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Autore: Mary_la scrivistorie    06/04/2014    6 recensioni
Annabelle De Villiers è la figlia di Gideon e Gwendolyn, gli ultimi di un cerchio di viaggiatori nel tempo. Ormai il segreto è stato svelato e tutto è finito. Questo, almeno, secondo lei. In verità esistono 12 viaggiatori nel tempo ALTERNATIVI, perché il crudele conte può sfruttare un'altra occasione. E, stavolta, è compito suo impedire il suo desiderio. Mille avventure, risate e sentimenti. Ispirato a una saga che mi ha cambiato la vita.....
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  1. Mezzanotte di primavera, 2031, 13 aprile.
 
E’ incredibile quanto l’uniforme scolastica della Saint Lennox possa essere fastidiosa. Me ne stupisco anche adesso, due anni dopo questa storia. E’ di un colore giallo-verdognolo e si abbina malissimo con la gonna a balze che ogni giorno sono costretta a indossare. Ma quella serata, mi dimenticai perfino di togliermela. Non che in confronto alla storia sia un dettaglio rilevante, ma è stata la mia prima avventura, e non potrei mai dimenticarne qualcosa…
 
«Conclusione? Sintassi?», sbraitava mia cugina dall’altro capo del telefono. Helen Bertelin per me era ciò che zia Leslie era per mia madre. Inseparabili amiche, compagne di avventure, cugine molto unite.
«Non ci sono ancora arrivata.», puntualizzai con una nota di disprezzo nella voce. Odiavo i temi grammaticali che Mrs Wetness ci affibbiava qualvolta le capitasse di beccare una di noi due a non prestare attenzione alle sue parole.
Questa volta eravamo state entrambe smascherate a chiacchierare, e ci aveva punito con un testo di nove pagine. Così, trascorsi quel sabato sera sul letto a scrivere con una mano, il telefono infilato tra l’orecchio e la spalla e un torcicollo incessante.
Comunque, stavo appunto scrivendo questa conclusione:
Quindi, la sintassi e la morfosintassi hanno aspetti comuni, ma non uguali. Basti pensare alle differenze lessicali delle due parole, e al prefisso che una delle due ammette.
Pensavo di aver fatto un bel lavoro, quindi chiusi di scatto il libro, lasciando dentro il protocollo (già tutto inzuppato d’inchiostro della mia penna super macchiante) e appoggiai la testa sul cuscino con ricamate le lettere:
A.D.V
Annabelle De Villiers. Figlia dei celebri viaggiatori del tempo Gwendolyn Shepherd e Gideon De Villiers. Del rubino e del diamante. Del 12 e dell’11. E non dimentichiamoci: nipote di Lucy Montrose e Paul De Villiers, lo zaffiro e la tormalina nera.
Già, mio padre e mia madre, per quanto si sforzassero, non potevano celarmi tutto. Avevo letto soprattutto qualche brano degli Annali dei Guardiani. Avevo l’intelletto di mio padre – per fortuna, a quanto mi disse zia Charlotte da giovane l’unica passione di Gwenny erano i film, e sospetto ancora che non fosse una bugia – ma la curiosità e la testardaggine di mia madre. Anche dal punto di vista fisico ero d’intermezzo: capelli neri e riccioli – colore di mia madre, boccoli di mio padre – e gli occhi verdi del diamante. Anche io, come mia madre, avevo una voglia sulla tempia, ma era a forma di scorpione. Helen diceva che era molto più figo così, ma io non le credevo davvero.
Insomma, fu davvero un bel sussulto quando la porta si spalancò e l’altra mia cugina (di secondo grado) entrò. Susan Montrose. Identica a zia Charlotte. Capelli rossi, incredibilmente lucidi – ma a differenza della madre lisci – , occhi azzurri, aggraziata, con un sorriso molto seducente e due fossette adorabili. Non ricordavo bene che aspetto avesse zio Gordon, lui e zio Charlotte avevano divorziato quando il mostro era ancora un mostriciattolo di sette anni. E il cognome Gelderman era stato sostituito da un leggiadro Montrose. Susan era l’orgoglio di famiglia, in pratica, eccelleva a scuola e sapeva suonare alla perfezione violino e arpa, a detta della zia due strumenti di inequivocabile raffinatezza e valore artistico. Lady Arisa non faceva che elogiare ogni sua qualità, l’educazione, il rispetto, l’innato talento, la sincerità, la cordialità, la regalità. Diceva che sembrava lei in miniatura, forse più di zia Charlotte. Adesso che il cerchio dei dodici era ufficialmente chiuso, la nonna – okay, la mia trisavola per essere più precisi, ma rimane un concetto così strano…Come il fatto che la mia vera nonna fosse Lucy e non Grace…io considero quest’ultima mia parente più stretta, dato che non avevo mai visto Lucy e Paul – poteva benissimo lasciar perdere il fattore X e allenare – pardon, educare – i suoi otto nipoti.
Senza divagare, Susan mi rivolse un sorriso ampio, a trentadue denti. «Ciao, Bell. Ho lasciato qui la mia giacca. Stasera ho un appuntamento, sai? Con Kellan Faulks.»
Riuscii a borbottare un neutrale: «Buon per te, Susie.»
«E’ il ragazzo più popolare del quarto anno, e credo che sia un onore per lui conoscere una persona così simile a lui e accomunare i nostri interessi intrecciando i nostri fili…», iniziò a raccontare. Non sapevo se facesse apposta a vantarsi, ma chiacchierona così non lo era molto spesso. Alla fine, la smise e notò: «Tu non sei uscita, Annabelle?», chiese, fingendosi sorpresa.
«Ho dovuto terminare il tema.», le rammentai, di malumore. Possibile che lei fosse più perfettina di zia Charlotte?
«Già. Comunque, Annabelle, diciamo che è stata una punizione giusta. Non dovete interrompere sempre le lezioni con le vostre discussioni sui ragazzi e sui film.», abbozzò un sorriso soddisfatto e mistico.
Quel mistico che nessuna ragazza poteva eguagliare. Dannazione! Stregava i ragazzi come se fosse una bomba sexy, e invece era tutt’altro. Bella, certo. Ma non sexy, di sicuro. Una violinista!
Per quanto mi riguardava, davo pienamente ragione a Helen. Sembrava che fossimo reincarnazioni future dei nostri genitori. Però ricordo che mia madre è finita con Gideon – il diamante! Apprezzo la bellezza anche se l’ho ammirata un sacco di volte: l’occhio non si abitua facilmente – ! Helen, a modo suo, era persino più bella di Susie. I capelli lunghi color bronzo, gli occhi verdi – i miei occhi – e un fisico da far invidia a ogni sedicenne. Era molto snella, ma molto davvero, esile come un fuscello e alta più del mio metro e settanta.
Ritornando alla beneamata storia, Susan lanciò uno sguardo sprezzante al cellulare: «E dunque passerai tutta la serata a rimbambirti in cerca di qualcuno con cui messaggiare?». Schioccò la lingua, contrita.
«In tal caso, non te ne dovrebbe importare.», replicai con tutta la scortesia di cui ero capace. Mamma era un po’ più bassa della zia Charlotte, ma io superavo Susan di una spanna buona. Suppongo che abbia preso l’altezza dal minuto padre, il cui volto mi era ignoto, con un grande punto interrogativo a cui, prima o poi, avrei risposto.
«Annabelle, non ti importa davvero nulla della figura della nostra famiglia? I Montrose?», chiese, con un sorriso insolente sul volto. Godeva della mia incertezza. Uno a zero per lei. 
«Mostra ciò di cui sei veramente capace.», mormorai, con aria di sfida. 
«Te lo ricordi ancora? Brava la nostra Annie. Allora, dovresti cercare di attenerti al suo significato, cara. Per il tuo bene.», sibilò, con aria strana. Non potei analizzarla meglio perché gettò la chioma all’indietro e fuggì impettita di camera mia.Il suono della sua voce era stato davvero…mmh…non solo consapevole, ma anche abbastanza provocatorio, intimidatorio, minaccioso. Il tono di quando dopo un’umiliazione cercava di sfruttare il suo asso nella manica. Qualcosa mi suggeriva che conoscesse verità di cui io ero perfettamente ignara. Era l’ora di frequentare più spesso Susan.
Il cellulare era ancora in chiamata, e Helen aveva udito tutta la nostra conversazione.
«Annabelle, devi scoprire ogni cosa che Susan potrebbe rivelarti. Anche a costo di diventare una perfettina e recitare la parte del litigio con me. Intese?», chiese, e io chiusi automaticamente gli occhi, disgustata.
«Ti prego, no.», implorai ma aveva già attaccato.
Sospirai, malinconica. Scesi di sotto. Oh, cavolo. Lady Arisa aveva organizzato una festicciola. E io ero in uniforme ancora. Mia nonna mi intravide subito e mi cacciò dentro il ripostiglio: «Fila a cambiarti, bambina, o Mr Bernhard ti riporterà subito a casa di tua madre.», sibilò. Era incredibile quanto si sforzasse per non muovere i muscoli del viso. Lo faceva per apparire più composta ed elegante, dice nonna Grace.
Risposi con un cortese: «Certo, nonna.»
Lady Arisa parve rianimarsi. «Scusami tanto, Annabelle, ma Susan è fuggita e tutto sta andando male. Kendrick De Villiers era qui per esserle presentato – affari post-cerchio dei dodici – e non so cosa fare con quel ragazzo. È un ribelle nato, e ha già rotto il Vaso degli Arcangeli. Mi serve il tuo aiuto, tesoro.»
Aveva un’aria così agitata e disperata che annuii commossa. Non era un palo rigido, poteva flettersi un po’…
«Molto bene.» ritornò al suo tono distaccato e freddo.
Non è che fossi una ragazza da gran galà. Gli unici vestiti carini da sera che possedevano li avevo usato per andare a delle feste al mare, a Plymouth. Ne avevo uno color verde marino che s’incastonava alla perfezione con i miei tratti del viso, ma era davvero aderente – taglia per i 14 anni – e semplice per una serata dalla nonna. A Bourdon Place, numero ottantuno. Gli altri abiti erano davvero sgargianti e inutili. Allora, mi venne un’idea. Frugai nell’armadio di Susan. La combinazione per aprirla era davvero banale, dubitavo che fosse stata una sua idea, ovvero la sua data di nascita. 230696.
Il suo vestibolo era da uno WOW contornato di cotta all’istante. Zia Charlotte teneva a sua figlia, evidentemente. Un sacco di vestiti: dal beige più tenue fino all’azzurro più intenso. Alla fine, optai per un abitino color rosa tenue, che risaltava i miei occhi. Stranamente, mi calzava davvero bene. Mi truccai anche, leggermente.
Quando scesi, Lady Arisa mi scoccò uno sguardo condiscendente e soddisfatto. «Sei davvero molto carina, Annabelle. Quell’abito è stato un mio regalo per tua cugina, ma è un pasticcio abbinato con i suoi capelli e dunque lo ha sempre evitato. Sono contenta che lo abbia trovato tu.», spiegò con un piccolo sorrisetto.
Zia Charlotte era in un angolo a parlare con Cynthia Dale. La riconoscevo, anche se era cambiata tantissimo. Sembrava una di quelle star famose che schiantano tutti. Capelli biondi morbidi e arricciati, occhi risaltati da una bella matita blu e labbra decorate da un rossetto rosso scuro. Non appena la zia mi vide, mi raggiunse.
«Dov’è Susan? Dille di scendere, Annabelle. E perché sei scesa tu? Se ti vedesse quell’arrogante De Villiers…»
Ah-aha! Non sapeva nulla della fuga della figlia?
«Temo che al momento Susie sia un po’…mmh…indisposta, ecco.», ammiccai.
La zia corrugò la fronte: «E’ malata?»
«Sì, più o meno. E ha spedito me, al posto suo.»
Zia Charlotte commentò acidamente: «Spero che sappia quel che fa. Vado a trovarla.»
Io la bloccai: «No…ecco, è andata da mamma e Gideon. Eravamo in Holland Street e si è fermata dicendo di stare per vomitare. Dunque l’ho accompagnata lì. Se vuoi, puoi andare a trovarla.», inventai, cercando di inserire dettagli.
«Non posso lasciare la festa. Magari domattina.», disse, allontanandosi.
Non c’erano molti miei coetanei alla festa, e la maggior parte di loro era di ricca famiglia e stava fra essa con un sorriso mellifluo sul volto scolpito e curato, senza mostrare la dentatura però. Erano tutti perfettini patentati. Capivo perché fosse Susan la pupilla di Lady Arisa per partecipare a queste serate.
Lady Arisa stava parlando con una famiglia prestigiosa, di cui non ricordavo più il nome. Anche tra loro c’era un mio coetaneo. Mi avvicinai, speranzosa d’improvviso. Magari era simpatico.
La nonna mi sorrise benevola e mi presentò: «Questa è la mia incantevole nipote, Annabelle.»
La donna era alta più di un metro e ottanta, bionda, cotonata, con uno sguardo ferreo e glaciale. Fissò il mio inchino – abbastanza aggraziato rispetto al solito – con un’aria snob e sprezzante.
L’uomo mi squadrò e sicuramente gli apparivo penosa. Decise di salvarmi, però. «Annabelle! Che nome stupendo. Non assomigli affatto a tua cugina Susan, se non nel tratto del setto nasale – esile e leggiadro, che solo una vera Montrose può possedere.»
«Grazie, Mr Bennett.». Il nome mi fu suggerito solo con le labbra dalla nonna.
«Molto bene, conosci già il mio nome! Noi proveniamo dall’Aberdeenshire.»
«È una delle regioni della Scozia che preferisco! E quindi siete scozzesi! Che adorabile scoperta!», civettai un po’. Lady Arisa era davvero alle stelle. Altro che Susan!
«Scozzesi con una tendenza francofila. Non dovete dimenticarlo.», intervenne la donna. La sua voce era sensuale ma eccessivamente distaccata e snob.
«Me ne rammenterò, Mrs Bennett.», promisi con un sorrisetto timido. Lady Arisa stava per fulminarmi.
«Prego? Sono Mrs Carols, io. Questo è mio fratello, non ancora sposato, Mark. Mio marito purtroppo è assente, e sono venuta con mio figlio Jules.», puntualizzò, con un sorriso malvagio sulle labbra sottili. «Lady Bishop, non avete informato la vostra cara nipote su ciò?»
«Non ne ero a conoscenza, signora. Non lo trovo un reato così grave.», dissi sibilando quasi.
Jules s’intromise. «Madre, appoggio la fanciulla.»
Lady Arisa gli sorrise condiscendente mentre sembrava che volesse uccidere me. «Perché voi due ragazzi non andate a prenderci dell’ottimo punch, là in fondo?»
«Certo, Milady.», disse il ragazzo con un minuscolo inchino.
Jules era un ragazzo alto, snello ma con un torace muscoloso, capelli neri e occhi azzurri.
«Che bel nome, Jules. Come Verne.», tentai di arruffianarmi.
Lui si voltò verso di me e mi mormorò: «Adesso puoi smetterla con questa messinscena.», mi suggerì. Il suo tono era gentile e premuroso.
«Come vuoi tu.», dissi, preparando il bicchiere per mia nonna. «Ma era tutto vero. Anche che adoro l’Aberdeenshire.»
«Ci sei mai stata?», chiese, incredulo.
«Certo, ci vive la mia pro-pro-zia Maddy, adesso, con suo marito Agus.», rivelai sincera.
«Allora, Jules…suoni qualche strumento musicale?», chiesi, curiosa. Magari non suonava l’arpa e il violino. Magari il gong, o comunque una cosa strana.
«Scherzi? Ho una band. Suono la chitarra elettrica.», mi sorrise.
«Davvero?». Ero sbalordita. Supponevo che si potesse trattare soltanto di uno scherzo, e poco credibile, anche. 
«Davvero. Però sono orgoglioso anche di come me la cavo con la cornamusa.», ammiccò.
«Wow. Ti posso porre una domanda un po’ imbarazzante e strana?», domandai.
«Ovvio. Sono le domande che preferisco.»
«Indossi spesso il kilt?», chiesi, super-curiosa.
Scoppiò a ridere. «No, in realtà, signorina. Preferisco dei comodi jeans.»
«Tu indossi i jeans?», chiesi, interdetta.
«Che c’è? È così strano?»
La verità era che Susan considerava i jeans spazzatura, e li insultava dicendo che ogni suo amico aveva tanta classe da rifiutarli. Adesso potevo contraddirla.
«È bello poter sapere che anche le persone come te li indossano.», notai.
«Le persone come me?», citò, senza capire. «Ti assicuro che sono normale.»
«Certo! Si vede dai tuoi indumenti e, soprattutto, dalle parole che usi. Sei un benestante.», sbuffai. Okay, forse avevo esagerato. Ma solo un po’. Se era minimamente superficiale come la madre, non rimpiangevo affatto quel discorso.
«Parla quella che vive in un castello
«È casa di mia nonna. Io vivo in Holland Street.», precisai.
«Conosco le ragazze come te, sai? Siete quelle ragazze che si reputano normali perché sono meno ricche di altre, e giudicano loro come snob. In realtà, le uniche cretine siete voi.», mormorò e fece per andarsene quando urtò contro un altro ragazzo, un po’ più grande di me. Era davvero bellissimo. Occhi ambrati, come quelli di un lupo. Occhi che riconoscevo perché erano identici a quelli di zio Falk – anche se quelli di questo ragazzo erano venati anche di un nocciola chiarissimo. Non faticai a capire chi fosse. Kendrick De Villiers. Alto, riccioli color cioccolato, viso scolpito ad arte, labbra piene che facevano creare anche in una mente innocente pensieri peccaminosi, un fisico da Adone, uno splendore disarmante. Cavolo. Chissà se mia madre si era sentita così quando aveva visto mio padre per la prima volta. Il ragazzo versò – era un’azione visibilmente volontaria – un po’ della sua aranciata sulla giacca raffinata da snob di Jules – all’inizio sembrava così carino! Che tenga la sua macchia per sempre! Jules alzò lo sguardo verso il ragazzo ed esaminò i suoi muscoli. Alla fine decretò: «Scusa se ti sono venuto addosso.»
Kendrick digrignò: «Scusati con la fanciulla, piccolo, piuttosto.»
Jules sorrise con innocenza spettacolare: «E di cosa?»
«Di averla insultata. La prossima volta non toccherà alla tua giacca, ma ad un’altra parte del tuo corpo. Adesso, fila via!»
Jules fece come richiesto, sbigottito.
Kendrick mi squadrò negli occhi, preoccupato.
«Tutto bene?», mi chiese, con un tono protettivo.
«Hai appena versato dell’aranciata sulla giacca di Jules Carols.», constatai, anch’io sbigottita.
Il ragazzo scrollò le spalle. «Mi sembrava che ti stesse infastidendo, quel cretino. Ho fatto la prima cosa che mi è passata per la testa.»
Annuii. Lui mi stava fissando intensamente e io ricambiai con tutto il coraggio che avevo – e osando molto.
Alla fine, mi chiese: «Tu sei Susan? Mi era stato detto che avevi i capelli rossi.»
Perfetto. Mi aveva salvata pensando che fossi una Montrose violinista! Semmai pianista e tastierista.
«Susan è mia cugina. Io sono Annabelle De Villiers.», spiegai, con un sorriso – sperai – magnetico alla miglior maniera Susie.
Sul suo volto non apparvero, come avevo creduto, stupore o delusione. Era consapevole e abbastanza contento. «La figlia del diamante e del rubino?»
Annuii nuovamente con un cenno del capo e lui mi sorrise.
«Siamo cugini di quinto o sesto grado, mi pare.», disse lui, con un’aria impenetrabile.
«Ne ho troppi, di cugini, e ne conosco in minima parte.», affermai.
«Ci credo, sei sia una Montrose che una De Villiers. Come tua madre. In te si uniscono entrambe le linee di sangue, anche se hai più geni De Villiers.», disse, e mi ricordò Susan. Era un ragazzo sicuramente più sincero e cordiale, ma avevano in comune lo stesso cervello e la stessa leggera prepotenza, superiorità.
«Mmh.», osservai intelligentemente. «Ormai non importa più. È tutto finito. Negli Annali è specificato perfettamente che i viaggiatori nel tempo sono soltanto dodici.»
«Se così non fosse, dovresti stare all’erta. Perché sicuramenti saresti la quattordicesima tra i viaggiatori nel tempo.», ammiccò.
A-ah, era forse una minaccia? «E chi sarebbe il tredicesimo?»
«Beccato.», sfoderò un sorriso sghembo.
«Tu? E perché? Cioè, potrebbe benissimo essere un altro discendente dei De Villiers!», precisai.
«Io sono il discendente diretto dei gemelli corniola. Di entrambi. Sarei un intermezzo fra tuo padre e tuo nonno.», rivelò.
«Mio zio?», scherzai.
«Sai benissimo cosa intendo.», sorrise. «Ci sarebbe un mito, una voce…»
«Ossia?». Oddio, se ero curiosa. Era questo il genere di cose per cui impazzivo. Le cosiddette astruse poesie dei Guardiani – per chiamarle come le soprannominava la mamma – mi avevano sempre affascinato. Ero una patita di enigmi irrisolti e di dubbie origini.
Ero stata ad un passo da propormi come adepto – già, l’attività dei Guardiani non si ferma mai, in pratica. Tuttavia mio padre era stato categoricamente contrario all’informarmi su cosa lavorassero adesso lo zio Falk e gli altri.
«I viaggiatori potrebbero rinascere. Reincarnarsi.»
Ma chi se la sarebbe bevuta, questa? Pensavo che quel tizio fosse più realistico, invece, eccolo qui, come tutti gli uomini, a inventare cose assurde. La storia della reincarnazione poi era la parte più spiritosa.
«Non credo che possa esistere questa possibilità. Sul serio, è davvero improbabile.», replicai, indurita e leggermente delusa.
Lui mi lanciò un sorriso un po’ superiore ma comunque smagliante. «Devi allenare un po’ la tua fantasia, Annabeth. Tutto può accadere.»
Ma chi si credeva di essere? Forse non sapeva che ero famosa in tutta la scuola per la mia fervida immaginazione e creatività, solo che potevo riconoscere un evento impossibile! Volevo ribattere tutto ciò con un sibilo intimidatorio, ma mi uscì uno squittio: «Annabelle.»
Mi rivolse un sorriso arrogante e con ogni probabilità voleva aggiungere un’ultima stoccata – è così che Helen chiama ogni replica di una discussione, di un dibattito – ma fu in quel preciso istante che una voce esclamò: «Tu devi essere Kendrick De Villiers!»
Era Susan. Con un tempismo incredibile. Era leggermente trafelata, ma comunque si posò la mano su un fianco in una posa che sembrava spontanea ma sexy, e un sorriso seducente e bianco. Lo stava già ammaliando, con la sua vergognosa perfezione.
Il ragazzo – nessuno comunque poteva essere più vergognosamente bello di lui – ricambiò il sorriso con leggera sorpresa. «Susan Montrose?»
Lei annuì. «Sì, è un piacere conoscerti, finalmente.». Le parole sembravano studiate, lei non provava né imbarazzo né un senso di mancanza di autostima in mezzo a quegli snob.
«Il piacere è tutto mio.», ammiccò lui. Le stava osservando le lunghe gambe. Provai una fitta di fastidio.
Lei non sembrava fare caso a dove puntasse il suo sguardo. Il suo abito era di satin nero, con una scollatura abbastanza generosa.
Kendrick oltrepassò le gambe e si concentrò sui suoi piedi. I piedi di Susan erano minuti, graziosi, ma, chissà, forse lui era uno di quegli strambi ragazzi a cui i piedi sembravano una ragione di vita. Forse li avrebbe trovati troppo piccoli. Che poi questa fissa era inconcepibile: se profumassero, almeno! Ora, Susan era così perfettina che i suoi dovevano essere profumati per forza, ma non osavo testare di persona. Come precauzione.
D’altro canto, Susan aveva l’abitudine di usare un’acqua di colonia indimenticabile, che ti lasciava il segno. Mi pareva che il suo nome fosse Eau de Sirens. Ma non aveva alcuna importanza. Susie poteva avere tutte le arti femminili del mondo, ma non era una ragazza così interessante.
In ogni caso, Kendrick non sembrava trovarla indifferente.
«Perfetto. Lady Arisa ha cercato da sempre di combinare un nostro incontro.», cennò mia cugina, sempre sfoggiando il suo irresistibile sorrisino.
«Sì, e anche mia madre. Mrs Rebecca. Sforzi davvero impegnativi, date le circostanze di questa festicciola.», replicò lui.
Oddio, parlavano proprio come due snob normali. Dovevo cercare di scappare. Mentre tentavo di elaborare un’efficace via di fuga, sentii una fitta lancinante alla testa. Durò per circa un paio di secondi, ma la sua intensità bastò a farmi cadere in ginocchio sul pavimento. Il bicchiere pieno di punch destinato a Lady Arisa finì in terra, e dal punto in cui l’oggetto cadde cominciò a apparire una grossa chiazza purpurea. La visuale intorno a me iniziò a sbiadirsi e velarsi, come se fosse un sogno, un ricordo. Susan si era accorta di tutto, ma finse di non avermi notata neanche. «Certo, ma sarà comunque una bella serata. Sempre piacevoli le feste qui a Bourdon Place, numero 81! Io mi sono sempre divertita un sacco. Quanti anni hai, Kendrick?»
Il ragazzo invece aveva scoperto il mio problema un attimo più tardi – dopo aver distolto lo sguardo da Miss Sono-bella-e-me-ne-vanto alias mia cugina – ma di sicuro si era molto più preoccupato.
«Oh mio Dio! Annabelle!», esclamò, reggendomi per una spalla.
Perlomeno, aveva azzeccato il mio nome. Intanto ero mezza svenuta, come da copione, e Susan continuava a farneticare finché non si accorse che né a me né a lui fregava nulla, quindi scelse di fare la miglior cosa che sapeva fare, ovvero screditarmi.
«Oh, lascia pure mia cugina. Soffre spesso di attacchi di sindrome fantasma, solo per essere considerata e raggiungere il centro dell’attenzione per una volta. Potresti benissimo mollarla nel ripostiglio, nessuno se ne rammaricherebbe.», spiegò, con un tono aspro e malizioso.
Che stupida! Non sapeva come riportare in seduzione il ragazzo, ovviamente. Ormai era uscito dall’ipnosi.
Io stavo male. Sul serio. Purtroppo, anche Kendrick lo sapeva e, stupidamente, mi portò al piano di sopra, lontano da tutti, dalla nonna, dalla zia e da mia cugina. Così nessuno poteva procurarmi una semplice aspirina.
Senza accorgermene, dormii. Per un’ora, circa. Quando mi svegliai, ero sul letto della camera di Susan. Magnifico. Si sarebbe anche arrabbiata, adesso.
Mi alzai senza indugiare e scesi di sotto. La festa era finita. Gli ultimi rimasti stavano giocando a poker in un angolo. Lady Arisa e zia Charlotte stavano parlando con Susie, in un angolo. Lei fu la prima a notarmi. «Annabelle.», soffiò, «stai bene?».
Pareva sinceramente in ansia, con i capelli disordinati e il trucco colato. Stranamente, tutte queste imperfezioni non facevano altro che renderla più bella, più reale.
Annuii, in imbarazzo. «Adesso sì.»
La nonna mi rivolse un sorriso raggiante. «Kendrick vuole incontrarti venerdì pomeriggio alle due, verrà a prenderti a scuola.»
Ero incredula. Possibile che lo avessi colpito così tanto? Non ero stata molto perspicace. Né speciale. Né snob. Una normale ragazza che non vedeva l’ora di sfuggire a quella serata davvero noiosa.
Zia Charlotte aveva le braccia incrociate. «È stata una cosa carina, quella di sostituire Susan sino al suo arrivo. Mi ha spiegato tutto sul suo appuntamento. Ti ringrazio.»
«Ma…lui se n’è andato?», chiesi.
«Venti minuti fa. Non voleva lasciarti da sola, perché pensava che avessi la febbre. Non sembri malata, tuttavia.», m’informò Susan, ritornando alla sua solita arroganza.
Facendo la gelosa.
«Mi sentivo mancare.», rivelai.
La nonna scambiò un’occhiata con la zia Charlotte, che corrugò la bella e ampia fronte. «Annabelle, non sei la prima a soffrire di mancamenti-fantasma, se ti può consolare.», disse, per poi salire con Susan verso le loro stanze.
La nonna mi accarezzò una guancia – Susan invidiava il nostro legame, a quanto pare solo con me poteva sfoderare di tanto in tanto un atteggiamento dolce; di lei era sicuramente più orgogliosa, ma con rigidità – : «Bambina, devi ricordare di tenere un atteggiamento Montrose sempre, capito? Una ragazza coraggiosa, che sa utilizzare l’ingegno nei momenti di bisogno.»
«In che senso?», dissi, leggermente accigliata. Ero decisamente mezza collassata, ma la mia sete di informazioni non poteva ancora saziarsi.
«Hai la curiosità di tua madre. E di Grace.» sorrise con affetto, congedandosi.
Perché tutti questi enigmi? Perché proprio oggi, poi? La mia mente stava per scoppiare. Adesso la fitta squarciante di prima stava per rafforzarsi. Molto, molto più di prima. Prima mi aveva fatta svenire, non osavo pensare che avrebbe potuto provocarmi in quel momento. Traballando, raggiunsi il bagno e frugai tra le medicine. Neanche un’aspirina. Neanche un calmante. Neanche un po’ di morfina.
Accidenti! Il vestito rosa stava diventando sempre più scomodo, inciampai sui tacchi nel tentativo di salire per le scale, quindi li tolsi e camminai a piedi nudi. Sentii uno strappo, lungo il fianco destro. Il bellissimo abito si era strappato di una ventina di centimetri.
Il mal di testa s’incrementò in quell’attimo, esattamente. Sentii un vorticare sopra di me, e dentro di me. Mi sentii strattonare all’improvviso, mentre lentamente cercavo di comprendere cosa fosse appena successo. 
   
 
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