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Autore: Yumeji    05/04/2014    1 recensioni
"L'organizzazione per lo studio e la soppressione delle entità spiritiche apre le sue porte a un qualunque giovane abbastanza coraggioso e spavaldo da essere disposto a rischiare la vita (e la propria anima) per un lavoro part-time nella nostra società."
La famiglia Kuroko è maledetta, da secoli è indelebile sulla loro pelle il segno del demonio e non può essere cancellato. Neppure Tetsuya fa eccezione, ciò che nasconde appena sottopelle è destinato a logorarlo, ad annientarlo, di lui non rimarrà nulla, neppure un frammento d'anima.
Non è il tipo d'arrendersi, ma sa di non poter sottrarsi all'inevitabile.
"Inevitabile" non è però qualcosa che due teste calde come Aomine e Kagami riescano a comprendere cosi facilmente.
Non sono disposti ad accettare la fine di Tetsu (entrambi spinti dal medesimo sentimento), e saranno pronti a tutto pur di impedirlo! Persino a cadere nel tranello del diavolo...
Tra spiriti, battaglie, esseri mitologici e pazzoidi vari scopriremo se la forza dell'animo umano può davvero battere un fato scritto da secoli.
[Avvertenza: Questa FF è stata ispirata dal manga Ga-rei (non è però un crossover)]
p.s: per ovvi motivi non ho tradotto il titolo in italiano. Godetevela!
Genere: Avventura, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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 - Cap 4 –

Nel retro del negozio c’era un androne scuro, eternamente in penombra a causa della totale mancanza di finestre, senza contare un piccolo loculo in cima alla parete sul lato destro dell’entrata, dove però non battevano mai i raggi del sole.
Non era molto spazioso, poco più grande di un ripostiglio, lungo e stretto, cui si affacciavano due soglie: una era un portone massiccio e blindato che nascondeva l’ampia e sempre fornita cella frigorifera; l’altra una porta sottile che dava sulla cucina, una sala non troppo grande, sempre pulita nonostante il continuo viavai di personale e le infornate continue. Era così colma di macchinari che difficilmente un unico pasticcere ne conosceva l’uso di tutte, con l’unica eccezione del proprietario ojiisan, forse. Il vecchietto aveva il difetto di fare lo spaccone e non sempre bisognava credere alle sue parole.
Oltre ad esse vi era anche una scala, seminascosta nel buio, che discendeva nel sotterraneo, dove finalmente si accedeva alla vera e propria sede dell’organizzazione per lo studio e la soppressione delle entità spiritiche.
Appariva come se si trattasse di una base segreta governativa, o per lo meno l’aveva pensata cosi ojiisan, quando ne aveva ampliato in gran segreto il bunker nucleare che gli avevano venduto insieme al negozio, ora esteso quasi quanto lo stesso viale Yomi. Aveva creato, grazie anche il sostegno dei propri vecchi amici (la cui somma dei capitali in loro possesso avrebbero potuto sostenere le spese dell’intera popolazione nipponica), un insieme di uffici e laboratori all’avanguardia, pieno di ogni ben di dio elettronico che un nerd avrebbe potuto desiderare, con lo spazio che sarebbero bastato per più di un centinaio di persone.
Una superficie esagerata per i soli venticinque dipendenti reali.
Dalla distruzione della vecchia sede e lo sterminio delle più grandi famiglie - i capostipiti che avevano gettato le fondamenta (quasi cinquecento anni prima), dell’organizzazione -, neppure lo 0,01% del loro antico potere e fama erano ancora stati ripristinati, nonostante i contatti non gli mancassero.


Un tempo più simile ad una setta di maghi, sacerdoti ed esorcisti, con l’avvento dell’età moderna, l’associazione si era tramuta una vera e propria società, del tutto identica ad un’azienda, composta però da individui non proprio comuni, talvolta persino provvisti di capacità extrasensoriali.
Nella loro Era di massimo sviluppo non era raro che fossero contattati dal governo e da ricchi privati. Chiamati in gran segreto, non potevano lasciar trapelare nulla sulla loro vera identità a sui lavori che venivano loro affidati. Normalmente erano convocati quando tutto il resto non funzionava, erano l’ultima guardia prima della disperazione.
Adesso molte cose erano cambiate, le potenzialità si erano ridotte all’osso, cosi come la clientela, erano arrivati a svolgere lavori in realtà più adatti ad una qualsiasi società di tuttofare. Gli impieghi che accettavano erano divenuti assai variabili, giacché quando erano chiamati per degli incarichi legati all’ambito soprannaturale, si rivelavano semplici bufale, e nulla avevano a che fare con avvenimenti spiritici veri e proprio.
Alle volte, quasi sempre a dire il vero, se la settimana si rivelava particolarmente magra, i dipendenti potevano anche ritrovarsi a svolgere i lavori più disparati. A seconda di cosa chiedesse il cliente potevano a diventare: degli addetti ai traslochi, tecnici dei computer, insegnati privati, supplenti, pescatori, sarti, disinfestatori, allenatori di squadre di basket e idraulici.
Avevano un estremo bisogno di denaro se non volevano chiudere, visto il momento di crisi globale in cui si trovavano. Anche se, il motivo principale per cui avevano bisogno di liquidi era a causa del grande capo ojiisan, il quale aveva messo un veto sui guadagni della “facoltosa e rinomata pasticceria Rinny’s”; affermava che l’organizzazione avrebbe dovuto rimettersi in piedi con le sue sole forze se erano realmente decisi a farla risorgere, senza dover sfruttare i guadagni della struttura di copertura.
Tutti i dipendenti erano però a conoscenza della realtà dei fatti: il vecchio aveva tagliato i fondi per potersi assicurare una piccola fortuna per la pensione, e non era una preoccupazione da poco visti i suoi 76 anni d’età.


Le lampade da soffitto, poste ad una distanza di circa sei metri l’una all’altra, si accesero ad intermittenza prima di stabilizzarsi e illuminare di una soffusa luce giallognola le pareti dalle tinte chiare. Non appena scese le lunghe scale che dalla pasticceria portavano sin nell’entroterra, nel punto più profondo della base (ovviamente sorvegliate da delle telecamere nascoste), si accedeva subito al corridoio principale. Sembrava non vi fosse nessuno a preoccuparsi dell’incolumità del posto, ma un sofisticato sistema di sicurezza era impostato per far scattare delle porte blindate, calate da delle larghe fessure sul soffitto, non appena uno sconosciuto, non riconosciuto dal sistema, avesse messo piede nella sede.
Se un non-addetto, essere umano o non che fosse (le porte blindate erano per l’80% composte d’argento, velenoso per un qualsiasi essere non prettamente vivo o di natura magica), avesse provato ad accedere, si sarebbe trovato subito imprigionato in un gabbiotto claustrofobico, senza alcuna via di fuga in attesa di qualcuno che lo facesse uscire.
Kagami e Aomine non dovevano però preoccuparsi del sistema di sicurezza, nonostante non si presentassero al part-time da almeno due settimane, nessuno dei due aveva ancora dato formalmente le dimissioni. Nel caso di Daiki, in realtà, erano state rifiutate.
Le telecamere li riconobbero, lasciandogli passare senza incidenti, e i due ragazzi poterono accedere tranquillamente al corridoio.   
La base accolse i suoi ultimi ospiti nell’aspetto con cui i due visitatori avevano già imparato a conoscerla, all’apparenza normale e del tutto lecita.
Nulla era cambiato, eppure entrambi sentivano che qualcosa era differente.
Attesero, non sapendo dove andare vista l’infinità di uffici e laboratori (senza tener conto degli altri piani sotterranei), cui avrebbero potuto accedere semplicemente procedendo in avanti. Akashi poteva essere ovunque.
Nessuno dei due si stupì quando arrivò in loro soccorso, zampettando, uno dei tanti servetti di Seijuro, un corvo gigantesco dai larghi occhi nocciola, grosso quanto o forse più di un labrador. L’animale li salutò chinando il capo piumato dalle lunghe e lucenti piume nere, in segno di rispetto, spiegò poi l’ala destra, indicando la strada, cominciando nuovamente a zampettare nel precederli, sempre in religioso silenzio.
Da quando Daiki gli aveva affatto notare come la sua voce avesse un suono gracchiante e gutturale: sembra discutere con un uomo nella cui gola fosse rimasto incastrato un tappo di sughero [cit.]; il tengu, essendo molto suscettibile di natura e ritenendosi offeso da quell’aspro e gratuito commento, non aveva più aperto bocca di fronte al ragazzo dalla pelle bronzea. Questi però, purtroppo per l’animale, non sembrava neppur essersi accorto di un simile cambio di atteggiamento nei suoi confronti, anzi, continuava ad ignorarlo, perso a rimuginare in ben altri pensieri. Il suo sguardo sottile oltremare vagava attento per il corridoio, provando ad indovinare in quale stanza l’essere mitologico\folkloristico li avrebbe condotti.

Al primo impatto, nell’entrare nella base, non era raro avere l’impressione di essere appena finiti in un qualche reparto d’ospedale. La scarsa luminosità dava all’ambiente un’aria sporca, ma allo stesso tempo la mancanza di una qualunque fonte di sporcizia lo rendeva perfettamente sterile. Solo un leggero odore di chiuso alleggiava nell’aria e la temperatura, qualunque stagione fosse all’esterno, era costantemente fresca, tanto che a delle volte, anche in piena estate, non era raro trovare qualcuno trai dipendenti con indosso la giacca.
Purtroppo però, quelle poche di luci messe a rischiarire il corridoio principale, erano anche la prima fonte delle paure di Kagami, il quale aveva sempre una pessima sensazione ogni qual volta lo percorresse.
Gli sembrava di piombare di punto in bianco all’interno d'un pessimo film horror, e che da qualche parte un serial killer psicopatico lo stesse aspettando pronto a farlo fuori a coltellate. Venendo dall’America la sua non era una paura infondata, e i vari spiriti e creature indefinite che vedeva gironzolare lì intorno (come quello che lo accompagnava in quel momento) non lo aiutavano di certo a smorzare quell’impressione.
Ma perché un organizzazione per lo studio e la soppressione delle entità spiritiche sfruttava quelle stesse entità come propri dipendenti?! Si era chiesto più volte sconvolto, arrivando quasi a strapparsi i capelli. Faticava ancora ad abituarsi all’idea.
Suo padre, uno dei più famosi cacciatori di mostri del nuovo continente, non avrebbe mai concepito una cosa simile, troppo legato alle sue idee e ai suoi metodi (alcuni, a dir il vero, non propriamente giusti).
E forse era proprio quello il motivo per cui aveva messo un oceano di distanza tra loro.



- STANZA N°473 -

Non si spiegava il motivo per cui aveva accettato.
C’era stato qualcosa di assolutamente sbagliato nel meccanismo di pensieri che lo avevano condotto ad assecondare le assurde richieste di Akashi.
Qualcosa nel mentre doveva essersi inceppato, e l’intero sistema del suo cervello era andato allo scatafascio. Doveva essere cosi, o altrimenti non sarebbe riuscito spiegarsi perché si era messo a fare una simile idiozia!
Non che Seijuro non gli avesse presentato delle valide argomentazioni per convincerlo, ma restava il fatto che diveniva fin troppo malleabile in presenza del rosso.
Doveva essere qualcosa celato nei suoi occhi a farlo cedere ogni volta.
Con il senno di poi ogni singola azione compiuta in quelle ultime ore gli parve incomprensibile, del tutto inconcepibile per una mente logica come la sua.

“Per oggi Ona Asa consiglia a voi amici del Cancro di non allontanarvi mai dal vostro lucky item del giorno - ve lo ricordiamo: il pupazzo di una scimmietta-, vi proteggerà dalla catastrofe imminente di cui sarete spiacevoli spettatori.”

Perché quando aveva saputo che il suo segno zodiacale occupava l’ultimo posto della classifica, non se ne era semplicemente tornato a letto? Si chiedeva Midorima in un profondo stato di disperazione e autocommiserazione, un’aura violacea e malsana lo avvolgeva inquinando l’ambiente intorno a lui. Si sentiva privo di ogni grammo di energia, lì seduto alla sua solita scrivania, sommerso da scartoffie e documenti d’ogni genere destinati ad essere catalogati e archiviati, la testa abbandonata malamente sul ripiano. Aveva ormai rinunciato da un pezzo a svolgere quell’impresa. Era impossibile.
Ma perché in un era tecnologica e all’avanguardia come la loro si ritrovava ancora con tutti quei pezzi di carta?! Urlava la sua mente sconvolta, infelice e sofferente, si sentiva cosi patetico a piangersi addosso, ma per quel giorno non poteva farne a meno. Tutto ciò che aveva fatto o anche solo toccato in quella specificata data era andato a rotoli, fracassato, esploso o semplicemente distrutto (come aveva per l’appunto previsto Ona Asa).
Niente. Nulla sembrava andargli per il verso giusto e, a conferma di ciò, una larga macchia violacea si estendeva in mezzo alla sua fronte, segnalando la parte lesa del visto, nel punto in cui era stato più volte colpito da: pareti, porte o spigoli; in diverse parti del giorno.
Alzandosi dal letto quel mattino era inciampato sul comodino da sempre tenuto di fianco al letto, urtando cosi la lampada che vi prendeva posto sopra, la quale si era rovesciata andando a cadere sopra i suoi occhiali, i quali a causa dell’urto erano scivolati a terra.
Gli era bastato un unico, singolo passo per disintegrare la montatura e crepare le lenti, il tutto accompagnato da uno scricchiolio inquietante che gli fece accapponare la pelle.
Forse non sarebbe stata una cattiva idea tenerne un paio di riserva, si era detto nel chinarsi a raccogliere i resti di ciò che erano stati i suoi occhiali, ma era un po’ tardi per pensarci.
Diagnosi: completamente inutilizzabili.
Già da quell’avvenimento avrebbe dovuto come minimo intuire come si sarebbe svolto il resto del giorno. Eppure, cosa aveva fatto?
Aveva sceso le scale per andare a fare colazione, del tutto incurante di ciò che l’universo tentava di comunicargli, finendo per scivolare dopo i primi tre scalini, ruzzolando sino al pian terreno con un capitombolo degno dei migliori stuntman del cinema.
Era già il secondo avvertimento, e non erano trascorsi neppure dieci minuti dal primo.
Ma perché?! Perché era stato tanto ottuso di fronte ai segnali che dio era stato cosi magnanimo da concedergli?!
Con un sospiro Shintaro allontanò il ricordo dei drammatici eventi che si erano susseguiti poi nella sua “giornata nera”, adesso aveva altro di cui occuparsi. La sua pancia vuota lo supplicava di un po’ d’attenzioni.

Strinse forte, quasi fosse un anti-stressa, la piccola scimmietta di peluche - da cui non si era separato neppure un momento da ché era divenuta il suo Lucky Item-, e aguzzando gli occhi, ormai già ridotti a due fessure sottilissime, andò ad armeggiare con estrema delicatezza il manicotto del becco di Bunsen, sino a quando la fiamma prodotta dal piccolo bruciatore a gas non divenne di un intenso e vivido color arancione.
Se non altro avrebbe potuto cenare in pace, riflette aspettando che l’acqua dentro il contenitore in vetro cominciasse a bollire. Avrebbe mangiato del ramen istantaneo. Nulla di così eclatante, né di nutriente, ma almeno non avrebbe rischiato di lasciarci le penne cercando di cucinarsi qualcosa di più complicato.
A pranzo, nel tentativo di comprarsi un panino (poiché aveva dimenticato il bento a casa), aveva finito coll’essere travolto dall’immensa ressa creatasi davanti al rivenditore. Un ammasso compatto ed informe di gambe, braccia e divise, che sul momento gli era apparso come il boss finale di un pessimo videogioco (essendo cieco come una talpa in una caverna buia gli era difficile distinguere tra le varie forme), ma la cui figura era in realtà composta dai suoi compagni di scuola, schiacciati l’uno sull’altro in una lotta per la supremazia.
Spintoni, calci e gomitate, tutto era lecito in quella battaglia.
Alla scuola Shutuku, per lo meno all’ora di pranzo, sembrava vigere un'unica regola: quella del più forte.
Sesso, stato sociale o denaro non avevano più alcun valore.
Solo chi sarebbe riuscito a farsi largo tra quelle belve assetate di sangue avrebbe vinto sulla legge della sopravvivenza.
“Mostri! Non sembravano neppure umani” si rivolse acidamente ai suoi compagni Midorima, rabbrividendo al pensiero e ancora dolorante a causa di tutti i lividi e gli ematomi che gli avevano lasciato, unica dimostrazione della sua partecipazione al combattimento. Purtroppo, miseramente perso. Non era neppure riuscito a vedere il traguardo.



- E adesso Midorima che cazzo c’entra!? – esclamò Aomine entrando con un tonfo assordante, causato dal forte sbattere della porta che aveva appena spalancato, il passo pesante e il volto livido di rabbia nell’entrare nel laboratorio. La sua pazienza era arrivata al limite, ma dov’era finito quel bastardo di Akashi? Quanto ancora aveva intenzione di farli aspettare?
- Aomine…- lo salutò con un cenno del capo il ragazzo dai capelli verdi, lo sguardo accigliato nel tentativo di metterlo a fuoco, con ben scarsi risultati, limitandosi ad osservarlo rimanendo seduto alla scrivania. Per un momento si era sorpreso del suo arrivo, soprattutto impaurito dal forte colpo che aveva udito, il quale lo aveva fatto sussultare sulla sedia dallo spavento, causando cosi la caduta del tanto agognato ramen, che aveva finito con il rovesciarsi sulla scrivania e su parte dei suoi vestiti.
“Addio cena” si limitò a sbuffare stanco di fronte all’accaduto, ormai rassegnato alla propria sfortuna aveva persino perso la voglia di arrabbiarsi.
- Allora dov’è quel nano rosso?!- gli intimò Daiki con aria minacciosa, avvicinandosi di qualche passo mentre Midorima cercava qualcosa per ripulire i resti di brodo. – Midorima! - lo richiamò ancor più stizzito, trovandosi ignorato,
- Lo sai com’è fatto Seijuro, si starà facendo attendere di proposito in modo da farti perdere la calma... Si diverte cosi – borbottò Shintaro soprappensiero, più impegnato e levarsi quella fastidiosa macchia scura dalla maglia beige con un fazzoletto che a prestargli ascolto. – Ah… Grazie, Kraa-chan – ringraziò poi rivolgendosi al tengu, il quale gli stava porgendo una camicia bianca con cui avrebbe potuto cambiarsi.
L’essere mitologico era silenziosamente entrato nella stanza alle spalle di Aomine e subito, notando le condizioni di Midorima, da bravo servetto si era avvicinato all’armadietto di ferro nell’angolo opposto del laboratorio e vi aveva recuperato il cambio che ora gli porgeva, nonché un secchio e uno strofinaccio con cui ripulire quel disastro di brodo e spaghetti riversi sul pavimento.
“Perché gli ha dato un soprannome cosi idiota?” si chiedeva intanto Daiki, talmente nervoso da cominciar a produrre sulla pelle una notevole quantità di energia elettrostatica. A causa della quale lui e Kagami si presero una scossa quando questi lo urtò, entrando un poco trafelato nella stanza.

Per Taiga non era facile orientarsi per quei corridoi, era ancora nuovo del posto, e gli era bastato un momento di distrazione per perdere di vista il compagno e la loro guida. Dopo un momento di panico e un paio d’imprecazione a mezza voce si era detto che non potevano essere poi così lontani. Si era voltato solo per mezzo secondo!
Quindi, riflettendoci, dovevano per forza aver attraversato una delle porte lì vicino ed essere entrati in qualche laboratorio… Ma quale?!
C’erano 127 porte lungo quel corridoio.
Fu salvato dalla prospettiva di doverle aprire una ad una udendo la voce alterata e inconfondibile di Aomine, a quanto sembrava era esploso. Di nuovo.
“Quel ragazzo non sa controllarsi…” sbuffò negando piano con la testa, esasperato, andando nella direzione in cui sentiva arrivare ancora le parole sempre più inferocite del ragazzo dalla pelle scura. Chissà con chi se l’era presa poi quella sciocca testa calda.
Kagami-kun, non sei il tipo di persona che può fare simili osservazioni agli altri.
Volle però puntualizzare una vocina sottile proveniente da un punto indefinito del suo cervello, in alto un po’ sulla destra. E per un momento fu forte in lui la sensazione che a parlare fosse stato Kuroko. Scacciò però subito una simile idea, se si fosse fatto fregare da simili pensieri rischiava di uscirne pazzo, e ancora una volta si trovò a varcare una porta che mai più avrebbe voluto attraversare.  Dover affrontare l’arrabbiatura di Aomine non lo allettava proprio.

- Cazzo! Quel pennuto ci ha fatto camminare per tre quarti d’ora!- continuava ad urlare Daiki, scostandosi rapidamente da Kagami cominciando a camminare esasperato avanti e indietro per il laboratorio. Una larga sala composta per lo più da piastrelle bianche, e il cui arredamento comprendeva: la scrivania di Midorima, un paio di librerie colme di titoli impronunciabili (alcuni persino illeggibili - vista la complessità dai kanji - per Taiga), l’armadietto che, come avevano visto, era adoperato a ripostiglio e qualche congegno non ben definito, usati probabilmente per gli esperimenti per i quali era adibito il laboratorio. Non che in realtà quella stanza apparisse molto adoperata in quel senso, sembrava piuttosto essere divenuta l’ufficio personale di Midorima, visti gli strani pupazzetti (ex-Lucky Item del giorno), che spuntavano un po’ovunque qui e là, e alcune riviste di astrologia firmate da Ona Asa.
Infine c’era un’altra porta, oltre a quella che conduceva al corridoio principale, questa era però dal lato opposto della sala, piccola e blindata, di un anonimo grigio, e quasi non la si notava. Difatti, ancora nessuno sembrava averci prestato la benché minima attenzione.
Se ne rimaneva chiusa, del tutto ignorata.
- Adesso arriviamo qua e ci dice: “il signorino è al momento impegnato, appena può sarà da voi”!- sbraitava Aomine, scimmiottando la voce rauca dell’animale, aveva capito che a prendendosela con Shintaro non avrebbe tirato fuori un ragno dal buco, poiché non sembrava volergli dare corda, quindi aveva smesso di importunarlo. In più il ragazzo dai capelli verdi si stava spogliando della maglia per poter finalmente indossare la camicia candida e pulita, non era un momento opportuno per prendersela con lui.
E poi Midorima era uno dei pochi illuminati a conoscenza del segreto per sopravvivere agli scatti d’ira di Aomine, la regola fondamentale era: più s’ignora, meglio è.
Difatti, il ragazzo dalla pelle bronzea si era ritrovato ad urlare da solo per sfogare un po’ di rabbia. – Perché ci ha fatto chiamare se poi ha altro da fare!? – sbottò un’ultima volta, costretto a fermarsi per mancanza di fiato.
  
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