me stessa di non addormentarmi.

In questo preciso istante il mio organismo vorrebbe soltanto cacciarti fuori dalla porta a calci in culo – per ora si sta solo limitando a mandarmi a fanculo senza troppe cerimonie – ma ignorarlo è facile, specie quando il tuo alleato di nome fa “cuore”.

Tengo duro e ti guardo – se mi concentrassi sui tuoi capelli scompigliati, l’orecchino e la barba incolta forse riuscirei ad assumere un’aria più attenta e composta, chi lo sa – e tu all’improvviso ti blocchi.

“Cazzo, forse sarebbe meglio se ti lasciassi dormire… è che mi sono lasciato prendere un po’ troppo la mano, scusa” bofonchi confuso, mentre io sembro svegliarmi e inizio a balbettare come una cretina, assicurandoti che non mi sei di alcun disturbo e che, anzi, se volessi restare qui stanotte c’è sempre il divano-letto in soggiorno – “quello che si apre in due secondi, ricordi? È vecchiotto ma va ancora bene”.

Ti guardo abbozzare un sorriso e alzarti dal mio letto, dirigendoti poi a passo sicuro verso la porta d’ingresso e aspettandomi lì con lo sguardo fisso sui piedi. Mormori ancora una volta uno “scusa” e mi saluti con un bacio sulla fronte, lasciandomi mezza rimbambita sul pianerottolo con il tuo ultimo “ma stavolta la mollo sul serio, te lo giuro” che continua a ronzarmi nelle orecchie.

 

Sono le due di notte e ormai sono trascorsi quasi tre mesi dall’ultima volta che sei venuto a casa mia, la sera in cui mi hai lasciato senza parole davanti alla porta dell’appartamento: la mattina dopo hai definitivamente rotto con la puttana e io non ho potuto far altro che gioirne, ma speravo che la tua successiva visita fosse dovuta ad un’occasione più felice di quella in cui ci troviamo.

In sottofondo c’è ancora la cassetta di David Bowie che stavo ascoltando prima che arrivassi come una furia, gli occhi rossi e l’aria distrutta di chi non ce la fa più a vedere recitato per l’ennesima volta un copione troppo triste e conosciuto – “È morto” è l’unica cosa che sei riuscito a biascicare, e io non ho potuto far altro che annuire flebilmente, ritrovandomi poco dopo tra le tue braccia e non sapendo bene che fare.

Ora siamo seduti sul mio letto – tu che singhiozzi con il volto affondato nella stoffa della mia vecchia maglietta dei Seattle Seahawks e io che resto appoggiata alla parete, ricercando quel sostegno e quella forza di cui necessiti ma che forse non riuscirò a darti – e resto con la mano a mezz’aria, indecisa se sfiorarti o meno.

Ho paura che ogni minimo movimento possa farti svanire nel nulla come un ologramma, farti scappare a gambe levate da quest’appartamentino malcagato – per cui ogni mese sborso la bellezza di duecentocinquanta sacchi – e dalla sua anonima affittuaria.

Tra le lacrime mi spieghi che hai paura d’iniziare il prossimo tour, hai paura di non saper più dire di no ad una siringa… hai paura di mandare a puttane tutto quanto per l’ennesima volta.

Ti rassicuro dicendoti che cancellare tutto quanto non sarà la fine del mondo – i fan prima o poi capiranno che c’è la tua vita di mezzo e che la tua serenità viene prima di tutto e, nel caso in cui non dovessero comprendere la tua decisione, sarai autorizzato a fottertene totalmente delle loro malelingue.

Sospiri e mi ringrazi, dicendomi che – nonostante tu mi conosca solo da qualche mese – senti comunque di poterti fidare di me, e confessandomi anche che forse sono l’unica persona capace di comprenderti più di chiunque altro.

Trattengo il fiato quasi senza rendermene conto e ti guardo, sperando così che tu non possa sentire il mio cuore martellare come un ossesso dentro al petto.

Ti guardo e non riesco a far altro che pensare a quanto speciale tu sia e a come vorrei che tu mi guardassi nel modo in cui io guardo te.

Ci addormentiamo così, con il rubinetto del bagno che perde e la mia mano tra i tuoi capelli.

 

Leggo l’intervista su una delle riviste musicali che sei solito comprare ogni tanto e, una volta finita, rimango in silenzio per un po’, soppesando le parole di Jerry. Con la coda dell’occhio ti vedo trattenere a stento la voglia di chiedermi che ne penso – già so che ti sarai spremuto le meningi tutto il giorno per cercare di trovare del buono in tutte le frecciatine che quel vecchio bastardo ti ha voluto lanciare.

Sei fatto così, ormai ho imparato a conoscerti.

“Forse hanno travisato quel che voleva dire… dai, è sicuramente andata così” mi decido finalmente a parlare, e tu ti riscuoti un po’.

Nei tuoi occhi posso chiaramente scorgere la voglia di credermi ma anche la consapevolezza che in realtà quelle parole siano veramente uscite dalla sua bocca, e vederti così combattuto mi fa mordere nervosamente il labbro.

Entrambi sappiamo infatti benissimo come il Jerry di due anni fa si sarebbe comportato di fronte ad una situazione del genere; il problema è che adesso passa il tempo a sniffare coca dal ventre perfettamente piatto di qualche spogliarellista cubana e che non ci pensa su due volte a dichiarare di volerti bene “nonostante tutto”.

Chi vuol essere amato nonostante tutto, Layne? Di certo né io né te, questo è poco ma sicuro.

Te ne stai in silenzio per un po’ – incerto se aggiungere qualcosa o farne a meno – poi riponi la rivista e te ne ritorni davanti al televisore per finire di guardare un episodio di Vampire Princess Miyu. Poco dopo ti imito e mi siedo sul divano, poco distante da te, e ti guardo.

Ti guardo e mi meraviglio di come tu riesca ancora ad essere così innocente – nonostante tu ne abbia passate veramente tante durante le ventinove primavere che hai sulla groppa – e ti ringrazio mentalmente per avermi permesso di poter condividere con te dei momenti speciali come quello che stiamo vivendo in questo preciso istante.

 

Le stringo la mano e mi presento abbozzando un sorriso rapido, tornandomene poi in fretta a pensare ai fatti miei: lei è ritornata e, anche se so che sarete soltanto semplici  coinquilini, non posso fare a meno di chiedermi perché lei possa godere di questo privilegio mentre io no.

Andiamo, Layne… chi ti è stata vicina negli ultimi due anni? Chi ti era accanto quando hai pianto anche l’anima perché Cobain si era fatto saltare il cervello o quando hai dato i numeri perché non avevi alcun’intenzione di ricominciare a fare tour, per paura di svegliarti una mattina e non capire come cazzo fosse arrivata la siringa conficcata per bene nella carne del tuo braccio?

C’ero io, Layne. C’ero io.

Eppure non sono io quella che vivrà fra le tue stesse quattro mura… buffo, no?

“Puoi stare qui quanto vuoi, ma se dovessi ricominciare a farti ti caccerò immediatamente… Intesi?”

Lei annuisce e ti ringrazia, ma mentre il “grazie” le esce di bocca mi accorgo che i suoi occhi non si stanno staccando di dosso dalla sottoscritta.

Non sta ringraziando te, Layne… sta ringraziando me.

Lo ha capito anche lei, lei lo sa.

 

Ovviamente lei c’è ricascata e tu non hai saputo cacciarla di casa – “Non ha un posto in cui stare, finirebbe per strada” sono le parole che mi hai rivolto quando ti ho fatto notare quel che già sapevi – preferendo essere tu quello a doversene andare via.

Una mattina hai chiesto un passaggio ad una macchina a caso e te ne sei andato senza lasciare alcuna traccia, senza che nessuno sapesse dove fossi andato a finire… nemmeno io.

La consapevolezza di non poterti più rintracciare sommata al disgusto che provavo per il fatto che lei ti stesse distruggendo la casa e che si fosse approfittata di te per l’ennesima volta hanno causato l’inevitabile: un giorno mi ha telefonato e si sa – una cosa tira l’altra – abbiamo finito con il litigare per te. Sono volate parole grosse sia da una parte che dall’altra e, prima che potessi realizzare cosa fosse successo, la cornetta era già stata riagganciata.

Del seguito ho ricordi piuttosto sbiaditi: in qualche maniera sono riuscita a contattarti, e tra le lacrime ti ho confessato cosa stesse succedendo a casa tua e quanto lei fosse nei casini – tutte cose di cui tu eri già al corrente.

E mentre le tue valigie appena rientrate giacevano nel salotto ancora da disfare, le sue erano nell’andito, pronte per essere caricate sul primo taxi disponibile.

Ti dirò, un po’ mi pento di essere venuta a piagnucolare da te – lei ormai non era più quella che abbiamo avuto modo di conoscere, era solo un fantasma che un tempo aveva avuto il privilegio di essere una ragazzetta adorabile e scaltra, nonché la tua anima gemella – ma poi mi ritrovo a pensare che forse tu non saresti più ritornato, mettendomi quindi nuovamente il cuore in pace.

Mi basta rivederti fra queste quattro mura per sentirmi decisamente più tranquilla, non scherzo.

 

Ti guardo startene seduto sul divano con il capo chino, intento a rigirarti nervosamente le mani e mormorare “Hanno ragione, avrei dovuto essere più presente… è tutta colpa mia” come un mantra continuo, quasi volessi fartelo entrare per bene in testa.

Se solo fossi stata con te quando t’hanno detto tutte quelle cattiverie, se solo fossi stata al tuo fianco, forse saresti riuscito a renderti conto che tu non c’entri un cazzo con quel che è successo, Layne… forse saresti riuscito a capirlo.

Sono questi i tuoi famigerati amici? Sono queste le persone che vanno a dire in giro di adorarti e che, alla prima occasione, ti gettano addosso valanghe e valanghe di merda?

Cosa ci guadagnano nel dire che, se lei a ventisei anni già si ritrova un pacemaker impiantato in corpo, è tutto merito tuo? Che cazzo hanno al posto del cervello, Layne? Che cazzo hanno?

Fammi capire: aveva i soldi per procurarsi l’eroina ma, se ha fatto la cazzata di usare cotone idrofilo già sporco, dovrebbe essere colpa tua? Secondo loro sei così stronzo da non darle novantanove fottutissimi centesimi per comprarsene un sacchetto nuovo?

Quanto malata è la gente, Layne?

“Non è colpa tua, Layne” mi decido finalmente a dire “Non sei tu quello che ha sbagliato”

“Lei aveva bisogno di me e io non c’ero, questa è la verità” sono le ultime parole che mi rivolgi prima di alzarti e andartene in camera tua.

Guardo la tua schiena, curvata dall’ennesimo fardello posto sulle tue spalle senza che tu lo richiedessi – senza che tu lo meritassi – e mi rattristo.

Non doveva andare a finire così… non è giusto.

 

Busso alla tua porta, suono il campanello, sbircio tra le tende… niente da fare, di venire ad aprirmi non ne vuoi proprio sentir parlare.

E non fingere di non essere in casa, Layne: so che si sei, so che sei qui.

Altrimenti dove altro potresti andare a cacciarti in una circostanza così merdosa come quella che stiamo vivendo?

Non mi serve entrare dentro casa tua per sapere che te ne stai rintanato in qualche angolo, totalmente sommerso da un’onda cupa e minacciosa di auto-accuse, sensi di colpa e dolore che pare proprio non volerti dare tregua nemmeno per qualche istante.

Non sei tu il tipo che l’ha lasciata morire sul sedile di un’auto, Layne, non sei tu quello che ha ben pensato di provare a svegliarla soltanto quando ormai era già in coma… non sei tu quello che deve farsi carico della scomparsa di una ragazza di appena ventisette anni, Layne.

Vorrei poterti dire tutto questo, ma non posso: non posso perché ho troppo rispetto di te e della tua personalità fragile, e non posso anche perché forse mi sono appena resa conto che il filo rosso che vi legava in fondo non si è mai spezzato.

Mi aveva fatto credere di essersi dissolto nel nulla – lo stronzo – e invece è sempre rimasto lì, fra te e colei che un tempo era solita definirsi “un alieno che aspetta soltanto un passaggio per tornarsene a casa”.

Chissà se adesso la sua strada l’ha potuta finalmente ritrovare.

 

Ti guardo sollevare una pila di libri e iniziare a posizionarla su uno degli scaffali della libreria che hai installato in salotto: la tua vecchia casa mi manca un sacco e in fondo so già che non finirò mai con l’abituarmi all’idea del tuo trasferimento in questa residenza nell’U District, ma non posso fare nulla per farti cambiare idea. Sospiro e tiro fuori dalla scatola un altro po’ di volumi, iniziando a passarteli, mentre tu mi sorridi piano.

Trascorrono alcuni minuti ed ecco che devi già assentarti un po’ perché, a forza di stare in piedi sulla sedia, la testa ha incominciato a girarti.

Ti dico di prenderti pure tutto il tempo che vuoi e intanto proseguo il lavoro da sola, quand’ecco che l’occhio mi cade sulla rivista poggiata sul divano.

So già perché l’hai comprata, Layne, e la foto di Jerry in copertina non fa altro che darmi la triste conferma di quel che temevo; sfoglio rapidamente le pagine per arrivare all’intervista e, dopo averla letta, non riesco ancora a capacitarmi di come qualcuno – un tempo così caro e buono – possa essere cambiato così tanto.

Odio il fatto che ti tratti di merda solo perché non riesci a liberarti dell’eroina – come se la coca che lui si sniffa ogni dannatissimo giorno fosse poi meglio, eh – e non vuoi più saperne di rientrare nella band.

Andiamo, la vostra è stata una bellissima avventura, ma se Jerry fosse ancora tuo amico – se solo riuscisse ad essere ancora in sintonia con te come lo siete stati in passato – forse riuscirebbe finalmente a rendersi conto che si è conclusa da un bel pezzo, e che ricominciarla significherebbe soltanto arrecarti danni gravissimi.

La fregatura è che in questo momento è troppo impegnato a scoparsi qualunque essere vivente di sesso femminile, a forarsi il setto nasale con polverine fatate e a voler continuare a ciucciare soldi dalla creatura incatenata che avete creato per poterlo capire; così si limita ad andare a piagnucolare in giro a giornali, dichiarando che ti vuole ancora bene – ti vuole bene anche se lo fai soffrire.

Avanti, Jerry. Soffrire? Mi stai prendendo per il culo, vero?

È tutto un ammasso di stronzate e io lo odio, Layne. Lo odio perché in pubblico si lamenta e poi in privato non ci pensa su due volte a rigirare il coltello nella piaga, e perché so che tu non riuscirai mai ad odiarlo – resterà sempre il tuo partner musicale, e l’intesa che voi due avete sviluppato nel tempo non è una cosa che si riesce a scordare così facilmente, lo so – e quindi non mi resta altro da fare che incazzarmi anche al posto tuo, tutto qua.

Sento lo sciacquone in funzione, così mi affretto a rimettere a posto la rivista e a riprendere i lavori da dove li avevo interrotti; quando torni in salotto mi trovi in piedi sulla sedia e fai per protestare.

“Tu pensa a passarmi i libri, vedrai che ci metteremo pochissimo” sono le parole che ti dico sorridendo, così ti arrendi e mi accontenti.

Sai che non sopporterei vederti ancora ciondolare debolmente qui sopra, e ti sei anche accorto del fatto che abbia letto l’intervista, ma non dici nulla.

Ti limiti a sorridermi e a commentare i libri che mi stai passando, talvolta rivelandomi le loro trame e altre volte citando i pezzi che ti hanno più colpito, e io non posso far altro che guardarti e ripromettermi che un giorno li leggerò tutti, dal primo all’ultimo.

 

“Ce la puoi fare, Mark… io resto qui con te”

Ti guardo – vi guardo – dallo stipite della porta, per poi nascondermi quando lui si accorge della mia presenza e mi rivolge un’occhiata assente.

Mi sono spaventata a morte, lo ammetto; eravamo belli tranquilli in salotto, intenti a fare un paio di chiacchiere e commentare acidamente uno degli ultimi videoclip proposti da MTV, ed ecco che improvvisamente ha iniziato a dare di matto.

Non mi hai mai voluto tra i piedi quando hai avuto una delle tue crisi, Layne, così mi sono vista costretta ad urlare il tuo nome e implorarti di venire immediatamente perché Mark stava veramente male.

Con questo non te ne voglio fare affatto una colpa – non lo farei mai, lo sai… è solo che pensarti in queste condizioni senza nessuno accanto, senza qualcuno che ti scosti i capelli dalla fronte madida di sudore o che ti rivolga parole incoraggianti mi fa letteralmente stringere il cuore.

“Andrà tutto bene, vedrai…” ti sento mormorare – il tuo mento che si appoggia piano sulla mia spalla – e da parte mia non riesco a far altro che singhiozzare e scostarmi da te, andandomi nuovamente a sedere in salotto.

È ora che inizi a combattere anche la tua di battaglia, Layne, perché Dio solo sa quanto tu stia rischiando di arrivare troppo tardi ad un traguardo a cui forse non stai nemmeno ambendo.

 

Guardo fuori dalla finestra: il Sole splende e io non posso fare a meno di rabbrividire disgustata.

Non avrei mai pensato di dirlo, ma lo schifosissimo tempo dell’Emerald City mi sta mancando da morire. Mi manca svegliarmi la mattina e brontolare perché i vetri delle finestre – che pulivo ossessivamente ogni giorno – sono già bagnati dalla pioggia che batte incessante, o bestemmiare per le automobili che sfrecciano a tutta velocità, inondandomi di fango, acqua sporca e chissà quanta altra merda, o incazzarmi perché non mi sono ancora abituata all’idea di dover circolare coperta da diversi strati di vestiti e quindi sento il freddo penetrarmi viscido fin dentro alle ossa, con annesso merdosissimo raffreddore in arrivo.

Mi sono trasferita dall’altra parte degli States perché non riuscivo più a sopportare l’idea di non essere più che un’amica per te, non riuscivo – non riesco – a capire perché io e te non siamo legati da quel bastardissimo filo rosso che ancora ti tiene stretto a lei, nonostante siano già passati quasi quattro anni da quando se n’è andata.

Una volta mi hai anche detto che, adesso che mi sono fatta crescere i capelli, ho iniziato ad assomigliarle; successivamente mi hai sorriso e ti sei alzato in fretta per preparare il caffè.

So quanto ti sia costato sorridermi in quel momento, Layne, ed è anche per quello che ho preferito fare fagotto ed andare ad abitare nell’East Coast – non avrei sopportato sentirtelo dire una seconda volta, non sarei riuscita a tollerare il tuo guardarmi e vedere riflesso sul mio corpo quello di un’altra donna.

Ora che hai cambiato indirizzo e-mail ci sentiamo ogni tanto al telefono, ma non è più come una volta: parliamo di cazzate varie come un tempo, questo è vero, ma pare che nessuno dei due voglia scomodarsi ad intavolare conversazioni più intime e profonde come quelle che eravamo soliti fare fino a qualche mese fa.

Sospiro e fisso il telefono, per poi decidermi a comporre distrattamente il tuo numero – l’unico che sia mai riuscita ad imparare a memoria – e aspetto.

Al sesto squillo finalmente alzi il ricevitore e mi rispondi con tono asciutto, l’inflessione che si addolcisce non appena realizzi chi sia il tuo interlocutore; mi attorciglio il filo intorno al dito e intanto continuo a guardare il panorama, sul quale vedo riflesso il tuo sorriso sghembo.

Non basteranno neppure tutte queste miglia ad impedirmi di vederti, Layne.

 

Ti guardo ignorare le telefonate di chi ti ha voluto bene come se ne può volere ad un fratello, ti guardo far finta di non sentire il campanello suonato da tutti quei ragazzi un po’ cresciuti di Seattle e dintorni che cercano sempre di farti visita e aiutarti, ti guardo fare il cocciuto e nasconderti dietro la tua stessa ombra, negandoti persino a chi un suo grande amico lo ha già perso tra le canne di un fucile e la disperazione, e spera che almeno tu non sia una nuova vittima dell’angoscia di non poter essere abbastanza per tutto e tutti.

Ti guardo litigare furiosamente con l’altro reietto – l’altra mela marcia – proprio nel giorno del suo compleanno e ti guardo anche rincorrerlo come uno spirito tormentato, pregandolo di non andarsene con ostilità – in fondo forse già sai che tra poco la gente dovrà andare a raschiare il fondo del barile che contiene tutti i tuoi ricordi.

Purtroppo ti guardo anche quando i miei occhi vorrebbero non poterlo fare – così desiderosi di cucirsi le palpebre per non assistere agli ultimi istanti della tua vita ormai bistrattata – ma l’impercettibile fruscio delle tue ossa stanche giunge alle mie orecchie come il più fragoroso dei baccani, e il tuo volto smunto trapassa le mie cornee senza alcuna pietà.

 

Ti sto guardando persino ora, in mezzo a tutta questa gente, gente che stranamente riesce a starsene alla larga dai tuoi amici di sempre per rispettare il loro dolore. Qualche bimbo nel frattempo si getta nella fontana e schizza acqua verso i suoi compagnetti, mentre dagli altoparlanti disseminati qua e là la tua voce esce forte e chiara, quasi fossi qui.

Ti guarderò anche tra poco, quando i tuoi amici più intimi prenderanno il traghetto e se ne andranno su un’isola a cantare e fumare sigarette nel silenzio più totale, interrotto soltanto dallo sciabordio quieto che le onde producono infrangendosi contro il molo.

Passerò i giorni a sfogliare l’album dei tuoi ricordi che custodisco gelosamente fra i meandri della mia mente, Layne: ricorderò in particolare quel giorno in cui me ne stavo alla finestra di casa tua – intenta a farti ascoltare una canzone vecchissima che ritenevo eccezionale – mentre tu stavi cazzeggiando al pc e ridevi sguaiatamente.

Avevi gorgheggiato qualcosa come “you are so superduper bravissimo” e ti eri messo a girare come un cretino sulla tua stupida seggiola con le ruote, e neppure allora ero riuscita ad odiarti, nemmeno allora ero stata capace di disprezzarti anche solo per una stracazzo di frazione di secondo.

Ti avevo guardato e in quel momento avevo finalmente capito che avrei sempre amato con tutta me stessa te e i tuoi occhi, così nudi e splendidamente devastati sotto il mio sguardo.

 

 

 

{Guardo il tuo petto rallentare la sua corsa e poi fermarsi tutto d’un tratto, e mi dico che forse mi stai facendo un tiro dei tuoi,

mi dico che forse sai che sono qui a scrutarti chirurgicamente e quindi vuoi farmela pagare per questo mio ostinato esserti sempre alle calcagna.

Ti guardo restare immobile, aspettando ansiosa che il tuo sopracciglio si alzi tutto d’un tratto e che tu ti metta a ridere sguaiatamente della mia ingenuità,

ma non succede nulla di tutto questo.

A quanto pare mi toccherà starmene qui ad attenderti per sempre – guarderò questo guscio vuoto e mi dirò che tutto questo è un brutto sogno,

che quel corpo irriconoscibile non è il tuo e che presto verrai a darmi un buffetto sul mento come hai sempre fatto, da che ci conosciamo.

Forse tra un po’ bacerò le tue labbra esangui, anelando l’ultimo respiro che hai esalato,

cercando in questa carne ormai fredda almeno una piccola traccia di te – o forse lascerò perdere e mi limiterò a stringerti la mano,

senza aver più paura di farti troppo male intrecciando le mie dita alle tue, ormai così simili a dei rami insecchiti da un inverno troppo rigido.

Dopo lo farò, te lo giuro.

Mi serve solo un po’ di tempo per realizzare finalmente che il mio nome non uscirà mai più da questa tua bocca smorta – e questo è forse il peggiore dei mali,

perché Dio solo sa quanto adorassi sentire quelle sillabe lasciarsi possedere docilmente dal tuo miagolio – e che i tuoi occhi malinconici non si poseranno mai più sul mio profilo.

Per ora continuerò a guardarti in silenzio, con la distanza e la freddezza che solo un critico d’arte può avere mentre ammira e giudica il proprio capolavoro preferito.

Ti sfioro con la mente, percorro i tuoi contorni con il pensiero e li alliscio quasi fossero argilla grezza tra le mie mani,

accarezzo i tuoi lineamenti e un po’mi pento di non averlo mai fatto prima.

Sei così bello, amore mio.

Sei così bello anche se le tue clavicole sembrano quasi fuoriuscire prepotentemente dalla carne, anche se le tue dita ormai grigie non volteranno più le pagine scritte da Gibran,

e anche se sei soltanto l’ombra dell’amore che ho avuto la fortuna d’incontrare otto anni fa.

Premo il mio corpo contro il tuo e ti sento, ti sento nel silenzio che rimbomba tra le mura spoglie di questa tua prigione.

Ti guardo nuovamente e, tra il velo di lacrime, scorgo le tue labbra curvarsi piano.

Sorrido a mia volta… il paradiso è così vicino.}

   
 
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