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Autore: Cla_Helen    06/04/2014    0 recensioni
In un piccolo villaggio, situato tra i ghiacciai delle Montagne Rocciose, si aggirano le feroci creature chiamate comunemente draghi. La popolazione vive ormai nella secolare paura di loro. Ma i draghi saranno veramente solo bestie inviati dagli dei per spargere sangue? E le leggende sulle streghe, coloro in grado di scacciare questi orribili animali, saranno vere o parto di fantasie popolari? Solo i bellissimi fratelli Darrok sanno chi si cela dietro tutto questo...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Buongiorno a chiunque abbia avutoil coraggio/follia di buttarsi nella lettura di questa strana e misteriosa storia! ;D
Devo ammettere che la mia scarsissima conoscenza di informatica mi ha permesso solo ora dicapire come postare correttamente i capitoli ahaha! 
Venendo al punto, questa storia è nata all'improvviso, dopo aver fatto un sogno quasi "dantesco" ^^dunque sta ancora prendendo forma, infatti perdonatemi la noiosità dei primi capitoli, ma purtroppo è un po' inevitabile!
Sono ansiosa di sapere cosa ne pensate, cosa vi è passato per la testa nel leggere questo primo capitolo strano e apparente privo di senso! Un baciooo 



Il sole stava calando nel piccolo villaggio chiamato Dragon Fire, situato tra le alte, inospitali e gelide Montagne Rocciose.
Il piccolo paese era circondato per metà, dal lato sinistro da un fitto e verdissimo bosco di pini e abeti, di dimensioni molto estese, rigoglioso, il Bosco di Smeraldo, e dall’altro dal Lago di Ghiaccio, di una bellezza mozzafiato.
Questo paesaggio incantevole era sepolto dalla neve candida, che lo faceva apparire quasi fatato e magico.
Ma come ogni cosa, dietro quell’apparente tranquillità si nascondeva la, ormai secolare, paura dei Draghi.
I Draghi, creature maestose dotate di grandi ali e di lunghe e appuntite fauci, nelle notti senza luna pattugliavano i cieli, in cerca di prede, poiché consumatori accaniti di carne umana e soprattutto di sangue caldo e vivido.
Nessuno sapeva perché si facessero vedere solo quando il pianeta avorio non faceva capolino nell’oscurità pesante della notte, ma in quelle notti non c’era pietà per nessuno.
C’era una vecchia leggenda nel quale i Draghi erano chiamati con il seguente epiteto: “Flagello degli dei”, infatti si narrava che esistessero le Streghe, esseri immondi e crudeli, dotate di poteri oscuri, che erano in grado di respingere e uccidere i Draghi, ma la cui esistenza non era mai stata altro che fantasia e favola.
La sera si stava avvicinando, e gli abitanti iniziavano a ritirare i banchi, a chiudere le botteghe e a riordinare gli animali, come polli, capre e cavalli. Tutta l’economia del villaggetto era basata su artigiani di qualsiasi tipo, il frumento veniva importato, poiché sulle montagne era difficile poter coltivare, e tutto il fabbricato del villaggio, ogni mese, veniva portato a valle in cambio di viveri e altri oggetti, introvabili altrimenti. I bambini scorrazzavano per la Piazza, lanciandosi la neve, alcuni cani li rincorrevano, unendosi ai giochi.
Elizabeth si strinse maggiormente al mantello verde, caldo e rassicurante. Il cappuccio era calato sul volto nascondendo la cascata di capelli biondo grano, e mascherando i lineamenti da diciottenne. L’atmosfera intorno a lei era quieta e ovattata. Era appena iniziato a nevicare. I fiocchi cadeva lentamente a terra, facendo fermare il tempo. Con sicurezza Elizabeth svoltò all’angolo della Piazza e si diresse nella terza bottega, che ospitava una fucina, la quale lei, ormai, conosceva fin troppo bene. Si guardò intorno, di sottecchi, cercando di trattenere un sorrisetto malizioso. Non vedeva l’ora di vederlo. Notando che non c’era nessuno che prestasse attenzione a lei in quel momento, bussò alla porta, impaziente.
-Elizabeth?-
-Sì, sono io. Apri, fa freddo qui fuori-
-Sei in anticipo- le fece notare l’altro. Elizabeth lo immaginò sorridere, mostrando i suoi denti perfetti e i canini leggermente più lunghi della norma, e non potè far a meno di sorridere a sua volta.
-Muoviti, dai! Ti ricordo che le signore non si fanno attendere- sussurrò lei. La serratura scattò, il portone si aprì - Ma tu non sei una signora-. Dagonet era di fronte a lei. Le braccia incrociate al petto, la camicia slacciata per metà a scoprire il petto muscoloso e glabro, e il corto grembiule sporco, da fabbro. Alto, slanciato e snello. Era sudato. I capelli corvini erano scompigliati e arruffati e gli davano un'aria ancor più trasandata e maledettamente affascinante. Sulle labbra piene si andava disegnando un sorrisetto astuto e divertito, spavaldo, ma allo stesso tempo scherzoso.
Elizabeth appena lo vide sorrise e lo spintonò, entrando. Dagonet richiuse il portone alle sue spalle, e i suoi occhi color ghiaccio brillarono.
Si sentiva piacevolmente in trappola.
 -Cosa ci fa una bella bimba come te in giro a quest'ora?- domandò, con la sua voce profonda, suadente, lievemente cupa, e gradevolmente oscura, misteriosa.
Quando era con lui sentiva che qualcosa le implorava di scappare, di uscire e allontanarsi, per non tornare più.
Ma qualcosa di più profondo le impediva categoricamente di non muoversi di lì, e le faceva desiderare con tutta se stessa di trovarsi con quel ragazzo, lì, adesso.
Elizabeth si guardò intorno e prendendo a camminare, fece spallucce, sorridendo -Infrange le regole- rispose.

Dagonet si appoggiò con la schiena al portone, senza perderla di vista. - Allora non sei una brava bimba-. Elizabeth si voltò a guardarlo -Mi hai insegnato tu ad essere così- ribattè, togliendosi il mantello.
Dagonet non rispose, guardandola, mentre faceva frusciare sul vestito blu notte la stoffa verde.
Elizabeth lo appoggiò su un ripiano e quando si voltò vide Dagonet a un passo da lei. Come ogni volta non lo aveva sentito arrivare.
-Peccato allora...- sussurrò, prendendola per la vita -…io adoro le bambine cattive.-

Gillian era seduta sul letto, davanti al camino.
Fuori stava facendo buio.
La madre era uscita per andare a cercare un nuovo ricettario. Lei stava piegando gli ultimi vestiti di lana soffice, quando si accorse che sue sorella era uscita. Di nuovo.
E poteva anche immaginare dove fosse andata.
D’ altronde non aveva tutti i torti, avevano un fascino irresistibile, fin da quand’erano solo dei bambini: Damon, ventiduenne e Dagonet,  più piccolo di due anni, i due fratelli più misteriosi e a tratti oscuri del villaggio. Avevano sempre lavorato, poiché loro padre era morto disperso molti anni prima. Loro madre rimaneva sempre in casa e si mormorava che fosse una strega, poiché non si faceva vedere ormai da tantissimo tempo. Tutto ciò creava  molte e stupide, per certi versi, superstizioni. Qualcuno aveva sparso la voce che era ancora in lutto per il marito scomparso, ma era solo un pettegolezzo. I due fratelli nonostante fosse molto taciturni e solitari in pubblico detenevano un comportamento esemplare, a dir poco perfetto.
Gillian sapeva che non erano solo perfezione esteriore, ma purtroppo anche interiore. Sapevano come far sembrare un'infrazione delle regole la cosa giusta da fare.
Per un attimo si perse nei ricordi infantili, quando ancora giocava a catturare i draghi con Damon. Infatti avevano trascorso tutta la loro infanzia con i due Darrok, e la loro amicizia era divenuta talmente intima che il confine tra di essa e un sentimento più profondo ormai era completamente svanito. Ora però il momento delle fiabe e del divertimento era finito. E lei sapeva anche il perchè. Ma sua sorella no, non ancora. Doveva dirglielo, prima che fosse troppo tardi.

-Se mi vedesse mia sorella, mi ucciderebbe...- sussurrò Elizabeth.
Dagonet le circondò la vita e avvicinandosi al suo orecchio le mormorò suadente -E perchè? Stiamo solo giocando- e la sollevò da terra, caricandosela in spalle.
Elizabeth sorrise e cercò di liberarsi, ma non ci riuscì, era troppo forte: -Maledetto, lasciami!- urlò scherzando.
-Io sono il drago cattivo e ti porterò nella mia tana- tuonò lui, camminando verso un piccolo giaciglio.
Quando erano piccoli si divertivano a sminuire il reale e devastante pericolo dei Draghi con questi giochi, che ancora ora si divertivano a ricordare in un modo ben più ambiguo e sensuale.
Elizabeth smise di dimenarsi, sbuffando divertita. Lo adorava. Sapeva sempre come prenderla, cosa voleva e come ammaliarla. Conosceva bene la sua curiosità e le mostrava mille luoghi e moltissime cose che la facevano impazzire.
Dagonet la sdraiò e sorrise, come un predatore. -In trappola..- mormorò all’orecchio di lei.
Elizabeth inarcò un sopracciglio.
-Non puoi sfuggire da una strega, lo sai…- scherzò lei, impersonando le leggendarie creature malefiche.
-Sono un Drago, posso fuggire anche da te...-, ben sapendo che anche lui scherzava.
Elizabeth rimase in silenzio, guardandolo, e mordendosi il labbro inferiore, giocando a un gioco pericoloso. Non potè impedire al suo stomaco di torcersi, implorandola di dare sollievo a quel dolce dolore, assaporando le labbra proibite di Dagonet, maledettamente seducenti e tese nel suo solito sorriso affascinante.
-Ma tu non vuoi che io me ne vada...- aggiunse lui, studiandola, come se fosse una sorpresa anche per lui. La sua mano si strinse leggermente sulla gola di Elizabeth.
-Vuoi che io resti?- domandò, accarezzando quella candida pelle.
Elizabeth sentì il cuore aumentare i battiti . -Sì, resta, resta per sempre!-.

Gillian era avvolta nel suo mantello color cremisi. Il vestito  svolazzava mettendo in mostra i piccoli piedi calzati da morbidi stivali marrone scuro. Doveva fare in fretta. Già Elizabeth non sapeva nulla, ma tutto era appena iniziato. Sentì una piccola fitta al cuore. È ora di crescere, si disse, camminando spedita. Teneva la testa bassa per proteggersi dalla neve. Sarebbe passata dalla boscaglia. Di sicuro Damon stava lavorando lì, infatti quel lavoro calzava a pennello al solitario e meditabondo Darrok. Non devi farlo, le mormorò insistente una vocina dentro di lei. Era già la seconda volta che la ignorava spudoratamente, avrebbe potuto farlo anche una terza volta. Continuò a camminare tranquillamente, salutando con cortesia i conoscenti, e quando vide che la strada era vuota sgattaiolò verso la boscaglia. Agile come un cerbiatto raggiunse lo spiazzo dove i taglialegna stavano finendo il turno. Si nascose prudentemente dietro a un albero.
La boscaglia non era proprio posto da donne, di sicuro non tra le scuri e i coltellacci per difendersi dai lupi. Ma Gillian non aveva paura, anche se dietro si portava sempre un’arma, trovata proprio in quel posto. Sentiva brividi di eccitazione per l’avventura scorrerle su per la schiena. Il pino la proteggeva dalla neve, la quiete era ovunque.
Sentì le voci dei taglialegna che erano tornati. Si avvicinò silenziosamente e lo vide.
Era piegato a radunare le sue cose. I capelli corvini gli cadevano sugli occhi con distratta eleganza e coprivano i profondi occhi neri, scuri e misteriosi come la notte e freddi come l’inverno. I lineamenti affilati e sottili, scaltri ma addolciti dalle morbide e carnose labbra, opera di qualche dio. L’aveva trovato.
-Pss…-
Damon alzò la testa lentamente, ben conoscendo quella voce.
La neve cadeva addosso ai suoi vestiti scuri, ma lui, come al solito, non se ne curava.
Si guardò intorno, incurvando leggermente l’angolo di quella bocca seducente, dalla forma perfetta. Sguainò il pugnale che teneva alla cintola e girò piano su se stesso. Gillian sentiva una stretta al cuore, avevano sempre giocato al Ladro e all’Assassino. Lei faceva sempre il Ladro. Sentì una morsa gelida afferrarle la nuca. Succedeva sempre quando c’era lui. Eppure si fidava ciecamente. Gli avrebbe affidato la propria vita. Ma nel suo cuore si agitava un'oscura paura, ormai famigliare, seguita da un’attrazione irrevocabile.
Lasciò cadere il mantello, per suggerirgli la sua posizione, e, a quel lieve frusciare, Damon fissò il punto in cui era nascosta. Gillian trattenne il fiato e impugnando il coltello da caccia uscì allo scoperto, lanciandolo contro di lui, con mira perfetta.
Damon lo afferrò al volo, con un movimento fulmineo. -Sapevo che eri tu.- e sorrise, accattivante, mostrando i canini leggermente più lunghi del normale e i denti bianchissimi. Un sorriso poco rassicurante, ma bellissimo.
 -Solo io ti voglio morto- scherzò Gillian, avvicinandosi.
Damon rise piano -Magari fossi l’unica…- poi, andandole incontro, rifoderò il suo pugnale e nascose quello di Gillian nella cintola, dietro la schiena.
Lui non le staccava gli occhi di dosso, incenerendo ogni preoccupazione di Gillian, con una facilità strabiliante. 
-Questo è il punto in cui l’Assassino cattura il Ladro, te lo ricordi?-
-Come dimenticare?-
Continuavano ad avvicinarsi. Entrambi sorridevano.
-Perchè sei venuta da me?-
-Non mi vuoi?-
-Non ti dovrei desiderare?-.
Gillian non rispose, catturata dai suoi occhi neri come il fondo del lago di montagna, come la notte, come la pelliccia dei lupi. -E tu? Tu mi desideri?-
-Non dovrei- ammise lei, fermandosi di fronte a lui, guardandolo dal basso.
-Già, non dovresti...- e le prese una mano, facendole fare una capovolta, intrappolandola tra il suo petto e il suo braccio muscoloso -…ma è così- concluse, sussurrandole all’orecchio, e puntandole la gelida lama di acciaio sul collo morbido e immacolato, con una leggera pressione, lasciando che la pelle si piegasse, sottomessa, sotto la sua forza mascolina, ora gentilmente trattenuta. Gillian sorrise, nostalgica.
 -Damon, io...io non posso- mormorò poi lei, sentendo che le si formava un groppo in gola, che sapeva già di lacrime.
-Perchè?- chiese lui, confuso.
-Ci hanno assegnato ai Drefan-.
Era tradizione che le ragazze dopo il diciottesimo anno di vita in poi fossero date in spose a uno dei membri giovani e promettenti delle rispettive famiglie del villaggio. Lei, che aveva già vent’anni non si era ancora sposata attendendo la minore, un’altra antichissima tradizione, e sua sorella Elizabeth, da sempre, erano state abituate all’idea di sposare, un giorno i Darrok, ossia Damon e Dagonet, visto il passato trascorso insieme.
La scelta era dei genitori delle figlie, ma spesse volte era l’affinità tra giovani a decretare l’ultima e definitiva scelta. E le due sorelle non avevano mai avuto alcun dubbio sul loro destino. Ma, per qualche strana ragione loro madre, visto che loro padre era morto dopo la nascita della piccola Elizabeth, aveva voluto i Drefan, i due fratelli figli del ricco cacciatore.
La sua voce era rotta.
Damon non reagì.
Lei mise una mano sulla sua che teneva il coltello. Quel contatto aveva un intimità profonda.
Damon lasciò libera Gillian e lanciando via l arma prese la ragazza e l’abbracciò, circondandola con la sua statura mastodontica. -Damon...- sussurrò lei, lasciando che una lacrima le solcasse la guancia. Lui le accarezzò i capelli, consapevole che sarebbe stata l’ultima volta. Gillian sentiva la sua anima farsi sempre più nera. Avrebbe dovuto averne paura, ma non ne avrebbe mai avuta.

Elizabeth chiuse gli occhi e assaporò la sensazione di avere la mano di Dagonet sulla gola. Lui era caldo, un caldo misterioso, oscuro. Non si sentiva mai al sicuro con lui, ma non poteva starci lontano.Era più forte di lei.
Dagonet sorrise, sembrava quasi affamato. Si chinò su di lei, e posò le labbra sul suo collo. Era morbida, e così innocente, così pura, e così...buona. Qualcuno bussò alla porta con prepotenza.
Dagonet si alzò di scatto e Elizabeth si nascose dietro allo scaffale. Non sarebbe stata una buona cosa che qualcuno li vedesse incastrati in quella situazione facilmente interpretabile dalle persone sbagliate.
Bussarono di nuovo.
Dagonet si rassettò e aprì con disinvoltura il portone di legno massiccio.
-Chi..?- non finì la frase che qualcuno lo spintonò.
-Cosa stai facendo invece di lavorare?!- ringhiò cupo e serio il nuovo arrivato. Era Damon, suo fratello maggiore.
Elizabeth sussultò. No, Damon cosa diavolo ci fai qui?
Dannazione. Li avevano scoperti?
-Ma che diavolo...?- protestò il minore, senza capire.
-Dov’è?-
-Che diamine stai dicendo?- ribatté furioso Dagonet, spingendo il fratello.
-Lo sai. Dov’è?- lo minacciò Damon, con un tono glaciale. Elizabeth aveva imparato a temere la rabbia del maggiore dei due Darrok, invisibile all’apparenza ma mortalmente profonda, e dalla sua voce terribilmente bassa capiva che non era proprio il momento di scherzare.
-Fratello, non mi mentire...sai di cosa parlo-
-Elizabeth!-. Era Gillian, sua sorella, alle spalle di Damon. Dagonet imprecò. Elizabeth sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene. Dagonet l’aveva coperta, ma con sua sorella era una battaglia persa in partenza. Damon fissava in cagnesco il minore che continuava a tacere.
Elizabeth uscì allo scoperto -Sono qui- disse alzando un braccio, in segno di resa.
Dagonet sospirò e Elizabeth gli lanciò un occhiata di scuse.
Gillian la guardava, senza rimprovero.
Damon invece era profondamente arrabbiato, ma evidentemente non per quello, perché non guardò Elize, sembrava distratto dai suoi stessi pensiero.
Il freddo entrava dalla porta semichiusa.
Gillian squadrò la sorella, vedendo che cercava con lo sguardo, senza farsi vedere, il mantello verde. Glielo porse, dopo averlo afferrato da terra.
L’altra lo prese senza una parola, dura e imbarazzata. Non capiva perché fosse venuta a cercarla. Stare con Dagonet era la normalità.
 –Andiamo- disse solo, e uscirono salutandoli velocemente, iniziando a sentire delle voci nella via.

-Ma che diavolo ti è saltato in testa?- urlò Dagonet, una volta chiuso il portone, assalendo il maggiore che fissava il muro di fronte, lo sguardo perso nel vuoto.
-Lo abbiamo sempre fatto! Lo sai che io e Elizabeth stiamo sempre qui. Come mai da un momento all’altro non ti va bene che io passi del tempo con lei? Qual è il problema?-
Era infuriato, i suoi occhi chiari bruciavano di rabbia e furore.
Damon si passò una mano tra i capelli in disordine, con una calma glaciale. La sua statura raggiungeva il metro e novantacinque, così come il minore. Erano esattamente gli opposti. Damon possedeva un autocontrollo cinico e freddo come il ghiaccio, mentre Dagonet bruciava e ardeva esteriormente, preda della sua indole ribelle e impulsiva. Non aveva ancora imparato a contenersi.
-Sposeranno i Drefan- ringhiò, cupo.
Nonostante anche lui fremesse di ira la comprimeva e si auto imponeva di schiacciarla il più possibile nel suo cuore.
Dagonet si bloccò di colpo, cercando gli occhi del fratello, e una volta trovati Damon potè leggerci tutta la sorpresa e la furia che li possedevano in quel momento.
-Non può essere…-
-Invece è così-
Dagonet sferrò un pugno contro la parete, incurante del dolore. Aveva una forza impressionante. I capelli gli coprivano il viso devastato dalla sofferenza. I muscoli di tutto il corpo erano tesi, come se fossero sottoposti a un grande sforzo. Il maggiore l’osservò ancora un momento, sentendo che il suo cuore si contorceva, minacciando di rompersi, e poi uscì, sbattendosi la porta alle spalle, con una violenza e una furia silenziosa.

Elizabeth camminava spedita per la via, incurante dei passanti e della fitta neve. Non si era nemmeno infilata il mantello, e i suoi lunghi capelli biondi svolazzavano, frustando l’aria con rabbia.
-Elize!- la chiamò Gillian, correndole dietro, ma sua sorella era più veloce.
La maggiore non le aveva ancora detto la verità, ma sapeva che quello non era forse il momento migliore. Elizabeth cercava di seminare la sorella, per non dover sentire le sue patetiche scuse riguardo a ciò che era appena successo. Sentiva ancora le labbra di Dagonet appoggiate sul suo collo, come una presenza che le impediva di non pensarlo anche solo per un solo secondo. Nel punto in cui le due pelli si erano incontrate, avevano scatenato una reazione infiammante, ora sentiva la sua cute pizzicarle. Si sentì afferrare prepontemente per un braccio, e girandosi si ritrovò facci a faccia con sua sorella. I suoi grandi occhi color nocciola, cosparsi di pagliuzze dorate, erano colmi di rimprovero. Tipico. Gillian era troppo responsabile e ragionevole.
-Che vuoi?-
-Smettila di scappare per una buona volta!-
Elizabeth alzò gli occhi al cielo, cercando di divincolarsi, ma Gillian era tremendamente determinata a non farla scappare nuovamente.
-Devo dirti una cosa davvero importante-

Mary uscì dal negozietto con un nuovo ricettario sulle marmellate sotto il braccio. Era soddisfatta. Finalmente dopo tanto tempo lo aveva trovato. Con tranquillità si diresse verso casa. Una volta arrivata lì, entrò nella piccola bottega, che odorava ancora di farina e zucchero, di dolciumi, e posando il suo nuovo acquisto sul bancone salì le scale, entrando nel piccolo e confortevole salotto. Fuori si stava facendo buio.
Lì l’accolse un caminetto che riscaldava il ristretto ambiente e un tavolo rotondo decorato con un bel vaso di fiori.
Il mobilio era povero, ma ben tenuto e su ogni cosa si poteva notare il tocco femminile e artistico della donna quarantenne.
Con calma si diresse nella stanza accanto dove si trovava un letto e una minuscola sala bagno.
Si sfilò il mantello e, buttandolo sul letto, si lasciò cadere sul morbido materasso di foglie. I suoi pensieri erano un complesso intreccio di fili, quasi indistinguibili, ma tra quell’angoscia e quella agitazione aveva ottenuto una piccola vittoria quel giorno: era riuscita a convincere Edward Drefan a scegliere le sue bambine.
L’uomo, all’inizio titubante, si era lasciato però incantare dalla sua gentilezza.
Sorrise, soddisfatta, con i muscoli che le dolevano per le fatiche del giorno.
Poi si svesti completamente, lasciando che il tessuto di bassa fattura del suo vestito color lavanda, le scivolasse addosso, sulla pelle, fino alle sottili caviglie. Con una grazia e una regalità che non appartenevano affatto al suo ceto medio-basso, si immerse nella vasca da bagno, costruita con legno e ferro battuto. Si abbandonò nell’acqua tiepida, che aveva messo bollente prima di uscire. Sospirò vedendo un piccolo simbolo color della notte sul suo polso esile. Era una chiave, e intorno ad essa c’era intrecciato un roveto. Quello era il simbolo che le impediva di dimenticare. Ora doveva solo proteggerle da quell’inferno, e basta.

-Che cosa?!- mormorò Elize, a bocca aperta. Il suo mondo le si era appena sgretolato sotto i piedi, scaraventandola in un baratro senza fine. I Drefan?
-Lo so…- rispose la sorella maggiore, abbracciandola. La minore rimase immobile tra le sue braccia, come se non avesse ancora assimilato interamente la notizia, come un boccone infilato a forza.
-Perché..?- mormorò, da sopra la spalla di Gillian, sentendosi la gola imbrigliata e le parole sconfusionate rimbombare nella sua testa, ora completamente vuota e incapace di pensare.
La neve continuava a cadere fitta. Ormai per le strade non c’era più nessuno. Il coprifuoco sarebbe stato tra poco, e loro dovevano correre a casa.
-Non lo so, Elize, non lo so…- anche lei non poteva ancora crederci. Era impossibile. Loro madre era stata crudele, ecco la verità. Non le erano mai piaciuti molto i due Darrok, ma non aveva mai avuto nulla da obbiettare, e le due sorelle pensavano che non avrebbe avuto alcuna protesta da muovere nella decisione del matrimonio, dal momento che per lei la felicità delle proprie figlie era la cosa più importante da fare, e ben sapendo che solo i Darrok le rendevano felici, sempre e comunque.
Ad un tratto la minore si raddrizzò e guardò dritta negli occhi la maggiore. Stava piangendo. Gillian non l’aveva mai vista piangere. Con delicatezza le asciugò una lacrima con il pollice –Andiamo a casa, va bene?-
Elizabeth annuì, gli occhi colmi sgranati e sconvolti, e ancora frastornata si incamminarono nella quiete serale del piccolo villaggio.

-E’ pronta cena!- esclamò loro madre, servendo una calda zuppa di farro e nocciole.
Gillian scese dalle scale, la camera di lei e Elizabeth era al piano superiore. I lunghi capelli castano rame di Gillian erano sciolti, e lei indossava già la camicia da notte color panna, che le arrivava fino ai piedi.
–Mamma, Elize non ha fame…- spiegò, quando Mary, loro madre, non vide la minore al seguito.
La donna sospirò, radunando la bellissima chioma bionda, identica a quella di Elizabeth. Il suo sguardo era triste e dispiaciuto.
Il fuoco scoppiettava nel caminetto, inondando la stanza di una luce soffusa, intima e calda. Gillian, però aveva freddo. Non voleva che sua madre se ne accorgesse ma gli occhi le erano tornati lucidi. Si era promessa di non versare nemmeno una lacrima: lei doveva essere forte.
Mary l’abbracciò –Tesoro, un giorno mi ringrazierete per questa scelta-.
Gillian strinse la sottile vita della madre, venendo inondata da un delicato profumo di viole, non ascoltandola nemmeno. La sua mente stava viaggiando a briglia sciolta oltre le mura della piccola abitazione, lungo il Lago di Ghiaccio, attraverso il Bosco di Smeraldo, oltre le stesse montagne.

Elizabeth singhiozzava, straziata. Non voleva piegarsi al destino! Odiava dover accettare le cose imposte. Si rigirò nel letto a due piazze, vedendo la sorella che vicino a lei era immersa in un sonno leggero e agitato. Prese ad accarezzarle i capelli, calmandosi poco a poco. Lo faceva sempre da piccola, l’aiutava a riprendersi dopo i brutti sogni. Le setose ciocche della sorella le scivolavano tra le dita, tranquillizzandola, anche se lei sapeva che quello che stavano vivendo non era solo un brutto sogno.

Damon era sdraiato sul letto, le braccia dietro la nuca, e lo sguardo perso nel vuoto.
Dagonet, di fianco a lui sonnecchiava, cercando di scacciare gli incubi, tormentato come sempre prima della totale assenza di luna nel cielo. Perchè la madre di Gillian e Elizabeth aveva scelto i Drefan e non loro?
Sospirò, era meglio così però, loro non erano persone sicure. Loro non erano giusti per quel mondo. Uno scherzo della natura, ecco cos’erano. Maledizione, pensò, serrando la mascella. Dovevano tagliare i ponti per sempre con loro. Dovevano lasciarle vivere in pace e lontano dai pericoli.
Dagonet si rigirò nel sonno, respirando a scatti, tremando, la fronte imperlata di sudore, come tutta la bellissima schiena nuda. Damon sentì lo spirito del fratello agitarsi e venir straziato. Non poteva svegliarlo, lo avrebbe ucciso.
Rabbrividì pensando che tra poco sarebbe toccato anche a lui. Quella tortura che non li uccideva mai del tutto, ma li fiaccava pian piano, come un oscuro divertimento. La testa prese a dolergli e il torace a sussultare. Una nera paura lo attanagliò, catturandolo, e portandolo nella sua tana. Una fitta di lacerante dolore lo attraversò. Urlò. E ben presto fu tutto buio. La notte era appena iniziata per i due Darrok.

Arleene Darrok era seduta davanti alla sfera di cristallo, trasparente come l’acqua di fonte, e all’interno un liquido fluido che fluttuava, color delle tenebre. I grandi occhi neri come l’oscurità circostante celavano secolari segreti. Le sopracciglia sottili, perspicaci e maliziose, erano aggrottate, pensierose, assorta in chissà quali cupi e complicati ragionamenti. Le mani erano intrecciate, abbandonate sul tavolo. Solo lei vedeva nella sfera. Solo lei poteva scovare intrighi e risolvere enigmi. Non si sbagliavano a darle della strega, e questo la divertiva, perchè non avevano idea di quello che era in grado di fare. Le sarebbe bastato schioccare le dita per sparire nel nulla.
Sulla superficie trasparente vide una donna con lunghi capelli biondo grano e grandi occhi azzurro cielo sfuggire dalla grande mano del destino, e lanciare una lunga e penetrante occhiata di sfida a lei.
-Maledetta- imprecò, battendo un pugno sul tavolo -Perchè...? Perchè lo stai facendo? Complicherai solo le cose!-
Si portò una mano alla testa, e cercò di frenare i ricordi, ma non ci riuscì. Una lacrima scivolò giù, fino a bagnare il pavimento di legno. Dalla camera affianco giunsero le prime urla, le urla dei suoi figli. Una stretta al cuore. Un altra lacrima. Non glielo avrebbe permesso. Mai. Stavolta sarebbe andata fino in fondo. Lo sguardo cadde sul suo polso, c’era disegnata una chiave con un roseto. Era inutile ribellarsi. Fino in fondo.
  
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