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Autore: Cam Dragonis22    05/04/2014    3 recensioni
Cosa succede quando una persona resta da sola per la maggior parte del tempo, parla da sola, vive in casa sua come se fosse una carcerata e comincia ad odiare tutti e tutto? Impazzisce, pretendendo la sua libertà.
[P.s.: Sfortunatamente per quelli delicati di stomaco, mi sono soffermata sulle descrizioni, quindi....]
Genere: Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Il buio regnava nella stanza. Nulla si muoveva e sentiva a parte le mie spalle che sussultavano a ogni singhiozzo. Le lacrime uscivano ormai a stento e lente dai miei occhi gonfi e arrossati e ricadevano sulle ginocchia portate vicino al petto. Non riuscivo a fare niente se non aspettare che la stanchezza arrivasse, così mi sarei addormentata, sicura di essere sorvegliata. Di essere protetta.
Un lamento lontano. Un’invocazione d’aiuto.
Mi tirai su di scatto e guardai verso la porta chiusa. Forse era stata solo la mia immaginazione, la stanchezza.
Un altro lamento.
Mi alzai lentamente asciugandomi col dorso della mano le ultime lacrime rimaste sulle guance, avviandomi verso la porta chiusa. Sentii il mio cuore accelerare mentre avvicinavo la mano alla maniglia, martellarmi il petto, come una bestia chiusa in gabbia che vuole, che pretende di uscire. Aprii la porta.
 
Chissà se sarà felice del fatto che mi stia allontanando?
 
Mi incamminai nel corridoio, verso l’altra camera, quella in fondo vicino al bagno. La camera dei miei genitori. Mentre camminavo passai davanti a un’altra stanza, la porta semi aperta. La camera di mio fratello. Dall’interno si sentivano dei rumori strani, credo uguali a quando uno mastica a bocca aperta, ingozzandosi. Non mi sentii disgustata, mi aveva detto che aveva fame.
Non mi ero accorta che il mio passo, da lento e impaurito, fosse diventato più veloce e deciso.
La rabbia mi strinse lo stomaco quando sentii altri lamenti.
 
Perché qualunque cosa facessi poi c’era qualcosa che andava sempre storto?
 
Arrivata davanti alla porta, anche quella socchiusa, la apri di scatto.
La stanza era tutta a soqquadro. Il comodino all’angolo, vicino alla finestra, era smontato, i cassetti buttati a parte con la sedia e tutta la biancheria era seminata sul pavimento. Lo specchio sopra la scrivania era in frantumi. L’armadio era l’unica cosa intatta se non fosse stato per il fatto che si era sporcato. I porta foto erano tutti rotti e le foto erano strappate. Io non c’ero più neanche in una.
 
Mi vuole così bene da volermi solo per se anche nelle foto?
 
Il letto era tutto disfatto, le lenzuola pendevano da un lato. Erano tutte bagnate e sporche. Se la mamma avesse visto un simile scempio mi avrebbe sgridata, mi avrebbe urlato in faccia di rimettere tutto a posto, e se non avessi obbedito avrebbe chiamato papà che mi avrebbe obbligata.
Ma la mamma non poteva vedere. Papà non poteva obbligarmi.
Mamma e papà erano li sul letto, stesi l’uno al fianco dell’altra, coperti di sangue. A papà mancava un braccio, che era abbandonato vicino all’armadio sporco degli schizzi. Aveva anche molti, moltissimi tagli come la mamma, e la gamba era in una posizione innaturale, sotto il ginocchio si poteva vedere un pezzo di tibia uscire dalla carne. La mamma invece aveva un squarcio sulla gola. Così profondo che si vedeva l’osso ioide.
 
Che brava che sono… ricordo ancora le lezioni di biologia.
 
Gliel’ho chiesto io di non farle troppo male. Lei aveva già sofferto troppo. Avere una figlia come me la faceva soffrire ogni santo giorno. E poi lei, a confronto di papà, non aveva fatto molta resistenza.
Un altro lamento e questa volta mi sarei accorta da chi arrivava, avrei capito chi era sopravvissuto.
Non dovetti aspettare, perché lo vedevo, anche se impercettibile, il suo petto. Alzarsi e abbassarsi.
 
-  Ciao papà….dormito bene?-
 
I suoi occhi si aprirono e mi guardarono. Erano colmi di paura. E rammarico.
 
-  … Non guardarmi così, dai… Non sei felice di rivedermi un’ultima volta?-
 
La rabbia era troppa. Rabbia per quello che mi avevano fatto. Solo perché mi comportavo in modo diverso dagli altri, solo perché passavo la maggior parte del tempo da sola, solo perché parlavo da sola non c’era bisogno di trattarmi come un pazza, controllando tutto quello che facevo, o cercando di farmi ‘aiutare’ da stupidi psicoterapeuti e farmaci. Io non ne ho mai avuto bisogno! Non capivo neanche io perché stessi parlando. Sembravo uno di qui stupidi antagonisti che parlano all’eroe prima di ucciderlo, perdendo tempo prezioso, finché non arriva l’aiutante a salvarlo. Dovevo farla finita, e alla svelta. Altrimenti ci avrebbe pensato…
Sentì dei grugniti e qualcosa che veniva trascinato avvicinarsi.
Mi voltai lentamente. Il corpo di mio fratello era ormai informe e privo di parecchie parti compreso il petto. La pelle era stata credo mangiata, come tutto il resto, e le ossa erano incrinate verso l’esterno, i polmoni erano stati squarciati in modo da sembrare solo una massa informe ed estranea a quel corpo. Il cuore non c’era. O almeno non era al suo posto. Era nella sua mano, mentre con l’altra trascinava verso di me il corpo.
Aveva la faccia e i vestiti sudici sporchi di sangue, i capelli unti e sporchi che ricadevano davanti alla faccia,e l’anoressia di quel corpo faceva credere che fosse debole, quando invece era l’esatto contrario.
La sua espressione era contrariata.
 
-  Scusa! Io… io ho sentito dei rumori.. ed era lui… e io…-
 
Strinsi convulsamente l’elsa del coltello che avevo tenuto nella mano per tutto il tempo.
 
-  Io…-
 
Mollò il corpo e si portò il cuore alla bocca, strappandone famelicamente un pezzo, e con calma, mi indicò il corpo di papà. Ed io seppi cosa fare.
Strinsi ancora più forte l’elsa e mi avvicinai a lui. Lo presi con entrambe le mani, caricai il colpo e mentre mi accinsi ad affondarlo nel suo petto, la vidi.
 
Ora capivo. Non c’era bisogno di tutto questo. Non c’era mai stato bisogno. Il problema. Il problema l’ho sempre saputo qual’era. Mi voltai e la guardai.
Era perfettamente uguale a me, se non fosse stato, che era lei la vera me, non io. Lei era quella forte, quella bella, quella che sapeva sempre come affrontare i problemi, la voce che durante la solitudine mi teneva compagnia nella mia testa malata. Lei mi capiva sempre anche senza dover parlare. Per questo si avvicinò a me lasciando cadere il cuore a terra, mi prese e mi abbracciò. Ricambia subito singhiozzando nell’incavo della sua spalla.
 
-  Ci sono io, tranquilla… io ci sarò sempre. Loro invece no. Loro volevano abbandonarti ricordi? In quel centro… ricordi?-
 

Annuii silenziosamente. Mi scostai e dopo averla ringraziata con lo sguardo estrassi il coltello dal petto di papà. Mentre uscivamo dalla stanza, pronte per fuggire, per cavarcela da sole, non mi accorsi che nel riflesso dei frammenti di specchio, c’ero solo io.
  
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