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Autore: vanessa_    06/04/2014    4 recensioni
E se dietro i cancelli di Aushwitz si fosse nascosta la storia più bella del mondo?
E se i due innamorati volessero rimanere nascosti?
E se dopo tutti questi anni, uno di loro avesse scritto un libro a riguardo?
[Larry] (Tematiche delicate riguardanti la Shoah e la Seconda Guerra Mondiale)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The best mistake ever.


"Bentornati a tutti! Questa sera abbiamo qui con noi un ospite speciale; il testimone conosciuto ormai in tutto il mondo per la pubblicazione del suo libro 'L'errore migliore di sempre' ispirata alla sua esperienza dietro i cancelli di Aushwitz, il signor Louis Tomlinson!"
Gli applausi si fecero sentire nella sala affollata e Louis sorrise, salutando tutti con un cenno della mani per poi accarezzarsi la barba spuntata sul suo volto.
"Ci dica, lei ora ha più settantenni, vero?"
"Ah, triste ma vero mia cara. Non sono ancora da buttare, però, diciamo il vero eh" Accennò un sorriso, facendo scoppiare tutti in una fragorosa risata.
"Dunque, le andrebbe di spiegarci un po' di cosa parla il suo libro schizzato alla stelle fra i più venduti in America e in gran parte dell'Europa? Personalmente, quando l'ho letto, sono rimasta stupefatta da ogni singola parola; lei è un uomo molto coraggioso.." Si scatenò di nuovo il secondo applauso collettivo e il terzo sorriso dell'uomo particolarmente commosso da quelle parole a lui dedicate.
"La ringrazio davvero molto, queste pagine racchiudono un'esperienza durata qualche mese, ma che per me ha significato la vita intera"
"Quindi ci leggerà qualcosa da queste famose pagine a cui lei tiene tanto?"
Louis annuì e il pubblico si agitò di nuovo, mentre lui si schiarì la voce e prese fra le mani il libro color blu notte, per poi recuperare il segno della pagina da lui scelta per quell'occasione. Iniziò a leggere, mettendo a tacere la settantina di persone di fronte a lui che nel frattempo si erano già perse nelle sue soavi parole.

***

"Le urla assordanti di quei soldati ci tennero svegli per tutta la notte. Nonostante ci obbligassero a dormire almeno cinque ore per poter produrre più lavoro possibile, non si rendevano conto che con tutto quel frastuono non si poteva chiudere occhio nemmeno per un secondo. Quando poi si poté intravedere uno spiraglio di luce oltrepassare gli assi di legno della vecchia capanna, quelle parole, prive di significato per tutti noi, furono più vicine e ci spinsero a scendere dalle catapecchie in metallo che quella gente osava chiamare letti. Erano alti e non abbastanza grandi per permettere a tutti noi di acquisire una posizione comoda durante il sonno. L'aggettivo comoda è fin troppo azzardato, dato che il nostro materasso era una lastra di ferro arrugginito, non esisteva coperta che ci riparava dal freddo invernale e il nostro cuscino, o almeno per alcuni di noi, era la stessa ciotola dalla quale eravamo tenuti a mangiare ogni giorno.
Fu un'esperienza traumatizzante quella di aprire gli occhi ed avere come prima la visione del mio compagno intento in un urlo straziante, data la forza che quel soldato ci mise nel spezzargli la gamba quando si accorse della resistenza che stava opponendo quella mattina per uscire nei campi. Si chiamava Jerry, ed era uno con la quale avevo stretto di più in quel luogo, dato che era uno dei pochi che sembrava aver mantenuto una mente lucida dopo la sequestrazione. Non potei chinarmi ed aiutarlo ad avanzare, perché mi avrebbero fatto fare la stessa fine e non sarebbe stato d'aiuto né a me né a Jerry. Continuai così a camminare in coda con il resto dei ragazzi. Dietro di me si trovava un ragazzino di appena dodici anni, sopravvissuto allo smistamento iniziale grazie alla bugia che suo padre raccontò per evitare di vederlo morire insieme ad altri bambini uccisi ingiustamente dopo essere stati privati di ogni bene superfluo, come i loro abiti sporchi e di piccole dimensioni o i loro giocattoli in legno che avevano nascosto nelle tasche, credendo di non essere beccati.
Mi svegliavo ogni giorno con il dubbio di cosa fosse accaduto alle mie amate sorelle e a mia madre, che vidi scomparire il giorno dell'arrivo intente a perdere centinaia di lacrime disperato e decisamente le più tristi che abbia mai visto in vita mia. I miei pensieri andavano tutti a loro e cercavo di essere sempre corretto nel mio lavoro, di non lamentarmi mai, di non piangere, di non ribellarmi, di non infrangere le regole e di lavorare ininterrottamente con l'unico scopo di uscire al più presto da lì per poterle riabbracciare tutte e cinque.
«Tomlinson!»
Il mio cognome pronunciato in malo modo e con un accento nordico e duro risuonò nel campo, in un urlo proveniente dalla bocca di un uomo seduto a tavolino. Eravamo dinnanzi a decine e decine di uomini assonnati, infreddoliti e spaventati. Come ogni mattina. Risposi all'appello con un cenno, voce alta ed alzando un braccio, per far si che i due uomini in divisa mi notassero. Dopo di me nominarono molte altre persone, fin quando non ci diedero l'ordine di tornare a lavorare, con l'avviso che quel pomeriggio dieci di noi se ne sarebbero andati perché un nuovo carico era in arrivo. Durante tutta la giornata i più anziani non fecero altro che preoccuparsi, ricevendo talvolta anche dei colpi di frusta da parte dei soldati per colpa dei loro piagnucolii che servivano unicamente a perdere tempo. Se c'è una cosa che ho imparato in quel luogo è che il tempo è denaro e quando qualcuno più forte di te ti ha fra le mani, non hai alcuna via di scampo, ma a patto che tu non abbia vissuto la mia stessa esperienza.
Fin dal momento in cui ho varcato la soglia di quel luogo, considerato da me l'inferno, sapevo che non avrei avuto alcuna via di scampo e che avrei passato molto tempo lì dentro, provando esperienze che nessun essere umano vorrebbe sentire sulla propria pelle. Credevo di essere spacciato e che, nonostante avessi lottato con tutte le mie forze, non mi sarebbe mai stato concesso di rivedere la mia famiglia che stava dall'altra parte delle sbarre, cariche di scossa elettrica e continua.
Era in progresso un progetto ordinatoci dai tedeschi, che consisteva nella realizzazione di una nuova capanna che avrebbe dovuto fare da casa, oso dire, per tutti i carichi nuovi di ebrei. Uomini che andavano avanti e indietro con carriole, sacchi di cemento, assi di legno, chiodi e martelli. Io a quei tempi avevo ventidue anni ed ero forte, per questo mi furono assegnati i lavori più pesanti e faticosi, come l'assemblare gli assi sporchi o sollevare pesi che superavano il mio. Venivo anche sfruttato per lavori più affidabili, come percorrere il campo per dare scartoffi e avvisi ad altri generali che stavano sempre all'interno del campo, ma distanti dalla nostra zona lavorativa. E tutto questo solamente per la mia buona condotta. Facevo in modo che si fidassero di me, con l'allusione di poter uscirne vivo da lì, prima o poi. Non ho mai perso la speranza, nemmeno in momenti peggiori, come quando raggiunsi i quaranta gradi di febbre o calpestai il piede ad un soldato, per via della stanchezza ed instabilità.
Avevo raccolto le maniche all'altezza dei gomiti e mi ero dato da fare aiutando a portare quantità industriale di legna, quando mi chiamarono pretendendo che raggiungessi i due soldati spaparanzati su due sedie intenti a fumare. Un incarico, di nuovo.
Nonostante mi rivolgessero parole che a me parevano provenienti da una lingua marziana, mi fecero capire di dover andare dall'uomo giusto per poter consegnare un pacco di fogli ricoperti di parole raffigurate da una calligrafia storta e frettolosa. Afferrai quelle schede ed annuii incamminandomi verso il posto prestabilito. Quando mi voltai e capii di essere troppo lontano dalla mia capanna, diedi una veloce occhiata a quelle parole riconoscendo qualche nome. Era la lista dei prossimi da incenerire.
Lessi Robert e Jerry, e mi si spezzò il cuore in una frazione di secondo. Non potevano portarmi via due dei miei unici amici là dentro. No, non potevano. Ricordo di aver provato la sensazione del crollo di un macigno sulla schiena. Qualcuna delle mie ultime speranze sembrava essere volata via, dopo avermi lasciato. Presi un bel respiro e mi resi conto che non avrei potuto gettare al vento due mesi di duro lavoro svolto alla perfezione per un capriccio personale. Quelli però non erano due nomi a caso, non potevo fingere di non aver visto niente. Ero combattuto, per questo mi fermai nel mezzo del campo nel tentativo di ignorare le urla tedesche e quelle strazianti delle vittime a pochi metri da me per poter ragionare su cosa avrei potuto fare.
«Hey!»
Mi voltai con fare nervoso e spaventato, intravedendo un uomo farsi sempre più vicino a me. Era un soldato e non sembrava avere uno sguardo piuttosto sereno in volto. Iniziò a sfornare centinaia di parole nella sua incomprensibile lingua e tutto quello che potei fare fu starmene immobile ad ascoltare con la fronte corrugata e le sopracciglia inarcate, nel tentativo di fargli capire che io di quel che mi stava dicendo non riuscivo a capirne niente.
«Sei inglese?»
Rimasi sconvolto dalle sue parole, tanto da separare di poco le labbra sbrigandomi ad annuire freneticamente e con fare disperato, entusiasta di poter finalmente avere la libertà di esprimermi nella mia lingua con qualcuno che non fosse un mio compagno di capanna. Spiegai la situazione, cioè che avrei dovuto consegnare quelle carte al generale Conheb. Annuì afferrando fra i denti le sue labbra piene e rosee. Mandai giù per la gola della saliva, sentendomi provocato.
Se io non fossi stato ebreo, mi avrebbero rinchiuso comunque in uno di quei campi dato il mio orientamento sessuale. A quei tempi lo avevo scoperto da solamente qualche mese. Potete capire anche voi quanto i miei ormoni fossero a mille in quel periodo così pieno di sensazioni nuove.
Afferrò il pacco di fogli ed diede una sbirciata veloce, proprio come me, ma con un occhio molto più attento. Non sembrava avere cattive intenzioni nei miei confronti; i suoi occhi chiari, che richiamavano il colore dell'erba fresca di primavera, che non vedevo da tempo, erano sinceri e privi di oscurità. Non avrebbe mai potuto alzare le mani su nessuno, o almeno questa fu la mia prima impressione di quel volto così fresco ed angelico. Accennò addirittura un sorriso non appena alzò il volto. Mi diede una pacca sulla spalla, dicendomi che sarei potuto tornare alla mia baracca in pace, perché ci avrebbe pensato lui. In un certo senso, sentivo quasi come se mi dovessi fidare e permettergli di svolgere il compito al mio posto, ma la mia volontà di ferro mi diede la forza di contraddirlo e dirgli che era un mio lavoro e lo avrei portato a termine con le mie mani. Il suo sguardo si fece più duro e la sua mascella sembrava aver acquisito lineamenti meno dolci; evidentemente non aveva preso bene le mie parole. Scosse la testa ed incurvò le labbra in una smorfia, riconsegnandomi in modo brusco le carte e dicendomi di fare quel che avrei dovuto fare.
«Arrivederci, 16425»
Fece un cenno con la mano e chinò di poco la testa, per poi incamminarsi dalla parte opposta. Lo stetti ad osservare per svariati secondi cercando di realizzare quel che era appena accaduto. Ricordo di aver pensato perché diamine non fosse lui uno dei soldati responsabili della mia baracca. Era così carino, sia dentro che fuori a quanto pare. Si era addirittura chinato per poter leggere le cifre segnate sulla mia divisa, per poi salutarmi educatamente e senza punirmi per la mia piccola ribellione nei suoi confronti. Non avrei mai creduto di sperare di poter rivedere uno dei soldati di quel campo. Li facevo tutti mostri senza cuori, senza un po' di pietà per noi poveri innocenti e oltretutto trentenni, sposati con donne destinate a sopportare uomini bruschi e maleducati per il resto della loro vita. Quello era un ragazzo educato e non sembrava avere l'età per possedere già una famiglia.
Continuai a camminare fin quando non raggiunsi la mia destinazione e consegnai la lista al solito Conheb, che si limitò a rubarmi di mano il pacco per poi sputare alle mie spalle non appena uscii dalla porta. Presi un respiro profondo, per la seconda volta, cercando di ignorare la sua risata dall'altra parte della baracca, anche se era veramente difficile.
Quando tornai al campo pensai a quanto fossi stato fortunato ad essere stato assente per quei venti minuti. Avevano colpito alla testa una coppia di ragazzi, e secondo le voci di corridoio, erano stati beccati mangiare dei pezzi di pane di cui nessuno seppe mai la provenienza. Furono chiamati altri soldati accompagnati da tre cani di grandi dimensioni per setacciare ogni singolo angolo di quella parte di campo per scoprire chi e a che orario donasse cibo. Io proseguii il mio lavoro come niente fosse accaduto, rivolgendo talvolta i miei pensieri a quel ragazzo dagli occhi verdi e osservando Jerry e Robert, consapevole che non li avrei avuti più al mio fianco la mattina seguente."

***

"Il ragazzo in questione era Harry, vero?" una giovane dalla chioma color del grano si fece avanti, rendendosi la prima ad alzare la mano per porre una domanda a Louis.
"Sì esatto, era lui" rispose rassicurandola con un sorriso debole, ma esistente.
Qualcuno in sala si stava già commuovendo, mentre altri attendevano la scene di forte tensione e sentimento per dare il via alle lacrime. Se fosse stato per Louis, avrebbe dato a chiunque il permesso di piangere a qualsiasi momento durante la lettura, perché considerava la sua un'esperienza terrificante e da strappa-cuore. Non l'avrebbe augurata a nessuno.
"Si è mai sentito in colpa per non aver detto ai suoi amici di essere sempre stato a conoscenza della loro morte?" Louis prese un bel respiro, che come avrete capito ormai è sempre solito fare per rilassarsi ed annuì con uno sguardo malinconico. Diede una veloce occhiata all'uomo che aveva deciso di chiedergli quella domanda così meschina, anche se priva di scopi malefici, e chinò la testa, per evitare di scoppiare in lacrime nonostante la sua veneranda età. Voleva davvero bene a Jerry e Robert.
Riprese poi a leggere il capitolo successivo.

***

"Sapete qual'era la parte divertente? Rendersi conto di quanto la mente umana costringa gli esseri viventi a sopravvivere per avere la certezza che tutto andrà comunque bene, che tutti usciranno dalla loro situazione massacrante e che il bene regnerà sempre sul male. Noi tutti sapevamo che avremmo potuto benissimo essere i prossimi corpi denutriti e defunti gettati nella fossa comune, eppure speravamo ancora di essere liberati. Maledetto cervello, pensavo ogni volta che mi ritrovavo ad osservare quel cancello perennemente chiuso di fronte alla nostra baracca.
Erano passati sei giorni dalla morte dei due miei unici amici e ne sentivo la mancanza in un modo spropositato. Avrei voluto poterli avere di nuovo con me, per condividere le paure, le battute, i commenti malvagi rivolti ai soldati, i pianti, i pezzi di cibo che dividevamo equamente e il sapone che barattavamo con qualche straccio insieme a quelli della capanna di fianco. Adesso le persone con cui parlavo erano soltanto gente mediocre che sembrava troppo intimorita per parlarmi, anche se talvolta mi divertivo a scambiare due chiacchiere con un mio compatriota, o magari ricevere consigli di sopravvivenza da ex-soldati svizzeri e quelli medici da dottori francesi.
Stavamo lavorando la terra gelata dal freddo di un pieno inverno a Gennaio. Certe persone erano davvero ignoranti, ma io sapevo che si trattava della prossima fossa comune. Stavamo sudando ed eravamo infreddoliti, ma continuavamo a reggerci sulle nostre gambe fragili e ricoperte da lividi, per scavare con foga fino a raggiungere anche i due metri e mezzo sotto terra. Alzai lo sguardo e mi asciugai la fronte imperlata di sudore, e solo in quell'istante mi resi conto della presenza di un terzo soldato accanto ai soliti due grassoni e scansafatiche che erano soliti comandarmi a bacchetta. Li osservai con sguardo indifferente, fin quando il terzo e nuovo arrivato non si voltò nella mia direzione e rimasi stupefatto nel vedere che si trattava proprio di lui; il ragazzo dagli occhi verdi. Non seppi come reagire, perché non mi sembrava il caso di fingere che non esistesse, ma nemmeno di salutarlo sorridente aspettandomi lo stesso da lui. Ero pur sempre il giudeo sporco e sottomesso, di fronte al soldato potente e ariano. Rimasi immobile ad osservarlo e lui fece lo stesso, fin quando non sollevò di poco la mano in segno di un saluto che non ricambiai. Abbassai il capo, imbarazzato ed anche spaventato.
Quando furono raggiunti i tre metri-stabilito da i due uomini buoni a nulla-ci fecero allontanare dalla futura fossa, per poi farci lavorare di nuovo come muli al vecchio progetto della baracca. Mentre noi sudavamo al freddo, inchiodando assi di legno e ricoprendo il terreno di cemento, il ragazzo se ne stava lì a chiacchierare ed ogni tanto il suo sguardo incontrava il mio. Anche solo una frazione di secondo bastava per provocarmi una serie di brividi lungo tutta la schiena. Mi metteva a disagio. Quando i nostri sguardi durarono più di qualche istante, capii che la mia impeccabile condotta stava per andare in frantumi. Se quel ragazzo fosse rimasto nella nostra zona lavorativa, avrei di certo perso ogni mia via di scampo verso la libertà.
Durante il pasto fui veramente felice di sedermi di fianco ad un simpatico italiano che faceva continue battute riguardo al cibo che ci veniva servito; era in vena di scherzare ad ogni istante gli si rivolgesse la parola, e in un luogo come quello, sembrava essere l'ideale un burlone sempre pronto a tirarti su di morale. Luigi era il suo nome e potevamo comunicare attraverso l'inglese, essendo la mia lingua madre e la sua lingua franca. Ogni volta che non ero impegnato ad osservare il volto di Luigi o il misero pasto nel mio piatto, potevo perfettamente notare che gli occhi del soldato giovane erano chiaramente puntati su di me. Per tutto il tempo non fece altro che osservarmi, e questo mi mise sempre di più a disagio."

_______________________________

"Come previsto; il ragazzo rimase nella nostra baracca e per i tre giorni seguenti, non fece altro che osservarmi da lontano e chiacchierare con Hans e Amadeus. C'era una differenza ben evidente fra lui e i due fannulloni, e cioè che mentre loro non facevano altro che picchiarci brutalmente e comandarci come fossimo cani, anche se di sbagliato non facevamo nulla, il giovane, che solamente dopo molto tempo scoprii chiamarsi Harry, non diceva nulla se non qualche parola severa qualche volta, ma sembrava lo facesse con l'unico scopo di apparire severo agli occhi dei due.
Quando il progetto della capanna fu terminato, si avvicinò a noi e mi raggiunse prendendomi di spalle e provocandomi un tuffo al cuore dallo spavento; credevo fosse Hans, con la sua insistente frusta, non contento del resoconto finale di quelle cinque settimane di lavoro.
«Louis Tomlinson»
Due parole che mi fecero voltare improvvisamente e mandare giù un bel po' di saliva dall'ansia. Non dissi nulla, stetti soltanto ad osservare il suo ghigno indelebile e compiaciuto.
«Il tuo nome, non è così?»
Annuii immediatamente mormorando un sì incerto, e strappando dalla bocca del soldato un sorriso accompagnato da una lieve risata. Non capivo cosa si aspettasse da me: non sapevo se avessi dovuto sorridere, accertarmi che il suo nome fosse veramente Harry Styles, fare un'altra domanda, oppure andarmene congedandolo con un freddo saluto. Rimasi, per l'ennesima volta, pietrificato di fronte al suo sguardo. 
Volle sapere il mio paese d'origine, quando fui deportato in quel luogo e il mio parere riguardo il campo. Risposi alle prime due domande; sono nato a Doncaster e sono stato strappato da casa mia il 20 Novembre. Alla terza tacqui terrorizzato. Era una trappola? Dopo aver detto quanto fosse disumano e disgustoso quel luogo mi avrebbe colpito alla schiena con un asse di legno? Comprendetemi; non c'era il paradiso dietro quei cancelli, e nonostante Harry fosse molto più gentile rispetto ad altri soldati, lo consideravo comunque uno dei nemici che mi costringeva a starmene chiuso lì dentro. Mi chiese se fossi in grado di dire più di dieci parole, ed io annuì iniziando a balbettare un insicuro 'non saprei'. Rise. Rise di gusto.
Mi incoraggiò, dicendo che non mi avrebbe di certo messo le mani addosso anche se gli avessi dato del mostro, ma io rimasi comunque in silenzio. Sembrava che il divertimento fosse svanito dal suo sguardo; ora pretendeva solamente che confessassi tutto quel che provavo ed io non volevo. No, non ne avrei avuto il coraggio. Passò a farmi promesse, cioè, se gli avessi dato il mio parere, lui mi avrebbe fatto avere una situazione più favorevole. Questa volta fui io a sghignazzare involontariamente, ma non me ne pentii dato che riuscii a strappargli di bocca un sorriso. Una situazione favorevole? Non esisteva in quel posto. Fare promesse era totalmente inutile.
Un urlo agghiacciante interruppe la nostra conversazione, in modo tale da farci voltare entrambi verso Amadeus con il bastone sporco di sangue ancora fresco, a quanto pare, che pretendeva tornassi a lavorare. Fu una frazione di secondo, quella in cui Harry mi afferrò bruscamente per il polso ed urlò in risposta all'uomo qualcosa di incomprensibile. Non dissi o feci nulla, come sempre, e permisi al riccio di trascinarmi con lui verso un luogo a me ancora sconosciuto. Chiesi svariate volte che cosa avesse intenzione di farmi e il mio tono preoccupato lo fece sorridere amaramente. Ero spaventato perché mi avrebbe potuto portare in un altro campo, nelle camere a gas, nell'inceneritore o da qualcuno con più fegato in grado di bastonarmi il capo come si deve. Non disse nulla, fin quando di fronte a noi non comparve una capanna in legno leggermente diversa da quella in cui avevo trascorso lunghe ed atroci notti.
«Voglio parlare, solo parlare»
Sorrise facendomi accomodare su una sedia di fianco al tavolo. Non c'era nessuno lì dentro e gli unici mobili presenti non erano reti di metallo o lavandini lerci. Un camino, un tavolo, due fornelli ed un divano che sembrava fare da letto. Qui è dove vive? Mi domandai esplorando con qualche sguardo meravigliato, mentre lui non faceva altro che starmi a guardare in attesa che spiaccicassi una sola misera parola. La paura sembrava stare gradualmente svanendo, anche se non totalmente. Mi incitò a finire il nostro discorso. Voleva a tutti i costi sapere cosa pensassi riguardo al campo ed io non sapevo spiegarmi il perché: la mia opinione non avrebbe di certo cambiato di molto le regole là dentro.
«Volete veramente saperlo? Bene. Questo è l'inferno. Mi hanno portato via la mia famiglia, mi hanno picchiato ogni singolo giorno ingiustamente, mi hanno rasato a zero i capelli, hanno considerato l'idea di bruciarmi vivo solamente perché avevo la febbre, mi costringono a lavori forzati e dormo sopra delle sbarre in metallo schiacciato dalla presenza di altri cento uomini infreddoliti, stanchi, sporchi e impauriti tanto quanto me»
Non rispose. Sospirò inumidendosi le labbra ed annuendo lentamente. Forse si aspettava che proseguissi, e invece io rimasi di nuovo zitto con la convinzione che mi avrebbe lasciato andare dopo la confessione da lui tanto bramata. Ci furono infiniti secondi di silenzio che mi fecero pensare al peggio, ovvero a quanta violenza avrebbe usato nel picchiarmi, o quanta violenza avrebbe chiesto di usare a qualcuno che mi avrebbe picchiato al suo posto. Mi diede ragione, e lo ammise con uno sguardo quasi schifato dalle mie stesse ragioni. Io nemmeno ci volevo venire qua dentro a lavorare, ribadì versandosi un bicchiere di chissà quale bevanda. Disse che se soltanto avesse potuto, avrebbe inseguito il suo sogno di entrare nell'esercito senza dover sopportare la morte di centinaia di innocenti inconsapevoli della situazione e privi di qualsiasi scudo o mezzo di difesa. Lui non credeva che gli ebrei fossero sbagliati, sporchi, inferiori, animali, incapaci, bestie o esseri vicino al diavolo. Harry sosteneva che tutto quel lavoro e tempo sprecato a sterminare persone diverse da loro in ambito religioso, fosse una cosa idiota, ma se ne avesse parlato con il capo alla guida di tutto questo, di certo gli sarebbe stata tolta la vita con uno schioccare delle dita.
«Perciò sì, hai ragione; è l'inferno»"

***
"Harry era cristiano?"
"Cattolico, per la precisione. Nonostante nel nostro paese regni il protestantesimo, la sua famiglia era cattolica" Louis bevve un sorso d'acqua dalla sua bottiglietta di plastica e si preparò alla prossima domanda.
"Quindi era inglese?" Louis annuì.
"E parlava tedesco?"
"Già, lo aveva studiato durante la sua infanzia"
"Le aveva insegnato qualche parola?"
"Sì, avevo appreso degli ordini che i nazisti ci davano, ma solamente grazie a lui."
"Perché voleva essere nell'esercito se non voleva vedere innocenti soffrire?" Louis sghignazzò e scosse la testa china.
"Beh, Harry era un tipo strano e con le sue regole. Diceva che la gente arruolata nei militari se l'era cercata di guardare in faccia la morte, mentre noi no."
"Quando ha capito di essere innamorato di lui?"
"Non l'ho capito nemmeno oggi, a dire il vero" Sorrise.
Tutto tacque nella stanza per qualche secondo, fin quando una voce non incitò Louis a proseguire con la storia. Tutti erano ansiosi di scoprire cosa avesse riservato il destino per Harry e Louis.

***

"Nei giorni successivi mi aveva rivolto la parola circa altre due volte, ma non era riuscito a strapparmi di bocca molto. Ero ancora intimorito dal fatto che parlare così spesso con lui come fosse un amico mi avrebbe potuto portare molti guai. I due soldati spesso ci lanciavano sguardi tenebrosi mentre mi regalava sorrisi brillanti quanto il sole, e lui non ci faceva molto caso, ma io credevo che avessero in mente di farlo allontanare o di punire me fisicamente.
Il giorno delle docce era una cosa mensile e alla quale sentivo di poter fare a meno, dato che mi metteva solamente disagio presentarmi senza abiti di fronte a così tanti uomini. Venivamo ammassati all'interno di queste enormi camere ed ogni volta c'era la paura che dai fori non uscisse semplice acqua. Non avendo a disposizione alcun orologio o calendario, non sapevo con esattezza in che periodo del mese fossimo, ma avevo la certezza che fosse ancora Gennaio. Gelavamo uno di fianco all'altro in attesa di essere scortati fino alle docce. Finalmente la porta a due ante scricchiolò rivelando Amadeus e lui, Harry. Maledissi decine e decine di santi nell'esatto momento in cui mi resi conto che avrei dovuto camminare di fronte a lui totalmente scoperto. Questione di pudore e dignità, anche se erano più che persi oramai. C'erano urla di incitamento da parte di entrambi, che ci facevano rigare dritti in file di quattro, pronti per sopravvivere al gelo invernale. Più mi avvicinavo alla porta, più mi avvicinavo ad Harry. Mi spostai di due code fino a raggiungere il centro, con la certezza che la mia intimità e buona parte del mio corpo denudato fossero coperti ed invisibili agli occhi del riccio. Eccolo, era lì, solamente cinque o quattro passi e sarei stato ben visibile al suo sguardo. Solamente un metro e una decina di uomini nudi ci divideva, ma questo non impedì al suo sorriso di brillare nell'istante in cui incrociò i miei occhi. Penso capì il fatto che mi fossi messo ben al sicuro per evitare che non mi notasse, perché sghignazzò sollevando un pollice in segno di approvazione. Mi vergognai talmente tanto in quell'istante da voler sprofondare nel terreno. 
Una volta usciti dalle docce, i dolori alle gambe e alla schiena non erano comunque passati. Avrei dovuto rilassarmi sotto getti di acqua calda, ma l'unica acqua che ottenni era sporca, quasi giallastra e fredda più dell'aria gelida che ci investì non appena uscimmo. Sentivo che il mio corpo stesse per cedere da un momento all'altro. Ogni giorno si aggiungeva una parte delle braccia, delle gambe o dell'addome dolorante e la sera era la parte peggiore. Da piccolo ho sempre voluto possedere una collezione tutta mia, una collezione di conchiglie, sassi, giocattoli di una certa marca, monete o bracciali. Non so perché, probabilmente perché sarebbe stata unicamente mia ed ogni volta che l'avrei guardata avrei realizzato quanta fatica mi fosse costata radunare tutti quei materiali. E, durante quel periodo trascorso là dentro, mi resi conto di aver avuto la mia collezione personale finalmente; collezione di dolori e ferite.
«Sei stato fortunato, sai?»
L'ora del pasto era sempre una sfida da superare; eravamo entrambi liberi dal lavoro ed Harry non perdeva occasione di avvicinarsi a me per fare due chiacchiere. Rimasi un po' intontito da quelle parole perché non avevo la minima idea di che cosa volesse dire. Io fortunato? -pensai- Ma se passo le mie giornate all'inferno ingiustamente? Solo dopo mi spiegò che la mia fortuna consisteva nel poter essere lì, ancora in salute nonostante le mie ossa che si potevano intravedere sempre di più e il mio volto fosse scarno e pallido. Diceva che sembravo quello più attivo fra tutti, e questo mi gonfiò di orgoglio in un certo senso. Mi sentivo quasi come se avessi avuto un futuro assicurato da 'cocco dei soldati'. Stupido, vero, ma teniamo conto che in un posto come quello si vive ai limiti della follia e un pensiero del genere non era niente a confronto di quel che passava per la testa dei miei compagni."

***

"Salti al capitolo dodici, la prego, è il mia preferito" Louis sghignazzò di fronte alla sincerità ed innocenza della giovane adolescente dai capelli ramati.
"Non posso, dobbiamo seguire la cronologia corretta"
"Ma tutti qui dentro siamo venuti per i dettagli piccanti" La gente rise e Louis anche, così annuì divertito balbettando una serie di va bene.
"Solo perché oggi sono troppo di buon umore per rivivere le brutte esperienze prima di quest'episodio"
Detto ciò, diede un colpo di tosse e sfogliò una serie di pagine fino ad arrivare al capitolo dodici; La svolta giusta.

***

"Ebbi la certezza che avevamo ormai raggiunto Febbraio ed eravamo anche a buon punto. Le persone dentro la baracca non facevano che diminuire. Avevo imparato a non farmi alcun amico in particolare, o avrei sofferto il doppio se l'avessi perso, proprio come successe a Jerry e Robert. Mi mancavano ancora tremendamente.
Stavamo lavorando ad un nuovo progetto, e quella fu l'unica volta in cui non seppi nulla riguardo a cosa stessimo realizzando. Ci avevano soltanto dato l'ordine di mettere le rocce in un ordine stabilito da loro. Nel caricare un masso sopra una carriola, un ragazzo cadde al mio fianco, spingendomi e facendomi crollare dalle mani quell'enorme sasso. Cadde sopra il mio piede sinistro, che in quel momento doleva fin troppo per essere descritto in poche parole. Scacciai un urlo agghiacciante e mi guardai intorno terrorizzato dall'idea che arrivasse qualcuno con il compito di portarmi immediatamente a guardare la morte in faccia, data la mia improvvisa invalidità. Nessuno era presente se non i miei compagni di capanno, così mi incamminai con il solo aiuto della mia gamba destra verso un possibile appoggio. Non avevo il coraggio di levarmi le scarpe enormi che proteggevano il mio piede dolorante, ma dovetti farlo per rendermi conto della situazione. Era viola, letteralmente viola. Anche solo sfiorarlo mi causava un dolore infernale. Delle urla tedesche mi fecero rabbrividire. Indossai di nuovo e alla svelta la scarpa rovinata e malconcia, per poi avvicinarmi a fatica di nuovo alla carriola lasciata bruscamente a terra.
«Ho visto tutto, 16425»
Harry mi stava fissando negli occhi con fare severo, e ricordo di essermi sentito quasi sporco e svergognato sotto quel paio di occhi chiari. Cercai di dimostrare indifferenza ribadendo che non mi ero fatto nulla e che avrei continuato a lavorare senza alcun disturbo, ma la sua presa sul mio avambraccio ebbe la meglio. Voleva portarmi dal medico e sapevo, in cuor mio, che nonostante mi fossi opposto, lui avrebbe comunque fatto di testa sua.
Avvertì i due che nel frattempo trovavano gusto nel rimproverare a colpi di frusta innocenti esausti dal lavoro e dal freddo. Obbiettarono per un momento, e nonostante non capissi nulla di quel che dissero, compresi che non sembravano molto d'accordo riguardo al fatto di portarmi a medicare per la rottura di un piede. Inutile dire che quel ragazzo ottiene sempre tutto quel che vuole, per questo solamente qualche istante più tardi, mi trovai steso sul lettino di un medico ebreo incaricato di badare a centinaia di persone malate ogni giorno. Il resoconto? Avrei dovuto restare a riposo per circa due mesi con l'impaccatura dal medico avvolta intorno al mio piede, ovvero, mi avrebbero sparato, essendo diventato un peso inutile. Harry non disse nemmeno una parola, ma semplicemente mi aiutò a camminare per una serie di metri nella quale incontrammo altri soldati a cui disse altre parole a me incomprensibili e che avevo ormai rinunciato a comprendere. Quando la visione della sua umile dimora mi comparve di nuovo di fronte, rimasi scandalizzato. Mi avrebbe ucciso là dentro? Mi avrebbe soffocato con un cuscino? Mi avrebbe fatto morire di fame? Nonostante le sue continue azioni gentili, io non mi levavo dalla testa che fosse un soldato tedesco, ovvero il nemico.
«Mi vuole uccidere lei?»
Ebbi il coraggio di domandarglielo non appena mi incitò a sedermi su uno dei cuscini posati sul divano. Sghignazzò avvicinandosi a il caminetto, per poi gettarci dentro un fiammifero acceso che avvampò a passo lento la fiamma.
«Tu non hai ancora capito che io non ti lascerò morire qui dentro»
Si piegò sulle ginocchia ed osservò il fuoco aumentare, mentre spostava cautamente la legna con l'aiuto di un asta in ferro. Rimasi basito dalla sua confessione, non avevo la minima idea di cosa avrei dovuto fare e per questo optai la mia solita opzione; ovvero starmene in totale silenzio, permettendo alla mia mente di essere divorata dai pensieri. Non appena si voltò verso di me sorrise, ed io non ricambiai. Mi vorrà violentare? Pensai notando che la sua figura che si faceva sempre più vicina. Mi rassicurò invece, il fatto che mi chiese di stendermi al meglio per poi coprirmi con una coperta orrenda a quadri color marrone e magenta. Mi scostai un po' troppo bruscamente e domandai il perché di tutto ciò, e la risposta non tardò ad arrivare. Gli interessavo, ecco tutto. Voleva che stetti al sicuro durante quei mesi e per questo voleva accudirai e tenermi sotto la sua ala protettiva. Fu talmente convincente che per poco non ci credetti, ma in fondo sapevo che si trattava di uno scherzo; doveva trattarsi di uno scherzo.
Tentai di alzarmi dal divano, ma una sua grande e possente mano si posò sul mio petto spingendomi di nuovo contro lo schienale con sguardo serio. Il suo respiro si fece sempre più marcato sulla mia pelle d'oca, fin quando non fu talmente vicino da causarmi un vero e proprio brivido lungo tutta la schiena. Le sue labbra sfiorarono a malapena le mie.
Dopo di che uscì, chiudendo a chiave, dicendomi di servirmi con tutto quello che mi sarebbe servito e assicurandomi che avrebbe fatto ritorno entro sera. Rimasi pietrificato."

***

"L'ha baciata?" un sorriso comparve sul volto di Louis.
"Aveva solamente posato le sue labbra, ma tecnicamente era un bacio"
"E lei se ne stette lì dentro per tutto il giorno?"
"Sì. Inizialmente avevo una tremenda paura, ma quando mi resi conto che non sarebbe potuto entrare nessuno all'infuori di Harry, mi rilassai e addormentai"
"E quando Harry tornò?"
"Beh, lì scoprii che fine avrei fatto per i seguenti mesi"
"Sarebbe rimasto con lui?"
Louis fece spallucce, fingendo di non avere la risposta giusta per lasciare libera la fantasia del pubblico, e dopo essersi sistemato la montatura degli occhiali al meglio, riprese il libro fra le mani.

***

"Ero caduto in un sonno profondo, talmente profondo da non rendermi conto della presenza del riccio. Silenziosamente recuperai il mio berretto e lo infilai in testa; non mi piaceva mostrare il mio capo privo di capelli. Non si era ancora accorto che mi ero svegliato, e per questo decisi di non fare niente se non nascondere il volto sotto le coperte e talvolta sbirciarlo mentre riscaldava qualcosa di commestibile, oppure ravvivava la fiamma del camino. Sembrava a suo agio, nonostante sapesse che alle sue spalle si trovasse un ragazzo della sua età, ferito, impaurito ed ebreo.
«So che non stai dormendo» non appena si voltò sorrise ed io non potei fare a me che arrossire e distogliere lo sguardo per evitare di affrontare i suoi occhi che avevano quel particolare potere di rendermi nervoso. Temevo sempre il peggio, e talvolta anche il meglio, come il rischio di poter sentire di nuovo il sapore delle sue labbra sulle mie.
«Stai tranquillo, ho detto di averti fatto fuori»
«Tu cosa?»
Harry rise di fronte alla mia preoccupazione, ma io non ci trovavo proprio nulla di divertente. Non riuscivo a capire perché mi avesse fatto passare per morto, nonostante ci provassi e poi, dopo una sua lunga spiegazione, capii.
Mi avrebbe tenuto nascosto lì dentro finché la mia caviglia non sarebbe guarita, e a quel punto mi avrebbe aiutato ad uscire da quel posto con una scusa, ma soprattutto senza che nessuno ci potesse vedere. Rimasi sbalordito dal suo piano e più domandavo il motivo di tutta questa fatica, più lui trovava divertente la mia innocenza celata dietro ad ogni mia richiesta. Mi trovava buffo, me lo diceva spesso.
Ci furono attimi di silenzio dove gli unici rumori udibili erano il fornello della cucina e la lampadina che tendeva a barellare ogni tanto. Si tolse la giacca a vento ed il cappello, liberando e scuotendo quei ricci ribelli. Dopo essersi levato anche le scarpe, passò alla camicia ed allora lo fermai chiedendogli che diavolo stesse facendo. Ovviamente rise, come sempre, e rispose che si stava per mettere il suo pigiama per andare a dormire e solo in quell'istante il problema sorse nella mia mente: aveva intenzione di dormire al mio fianco?
Ero decisamente abituato a dormire con altri uomini, date le mie condizioni precedenti, ma non con lui. Non con Harry.
Venne però a galla il fatto che Harry non aveva intenzione di dormire con me, perché con quella fasciatura al piede sarebbe stato un pericolo. Avrebbe potuto colpirlo durante il sonno involontariamente e mi avrebbe causato solamente dolore. Harry non voleva recarmi alcun tipo di dolore, questo me lo ha sempre dimostrato. La soluzione fu una brandina sulla quale avrebbe riposato. Io mi ero opposto, avevo ribadito che era lui il soldato lì dentro e che sarei dovuto finire io a dormire sulla brandina. Ma obbiettò. Non dire stronzate, tu sei ferito, affermò.
Durante la notte mi preoccupò la possibilità di guardare il suo volto rilassato per così tanto tempo; non avrei mai voluto rischiare di invaghirmi di lui. Sarebbe stato male pensare anche solamente a quanto fosse bello? Sarebbe stato inadeguato sfiorare i suoi capelli? Sarei sembrato un idiota se gli avessi chiesto il permesso per posare il palmo della mia mano sul suo volto addormentato? Sì, decisamente.
Mi sentivo protetto all'interno di quelle quattro mura, al suo fianco. Avevo dimenticato per un bel po' di tempo cosa stesse accadendo là fuori, a quante torture fossero sottoposti i miei compagni e non, mentre io rimanevo al caldo del camino godendomi la vista migliore che chiunque possa avere. Era ingiusto? No, avevo lavorato sodo ed avevo soltanto avuto un po' di fortuna. Tutto qui, non avevo ingannato nessuno.
La mattina sembrò bussare alle porte fin troppo presto; Harry era già sparito e con lui anche le chiavi del capanno ancora chiuso. Teneva rigorosamente serrate anche le tende delle sue finestre, per evitare che qualcuno potesse intravvedermi all'interno. Si preoccupava di lasciarmi libertà per quanto riguardasse la scelta del cibo presente in quel posto. Non aveva granché, perché i suoi pasti li consumava alla mensa comune, dalla quale imparò a prendere e nascondere un po' di pane dentro la manica o la tasca per poi portarlo a me.
Giorno dopo giorno il nostro rapporto schiavo-soldato svanì, e al suo posto nacque una consolidata amicizia dalla quale Harry pretendeva qualcosa di più. Ad essere sinceri aveva molte volte cercato di strapparmi un secondo bacio di bocca, ed una volta ci riuscì. Era notte fonda ed io sonicchiavo, mentre lo osservavo cambiare abiti nel buio illuminato da poca luce proveniente da una lampada al suo fianco. Si era accorto di me e si era avvicinato cautamente sussurrando una serie di parole dolci, per poi lasciarmi un bacio sulla fronte, sul naso ed infine sulle labbra. Io ero stordito dal sonno e non mi rendevo veramente conto della situazione, fin quando non ebbi di nuovo l'occasione di assaporarlo per la seconda volta e decisamente in miglior modo della prima. Quando furono due centimetri a separarci, schiuse le labbra e permise al suo respiro di invadere la pelle del mio collo. La tentazione di tuffarmi di nuovo nella sua bocca era forte, ma non permisi al mio corpo di averla vinta.
Sapete, la sera era diventata il mio periodo preferito della giornata. Harry tornava sfinito, ma sempre con un sorriso sulle labbra. Dato che io dormivo per tutta la giornata, prima di andare a dormire passava del tempo con me facendo una partita a carte o raccontandomi la sua giornata, celando spesso un volto rattristato in memoria di tutte quelle vittime che ogni giorno doveva sopportare vedere morire. Gettava una carta nel mazzo, e ad ognuna di essa parlava di quanto avesse voluto andarsene al più presto, ma ne avrebbe avuto il diritto solamente con l'arrivo dell'estate, e mancavano ancora un bel po' di mesi. Io me ne sarei andato con lui, e più il tempo passava, più mi compiacevo di questa decisione. Era confortante stare con lui e la cotta da me tanto temuta, era emersa e stava diventando sempre più evidente. Lo si poteva capire dalla mia gioia dipinta in volto ogni volta che lo vedevo varcare la soglia di casa, dal mio sorriso compiaciuto dopo ogni suo bacio impresso sulla mia fronte o guancia, da tutte le mie preghiere di notte affinché non si svegliasse mentre gli pettinavo dolcemente i capelli. Ogni azione nei suoi confronti stava diventando sempre più intima e non ne ebbi paura, al contrario, ero entusiasta di provare sentimenti, anche se molto confusionari, per un ragazzo che sembrava ricambiare. Non temevo più che da un giorno all'altro sarebbe potuto entrare qualcuno per portarmi in una fossa, o nell'inceneritore o nelle tanto temute camere a gas. No, non temevo più nulla.
Devo ammettere, però, che ogni volta che le truppe marciavano di fronte alla porta di casa il mio cuore accelerava i battiti. Se avessero saputo della mia presenza lì dentro, non avrebbero esitato a uccidermi, chiedere spiegazioni ad Harry che non sarebbero servite a nulla, perché glie l'avrebbero fatta pagare comunque. Tenere un ebreo nel proprio alloggio per tutto quel tempo, facendolo spacciare per morto sembrava un problema alla quale nessuno avesse pensato quando furono costruiti i campi. Eppure, Harry lo fece.
La legge diceva chiaramente che nessun ariano avrebbe potuto avere un compagno ebreo, e nonostante le origini di Harry non fossero germaniche, era ormai considerato di nazionalità tedesca. E in ogni caso, un soldato non avrebbe di certo potuto avere una relazione con un giudeo. Assolutamente. Per non parlare del fatto che fossimo entrambi attratti dallo stesso sesso; probabilmente avrebbero sbattuto nel campo anche Harry, se non fosse stato così bravo a nascondere il suo orientamento. Era una situazione orrenda, ma sembrava non importarci un granché: noi avevano un riparo, dove eravamo liberi di fare quel che volevamo senza essere visti da anima viva. 
Poi ci fu quella notte, la notte in cui Harry non tornò alla baracca. Era il solito orario, era un comunque giorno della settimana ed io ero di fronte al camino a riscaldarmi le mani, in attesa che aprisse la porta, ma non lo fece.
Rimasi sveglio per molto più tempo osservando l'ingresso, convinto che prima o poi avrei rivisto il suo sorriso comparire luminoso nella stanza. Ero sul punto di addormentarmi, i miei occhi erano arrossati e bruciavano tanto da essere sul punto di star per chiudersi da soli. Così fecero.
E di Harry, nemmeno l'ombra."

***

"Era spaventato?"
"Moltissimo" il tono di Louis era serio e quasi malinconico, in ricordo di quell'avvenimento.
"Ma poi è tornato, vero?"
"Già, ma con un brutto aspetto.." l'uomo dai capelli bianchi lasciò che la frase si sfumasse e disperse nell'aria, lasciando un'enorme curiosità nei cuori di tutti i presenti. Riafferrò poi il libro in mano e riprese a leggere il capitolo 14: Il passo decisivo.

***
«Che cosa ti è successo?»
Sgranai gli occhi alla vista di Harry nella penombra delle quattro della mattina. Lui scosse la testa, e con una smorfia non rispose. Prese il mio volto fra le mani e premette le labbra sulla mia fronte, sussurrando contro la mia pelle parole di conforto. Diceva di non preoccuparmi, che sarebbe passato il dolore al livido sotto l'occhio e il graffio che contornava il suo zigomo sinistro. Ricambiai la presa, stringendo le mie dita intorno ai suoi capelli spettinati. Allargò le labbra in un lieve sorriso che pareva tutto tranne che di felicità. Sul labbro inferiore aveva un taglio che bruciava ogni volta che mi concedeva un sorriso o una risata, ma lui lo faceva comunque perché diceva di non potere fare a meno di gioire tutte le volte che vedeva il mio viso. Pensava a me, anche quando ero io quello che avrebbe dovuto assisterlo. La mia caviglia era ancora debole, ma potevo tranquillamente camminarci. Tentai di scostarmi per farlo accomodare al mio fianco. Mi afferrò per il polso obbligandomi a rimanere il più vicino possibile a lui. Appoggiai il capo nell'incavo dei sul collo e permisi alle sue dita affusolate di solleticarmi le guance arrossate dall'imbarazzo e il freddo che provavo.
«Ringrazio ogni mattina di potermi svegliare al tuo fianco, sai?»
«E non ne capisco ancora il perché. Insomma, per quale motivo tieni così tanto a me?»
Harry rise, facendo vibrare il petto vigoroso sulla quale la mia mano era posata.
«Mi piaci, Louis. Mi piace la tua risata, la tua compagnia, la tua timidezza, tutti i pensieri che passano per la tua testa, che nessun altro conosce oltre a te. Mi piacciono i segreti celati dietro i tuoi occhi celesti.»
Non mi diede il tempo di ribattere. La sua bocca era già incollata calorosamente e passionalmente alla mia. Assaporavo il rincorrersi continuo delle nostre lingue ad occhi serrati, pregando ogni tipo di santo che quei tre minuti non finissero mai. Le sue mani sembrarono passare dal mio volto al mio addome ossuto, che accarezzò da sotto la leggera maglia che avevo preso in prestito dopo aver gettato quei sporchi e stracciati abiti a righe. Accarezzò il mio petto senza perdere il contatto con le mie labbra, fin quando non ebbe il coraggio di posare le mani all'altezza della mia intimità. Preso dalla foga, feci lo stesso. Sapevo che la sua ferita doleva ancora, ma teneva duro e sembrava voler far proseguire il momento. Mentre lui dovette slacciare una cintura in pelle nera, io dovetti solamente far scivolare un paio di pantaloni del pigiama che indossavo da circa un mese. Le maglie fecero la stessa fine, ovvero, gettate sul suolo in legno. I nostri corpi seminudi aderivano perfettamente e la sua lingua che accarezzava dolcemente il mio collo era un'infinita coccola che desideravo durasse per sempre. Quando pure la biancheria era a terra, l'agitazione si fece sentire. Non ero mai stato con un uomo, solamente con qualche ragazza ed ero totalmente nel panico, ma Harry sembrava avere la situazione in mano. Il dolore che credevo stare per subire non si presentò affatto, perché il volere del riccio era quello di essere dominato. Non si raccomandò di nulla, disse semplicemente di andare, di farlo senza timore.
«Ti voglio dentro di me»
Sussurrò al mio orecchio, provocandomi un brivido lungo tutta la schiena.
Soffocò un urlo di piacere e dolore premendo il volto contro un cuscino e stringendo i denti. Si aggrappò ad esso afferrandolo in una presa, con tanto di unghie. Imprecò svariate volte e più andavo a fondo più i suoi gemiti erano soffocati. 
Sudava, ed io pure. Non sembrava ancora soddisfatto; voleva a tutti i costi farmi provare piacere afferrando la mia intimità e facendo i determinati movimenti causando in me sempre più voglia di esternare versi, che però ci avrebbero assicurato morte certa se soltanto qualcuno avesse potuto sentirci. Le sue labbra scorrevano veloci lungo la mia grandezza, fin quando non venni."

***

"Spero soltanto che qui dentro non ci siano minori" rise Louis guardandosi in torno, assecondato dalla risata dell'intero pubblico.
"Anche se ci fossero, ormai anche i dodicenni sono esperti riguardo quest'argomento" la presentatrice Elizabeth Smith sorrise appoggiando il gioco dell'uomo.
"Scherzi a parte, non ho scritto da nessuna parte il bollo contenuti forti" nonostante Louis cercasse di sostenere una conversazione seria, la gente continuò a sorridere serena di fronte all'umorismo che l'uomo possedeva di natura. Glielo fece notare una ragazza, che sosteneva fosse la persona più carismatica avesse mai conosciuto in vita sua. Louis sorrise.
"Harry diceva che la mia comicità lo faceva stare beneun sorriso rattristato comparve sul volto dell'uomo, facendo scomparire qualche ruga tesa dal viso. La risata del pubblicò svanì nell'aria, per trasformarsi in pietà nei confronti di Tomlinson, che però non apprezzava la pena che causava alla gente, anche se era ormai abituato ad avere il ruolo della vittima con un tremendo passato.

***

"Le cose sembravano andare per il verso giusto. I graffi sul volto di Harry erano svaniti ed erano solo la causa ad una rissa con altri due soldati alla mensa, perché sostenevano che non avesse le palle per uccidere un giudeo. Lo avevano sfidato ed aveva rinunciato, ovviamente non persero occasione per deriderlo e per questo iniziò una lite senza fine dalla quale nessuno ne uscì vincente, ma tutti e tre feriti. Riguardo al resto, era tutto tranquillo. Ovviamente nessuno si era minimamente preoccupato della mia sparizione; la morte di un ebreo lì dentro era una vittoria, non una perdita. Harry questo lo sapeva e per questo aveva il cuore in pace ogni volta che usciva di casa, tranne forse per quel giorno.
Prima di lasciarmi con il solito bacio, premuto su ben tre parti del volto, chiuse al meglio ogni finestra, tenda e porta. Mi vietò di accendere il camino, per evitare che la gente potesse intuire che all'interno ci fosse qualcuno. Non mi disse precisamente il motivo di tutta quella improvvisa agitazione, ma questa  sua foga gli fece perfino scordare i tre baci abitudinari. Sbuffai non appena uscì; erano due mesi e più che non annusavo l'aria fresca della natura. Tralasciando il fatto che al di fuori di quella baracca non si trovassero conigli bianchi entusiasti di saltellare in erba verde quanto gli occhi di Harry, io avrei voluto sporgere il volto anche solamente fuori dalla finestra ogni tanto. Sapevo di non poterlo fare, così mi accontentai di qualche soffione di vento ogni volta che mi si permetteva di aprire un'anta per qualche secondo, per far circolare aria pulita.
Stavo godendomi un articolo di giornale di circa due mesi passati, quando un molesto rumore mi distrasse dalla mia lettura. Non mi allarmai immediatamente, perché sapevo che in fondo, di fianco a me si trovavano altre baracche di soldati e un po' più lontano zone lavorative dove i giudei venivano picchiati a morte. Fu il secondo rumore, identico al primo, a farmi intuire che qualcosa stesse andando storto. Alla porta non c'era nessuno, quindi non poteva essere Harry e le finestre erano ben coperte dalle tende di seta, perciò non correvo alcun pericolo di essere avvistato.
«Styles?»
Rabbrividii e d'istinto mi coprii al meglio con quella coperta di flanella, sperando che chiunque fosse, se ne andasse presto. Eppure continuò a bussare per una buona manciata di minuti ed io continuavo a ripetermi che era sicuramente la fine. La mia pancia brontolava dall'ansia, il mio cuore batteva all'impazzata dalla paura e non sapevo se sarei stato ancora in grado di trattenere le lacrime di terrore che minacciavano di scendere lungo il mio volto. Poi apparve una seconda voce, la sua voce. Mi sentii subito al sicuro sentendo Harry dall'altra parte della porta, anche se in fondo sapevo che sarei finito male. Discuterono in quella lingua strana per molto tempo, ed io intuii solamente e scarsamente certe parole che non sembrarono essermi state d'aiuto per costruire un senso logico. Speravo semplicemente di poter udire i passi di quell'uomo allontanarsi e vedere il sorriso di Harry rasserenarmi. Qualcosa mi disse che starmene lì impalato di fronte alla porta, avvolto in una coperta, non era la soluzione migliore. Lanciai uno sguardo veloce verso ogni singolo mobile della casa, nel tentativo di trovarne uno abbastanza grande da nascondermi nel caso qualcosa fosse andato storto. Poi vidi l'armadio di Harry. Era sempre vuoto ed abbastanza grande per tenermici all'interno senza provocare danni. L'unico problema era il rumore che avrei potuto provocare chiudendomici dentro, ed infatti uno scricchiolio si poté benissimo udire. Maledissi la mia goffaggine e mi assicurai che l'anta fosse ben chiusa, in attesa che qualcosa accadesse. La porta si aprì. Sentii dei passi provocati da degli stivali invernali piuttosto pesanti, mandai giù della saliva. Andavano avanti e indietro per tutta la stanza, senza che il padrone dicesse mai una parola. Sentivo d'essere sul punto di venire a mancare.
«Louis?»
Riconobbi quella voce cauta e roca. Spalancai le ante, fidandomi ciecamente di trovare solamente lui di fronte a me ed infatti, fu così. Sorrise divertito chiedendomi che diavolo stessi facendo dentro l'armadio, e tutto quello che fui in grado di dire fu un balbettio indecifrabile. Lui continuava a ridere, graziandomi di quel suono così dolce che solamente io sembravo apprezzare quanto una melodia di Beethoven o Mozart. Domandai il motivo di quella visita inaspettata, che solamente dopo venni a sapere che si trattava del controllo di ogni due mesi. Harry se n'era totalmente scordato e ammise di essersi preso un bello spavento alla vista dell'uomo di fronte alla sua baracca.
«Come lo hai mandato via?»
«Con il potere delle mie origini»
Rimasi sbigottito di fronte a quell'affermazione, e lui lo intuì dato il suo solito ghigno divertito.
«Hai di fronte il figlio del cugino inglese di Adolf Hitler. E sono anche l'unico suo parente coinvolto in questo progetto»
Fece un inchino, fingendosi onorato di quel titolo ed aspettando la mia reazione di fronte a quella confessione. Non risposi. Schiusi le labbra formando una O moscia e rimanendo in totale silenzio, ancora sconvolto. Lui rideva, non rendendosi conto di quanto stupore ci fosse in me in quell'istante. Avanzai lentamente verso il divano e mi appoggiai ad esso con entrambe le braccia, cercando di recuperare calma in me ed evitare di svenire. Non poteva essere. Complimenti Louis, fra seicento soldati ti sei portato a letto il nipote di Hitler. Bravo, sì. Non facevo altro che ripetermi parole del genere. Sentivo che sarei dovuto uscire da lì al più presto e tornare alla mia misera vita da schiavo, ma chi lo avrebbe detto ad Harry? Io non avevo intenzione di lasciarlo, era diventato molto di più di un amico intimo, stava diventando la mia unica ragione di sorriso. Ma lui aveva un ruolo troppo importante in quel luogo, se ci avessero scoperti sarebbe andata a finire molto peggio di quanto avessi mai pensato. Temevo che ne avesse risentito di più lui di me. Mi disse di calmarmi, che nulla era cambiato. Ed invece tutto era cambiato. Tutto quanto era diverso. Non avrei potuto continuare a guardarlo in faccia senza pensare a che cosa gli fosse capitato se ci avessero scoperto. Io dovevo andarmene da lì, dovevo trasferirmi in un'altra zona lavorativa per evitare che mi riconoscessero e dimenticarmi di lui. Dovevo farlo per il mio bene, ma soprattutto per quello di Harry.
«Non puoi lasciarmi»
Lo disse con tono severo, quasi come se fosse un ordine. Tutta la gentilezza e gioia che era solito sfoderare nei suoi occhi chiari era svanita; ora presentava solamente serietà e quasi terrore. Provai in tutti i modi a fargli capire che non avrei potuto continuare a passare il tempo con lui, sapendo che da un giorno all'altro quell'uomo tanto temuto da tutti noi sarebbe potuto entrare per fare un'amichevole visita famigliare al nipote. Mi avrebbe visto, avrebbe sbraitato come era solito fare nei video che avevo visto in precedenza. Ed infine, mi avrebbe ucciso, procurando ad Harry il triplo dei problemi. Non potevo di certo permetterlo.
«Ma il nostro progetto di fuga? Mancano solamente cinque mesi e saremo fuori, Lou»
Era sul punto di esplodere emotivamente, me lo sentivo. Mi presi la testa fra le mani e sospirai disperato. Avrei dovuto attendere e seguirlo? Sembrava la soluzione più facile da prendere, quindi ci sarebbero state conseguenze gravi. Avevo imparato a vivere la vita come un ricatto; tu dai qualcosa a me, ed io do qualcosa a te. Sempre.
«Non voglio che ti accada niente»
«E non accadrà, te lo prometto»
Mi diede un bacio fin troppo delicato, quasi inesistente, prima di stringermi fra le sue braccia e sussurrarmi di nuovo 'te lo prometto'."
***

"Quindi Hitler non sapeva di avere un nipote gay?"
"Evidentemente no"
"Ed Harry era così tranquillo?"
"Lui credeva sempre che tutto si sarebbe risolto"
Louis sorrise amaramente, in ricordo del suo compagno dai capelli ribelli. In un certo senso tutte quelle domande lo facevano stare male, ma nascondeva tutto dietro un sorriso per il pubblico meravigliato dalla sua storia.
"E quando siete fuggiti?"
"A Luglio, il sedici Luglio"
"Come andò a finire?"
"Eh, manca ancora qualche capitolo prima di quel momento" Louis sorrise, mentre il resto del pubblico si lamentò. Sapeva che gran parte delle persone era venuta perché, nonostante avessero letto il libro, avrebbero voluto sapere come è veramente andata a finire, dato che Louis non aveva specificato granché nell'ultimo capitolo. Lo aveva fatto di proposito, gli piaceva pensare che solamente lui ed Harry fossero a conoscenza del vero finale.

***

In un certo senso, le cose stavano procedendo come sempre. Sembrava tutto tranquillo e il tempo avanzava velocemente, fin quando non arrivò la fine della magica primavera che non sembrò farsi sentire molto in quel luogo ormai privo di vita. Nessun raggio di sole ancora acerbo colpì i cadaveri raffreddati e spogli dentro le fosse, nessun fiore osò mai dare il via alla sua nascita sopra la stessa terra sulla quale venne sparso fin troppo sangue e nessun uccellino ebbe avuto il coraggio di posarsi su un tetto, ancora innevato, per graziarci del suo canto melodioso.
Dentro la nostra casa -ormai la definivo in quel modo- faceva ancora freddo e il camino non smetteva mai di produrre calore, invano. Harry portava legna su legna tutti i giorni, solamente per avere la certezza che fossi al sicuro durante le lunghe giornate che lui passava fuori da lì. Nonostante non mi mancasse nulla, né cibo, né calore, né amore, io sentivo di essere sul punto di una crisi di nervi. Ero comunque in condizioni decisamente migliori di quelle precedenti, ma non potevo fare a meno che dare fuori di matto talvolta. Mi lamentavo spesso con Harry, del fatto che stare chiuso là dentro tutti i giorni per tutto il giorno mi stava facendo toccare i limiti della follia, ma lui non sembrò curarsene. Aveva sempre la mente altrove e non sembrava capire dove fosse il problema.
«Hai tutto quello che qualsiasi giudeo qui dentro potrebbe desiderare, perché ti lamenti di sciocchezze come questa?»
«Sono più di quattro mesi che rimango chiuso qui dentro! Sono un essere umano, non un cane!»
Non feci in tempo a dire qualsiasi altra cosa, che la porta sbatté bruscamente non appena Harry se ne uscì traboccando di ira. Nemmeno io avevo tanta voglia di parlargli in quel periodo; non capivo come potesse essere così ottuso da non capire che, nonostante io apprezzassi tutto quel che stava facendo per me, non potevo permettermi di rimanere anche un giorno di più dentro quelle quattro mura. Sarei morto.
Ottuso, borbottavo alle sue spalle. Non capiva quanto avessi bisogno di aria fresca, anche solo per qualche secondo.
La sera fece di nuovo tardi. Io non riuscivo a prendere sonno, non facevo altro che pensare a dove potesse essere alle due di mattina. Ero preoccupato, perché l'ultima volta che fece così tardi, rientrò con un occhio nero e un labbro tagliato. Quando l'orologio segnò le tre passate, decisi di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Non potevano ricordare il volto di tutti gli ebrei, giusto? Avrei potuto evitare di andare nel campo dove lavoravo, no? Però Harry aveva un impiego lì, avrei dovuto cercarlo là. La mia idea di uscire da lì dentro andò in frantumi, al pensiero che sarei potuto benissimo finire di fronte al fucile puntato di Hans. Era ingiusto, totalmente ingiusto.
Lanciai uno sguardo veloce alle divise di Harry, piegate dal sottoscritto come una perfetta casalinga. Non ci pensai un secondo; ne afferrai una, quella con la giacca e i pantaloni uguali a quelli di Harry e la indossai. Il capello con visiera nascondeva i miei capelli fin troppo corti, e la manica lunga fino ai dorsi delle mani non permetteva a nessuno di notare le cifre d'inchiostro nero sul mio avambraccio sinistro. Nessuno mi avrebbe riconosciuto.
Un mostro rumoroso e fastidioso si muoveva freneticamente all'interno del mio stomaco, mentre tremavo e sudato di fronte alla porta di legno ancora chiusa. Allungai indeciso la mano verso la maniglia e l'abbassai, aprendo la porta che Harry non chiudeva più da ormai una settimana. Ce la puoi fare, non facevo altro che ripetermi una volta varcata la soglia.
Avanzai tremolante a passo lento, tenendo stretto nelle mani l'orlo dei pantaloni che minacciavano di cadere, essendo di qualche taglia più grande. I miei piedi ballavano dentro gli scarponi neri come la pece di un numero decisamente maggiore al mio. Sul mio cammino, non c'era nessuno.
Avanzai con la sensazione che qualcuno mi stesse divorando il cuore. Era un miracolo che mi ricordassi ancora come si camminava su quei sassolini sabbiosi, dati gli infiniti giorni trascorsi a stare seduto, mangiando qualche briciola di pane e sistemando i quattro stracci di Harry. Sentii delle risate e mi irrigidii ancora di più, nascondendo il volto sotto la visiera rigida. Erano due soldati che chiacchieravano sereni fra loro.
«Ah!»
Urlarono facendo una cenno, in segno di saluto. Ridacchiarono portando in alto le mani. Erano evidentemente ubriachi. Mi chiesi se anche Harry lo fosse, magari avevano dato una specie di festa  ritrovo fra soldati e si erano dati alla pazza gioia. Gli era permesso festeggiare? No, non credo.
Avanzai sospirando, credendo di aver avuto fortuna a non essere stato riconosciuto da quei due. Non appena feci qualche passo più in là, potei scrutare la mensa ancora illuminata nonostante fosse notte fonda. Presi un bel respiro e mi incamminai verso di essa, pregando tutti i santi possibili. Non sapevo nemmeno perché fossi uscito dalla baracca, tanto una volta fuori sarebbe finita comunque male, non facevo altro che pensarci. All'entrata si trovavano altri soldati ubriachi e mi rivolsero saluti indistinti, con qualche cenno del capo o della mano. Al centro del grande salone si trovavano decine di tavoli in legno, sulla quale bevevano e mangiavano altre decine di soldati. C'era spirito di festa e divertimento, non ne sapevo il motivo, ma nonostante l'ambiente fosse così rallegrato, io non potevo fare a meno di tremare come una foglia dalla paura. Scrutai velocemente ogni singolo tavolo, in cerca di Harry. Non credevo fosse lì. Oppure, non ci speravo nemmeno più.
Un uomo barcollante mi si avvicinò, afferrandomi per le spalle sorridente. Mi rivolse una serie di parole indecifrabili, emanando un fetido mal odore di alcolici. Come avevo fatto a non pensarci? Era ovvio che qualcuno mi avrebbe rivolto parole in tedesco, perché sono stato così idiota da non averci pensato? Con tutta la calma possibile ed ancora esistente in me, respirai, mimando versacci a caso, sperando che funzionasse in una qualche modo. L'uomo corrugò la fronte ed arricciò il naso. Credevo si stesse iniziando a insospettire della mia identità, e lo potei capire da come iniziò a squadrarmi da capo a piedi in cerca di un qualche aiuto o indizio.
Un'altra voce entrò in gioco, esclamando una serie di frasi sempre più strane. Una voce riconoscibile ovunque; quella di Harry.
Finse evidentemente di essere poco sobrio, prendendo a braccetto il soldato e rifilandogli parole nelle orecchie, per poi ridacchiare. Mi lanciò un paio di occhiate, prima di spedire il terzo incomodo da un'altra parte.
Non appena fummo soli, afferrò il mio braccio bruscamente.
«Nascondi il volto e fingi di essere ubriaco»
Sussurrò tenendo il mio capo nascosto fra le sue braccia. Avanzai velocemente seguendo il suo passo piuttosto svelto, ascoltando come rifilasse scuse a chiunque gli passasse accanto, continuando a sghignazzare. Sapeva fingere, ed anche bene.
Qualche istante dopo mi liberò dalla presa, costringendomi però a camminare ancora frettolosamente verso la baracca. Non appena fummo di fronte alla porta, l'aprì bruscamente e mi spinse all'interno. Era infuriato e tanto.
«Che cazzo ti dice la testa?»
Il suo respiro era irregolare e la mascella tesa. Levò il cappello lanciandolo da qualche parte per la stanza, prendendosi il volto fra le mani e cercando di darsi una calmata. Mi difesi, dicendo che ero tremendamente preoccupato che gli fosse successo qualcosa, ma mi tappò immediatamente la bocca. Stava dando fuori di matto, andando avanti e indietro per quei due metri fra il divano e l'armadio, senza mai affrontare il mio sguardo. Ero terrorizzato quanto lui arrabbiato. Mi disse centinaia di volte quanto fosse pericoloso là fuori, di cosa mi sarebbe potuto accadere e di quanto spietati fossero i soldati; avrebbero potuto spararmi ad un occhio, non appena si fossero resi conto della mia vera identità.
Si fermò, sospirò prendendosi il capo fra le mani. Nessuno disse più nulla, si potevano sentire solamente i nostri respiri ancora affannati dall'agitazione e dalla corsa improvvisata a pochi metri dalla baracca. Mi avvicinai lentamente a lui, presi le sue mani fra le mie e lo costrinsi a sollevare il volto. Aveva gli occhi arrossati ed umidi.
«Non c'è bisogno di piangere..»
Lo abbracciai. Non mi respinse, ma ricambiò la stretta con più foga, stringendomi fino a non permettermi più il respiro. 
«Non so che farei se ti dovesse accadere qualcosa, Louis»
«E niente accadrà, te lo prometto»
Un sorriso triste, e bagnato da due lacrime, si dipinse sul suo volto."

***

"Questa è decisamente la storia più romantica che abbia mai sentito in vita mia" Louis sorrise e ringraziò la giovane dalla chioma corvina.
"Era così spaventato?"
"Era molto più che spaventato. Quella notte gli venne pure un attacco d'asma.."
"Addirittura?"
"Sì. Quando sentii il suo respiro farsi sempre più pesante, mi fiondai immediatamente al suo fianco e lo strinsi, accarezzandogli i capelli e sussurrandogli di calmarsi."
"Tutto questo per paura che facessero del male a lei?" Louis annuì con sguardo triste. Riprese poi a leggere il penultimo capitolo; Il permesso.

***

Il sole che potevo intravedere oltre le tende era debole, e non trasmetteva di certo il calore che ci si aspetta da un sole di Giugno. Tuttavia avevo imparato a non lamentarmi e vivere quei giorni di prigionia, diciamo, come un periodo che avrebbe avuto un lieto finale e che sarebbe arrivato in poco tempo. le mie giornate le passavo a trasformare i miei sentimenti per Harry e tutta quella situazione, in parole stese su qualche pezzo di carta che conservavo gelosamente, oppure talvolta, addirittura in schizzi e abbozzi di disegni che tendevo ad accartocciare e nascondere per evitare che Harry li potesse trovare. Non era di certo un grande artista, ma mi piaceva passare il tempo a raffigurare quel che mi passava per la testa. Un pomeriggio Harry rientrò presto, molto presto. Ero solito vederlo varcare la soglia della porta verso le sei di sera, quando fuori faceva ancora chiaro. Erano solamente del quattro del pomeriggio e il suo sorriso mi si presentò di fronte, totalmente entusiasta. 
«Ho il permesso!»
Esclamò traboccando di gioia e lanciandosi al mio fianco, sul divano a due posti che, fino a qual momento, era ricoperto da un lenzuolo color porpora ben teso ed ordinato. Rimasi scombussolato mentre Harry non faceva altro che stringermi estremamente felice della notizia. Chiesi spiegazioni, osservando la mia mano, piccola e umidiccia, intenta a scaldarsi nella sua, calda e secca. Poteva andarsene, a Luglio. Aveva ottenuto il permesso di partire e non ritornare mai più a lavorare in quei campi. Sembrava che fosse in grado di prendere il potente zio nel modo giusto. Non potevo credere come un uomo così spietato potesse avere un lato gentile, o addirittura una famiglia che gli voleva bene, nonostante fosse a conoscenza di quel che stesse facendo. Non appena mi diede spiegazioni più precise, ricambiai l'abbraccio lasciando un bacio caldo e a stampo sulle sue labbra, altrettanto calde e screpolate. Il nostro unico problema ora era; come mi avrebbe portato fuori di lì? Come avrebbe convinto i soldati a lasciarmi uscire al suo fianco? 
Credevamo che bastasse lasciar muovere le folte ciglia di Harry, intento a fare gli occhi dolci allo zio, ma non avrebbe mai creduto alla storia del 'ho bisogno di un aiutante per il viaggio'. E, inoltre, mi avrebbero perlustrato di certo prima di lasciarmi andare e a quel punto avrebbero notato il numero sul braccio e le cicatrici. La seconda opzione era farmi scappare di notte, attraverso una scappatoia che lui avrebbe creato durante il giorno, una volta fuori. Non pensavamo avrebbe retto come piano, per questo decidemmo di ragionarci ancora un po', per trovarne un terzo. Poi, mi venne in mente un'idea a dir poco geniale che avrebbe risolto il problema. In poche parole, avrei dovuto fingere di essere morto.
Molte persone là dentro hanno provato a fuggire, servendosi dei carri pieni di cadaveri destinati a fosse comuni esterne al campo e tutti loro, o per lo meno la maggior parte, hanno fallito miseramente. Noi non avremmo fallito. Sapete perché? Perché Harry era decisamente il soldato più privilegiato di quel campo e gli avrebbero di certo lasciato avere il comando riguardo a tutto quello che avrebbe voluto fare. Gli altri lo temevano. Temevano di farlo arrabbiare o di turbarlo, e quindi che dicesse qualcosa a, insomma, Hitler, già. 
Ancora oggi mi trasmette sensazioni strane parlare di quell'uomo che fosse stato a me vicino, o un mio conoscente. Era decisamente agghiacciante parlare di lui come se potesse avere a che fare con me, prima o poi. In effetti, io credevo che una volta fuori dal campo, Harry avrebbe dovuto sicuramente incontrarlo di nuovo, essendo suo parente. Il riccio però non sembrava curarsi delle mie preoccupazioni. Andremo abbastanza lontano da non permettergli di trovarci, diceva. 
Spendemmo un'intera notte per pianificare la mia fuga. Entrambi stanchi, sì, ma entrambi desiderosi di condurre una vita differente, felice e soprattutto distante da quel maledetto inferno. Disegnammo una mappa del campo. Ritenni che fossimo in un perfetto stile professionistico mentre continuavo a sghignazzare. Harry era totalmente serio, e nonostante talvolta mi concedesse un sorriso o due, tornava immediatamente serio con tutti quei discorsi freddi. Lui sarebbe stato di turno alle due di notte, l'orario in cui era certo nessuno passasse per quella zona. Io avrei dovuto trovarmi in mezzo a quell'ammasso di corpi privi di vita e sporchi, in attesa che lui portasse all'esterno il mucchio. Una volta fuori mi avrebbe aiutato ad uscire e saremmo scappati, insieme. Sembrava tutto perfetto, eccetto per il fatto che avrei dovuto passare un giorno in mezzo a dei copri defunti e putridi. Non tutti lo farebbero, ma io, per Harry, sì.
Mancavano ancora molti giorni alla fatidica data, ciò nonostante, tremavo ogni singola notte. Temevo che qualcosa fosse andata storta, temevo che saremmo stati scoperti e poi fatti fuori senza pietà. Non volevo questo per Harry, no.
«Puoi smetterla di pensare e dormire?»
Mi voltai. Harry aveva un occhio chiuso e l'altro strizzato, che lottava per rimanere aperto e vedere il mio viso avvolto dall'oscurità di quella notte estiva. Esitai. Mancavano solo due settimane, e poi saremmo partiti. Ce ne saremmo andati da lì, ancora non riuscivo a crederci del tutto. Finalmente non mi sarei più svegliato il mattino, ascoltando le urla di dolore dei miei compagni, gli ordini strillati dei soldati tedeschi,  con la puzza costante di marcio che regnava in quel luogo e consapevole di non poter mettere il piede fuori dalla porta per evitare la morte. Il pensiero della mia casa calda, accogliente e profumata prevaleva nella mia mente, e non aveva intenzione di andarsene. In casa mia c'era sempre stato rumore, parecchio rumore. Le mie sorelle minori si divertivano a litigare, strillare e rincorrersi dalla mattina alla sera, senza mai dare tregua a me e mia madre. Ora sapevo con certezza, che quello non era niente in confronto ai campi di concentramento. Niente. 
Perciò no, non potevo smetterla di pensare e dormire. Non in un momento di tensione e ansia come quello. Avevo bisogno di sfogarmi e magari essere coccolato dall'unica persona che nel corso della mia vita è stata in grado di rivelarsi mia unica salvezza e speranza di vita, ma lui era nervoso tanto quanto me. Mi azzardai comunque a domandargli se avrebbe voluto starmi vicino per quella notte. Mi sorrise. Un sorriso tranquillo, rilassato e radioso. Si alzò dalla sua brandina rivelando il suo torso nudo ed avvicinandosi cautamente a me, che nel frattempo ansimavo con sguardo vuoto. Non appena si stese al mio fianco, avvolgendomi con il suo braccio sinistro mi sentii subito meglio. Quasi come se fossi in cerca d quello da tempo. Era la miglior cura di sempre a qualsiasi mio problema. Gli bastava solamente sussurrarmi qualcosa di dolce all'orecchio, permettere al suo respiro di tastare la pelle del mio collo e stabilire un contatto fisico con me. Rischiavo di avere un attacco di cuore tutte le volte che lo toccavo. Le emozioni che mi invadevano il corpo tutte le volte che mi permetteva uno scambio di gesti d'affetto come quello, erano sempre sul punto di causarmi uno svenimento. Iniziavano a sudarmi le mani. Il mio battito cardiaco accelerava. I mie occhi guardavano ovunque fuorché il suo volto. La sensazione di piacere e serenità mi investiva. Avevo una voglia pazzesca di passare il resto dei miei giorni fra le sue braccia. Sentivo che fosse l'unico in grado di capire quel che provavo riguardo a qualsiasi cosa. Era quello l'amore? Era una cotta, forse? Non lo seppi mai.
Sfregava la sua mano sulla mia spalla molto lentamente, tenendo la mia testa al sicuro nell'incavo del suo collo. Mi voltai a guardarlo. Si può sapere che diavolo stesse aspettando per baciarmi? Io non avevo di certo il coraggio di avventarmi sulle sue labbra, aspettavo sempre che fosse lui a farsi avanti. Cercavo sempre di evitare situazioni imbarazzanti. Ma al diavolo l'imbarazzo, pensai. Mi feci avanti. Annullai la distanza che ci teneva separati e mi godetti fino all'ultima frazione di secondo il sapore delle sue carnose e rosee labbra. Una mano s'intrecciò fra i miei capelli ed un'altra si posò sul mio volto. Sorrisi senza nemmeno staccarmi dalla sua bocca. Qualche secondo dopo, anche le sue labbra si stirarono in un enorme sorriso. Non avevamo nulla da temere, insieme.

***

"E' amore, ne sono certa!" Louis sorrise. Quella ragazzina sembrava una fra le più attive e interessate in sala. Glielo si leggeva in faccia il sentimento e il divertimento nell'ascoltare le parole dell'uomo. 
"Mi sarebbe piaciuto conoscere Harry.."sospirò un'altra ragazza che fino a quel momento, non aveva ancora aperto bocca.
"Era veramente l'uomo migliore che Dio avesse mai donato al mondo"ci furono attimi di silenzio, prima che il pubblicò potesse iniziare ad applaudire di fronte alle parole commoventi e sincere dell'uomo che sorrideva divertito ed onorato. Quelle persone lo sostenevano e lo stimavano. Si sentiva apprezzato.
Ma era ormai giunta l'ora dell'ultimo capitolo: Il miglior errore di sempre.

***

Ci siamo. L'ultima notte insieme ad Harry. Ero sudato, nervoso, agitato, entusiasta e allo stesso tempo depresso. Non facevo altro che ripetere il piano in modo tale da farlo entrare sia nella mia che nella testa di Harry. Dovevo solamente intrufularmi nel carro, fingermi morto di fronte alle guardie, resistere alla puzza e lo schifo dei cadaveri ed attendere il mio salvatore. Facile, no? No, non lo era. A lui spettava solamente portare fuori una quindicina di morti fra cui il mio corpo. A me toccava il lavoro sporco, davvero sporco.
Cercai di non lamentarmi. Ero così felice di poter finalmente uscire in pieno giorno, da quasi scordarmi di dover trascorrere altre tre ore nel buio. Il momento di uscire da quella capanna fu un attimo di terrore puro, terrore di sbagliare, essere scoperto, essere ucciso. 
Non indossavo la mia lercia divisa da mesi. Mi era diventata ancora più stretta del solito; il cibo di cui mi saziava Harry era molto più sostanzioso della pasta priva di qualsiasi caloria che servivano ai giudei. Camminavo con passo insicuro, con la costante paura di essere colpito da qualcuno. Lì la gente si divertiva a sparare senza sapere chi sarebbe stata la vittima; eravamo una sorta di bambole che venivano ingiustamente maltrattate e sfruttate come fenomeni da baraccone. Bleah.
La parte più dura sarebbe di certo stata camminare di fianco alla mia vecchia baracca, nel tentativo di non farmi notare da nessuno e filarmela velocemente fino a raggiungere quella cavolo di ammucchiata di defunti. Fortunatamente era il giorno delle docce. Nessuno era alla capanna. Dio deve amarmi davvero, pensai sorridendo. 
Camminai con molta più decisione verso la mia meta e finalmente la raggiunsi. Lo capii qualche metro prima, grazie al fetido tanfo che emanavano quei corpi maltrattati. 
Prima che potesi avvicinarmici troppo, notai i tre soldati. Mi irrigidii. Iniziai a sudare spropositatamente, molto più di prima. Non avevo intenzione di morire quel giorno. Indietreggiai e mi nascosi sul fianco di una parete di legno di una baracca lì vicino. Come accidenti abbiamo fatto a non pensare che ci sarebbe stato qualcuno di guardia? Come? 
Dovevo tornare indietro. Dovevo avvisare Harry e dirgli che il piano era saltato. Non potevamo rischiare di morire entrambi per colpa mia, non lo avrei mai permesso. Camminai molto lentamente nella direzione della dimora di Harry, quando lo vidi venirmi incontro con sguardo preoccupato. Mi spinse immediatamente di nuovo contro la parete, chiedendomi spiegazioni. 
«Ci sono dei soldati lì, ho paura»
Sussurrai iniziando a sentire un magone salirmi in gola. Gli occhi mi pizzicavano e il cuore batteva a mille. Il mio stomaco si stava contorcendo fino a non permettermi quasi più di riuscire a reggermi sulle mie stesse gambe. Sentivo il viso essere sul punto di bagnarsi, ma ci passai sopra una mano sporca bruscamente. Non mi sarei messo a piangere. 
Harry disse che ci avrebbe pensato lui e lo vidi scomparire. Attesi un'infinita serie di minuti che sembrarono apparire ore intere. Fu il rumore della marcia in arrivo dalle docce a spingermi ad andare a controllare dove fosse finito il riccio. I tre se n'erano andati, ora solamente lui, che mi aiutò a levarmi di dosso gli abiti per poi farmi entrare nella baracca piena di defunti in attesa di essere trasportati in una fossa comune. Ero steso sopra quei cadaveri scheletrici, fetidi, rigidi, bianchi, sporchi e totalmente da vomito. 
Coraggio Louis, solamente per un po' di tempo, poi Harry arriverà e ti porterà via di qui. 
Il fatto che fossi nudo come la mia vivace compagnia di morti era la parte peggiore di tutte. Il mio corpo si sfregava contro i loro ormai privi di vita da tempo. Il mio pasto era sul punto di fuoriuscire dalla mia bocca secca e serrata, per paura di permettere a quell'atroce fetore di entrarci e dare il via al rigurgito. 
In quel lasso di interminabile tempo entrarono sei volte, sei soldati differenti. Io tenni gli occhi chiusi per tutto il tempo e riuscii a passare per un simile a coloro che mi circondavano senza problemi. Eppure ero piuttosto in carne, in confronto a loro, perché non lo hanno notato questo?
Una delle poche volta in cui aprii gli occhi, strizzandoli, notai la luce del sole farsi sempre più fioca. Era quasi ora. Harry sarebbe entrato a momenti e mi avrebbe dato di nuovo la mia vita indietro. Una nuova vita. Una vita migliore. 
«Louis?»
Sussurrò. Aprii di nuovo gli occhi e ne strizzai uno, nel tentativo di fargli capire che c'ero ancora e che ero vivo e vegeto. Schifato e sul punto di rimettere, ma vivo. 
Iniziò a caricare un corpo alla volta su quell'enorme carro trainato da due asini in pessime condizioni. Provai pena per loro. Ne stava caricando sempre di più, senza mai permettersi di rivolgermi una parola, per evitare di essere scoperto. Quando arrivò il mio turno mi strinse più del dovuto e mi posò delicatamente, come fossi un bambino. Non osai aprire gli occhi, perché ero consapevole di essere ora all'aperto e di rischiare d'essere notato da qualche soldato da me non visibile. 
Sentii l'ultimo cadavere schiantarsi al mio fianco come fosse un giocattolo rotto. Non avevo intenzione di provare un'emozione del genere di nuovo. Non vedevo l'ora di uscire da lì e condurre la mia vita con il ragazzo che credevo di amare. Questi pensieri positivi mi permettevano di continuare a sperare, nel bel mezzo di un mucchio di anime disperse e bruciate. 
Il carro si mosse. La voce di Harry dava costanti ordini alle due povere creature che facevano fatica a trasportare il nostro peso. Nonostante il 99% delle persone su quelle vecchie e ammuffite assi di legno fosse sul punto dell'anoressia, non era comunque facile trainarci così velocemente.
Potei udire le parole di Harry rivolte verso tutti quei soldati incaricati di sorvegliare i cancelli di ferro battuto. Discussero a lungo. Così a lungo da farmi credere che il riccio si fosse dimenticato della mia presenza sue quelle quattro ruote. Ma dopo qualche minuti ci muovemmo di nuovo, accompagnati dal cigolio dei cancelli non appena si spalancarono. 
Eravamo vicini. Così vicini da poter perfino iniziare già a percepire il vero profumo dell'aria fresca, al posto del fumo e la puzza di morte. Sentii gli uomini rivolgere un saluto ad Harry che, carico di sacco e divisa ufficiale, non sarebbe più tornato in quel luogo. Lui aveva il suo permesso.
Ce l'avevamo fatta. Eravamo ufficialmente fuori dal confine dell'inferno ed io stavo per scoppiare in lacrime dalla gioia. Non appena mi diede l'ok per riaprire gli occhi, notai quell'infinità di alberi rigogliosi ed alti del bosco che per tutti quei mesi, ho sempre desiderato esplorare ed annusarne ogni singolo profumo. 
«Ce l'abbiamo fatta, Louis!»
Non feci nemmeno a tempo da dire qualcosa, qualsiasi cosa. Harry mi prese il volto fra le mani e mi baciò con passione e foga. Ricambiai il bacio senza alcuno scrupolo e intrecciai le dita fra i suoi selvaggi ricci, levandogli di dosso quel ridicolo cappello da divisa e con visiera, che teneva imprigionata la sua bellissima chioma castana. 
Sfilò dalla sua borsa una maglia ed un paio di suoi pantaloni, che indossai con un leggero colorito rossastro sulle guance; avevo smesso di fare caso al fatto che fossi stato nudo per tutto quel tempo. Ci eravamo liberati dei corpi gettandoli nella famosa fossa comune che avremmo dovuto raggiungere e fummo finalmente in grado di darcela a gambe per raggiungere la stazione dei treni. Mano nella mano correvamo verso la libertà, ma non avevo pensato al dettaglio più importante.
«Dobbiamo tornare indietro»
Mi bloccai all'improvviso, strattonando senza volerlo il braccio di Harry, che nel frattempo mi rivolse uno sguardo scioccato e confuso. Mi chiese il motivo, con un tono piuttosto sorpreso ed una sfumatura di nervosismo. Non avevo pensato alla mia famiglia. Sarei dovuto tornare indietro a prendere le mie sorelle, mia madre e ad aiutarle ad evadere proprio come avevamo fatto noi.
«Questa è un'assurdità! Non possiamo, Louis. Mi si spezza il cuore a dirtelo in modo così brutale, ma non possiamo rischiare di nuovo per loro»
«Sono la mia famiglia, Harry! Non me la sento di lasciarle lì a morire senza combattere»
Non gli diedi nemmeno il tempo di contrabbattere. Mi voltai iniziando a correre con tutte le energie rimaste nel mio corpo. Sentivo di star facendo la mia grande cazzata della mia vita, ma per la famiglia ne sarebbe di certo valsa pienamente la pena. Due bambine identiche e vivaci di nove anni, una capricciosa e fastidiosa di quindici, l'altra in costante depressione di quattordici ed una madre consumata dalla vita quarantenne. Erano strazianti, ma erano mie. Le avrei dovute salvare.
Harry, alle mie spalle, gridava e mi rimproverava rincorrendomi, nel tentativo di farmi tornare da lui e dimenticare il mio capriccio. Passava dal rassicurarmi con parole dolci, al minacciarmi con insulti causati dalla sua enorme paura nel vedermi nel tentativo di buttarmi di nuovo fra le braccia della morte certa. Ancora oggi mi ripeto quanto sia stato idiota a non dargli retta.
Un fucile puntato verso la mia fronte mi obbligò a fermarmi. Venne istintivo sollevare le mani in alto ed arrestarmi, col fiato sospeso. Lo sguardo di ghiaccio di quel soldati ariano mi stava letteralmente fulminando con severità. Harry mi raggiunse, rallentando il passo. Sapeva che non avrebbe potuto continuare a fingere di essere mio nemico, perché ce lo sentivamo entrambi che non avrebbe funzionato con quell'uomo. Eravamo spacciati.
Il tizio in divisa mi urlò contro con probabilmente tutta la voce che aveva con sé. Mi rimproverò in una lingua che ormai ebbi rinunciato a comprendere, continuando ad avvicinare quell'arma al mio capo. Ci furono delle ultime parole, affermate con molta più decisione delle precedenti e che fecero scattare un'azione da parte di Harry. Corse al mio fianco e mi gettò a terra, ricevendo un proiettile in pieno petto. Si lasciò cadere a terra, accanto a me. Ansimava, era ovviamente in fin di vita e avrei dovuto fare qualcosa.
Una scarica di adrenalina mi permise di colpire l'uomo con una brutalità e cattiveria che scoprii in quell'istante di poter possedere. Lo colpì talmente tante volte al capo da far fuoriuscire sangue dal suo naso. Credo di averglielo rotto prima ancora che potesse ricaricare il suo fucile per mettere fine alla mia vita. Mi presi io il compito di caricarlo e puntarglielo in fronte, proprio come lui fece con me qualche minuti prima. Tre spari. 
Mi fiondai al fianco di Harry, con la vista offuscata dalle lacrime che minacciavano di scendere senza fine. Lo scossi e lo aiutai e sollevarsi, ma invano. Ci riprovai. Lo coricai sulla mia spalla, ma crollai di nuovo. La terza voltai tentai di tenerlo più saldamente, dopo avergli fasciato la ferita con la maglia che mi tolsi velocemente. Cademmo la terza volta. 
«Louis, Louis!»
Ripeté il mio nome un'infinità di volte, nel tentativo di farmi smettere di sollevarlo per poi farlo cadere di nuovo. Io non mi volevo arrendere, ma dovetti chinare il capo e lasciare che il mio volto si bagnasse, mentre Harry mi rivolgeva le sue ultime parole. Non volevo ascoltarlo. Non volevo sentire quelle fatidiche parole forzate, con la consapevolezza che fossero le ultime che avrei potuto udire con il suo tono di voce così pacato e profondo.
«Promettimi che non tornerai là, devi dirmi che andrai ovunque ti pare, ma non là..»
Sussurrava a malapena e si lamentava del dolore che gli causava ogni singola sillaba pronunciasse. Non potevo fare a meno di piangere a dismisura, mentre osservavo la persona alla quale ho voluto più bene al mondo lasciarmi per sempre. Annuii, promettendogli che mi sarei messo in salvo. Nella mia testa continuavo a dirmi che avrei dovuto agire in fretta e portarlo magari al campo, per mostrare ai soldati che il nipote del loro grande capo era gravemente ferito. Magari lo avrebbero salvato, ma era troppo tardi.
«E' stato un errore. E' stato tutto un errore» piagnucolai posando la testa sul suo torace, e lasciando che le mie lacrime gli inumidissero la camicia color beige. Si sforzò di toccare un'ultima volta i miei capelli sfiorandoli a malapena. Provai a vivere gli ultimi istanti con lui lasciando che le cose avvenissero spontaneamente. Accarezzai un'ultima volta il suo volto. Mi beai dei suoi occhi ancora così pieni di vita, nonostante fosse sull'orlo della morte.
«Sei stato il mio miglior errore di sempre»
Il tocco delicato all'altezza del mio capo svanì. Il colore dell'erba in primavera dei suoi occhi sparì per sempre e la sua voce si sfumò nell'aria, rimanendo impressa nella mia mente. 
Rivolsi lo sguardo verso il cielo ed emisi uno straziante urlo. Non facevo altro che piangere, mentre le mie mani esaminavano che fosse veramente finita. Non riuscivo ancora a credere di aver perso la persona più importante della mia vita. Non potevo accettare il fatto di aver perso la persona che amavo."

***

In sala buona parte delle persone piangeva, o lacrimava appena. Louis sapeva che sarebbe successo; succede sempre tutte le volte che legge il suo manoscritto. Anche lui si era fatto sfuggire qualche lacrima, ma non lo diede a vedere. Non ci furono più interruzioni da parte di nessuno del pubblico, solamente il rumore di mani che batteva per infiniti minuti. Louis osservava entusiasta quelle decine di persone che si erano alzate dalle loro sedie con l'unico scopo di dimostrare il loro rispetto nei suoi confronti. Si sentì il cuore esplodere d'orgoglio verso sé stesso.
Sapeva che una volta a casa, avrebbe aggiunto quella giornata per ricordo. Perché, se un tempo era abituato a collezionare ferite, ora si divertiva a collezionare ricordi di incontri con tutte le persone che apprezzavano la sua esperienza. Nel suo soggiorno aveva persino un piccolo angolo, dove era solito appendere tutte le fotografie scattate al pubblico di ogni ritrovo a cui partecipava per parlare del suo libro. 
Quel pomeriggio ritornò a casa, si accomodò sulla sua solita poltrona e sospirò, consapevole di aver affrontato un'ennesima e difficile giornata piena di emozioni e di ricordi. Chiuse gli occhi per qualche istante, e quando li riaprì, una fotografia al centro di tutte le altre lo colpì. Intravide il sorriso di Harry, coronato da due adorabili fossette. Sorrise osservandolo e permettendo alla sua vista di offuscarsi per colpa delle lacrime che sarebbero scese da un momento all'altro. Quella fotografia gli era stata donata dalla famiglia di Harry, il giorno in cui vennero a sapere la verità a riguardo. Louis ne apprezzò il gesto e la fece ingrandire, per poi appenderla al centro del suo soggiorno, così da poter rivivere tutte quelle emozioni, che solo l'amore della sua vita era in grado di fargli provare, con un solo sguardo. 

 
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Salve!
Spero vivamente di non aver toccato argomenti troppo delicati per il mio livello di scrittura. 
Non sono proprio il massimo, e rischiare di trattare di qualcosa fuori dalla mia portata, mi terrorizza a morte.
Ho giocato letteralmente con i Larry feelings, ahh. Il fatto è che l'argomento 'Shoah' e 'Campi di concentramento' è sempre stato 
un mio grande interesse e tramutarlo in qualcosa strappalacrime e Larry mi sembrava un'idea carina. 
Ho cercato di rispettare al massimo ogni singolo dettaglio temporale e per quanto riguarda la storia del nipote gay di Hitler, 
ho voluto fare uno strappo alla regola e buttarci qualcosa di originale e particolare.
Gesù, Giuseppe e Maria-come dice la protagonista del mio libro-, Hitler non aveva un nipote gay. O almeno..non lo so.
Una mia amica, verso la metà della One Shot mi ha posto il problema: perché Louis il recessivo ebreo ed Harry il soldato forte?
Aaaaccci e li mortacci tua. Mi ha fatto sorgere un dilemma grande quanto non so cosa. Mi scuso per questo, ma io mi sono da subito immaginata 
Harry potente e Louis un povero confuso che s'innamora del nipote di Hitler. Lmao. 
Scusate per il Louis tops. (#TeamLouisTops)
Spero vivamente di avervi fatto provare due dita di emozioni o che vi sia piaciuta almeno un pochettino e che me lo direte dove vorrete; qui, su Twitter (@scelgoharry), su Tumblr (@vomitopiume) o dove cavolo vi pare. 

Baci,
Vanessa xx

 
  
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