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Autore: kiara_star    06/04/2014    4 recensioni
[Crossover | Adam (Only Lovers Left Alive); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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“Ci sono leggende che si tramandano per decenni, secoli, millenni.
Ci sono leggende che raccontano mille verità e poche bugie, molto più spesso, accade che sia solo una la verità narrata e miriadi le gocce di menzogna in cui essa si perde.”
[...]
Si avvicinò per riprendere la sua arma e fu allora che lo sentì: un battito di mani, secco, a intervalli regolari, un rumore sordo che ricordava in modo inquietante il dondolare di una campana.
«Lascia che mi congratuli con te, ragazzo. La tua tecnica è sublime.»
Alzò lo sguardo sul muro di mattoni grezzi alla sua destra e strinse forte le dita sull'argento.
Occhi spenti eppure accecanti, pelle pallidissima e una corona informe di capelli neri.
«Scendi da quel muro così ti faccio assaggiare la mia tecnica sulla pelle, bestia
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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4. Il morso del Vampiro
A story ever told





IV. Il morso del Vampiro





Coraggio, valore, lealtà.
Nel diario di Marcus, Eric lesse queste parole ripetersi più volte. Victor era un cacciatore coraggioso, un uomo di valore, un amico leale.
C'erano episodi che narravano delle loro cacce, che narravano delle paure di Marcus e delle rassicurazioni di Victor, suo padre, perché Victor era un mastro votato al suo compito.
Eric trovava l'immagine dell'uomo che anni addietro, nella sua piccola cucina, padre Jonathan aveva disegnato. Nelle pagine ingiallite del diario di Marcus, Eric trovò quel cacciatore abile che non avrebbe mai eguagliato. Non c'era nulla che invece parlasse di un uomo crudele e spietato; nulla, fra quelle righe, riportava neanche un pallido riflesso del Victor raffigurato dalla voce ambigua di Adam.
Adam aveva mentito, Adam mentiva.
Avrebbe dovuto esserne sollevato, avrebbe dovuto arrabbiarsi ancora di più, avrebbe dovuto cacciare con più foga notte dopo notte e attendere di ricontrarlo per porre finalmente fine alla sua vita e alle sue menzogne.
Ma tutto ciò che Eric continuava a sentire, era una profonda e agghiacciante paura.
Cornelius gli aveva mostrato quel diario con gioia, aveva insistito affinché lo tenesse lui per tutto il tempo che gli fosse necessario per capire ancora più a fondo la sua missione; Cornelius, in tutta la sua smisurata amicizia, ignorava quei timori che Eric nascondeva dietro ai suoi silenzi, dietro agli sguardi che gli evitava e ai sorrisi che aveva dimenticato.
Sarah era andata alla locanda. La casa era silenziosa e vuota. Eric chiuse il diario e poggiò la fronte nel palmo della mano, guardando senza vederlo, il legno malconcio del suo tavolo. Lo scoppiettio invadente del fuoco, interrompeva a ritmo irregolare i suoi pensieri, le sue domande, i suoi dubbi.
Padre... padre mio.
Avrebbe voluto che fosse lì, davanti a lui, che lo guardasse e gli rispondesse.
Victor non avrebbe potuto farlo. Le risposte di Marcus non gli bastavano.
La finestra si aprì con una folata di vento, sbattendo rumorosa contro la parete.
Eric guardò al d là del legno, la piana verde che scendeva ai piedi della sua casa, e fra le fronde del faggio scorse un'ombra.
Era lui?
Lo stomaco si piegò come colpito da un pugno al solo ipotizzarlo.
Sentì la gola farsi secca e si alzò dal tavolo per avvicinarsi alla finestra. Socchiuse lo sguardo per combattere le folate violente di vento. Guardò il faggio, guardò l'ombra e vide solo le orecchie di un cane di montagna, la sua coda grigia, e i suoi occhi fuggiaschi che lo guardavano.
Un guaito e corse via.
Eric lasciò andare un sospiro e chiuse la finestra.
Se fosse stato lui? Se fosse stato Adam?
Cosa avrebbe fatto? Cosa poteva fare? Cosa voleva fare?
Da quella volta alla chiesa di St. Thomas, non l'aveva più rivisto. Erano ormai trascorse un paio di settimane, solo un paio di settimane, eppure ogni notte era sembrata più lunga, ogni caccia più pericolosa e ogni alba più accecante.
Vieni da me.
Sentiva i brividi solcargli la spina dorsale al rimembrare quelle parole, che non erano state frutto di un sogno, ma che erano state reali come quella dannata paura che lo accompagnava ormai a ogni respiro.
Si passò una mano sul viso, soffocando contro il palmo l'ennesimo sospiro.
Un'altra notte così e Eric sarebbe impazzito.



*



Quella notte fu diversa.



*



Sarah era tornata dalla locanda con un cesto di frutta e un messaggio: Cornelius gli mandava a dire che non lo avrebbe accompagnato quella notte.
«Padre Gregory sta male, ormai gli resta poco. Cornelius non può lasciare il suo capezzale, non credo che lo farebbe in ogni caso.» Eric aveva annuito a quelle parole e le aveva accarezzato il volto. Sarah si era ritratta e aveva iniziato a sistemare la frutta sul tavolo.
Sarah sfuggiva sempre più spesso alle sue carezze, forse perché ne avvertiva il freddo.
Cenarono nel silenzio, come ogni sera.
«Torno prima dell'alba.»
«Sii prudente.» Ormai era diventato un rituale. Triste e amaro, come ogni rituale.


Non riuscì neanche a scendere il sentiero che lo avrebbe portato al borgo, ché si ritrovò attaccato da due esseri notturni.
Nonostante l'abitudine di essere in compagna di Cornelius, Eric riuscì comunque a debellare la loro minaccia con facilità. Bastò un colpo di balestra al primo e un paletto di frassino al secondo: caddero a terra senza emettere un solo suono.
La notte era fredda e umida, Eric sentiva il gelo dell'inverno che si avvicinava ad ogni cambio di luna. Presto la landa sarebbe stata coperta di neve, nei mesi che sarebbero seguiti avrebbe avuto solo bianco a circondarlo e lo avrebbe macchiato di rosso a ogni notte.
Amava l'inverno, Eric; l'inverno portava con sé quei pochi ricordi felici, ricordi di un bambino ingenuo, con i guanti bucati e i vestiti cuciti da stoffe diverse, che mangiava una zuppa calda accanto al fuoco facendosi carezzare la testa da sua madre e godendo dello sguardo di suo padre.
Quegli inverni erano stati più caldi di ogni estate che avesse vissuto dopo il suo diciassettesimo compleanno.
Agganciò la balestra alla spalla e si sistemò la giubba grigia. Alzò la vista al cielo nero e alla luna sfumata di bianco.
«Splendida notte... Non trovi?»
Il suo cuore si era incastrato nella gola.
Abbassò lo sguardo e si ritrovò i suoi occhi verdi di fronte.
Fu istintivo portare le dita al suo collo. Non c'era sangue. Non aveva fatto male, non aveva bruciato come era solito.
Non l'aveva sentito quella volta.
Adam sorrise ed Eric strinse i denti.
«Il tuo fratello Cacciatore non ti accompagna questa notte? Me ne rammarico, avrei voluto fare la sua conoscenza.»
«Come se potessi credere che sia un caso che ti sia fatto vivo adesso.» Era la prima volta da quando cacciavano insieme che Cornelius non era con lui.
Eric capì solo in quel momento quanto volesse averlo al suo fianco, quanto volesse nascondersi da quella voce nella sua testa, quella che gli sospirava domande che non trovavano mai risposta in nessuna pagina e in nessuna parola.
Fece scivolare dall'avambraccio un paletto di frassino ma lo tenne soltanto stretto nella mano.
«Posso staccarti la mano prima ancora che tu possa sollevare il polso» affermò quasi apaticamente Adam, tenendo lo sguardo incatenato nel suo.
Sapeva era verità, ma non era per paura di veder messa in atto la sua minaccia che non provò a colpirlo.
«Perché non c'è nessuna traccia di te nel suo diario?» Fu la prima e la più difficile da porre, fu la domanda che gli fece tremare la voce e quasi bruciare la lingua.
Adam non rispose, continuò a guardarlo con il viso pallido messo in ombra dal chiarore della luna.
Eric sentì il suo stesso battito impazzire contro le tempie.
«Hai detto di averlo conosciuto, di aver lottato con lui... Eppure non c'è una singola pagina in cui appaia il tuo nome.»
Sei un bugiardo, avrebbe voluto dire.
Mi stai mentendo. Stai solo giocando con la mia mente, bestia degli inferi.
Si limitò a coprirsi a sua volta di silenzio e attese una sua mossa, con la mano piena del paletto e le gambe pronte a scattare.
Adam sollevò il viso al cielo, scostando per la prima volta gli occhi. Era avvolto in un mantello nero da cui si intravedeva il bianco della camicia e il rosso infuocato della sua casacca.
«Era una notte come questa, simile a questa...» disse soltanto.
Eric seguì con lo sguardo la linea delle sue labbra, poi scese fino al suo collo niveo. Avrebbe potuto approfittare di quel momento per colpirlo. Avrebbe potuto essere veloce e affondare il paletto.
Poteva farlo, era una frazione di secondo, forse meno, ma poteva tentare o morire nel tentativo.
Poteva, la verità era che non voleva.
Quando Adam abbassò nuovamente lo sguardo nel suo, Eric capì di aver perduto la sua unica possibilità, l'unica di quella notte, forse l'unica della sua stessa vita.
«Quel diario è solo un petalo, Eric. Ne mancano ancora molti per completare la corolla.»
Deglutì. «E tu possiedi gli altri?»
Adam sorrise di nuovo. «Solo quelli che ho saputo cogliere nel corso della mia lunga esistenza, giovane Cacciatore.» Un passo più vicino. «Vuoi che te li mostri?»
In quel preciso istante gli tornarono alla mente le parole che Cornelius disse quel giorno sul pulpito. Il peccato e la sua effimera bellezza, la sua inconcludenza, la sua menzogna.
Avrebbe voluto che Cornelius fosse lì, a ricordargli ancora una volta quelle parole, a impedirgli di cedere a quella tentazione.
Cornelius non era lì.
Eric era solo, in una fredda notte, con tante armi che non avevano efficacia, senza una fede a cui chiedere aiuto o una speranza in cui rifugiarsi. Aveva solo domande e paure e altre domande ancora, aveva solo gli occhi di Adam e le sue parole.
«Mostrameli, allora.»
E cadde, nel caldo abbraccio di quell'illusione chiamata tentazione.
Adam assentì con un cenno del capo e gli porse la mano.
«Vieni con me.»
Eric guardò quelle dita pallide sentendo le sue tremare attorno al paletto. Guardò di nuovo il suo viso e i suoi occhi chiari inghiottiti dalle ombre della notte, le sue labbra sottili, la pelle pallida e la chioma selvaggia di capelli corvini.
«Non ti concederò una seconda occasione, Eric.» Quelle parole gli fecero serrare la presa sul legno. «Se vuoi risposte, questa sarà l'unica notte in cui ti sarà concesso udirle.»
Non avrebbe voluto essere così debole da farsi piegare da un misero e beffardo ricatto, ma lo era. Davanti agli occhi di Adam, Eric si sentiva debole come non mai, disarmato e nudo, senza difese o certezze.
Come fosse stato uno di quei tanti sogni soffocanti che lo avevano tormentato, da cui si svegliava come non avrebbe dovuto.
Stavolta era reale, stavolta poteva cambiare l'esito e non essere un fantoccio fra le sue mani.
Poteva, ma per l'ennesima volta, non voleva farlo.
Allentò la presa sul paletto finché non cadde a terra. Non fece un solo rumore mentre si perdeva nell'erba umida della piana.
Eric avvicinò le dita della mano a quelle di Adam, quando fu a un soffio dallo sfiorarle si fermò e lo guardò negli occhi.
«Vieni da me... Eric.»
Se c'era davvero un dio che gli aveva dato quella missione, Eric pregò affinché lo perdonasse.
Afferrò le dita di Adam e poi fu solo buio.



*



Quando riaprì le palpebre attorno a lui c'era un forte calore, un calore che pareva soffocarlo. Fiamme alte danzavano creando ombre sui muri.
Doveva essere l'inferno, pensò. Poi udì il rumore della legna che scoppiettava nella brace. Sollevò il busto e si trovò dinanzi un enorme camino.
Si guardò intorno: era una grande sala con un enorme libreria che copriva due intere pareti. Si accorse in quel momento di essere seduto su un sofà di velluto rosso, il legno intarsiato finemente.
Passò le dita sul bracciolo laccato. Tornò poi con lo sguardo al fuoco rimanendo quasi incantato nell'osservare le fiamme arancioni che salivano alte.
Il respiro divenne caldo nei suoi stessi polmoni.
Si rese conto solo allora di Adam che lo guardava poggiato contro una colonna a qualche metro di distanza.
Si sollevò immediatamente in piedi studiandolo con prudenza.
Non aveva più il mantello né la sua giacca rossa. La pallida camicia era aperta di qualche bottone. Fra le mani reggeva un calice di cristallo con del liquido troppo denso per essere vino.
Sentì lo stomaco rivoltarsi e strinse i pugni delle mani.
Il caldo del camino era diventato improvvisamente insopportabile.
«Ho atteso che ti svegliassi, non mi sembrava cortese interrompere il tuo sonno.»
«Dove sono? Dove mi hai portato?» chiese a bruciapelo.
Adam sorseggiò il suo calice e si passò poi la lingua fra le labbra che erano divenute inquietantemente rosse.
«Questa, giovane Mastro, è la mia umile dimora» affermò poggiando il bicchiere su un tavolo. «Ritieniti onorato: sei il primo della tua specie a mettervi piede.»
Quelle parole lo confusero.
«Specie?»
«Cacciatori» rispose Adam. «L'unico cacciatore.»
Lo aveva condotto nella sua casa.
Era verità?
Eric guardò ancora la stanza, il velluto del sofà, lo stesso velluto con cui erano cucite le tende che celavano la balconata. Il camino di marmo, il numero indefinito di libri che componeva la biblioteca e all'angolo, illuminato da un candelabro, un clavicembalo.
E fu proprio il clavicembalo che Adam raggiunse. Accarezzò il legno e poi i tasti, e si sedette sulla seduta frontale.
Chiuse gli occhi e iniziò a suonare.
Il cuore di Eric smise di battere mentre udiva le stesse note che avevano suonato in ogni sua notte, quelle note che avevano centellinato ogni incubo e ogni paura.
Guardò il volto di Adam, le ombre disegnate dalle candele e dal fuoco del camino, i suoi capelli che offuscavano lo sguardo celato.
Adam continuò a suonare la sua musica, disperata e bellissima, alzando di tanto in tanto gli occhi nei suoi, come saette che squarciavano il buio del cielo durante una tempesta. Suonò con un sentimento che Eric poteva descrivere con una parola soltanto: passione. Ed era inarrestabile mentre si spandeva per tutta la stanza e giungeva fino a lui senza esitazioni. Note come gocce di veleno letali.
Poi la struggete sonata terminò, i tasti piansero per l'ultima volta e fu silenzio.
Eric riusciva a sentire il suo cuore battere assordante.
«Sai quanti Mastri ho incontrato nella mia vita, Eric?» Adam non aspettò una risposta. «Centinaia, diverse centinaia...» Si alzò poi dallo strumento e lo guardò. «E sai quanti di loro ho ucciso?»
«Tutti?»
Adam sorrise.
«Tutti tranne uno.»
Mio padre...
Sentì la gola in una morsa.
«Dieci erano i Sire all'alba di quel giorno e dieci sono ancora oggi, a dispetto di quante Ere si siano succedute» disse ancora.
L'aria divenne una lama che trafiggeva il suo petto ogni volta che respirava. Lo seguì allontanarsi dal clavicembalo per tornare al tavolo dove sostava il calice. Ne prese un altro sorso.
«È una lotta impari. Sarà sempre una lotta impari, Eric.»
«Se ti aspetti di impressionarmi devo deluderti: non ho intenzione di abbandonare il mio obbiettivo» affermò con fermezza sebbene il sangue stava pompando con troppa forza nelle sue vene.
«Le mie parole non avevano questo intento.» Il bicchiere era ora vuoto, sporcato solo da una patina che aveva seguito la discesa del liquido. «Di tutti e dieci i Sire solo una manciata si trovano ancora qui sulla Terra. Lo sapevi?»
No, non lo sapeva.
Non rispose comunque e Adam piegò le labbra in un pallido sorriso.
«Ma di tutti e dieci gli Angeli Fedeli, quanti di loro hai visto lottare al tuo fianco? Vi hanno lasciato soli in una battaglia che non vi vedrai mai vincitori. Soli, accompagnati solo dall'utopia di una fede cieca e muta, come se potesse realmente armare le vostre mani. C'è un che di poetico nella vostra esistenza, Eric, oppure è solo la tristezza dell'inevitabile che cercate di esorcizzare inseguendo una chimera chiamata salvezza... Ma per te queste parole non contano nulla. Non conta sapere se ci sia davvero un Paradiso che ti attende al termine di questa vita devota. Dico bene? E ad ogni modo, non è come lo descrivono. Credimi, io l'ho visto.»
«Dove vuoi arrivare?»
«Voglio semplicemente che tu mi dica per cosa combatti, Eric. Per quale motivo ogni notte, da anni, vivi sporcandoti le mani di sangue.»
È la mia missione. Era questa la risposta, era ciò che gli aveva detto suo padre in quel diario, e che gli aveva ribadito sia Jonathan che Cornelius.
Ma non era la verità.
«Cosa ti importa del perché lo faccio?» chiese quasi con rabbia, rifugiando nell'astio la sua incertezza.
«Perché sei figlio di tuo padre, e Victor ha lottato sempre per un solo motivo che nulla aveva a che vedere con la fede.» Ogni qualvolta nominava il suo nome, Eric avrebbe voluto ucciderlo. «Ho fatto questa domanda a ogni singolo Mastro che ho incontrato, a ogni singolo Cacciatore tanto coraggioso e stupido da intrecciare la sua strada con la mia: per cosa combatti?... Mi hanno risposto tutti la stessa identica cosa, tranne uno. Tranne Victor.»
Schiuse le labbra per poter respirare con più facilità, l'aria sembrava non bastargli.
Adam lo guardava poggiato nuovamente contro la colonna, con le braccia incrociate e le labbra rosse.
Attendeva che gli porgesse quella domanda, e Eric aveva paura di farlo ma...
«Cosa ti rispose?»
Lo vide aprirsi in un debole sorriso.
«“Perché mi piace.”»
Mandò giù quel poco di saliva che gli era rimasta in bocca e fece vagare nuovamente gli occhi al fuoco.
«È la stessa motivazione che hai tu, non è vero?... Non ci sono questioni di fede o giustizia, c'è solo la brama di cacciare. Il suo bisogno e l'eccitazione che ti provoca.»
«No, non è così...» Ma lo disse senza guardarlo negli occhi, con la voce debole e le labbra asciutte, e Adam scorse facilmente la sua menzogna.
Perché sei figlio di tuo padre.
«C'è solo una differenza fra te e Victor, ed è quella differenza che faceva di lui un grande Cacciatore e di te...» Non completò la frase e Eric tornò a guardarlo. «Victor era conscio di ciò che era e non ha mai combattuto la sua vera natura. Se non avesse lasciato la Congrega e la nostra battaglia, sono sicuro sarebbe stato l'unico a potersi avvicinare alla realizzazione di quel compito di cui si veste ogni Mastro.»
L'unico che avrebbe potuto uccidere Adam.
Eric sentì le gambe deboli, avrebbe voluto sedersi su quel sofà e nascondere gli occhi e la testa, farla smettere di pulsare e far smettere quel cuore di galoppare doloroso nel petto.
C'era una nota di rispetto e di ammirazione che attraversava le parole di Adam, sottile e impalpabile, eppure c'era.
Sentì il collo pungere. Lo toccò e sulle dita trovò sangue.
«Non è reale.» Le parole di Adam suonavano lontane nel caos che imperversava nei suoi pensieri.
Il sangue continuò a sgorgare senza arrestarsi.
«Come può non essere reale?» urlò mostrandogli il palmo umido. Adam non cambiò la sua espressione apatica mentre lo osservava a pochi metri.
«Sei tu a renderlo reale, e la tua mente che vuole che lo sia.»
«No! Non è vero!» ribadì con furia sentendo il caldo liquido scendere lungo il suo collo. «Tu... tu mi hai morso...»
«No, non era reale.»
Non capiva.
Pensò alle parole di Cornelius, all'impossibilità di uno di quei mostri di nutrirsi di un Cacciatore. Allora era vero? Anche Adam poteva morire semplicemente se si fosse nutrito di lui?
Ma aveva avvertito i suoi denti nella carne, ricordava nitidamente quella sensazione. Come poteva non essere stato reale? Come poteva non esserlo adesso?
«Perché...?» chiese infine osservando quella mano diventata rossa.
«È il tuo modo di chiamarmi.»
«Cosa?» Scosse il capo con un sorriso tragico. «Tenti ancora di confondermi con le tue parole?»
Adam si allontanò dalla colonna sciogliendo le braccia e si avvicinò a lui con passi lenti ma inesorabili. Non poteva andare via, non poteva scappare da nessuna parte. L'incubo stava divenendo realtà.
«Quella ferita non è reale, è solo la tua mente che vuole che lo sia, perché vuole che io ti raggiunga.»
«Stammi lontano!» Gli intimò allungando la mano. «E taci con queste assurdità! Io non voglio altro che ucciderti.»
Adam sorrise a gli afferrò il polso torcendolo con forza. Eric strinse i denti provando a colpirlo con l'altra mano. Adam afferrò anche l'altra e le piegò con violenza dietro alla sua schiena costringendolo in ginocchio sul pavimento. Eric non riuscì a trattenere un gemito di dolore.
«Non è reale.» Gli sibilò contrò l'orecchio e Eric tremò.
Scosse la testa provando a rimettersi in piedi e sentendo il sangue scivolare sempre più copiosamente.
Alle sue spalle Adam serrò la presa facendo tendere dolorosamente i suoi gomiti piegati.
Eric urlò ancora.
«Credi che la brama del tuo sangue mi porterà da te.» Il respiro era sempre più corto, il dolore sempre più forte. «Ma io non posso nutrirmi di te, Eric, lo sai. È stato il figlio di Marcus a dirtelo.»
Cornelius...
In quel momento avrebbe voluto chiamare il suo nome. Strinse invece i denti e continuò a combattere contro la sofferenza.
Avvertì ancora il fiato di Adam contro il suo orecchio. «Non hai bisogno di quella ferita, Eric... Io sono già qui. Sarò sempre qui.»
Voltò il capo e incrociò i suoi occhi, le sue labbra vicine e l'odore pungente del sangue che emanavano.
Sentì la morsa sulle sue braccia allentarsi finché non furono di nuovo libere. Le lasciò cadere lungo i fianchi restando in ginocchio su quel pavimento di legno, sotto il calore che irradiava il fuoco e quello che bruciava nel fondo delle iridi di Adam.
Percepì poi la carezza delle sue dita sul suo collo.
Quando le portò sotto il suo sguardo, Eric vide che erano candide e pallide.
A quella vista si sentì letteralmente crollare.
Se fosse quella la vera illusione, se fosse stata quella che lo aveva tormentato da quella notte nella chiesa, se fossero i sogni che governavano i suoi sonni o l'incubo che stava vivendo in quel momento, Eric non lo sapeva, non sapeva più nulla. Non aveva mai saputo realmente nulla.
Chiunque fosse stato suo padre, chiunque fosse stato quel cacciatore di nome Victor, Eric non voleva più davvero saperlo.
«Adesso mi ucciderai?» chiese con un filo di voce che fece fatica a riconoscere lui stesso.
«Vuoi che lo faccia?» La domanda di Adam fu accompagnata da una carezza sui suoi capelli.
Eric annuì.
«Fallo.»
Era sicuro come non mai, era codardamente sicuro.
Adam gli accarezzò ancora la testa e flesse un ginocchio per essere alla sua stessa altezza.
Forse gli avrebbe rotto il collo, o gli avrebbe letteralmente strappato via il cuore, magari lo avrebbe soffocato lentamente facendogli imprimere negli occhi l'immagine del suo viso, cosicché fosse l'ultima cosa ad accompagnarlo nel lungo viaggio verso l'Inferno.
«Farà male...»
«Non importa» affermò con ridicola convinzione. Nulla avrebbe potuto fare più male di ciò che stava annegando nel suo petto.
Adam sorrise e gli sfiorò il viso ed Eric avrebbe voluto morire in quel momento, non uno dopo, perché la sensazione che gli attraversò la pelle era devastante.
«Addio, Eric.»
Fu doloroso, faceva male, Adam aveva ragione. Nel momento esatto in cui sfiorò la sua bocca con le labbra, Eric sentì il cuore scoppiare. Quando assaporò con la lingua il sangue che tingeva quella di Adam, la sua carne iniziò a bruciare come fosse gettata in quella brace vicina. Mentre stringeva quel corpo pallido contro il proprio e gemeva sulla sua bocca, Eric capì che Adam non avrebbe potuto scegliere un modo peggiore per ucciderlo.
E l'aveva fatto.
Eric era morto.



*



Riaprì gli occhi e si ritrovò davanti il verde dei prati, gli arbusti che salivano fino al cielo, l'aurora appena nata.
Sulla bocca il suo sapore, sulla pelle la sensazione delle sue dita.
Alzò il voltò al sole pallido e lasciò andare una lacrima per quel ragazzo che non c'era più.



*



Cornelius tornò a cacciare con lui qualche notte dopo. Padre Gregory era morto e un nuovo prete era giunto dalla vicina cattedrale per prendere il suo posto. A Cornelius non era stato neanche chiesto di farlo: troppo giovane. Fu una fortuna, perché in caso contrario non avrebbe potuto rifiutare ed Eric sarebbe dovuto tornare a cacciare in solitudine.
Non voleva più farlo.
«Dietro di te!» Eric si voltò e colpì il demone con un calcio prima di ucciderlo definitivamente con un paletto. Alzò lo sguardo e vide un altro giungere alle spalle di Cornelius che però era occupato a mirare al petto di una femmina a qualche metro. Il dardo partì centrando la preda ma non avrebbe avuto il tempo di colpire anche quello che stava giungendo velocemente.
«Giù!» Gli urlò Eric e Cornelius si abbassò permettendogli di lanciare il paletto e colpirlo senza errore.
«Grazie... non l'avevo visto.»
Eric assentì con il capo riprendendo fiato. Nella radura una decina di corpi giaceva a terra. Il sole stava per sorgere e avrebbero aspettato che bruciassero tutti prima di andare via.
Raggiunse un tronco tagliato e si sedette con stanchezza pulendosi le mani sporche con una stoffa logora che tirò fuori dalla tasca.
Cornelius lo raggiunse sedendosi a terra e poggiando la testa contro il suo ginocchio.
«Diventi sempre più abile, Mastro.»
«E tu sempre più distratto.» Lo richiamò ma lo udì ridere.
«Chiedo venia, ma la colpa è della tua impeccabile compagnia, Eric. Mi porta ad abbassare la difesa.»
«Quindi se ti farai uccidere sarà perché sto diventando più abile. Una bella responsabilità.»
Cornelius rise ancora e poi sollevò il capo per guardarlo. Il sorriso sfumò presto.
«Ho parlato con Sarah, stamani.»
Ingoiò un sospiro mentre continuava a togliere il sangue dalle dita con la stoffa.
«E quindi?»
Cornelius si alzò per sedersi proprio accanto a lui sul tronco.
«Sai che non mi è concesso parlare di ciò che mi viene confidato, però come tuo amico, sento il bisogno di dirti dei dubbi che stanno pervadendo la tua sposa, Eric.»
«Grazie per la preoccupazione ma non sono affari tuoi.» Provò ad alzarsi ma Cornelius gli prese una mano obbligandolo a restare.
«La vostra è stata un'unione basata su un sentimento sincero, lo so, e so anche che quel sentimento c'è ancora e che è forte... Qualsiasi cosa ti possa angustiare, Eric, non permetterle di ledere quel legame. Non dimenticare i voti che hai preso davanti a Dio: hai promesso di essere uno sposo e un marito degno dell'amore di Sarah.»
Sapeva bene a cosa si riferiva, sapeva bene che il gelo che era sceso nella loro casa era sceso anche nelle loro notti e non era più a causa di quei sogni. Non li aveva più fatti, Eric, non c'era più stata nessuna sonata e nessuna macchia di sangue. Non era più dovuto scappare vergognosamente sotto al faggio. Il suo collo non aveva più pulsato.
Adam era andato via dai suoi incubi e dalle sue paure. Eppure non aveva abbandonato i suoi pensieri ed era divenuto anche peggio, perché la pace che sembrava aver apparentemente trovato nelle sue notti, Eric non riusciva a scorgerla nella sua veglia. Adesso che non tormentava più i suoi sogni, Adam riempiva i suoi pensieri.
«Ha forse avuto qualche mancanza nei tuoi confronti, Eric?»
Scosse il capo.
«No, Sarah è...» Sospirò. «A volte mi chiedo quanto sia stato egoista a legarla a me.»
Cornelius strinse con gentilezza la sua mano.
«Non è stato egoismo, Eric, è stato amore e quell'amore c'è ancora. Devi solo riscoprirlo.»
Gli sorrideva, sincero e amico, ed Eric si chiese cosa avesse mai detto se avesse saputo la verità, se avesse saputo di Adam e delle sue labbra e di come era stato perversamente intenso sentirle sulle proprie, come era stato intenso il sapore del sangue nella sua bocca e le sue dita fra i capelli, se avesse saputo con quanta disperazione avrebbe voluto rivivere quella morte mille volte ancora.
«Lascia che vegli io per queste notti, concedi la tua compagnia alla tua sposa e cancella l'ombra che è scesa sui suoi occhi.»
Sorrise.
«Ti farai uccidere e poi dovrei venire a prenderti a calci da quell'altra parte.»
Cornelius rise e gli diede una pacca sulla spalla.
«È un rischio che sono disposto a correre, amico mio.»
«Moriresti per farmi rispettare i miei voti nuziali?» chiese beffardo cercando di non far trapelare la sua vera inquietudine.
Cornelius sorrise ancora.
«Morirei volentieri se ciò servisse a farti trovare pace, Eric.»
Quelle parole gli fecero vibrare la gola. Il sorriso di Cornelius era ancora lì, mentre l'arancio dell'alba scaldava l'oro dei suoi capelli.
«Giurami che non lo farai» ordinò serio intanto che le fiamme andavano ad avvolgere uno per uno i corpi privi di vita sulla terra. «Giurami che non farai mai una stupidaggine simile!»
«Non posso, sarebbe un giuramento che tradirei.»
Fu Eric ad afferrare la sua mano a quel punto e impedirgli di allontanarsi.
«Cornelius, non azzardarti mai e poi mai a porre la tua vita prima della mia. In nessuna occasione e per nessun motivo. Siamo intesi?» Lo guardò con sguardo di rimprovero e con una certa rabbia verso se stesso, perché non avrebbe mai voluto che qualcuno come Cornelius potesse ritenere la sua vita qualcosa che avesse così tanto valore. Non dopo tutto ciò che gli stava tacendo.
Ma Cornelius sorrise nuovamente.
«Tu lo faresti per me?»
«Non è la stessa cosa...»
«E perché? Perché tu sei un Mastro e io un Cacciatore semplice?... Sei mio amico, Eric, sei mio fratello e darei la vita per te così come so tu daresti la tua per me, e te lo impedirei allo stesso modo con cui tu vorresti impedirlo a me. Non chiedermi di fare giuramenti, chiedimi di essere prudente e di fare attenzione. Solo questo, fratello mio. Solo questo.»
Nel fondo dei suoi occhi chiari, Eric trovò un sentimento che andava oltre la semplice amicizia, oltre la condivisione per quello stesso compito, andava oltre la lealtà.
Fratello.
Eric poteva dire finalmente cosa volesse dire.



*



Sarah stava preparando la cena quando Eric rientrò chiudendosi la porta alle spalle.
«È quasi pronto...» sospirò senza voltare le spalle.
«Bene.» Raggiunse il tavolo e iniziò ad appuntare i suoi paletti, guardandola fare gli stessi gesti di ogni giorno con la stessa tristezza e la stessa malinconia.
Il suo viso era lo stesso di quando l'aveva vista quella prima volta, coperto di ferite e timori, mentre lei lo curava amorevolmente. I suoi capelli erano gli stessi che aveva fatto scorrere fra le dita quando avevano fatto l'amore la prima volta sull'erba umida, e i suoi occhi nocciola avevano le stesse venature d'ambra che gli avevano fatto vibrare il cuore.
Sarah era bella come un tempo e lui l'aveva dimenticato.
Aveva dimenticato come fosse vederla sorridere, il suono della sua risata, il calore gentile e timido delle sue carezze.
Aveva perduto memoria di quel tempo per abbracciare l'ombra soffocante di una tentazione impossibile, di un peccato privo di salvezza.
Davanti a quel fuoco Eric aveva lasciato morire i dubbi e le incertezze, e aveva lasciato morire l'uomo che aveva sposato quella giovane donna.
Non poteva più essere quell'uomo, Eric, forse non voleva neanche più esserlo.
E se poteva essere un fratello leale per Cornelius, nonostante i suoi oscuri segreti, avrebbe potuto essere un buon marito nonostante quei desideri, nonostante quella brama illecita.
Sarebbe stato un compromesso che era disposto a condividere con la sua anima; per Sarah, avrebbe potuto farlo.
Lasciò il coltello e il paletto sul tavolo e la raggiunse di nuovo avvolgendole le braccia attorno alla vita.
La sentì irrigidirsi quando le posò un bacio fra i capelli.
Quando Sarah voltò il viso per guardarlo, Eric le sfiorò una guancia e poi la baciò con dolcezza sulle labbra.
«Eric..?»
«Perdonami, Sarah.» La baciò ancora e poi ancora, mentre gli si stringeva alle sue spalle con forza.
Un velo umido le scivolò sul viso e lui lo asciugò con le dita.
«Perdonami...»
E lei gli sorrise.
«Amor mio, sei tornato? Sei tornato da me?»
Un'altra lacrima, un'altra carezza.
«Sono tornato» mentì ed ebbe ancora un sorriso, ancora un bacio.
E mai menzogna avrebbe potuto essere più dolce.



*



Eric mentì per altre notti, per altre notti la strinse fra le braccia e l'amò come gli era concesso e come Sarah meritava di essere amata.
Per altre notti Cornelius cacciò in solitudine mentre Eric guardava l'aurora sorgere dalla finestra della sua piccola camera.
Per altre notti chiuse gli occhi sentendo il cuore di Sarah battere contro il proprio petto e sentendo di amarla, in modo diverso, ma che mai avrebbe smesso di farlo.
Per altre notti si ingannò da solo, credendo che quella menzogna non esistesse, che era verità ogni bacio e ogni sospiro, e ogni lacrima.
Per altre notti Adam sparì dai suoi sogni e dai suoi pensieri, quasi fosse stato solo un fantasma mai realmente esistito.
E a ogni notte seguiva una nuova alba, seguiva un sorriso di Cornelius e una sua parola, seguiva una ferita che Eric medicava e una raccomandazione che Cornelius prometteva di seguire.
Poi giunse una nuova alba e tutto cambiò.
Sarah entrò raggiante dalla porta gettandogli le braccia al collo.
«Aspetto un figlio, amor mio. Un figlio tuo.»



*



Non erano a caccia. Era un pomeriggio grigio, ventoso, che lasciava cadere poche gocce d'acqua.
Stavano risalendo il sentiero verso casa sua quando Eric arrestò il passo. Fra le mani un paio di conigli.
«Eric?»
Cornelius si fermò a sua volta.
«Sarah è incinta.» Ogni volta che lo diceva, fosse a voce bassa o soltanto nei suoi pensieri, suonava come una dannazione.
«Oh, Eric!» L'abbraccio di Cornelius fu immediato. Le sue braccia lo strinse forte e a sua guancia liscia premette con affetto contro la sua. «Che notizia felice, amico mio!»
Se anche non avesse avuto le mani impegnate a tenere le sue prede, Eric dubitava fortemente avrebbe avuto la forza di ricambiare quell'abbraccio.
«Dici davvero?»
Alle sue parole scorse l'incredulità sul volto di Cornelius.
«Certo! È una gioia che riempie il mio cuore, Eric.» Gli sorrise sincero e gli baciò le guance. «Tu non sei felice?»
Deglutì e annuì.
«Credo di sì...» No, non lo era. Era terrorizzato, era spaventato dall'idea della vita che stava germogliando nel ventre di Sarah.
Cornelius andò al di là delle parole e scorse quella verità.
«Ricordo bene i tuoi timori sull'avere un figlio, ma non devi averne. Nessuno. Sarai un buon padre.» Gli poggiò una mano sulla spalla scuotendolo con affetto. «Aspetta di vederlo nascere e vedrai dissipare nel vento ogni paura.»
«Potrei essere morto prima che venga al mondo...»
«La morte fa parte della vita. È una tappa che tutti raggiungiamo prima o poi. Non puoi vivere però credendo che sia l'unica. C'è tutta una vita prima, una meravigliosa vita, Eric. Fatta di sorrisi e di lacrime, di dolori ma anche di gioie. Essere un padre è una delle più grandi che tu possa sperimentare. La tua missione non sarà un limite, sarà solo un insegnamento in più da tramandare a tuo figlio.»
Nella voce di Cornelius c'era una carezza per ogni parola, c'era lo stesso abbraccio con cui lo aveva stretto, c'era lo stesso calore e la stessa fiducia. Cornelius confidava davvero che sarebbe divenuto un buon padre ed Eric voleva solo essere capace di condividere quella convinzione.
«Non so cosa potrei mai insegnargli... io sento di non aver imparato ancora nulla nella mia vita.»
Cornelius gli sorrise. «L'umiltà. Sarebbe già un buon punto di partenza, non credi?»
Ricambiò quel sorriso sospirando sonoramente.
«Devo smetterla di parlare con te... Hai sempre una risposta per tutto. Dannato!» mormorò passandosi una mano sugli occhi.
Le braccia di Cornelius lo avvolsero ancora mentre se la rideva di gusto.
«Un giorno o l'altro ti convincerò anche a confessarti.»
Tentò di spingerlo via ma non c'era volontà nei suoi gesti.
«Impossibile!»
«Oh, io dico che ci riuscirò.»
«Mi stai soffocando, prete!» brontolò allungando però un braccio attorno alla sua schiena.
«Sono così felice per te, amico mio. Così felice...»
Cornelius ignorò le sue proteste e continuò ad abbracciarlo, gli passò poi una mano sulla spalle e ridendo lo invitò a bere per la lieta notizia.


Quella sera, andarono alla taverna di Briston e trascorsero la notte fra i boccali di birra e i sermoni alticci di Cornelius che, salito su un tavolo, iniziò a narrare storie che avrebbero dovuto essere scritte nella Bibbia.
Eric non sapeva se fosse così o meno, la Bibbia lui non l'aveva mai neanche aperta.
Ma sorrise mentre lo ascoltava, mentre Charles gli intimava con modi rudi di scendere dal suo tavolo e Cornelius continuava a predicare con un boccale nella mano.
Eric sorrise e rise mentre riceveva gli auguri degli uomini che bevevano con lui, uomini che non aveva mai realmente guardato, che avevano nomi e lavori e che lo avevano chiamato amico anche solo per una sera.
Quella notte non ci sarebbe stata caccia né sangue ad attenderlo. Quella notte Eric non sarebbe stato un Cacciatore, solo un uomo che presto sarebbe diventato un padre. E avrebbe imparato molto.



*



«Non avrei dovuto farti bere» sospirò mentre lo trascinava verso la chiesa di St.Thomas. Stretto al suo fianco, Cornelius ridacchiava senza reale motivo e continuava a dire quanto fosse felice.
«Sarà un figlio fortunato, Eric. Avrà te come padre.»
«Sì, sì...»
Aprì il grosso portone e lo condusse verso il corridoio che dava alle stanze dei religiosi. L'indomani tutti avrebbero avuto notizia di ciò che era accaduto alla locanda e Cornelius si sarebbe di certo beccato una lavata di capo. Era stato così insolito vederlo perdere ogni freno e controllo. Benché fosse sempre un animo gioviale e amichevole, Eric non aveva mai davvero avuto modo di vederlo così libero.
Lo portò nella sua stanza e lo lasciò cadere sulla piccola branda.
«Ora dormi senza fare troppo baccano o sveglierai tutti.» Gli raccomandò ma Cornelius era già con il viso sul cuscino e gli occhi socchiusi.
Gli tolse gli stivali e li adagiò ai piedi del letto.
«Sono felice...» gli udì mormorare.
«Forse lo sei più di me» confessò con un filo di voce sedendosi sulla branda. Cornelius aveva ora chiuso gli occhi e respirava profondamente. «Ho paura, davvero... E vorrei potertelo dire» ammise in solitudine. «Vorrei davvero poterti dire tutto, amico mio.» Lasciò andare un profondo respiro e si alzò. Prima di uscire guardò ancora il volto assopito del suo compagno.
Gli doveva tanto e non glielo aveva mai davvero detto e, sapeva, non lo avrebbe mai fatto.
Tornò accanto a lui e si chinò per posargli un bacio sulla fronte umida.
Grazie.



*



Abbandonò le stanze private della chiesa per tornare nella sua sala, con i banchi di legno e il grande crocifisso, con il pulpito in alto e il clavicembalo solitario.
Dov'era adesso?
Era andato via per sempre?
Una parte di lui lo sperava, sperava che fosse così, un'altra parte invece avrebbe voluto rivedere i suoi occhi e sentire la sua voce, un'altra parte ancora avrebbe voluto affondare l'argento nel suo petto e scoprire come era uccidere un Sire, cosa accadeva a chi non bruciava al sole, quale sfumatura avrebbe attraversato il suo viso pallido mentre gli strappava via quella vita dannata.
Una parte di lui avrebbe voluto chiamare il suo nome e attendere che rispondesse.
Sono già qui. Sarò sempre qui...
Si avvicinò allo strumento e guardò i tasti. Poteva sfiorarli, poteva suonare una sola nota.
Alzò il capo al crocifisso e, per la prima volta, si fece un segno della croce.
Voltò le spalle e abbandonò quella chiesa.
Sua moglie lo stava aspettando e con lei suo figlio.
Per quella notte Eric avrebbe dimenticato di essere un Cacciatore.
Avrebbe dimenticato la sua missione.
Avrebbe dimenticato Adam.
...
Non gli sarebbe stato concesso.



*



Arrivò davanti la sua stessa casa e lui era li, poggiato contro quel faggio che tante notti aveva atteso lui.
«Perché non hai suonato?» Lo accolse con quella domanda, mentre un sorriso si tagliava nell'ombra della notte.
«Dovevo?» Sei venuto comunque.
Dalla finestra della camera la pallida luce della candela, l'unica compagnia di Sarah.
Eric la guardò e poi guardò il volto di Adam.
«Un figlio, Eric?... Sei stato così sciocco?»
Un'altra domanda, un'altra accusa.
«Forse lo sono sempre stato» ammise sentendo l'umidità notturna scivolare sulla sua pelle e entrare fin dentro alle ossa, o erano gli occhi di Adam, era la sua vicinanza.
Non aveva armi con sé eppure non ne sentiva la necessità. Non in quel momento, non quella notte che avrebbe voluto fosse diversa, fosse unica.
Lo era stata fino a quell'attimo, forse lo sarebbe stata ancora.
Poi fu Adam a guardare verso quella finestra.
«Dorme,» disse. «Sento il suo respiro e il battito del suo cuore... li sento entrambi.»
«Senti il suo cuore?...» Come?
Adam sorrise e tornò a volgere a lui il suo sguardo.
«Dovrei congratularmi con te, credo.»
«Risparmiatelo.»
La sua debole risata strappò un sorriso anche a lui e Eric pensò fosse colpa dell'alcol che aveva bevuto. Non poteva essere altrimenti, non poteva essere per altri motivi.
Non c'erano ragioni diverse per giustificare il calore che lo avvolse quando Adam si avvicinò, per spiegare il batticuore che tuonò nel suo petto quando gli fu di fronte e le sue labbra si aprirono ancora.
«Potrebbe essere un addio, Cacciatore, se è ciò che vuoi.»
«È già stato un addio, Adam.»
Inclinò la testa di qualche grado e sorrise ancora.
«Amo gli addii, sono affascinanti nel loro essere saturi di vuoto. Dovrebbero segnare una fine, eppure cos'è una fine se non un diverso inizio?»
«Ripetilo quando ti avrò piantato un paletto nel cuore.»
Un'altra risata, che però si spense presto, prima che quegli occhi verdi lo inghiottissero.
«Credi ancora di poter tentare?»
«No, credo di poterci riuscire.»
Adam lo guardò a lungo, in silenzio, poi mosse un solo passo indietro e scostò il lungo mantello nero con un gesto del braccio.
«Dimostramelo. Stanotte.»
Un fremito attraversò la sua schiena ed Eric sentì le mani vuote. Le strinse in due pugni e accettò quella sfida. Forse l'ultima; forse, finalmente, la prima.
Il primo attacco andò a vuoto e Adam lo colpì allo stomaco con una ginocchiata. Tentò ancora, stavolta afferrandogli un braccio, ma Adam sfuggì dalle sue mani quasi fosse solo acqua, impossibile da trattenere.
Eric si voltò e riuscì a schivare un pugno, ma non il secondo che lo colpì alla spalla. Non evitò neanche il calcio, né la gomitata che lo fece tossire con forza.
Si poggiò barcollando contro il tronco alla sua sinistra, pulendosi le labbra sporche di sangue con il dorso della mano.
«Ti arrendi?» Adam lo fronteggiava impavido e privo di una sola ferita.
Scosse la testa con affanno e si aprì in un semplice sorriso di puro orgoglio.
«Mai.»
«Hai fatto la tua scelta, allora.»
Eric guardò la sua mano sporca di sangue e ne sentì il sapore in bocca.
Fu un pensiero fulmineo, un'idea assurda eppure che non seppe scacciare.
Si lasciò poggiare totalmente con le spalle contro il faggio in attesa che lui lo attaccasse.
Ogni attimo che ne seguì parve atrocemente lungo, ma quando Adam gli fu di fronte con gli occhi di fiamme verdi e il pallore di quel viso a un soffio, con le sue dita attorno al collo, Eric non esitò: si sporse e poggiò le labbra sulle sue, lasciò che si schiudessero e che la sua lingua scivolasse nella sua bocca.
La morsa sul suo collo si allentò e fu lui ad afferrare il collo pallido di Adam, e a spingerlo contro il tronco.
Continuò a lambire le sue labbra con rabbia e disperazione. Finché non sentì le sue mani spingerlo via.
Ricadde violentemente a terra e lo udì tossire più volte.
Sollevò il capo e lo vide piegato sulle sue stesse ginocchia mentre continuava a tossire coprendosi la bocca con il palmo. Dense gocce di sangue presero a colare dalle sue dita.
Si sedette con affanno sull'erba, chiedendosi perché non fosse ancora corso ad afferrare il paletto celato nel manico della sua ascia,conficcata a pochi metri; chiedendosi perché stesse provando quella strana sensazione allo stomaco mentre lo guardava tossire senza tregua. Eric si chiese se la morte di Adam avesse davvero significato una fine.
Cos'è la fine se non un diverso inizio?
«Che mossa sleale...» Furono le prime parole che gli sentì sospirare. Adam spostò la sua mano e mostro le labbra e il mento sporco di sangue, i suoi occhi chiari freddi come ghiaccio. «Degna di Victor.»
Fu Adam a rimettersi in piedi per primo, non senza mostrare una certa difficoltà. Non si curò di pulire il viso, non si curò di pulire le sue dita che pendevano ancora umide ai suoi fianchi.
Eric si rialzò velocemente e in quel momento capì che l'aver esitato lo aveva condannato.
E pensare che era stato proprio Adam, quella lontana notte, a riprenderlo per quella debolezza.
«Ma poche gocce del tuo sangue, Cacciatore, non possono nulla.»
L'immagine che aveva di fronte era così diversa dal solito, così lontana da come aveva imparato a conoscerlo. Non c'era l'algido uomo che lo aveva affrontato più volte, che lo aveva torturato nei suoi giorni e nelle sue notti. Le sue dita non erano le stesse che danzavano agili sui tasti di uno strumento. Ora, mentre Adam gli puntava contro l'indice sporco di sangue, Eric pensò che sembravano più gli artigli di una fiera, i suoi occhi quelli di un rapace; i suoi denti, zanne pronte a dilaniare e divorare.
Solo adesso, Adam era il mostro, la bestia che aveva sempre creduto ed Eric, stranamente, non ne ebbe timore.
«Avanti, allora. Che aspetti?» lo incitò, conscio di quanto di lì a poco se ne sarebbe pentito.
Ma Adam non attaccò. Adam abbassò il braccio e sciolse il suo mantello nero che cadde alle sue spalle senza far rumore. Si sfilò anche la giacca rossa e la gettò a terra senza smettere di guardarlo.
Eric deglutì una certa inquietudine guardando le sue dita macchiare la candida camicia mentre ne scioglievano i piccoli nastri che la tenevano unita. Quando la stoffa fu slegata, i suoi occhi scrutarono la pallida striscia di pelle che si intravedeva al centro.
«Cosa credi di fare?» Non si chiese se fosse trapelata la sua agitazione, la sua inquietudine per quei gesti che non capiva. Quando Adam fece scivolare via dalle spalle anche la camicia restando con il dorso nudo sotto i suoi occhi, Eric non si chiese se fosse riuscito a leggere ciò che li stava attraversando.
«Ti mostro quanto tu sia simile a tuo padre, Eric.»
«Cosa-?»
Non terminò la domanda, perché Adam si voltò mostrandogli la schiena e a quel punto Eric vide una profonda cicatrice che l‘attraversava diagonalmente, dal fianco sinistro alla spalla destra.
Sembrava la ferita di una spada ma più che l'arma, ciò che gli fece galoppare forte il cuore, fu capire a chi apparteneva il braccio che l'aveva inflitta.
«Mio padre...» sospirò debolmente.
«Quella mattina sulle sponde del lago. C'eri anche tu.» Adam si voltò nuovamente ma non raccolse i suoi abiti da terra. «Fra le lacrime, mi chiese di risparmiarti e io lo feci. Risparmiai la vita di quel bambino.»
Eric lo ascoltò in silenzio mentre lo vedeva avanzare verso di lui.
«Ma decisi di risparmiare anche la sua. Mi voltai e andai via e a quel punto, mentre ero di spalle, come un vigliacco, mi colpì.»
Il respiro crebbe quando gli fu di fronte.
«Stavo per ucciderlo, stavo per prendermi la sua vita, e lo sai cosa mi disse mentre tenevo il suo collo in questa mano?... “Un giorno mio figlio completerà l'opera.”»
Le labbra di Adam sorrisero fra il sangue che ancora le tingeva.
«Avrei dovuto uccidere lui e uccidere te, ma decisi di non farlo. “D'accordo, Victor” gli dissi. “Fa' solo che ne sia all'altezza.” Tu a quel punto mi guardasti. Tremavi e piangevi, e pensai che non ne saresti mai stato in grado.»
Eric sentì le dita di Adam afferragli i capelli prima che le sue labbra sanguinanti fossero sulle sue e stavolta il sapore del sangue che invase la sua bocca, era quello di Adam.
«Vuoi chiedermi la stessa cosa, Eric?» gli chiese poi con un fiato che arse la sua carne. «Vuoi che risparmi il figlio che ancora non hai tenuto fra le braccia affinché porti a compimento ciò che hai fallito tu?» Fu ancora un bacio, rabbioso e umido.
«Io non fallirò» ansimò sentendosi sbattere contro il tronco. «Non fallirò.»
Di nuovo le sue labbra, di nuovo il sangue sulla sua lingua.
Eric fece scivolare le mani sulla sua schiena e sentì sotto le dita la profonda cicatrice che la dilaniava.
Poi furono le mani di Adam a vagare sul suo corpo, a lacerare la sua casacca con un gesto deciso, a strappare via la sua cintura di cuoio e a premere contro il suo corpo.
Sentì il fiato mancare e il cuore distruggersi in mille battiti mentre il peccato che aveva consumato numerose volte sotto quello stesso faggio sembrava impallidire di fronte a ciò che stava vivendo in quel momento.
Le dita di Adam lasciarono striature rosse lungo la sua pelle, le sue labbra bruciarono ogni volta che toccavano le sue.
Il suo viso fu graffiato dalla corteccia quando si ritrovò premuto contro il legno.
Non seppe dire se urlò, se pianse, se gemette soltanto; mentre Adam lo uccideva nuovamente e mentre Eric, sapeva, lo stava uccidendo a sua volta.
Sotto una luna sfumata e il freddo dell'ultimo autunno, fra le coperte delle fronde di un faggio, morirono entrambi.
Non ci sarebbe mai stata alcuna vittoria, per nessuno.



*



Poi fu silenzio, fu vento, fu freddo, poi fu di nuovo solitudine.
Eric non si voltò per vederlo andare via. Alzò solo lo sguardo verso la sua casa: dalla finestra non veniva più alcuna luce.
La candela si era consumata tutta.












***













NdA.
Il prossimo sarà l'ultimo.
Grazie per aver letto e seguito questa storia con affetto. Mi ha appassionato più del previsto e, non avrei creduto di poterlo dire, la concludo con una certa tristezza.
Mi scuso se ho aggiornato a cadenze così irregolari, ma come già detto in precedenza, è una storia che riuscivo a scrivere solo con un certo stato d'animo.
Ringrazio ognuno di voi per il tempo dedicato a queste parole, e un abbraccio a chi a lasciato un commento con cui coccolare un po' la piccola fanwriter che vivacchia nella mia anima ^^
Ho altri progetti targati Hiddlesworth, ma per adesso, terminata questa storia, mi prenderò una piccola pausa dalla RPS. Ho monopolizzato il fandom anche per troppo tempo u///u
È stato piacevolissimo condividere con voi le emozioni che mi scatenano questi due figlioli.
Alla prossima avventura ❤
Kiss kiss Chiara

P.S. Anche la sonata di Adam, presente in questo capitolo, appartiene al caro Scarlatti ed è la “Sonata in D minor, K. 141.”
Se vi andasse di ascoltarla, questa è la meravigliosa esecuzione di Jean Rondeau. Buon ascolto.
  
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