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Autore: pinksidfloyd    07/04/2014    0 recensioni
Sara è una ventenne atipica. Tendenzialmente malinconica e depressa, qui vi regala tre stralci del suo diario, tre brani che documentano l'inizio della sua nuova vita.
Dal testo:
"Questa è la legge della Natura, vince il più scaltro e perisce il più stupido e debole.
Era davvero così vantaggioso alla fine dei conti attenersi a quella legge? Non sarei sempre stata la più forte, anzi a dire la verità io ero un po’ il ragno della situazione: tessevo con pazienza la mia tela in attesa di qualche moscerino, qualche misero insetto e senza motivo qualcuno mi avrebbe uccisa. Per diletto, come stavano facendo adesso."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve a tutti! E' da un saaacco di tempo che non scrivo, e soprattutto che non pubblico niente. Spero perciò che siate clementi con me, soprattutto mi farebbe piacere avere un vostro parere. Siccome in questa shot è data molta importanza all'equinozio di primavera, colgo l'occasione per auguravi appunto buona primavera e spero che sia per voi un periodo di rinascita. 

Alla prossima!

Buona lettura








Martedì 18 Marzo

 

Mi fissava, ed io lo fissavo di rimando. Era da giorni che quel gioco di sguardi mi trasmetteva inquietudine. Non l’avevo notato prima di Martedì mattina presto in cui avevo stranamente a disposizione abbastanza tempo per concedermi di meditare in bagno seduta sul wc, in quello stato di dormiveglia che fa sembrare i problemi della vita o delle montagne oppure delle innocue cunette di sabbia. Buttato l’occhio verso il basso lo notai.

Lui se ne stava lì nascosto nella penombra sotto ad un un tubo dell’acqua calda, solo e in attesa, in attesa di una preda da intrappolare nella sua tela tessuta con pazienza certosina. Era attaccato alla sua ragnatela a testa in giù e il suo addome biancastro era esposto ai miei occhi. Quell'essere era a dir poco ripugnante.  Sebbene fosse solo un innocuo ragnetto, a me provocava un istintivo moto di disgusto, così mi alzai in fretta e dopo aver finito di lavarmi uscii dal bagno, senza però ricordarmi del mio nuovo coinquilino. 
La mia giornata passò relativamente tranquilla tra i banchi dell'università, ad assistere a lezioni noiose; mentre i prof blateravano sull'andamento di funzioni e diagrammi delle forze, il mio cervello aveva trovato come unica via di fuga al mondo dei numeri quello dei viaggi mentali nelle foreste amazzoniche della riflessione. Pensai che la mia non fosse una bella situazione. In meno di un anno -realizzai- avevo perso quelli che consideravo i miei migliori amici, quelli che speravo e pensavo ci sarebbero stati sempre, i pilastri della mia vita che conoscevo da quando ero bambina. E invece, uno dopo l’altro, si erano inesorabilmente allontanati, non curandosi di come stessi o di cosa facessi. Certo, i nostri rapporti sono ancora civili, ma non c'è più la sintonia di una volta. Fortunatamente all'università avevo conosciuto gente nuova e all'apparenza gentile, che durante le lezioni mi chiudeva temporaneamente quella voragine che avevo nello stomaco, che mi provocava un profondo senso di vuoto. Era soprattutto Marco colui che contribuiva a rendermi spensierata. L’avevo conosciuto solo poche settimane fa, in quanto mio nuovo compagno di corso, ma desideravo ardentemente approfondire il mio rapporto con lui, in quanto per adesso ero considerata alla stregua di una mera conoscente. Ciò che segnò la fine delle mie elucubrazioni fu il sospirato termine dell’ultima lezione. 

Uscii, e avevo freddo. Dicono che il freddo sia più pungente quando si è soli. Sull’autobus, mentre osservavo i passeggeri immersi come me nel loro mondo, mi rivenne in mente il ragno che occupava impunemente il tubo dell'acqua del mio bagno. Doveva avere una curiosa vita un ragno d'appartamento, niente a che vedere con quella dei suoi parenti africani e asiatici. Quel ragno avrebbe passato la vita a tessere i suoi ricami aspettando che qualche insulso insetto cittadino cadesse nella sua trappola così finemente lavorata per poi ricavarne un parco guadagno, oppure aspettava che qualcuno lo schiacciasse con una ciabatta... Non una gran esistenza quindi. Mi venne però spontaneo paragonarmi a quell'aracnide: anche io come lui non mi distinguo a bellezza e non sono circondata da amici, come lui non appartiene a nessun branco; come lui vivo una vita in attesa di qualcosa che però non arriverà probabilmente mai, ammazzando il tempo a tessere tele d'amicizie fragili e unidirezionali, desiderando situazioni impossibili per una come me, immaginando discorsi, fantasticando sulla mia vita. Tutto ciò si trasformava in ragnatele delicatissime, impalpabili ed eteree come un pizzo antico. 

Arrivai a casa e trovai ad accogliermi le mie coinquiline con cui chiacchierai e scherzai tutta la serata, fino a che non andai a dormire. Sognai ragni.


 

Mi ritrovai improvvisamente nel bel mezzo della strada di una città a me sconosciuta. Non riconoscevo quel luogo, era notte ed ero sola, vi era solo un lampione acceso. Guardandomi intorno, mi resi conto che la mia percezione era cambiata, infatti non avevo bisogno di girare la testa per vedere dietro di me e mi spaventai. Corsi davanti ad una vetrina, stranamente senza saracinesca abbassata e mi vidi riflessa: ero diventata un enorme, peloso ragno nero, con migliaia di occhi rossi cremisi e due lunghe zanne ricurve l’una verso l’altra che spuntavano ai lati della mia bocca, se così si poteva chiamare. Ero talmente terrorizzata che non riuscii a muovermi, rimanendo pietrificata dal terrore. 

Cosa ci faccio in questa forma? Chi mi ha trasformato? Perché a me?

Mi accorsi che nonostante volessi piangere, non potevo farlo perché non avevo né palpebre né lacrime. Non potevo neanche emettere alcun verso, i ragni non hanno corde vocali. L’unica cosa che urlava era la mia mente ed io ero bloccata senza via d’uscita in quel corpo disgustoso. Avvertii dopo molto tempo un’altra presenza: si stava infatti avvicinando un ragno molto più grande e orribile di me. 
“Novellina, vieni con me”. Mi disse.
Non so come feci a percepirlo, dato che anche lui non aveva voce. Forse con alcuni segnali chimici, anche su dubitavo potessero essere così precisi. Lo seguii senza rispondere, anche perché non sapevo come fare. 
Senza comunicarmi più niente, quell’enorme aracnide attraversò un dedalo di viuzze che man mano diventavano sempre più buie e strette. Le nostre zampe toccavano terra producendo un rumore simile a quello delle scarpe da tip tap sulla pedana, ma più lieve e più minaccioso. Arrivammo dopo poco tempo in un parcheggio ingombro dalle macchine ma pieno di ragni di ogni forma, dimensione e colore disposti a semicerchio attorno ad un altro ragno più grande rispetto a tutti gli altri. Era l’insetto più spaventoso che avessi mai visto o solo immaginato. Grande come una station wagon, era nero con grandissimi occhi scarlatti con la pupilla e l'iride completamente bianche, colori che ricordavano vagamente i cappelli dei funghi velenosi. Lunghe zanne ricurve sfioravano il terreno ed erano ricamate con inusuali ghirigori neri. Sull’addome spiccavano quattro grandi chiazze a forma ovale rosse come gli occhi, che erano raggruppate in modo da ricordare un quadrifoglio, che non avrebbe di certo portato fortuna, pensai.  Quello che avevo classificato come capo cominciò ad avvicinarsi con andatura lenta e controllata, muovendo ipnoticamente quelle imponenti zampe, e nonostante la loro danza mi imposi di non abbassare la guardia. Poteva essere pericoloso. D’altronde i ragni vivono per ingannare e trascinare le prede nella loro tela. Una volta giunto davanti a me si fermò e mi guardò. Poi iniziò a “parlare”. 
“Guarda guarda che cosa ci ha portato Morfeo sta sera, carne fresca e giovane! Ma dimmi cara, come mai sei qui?” La sua voce era fredda come il ghiaccio e dava la sensazione di schegge di vetro che strisciando tra di loro stridono. Era spaventoso, in più io non avevo idea di come rispondergli. Il silenzio era pesante e profondo in quanto stavano aspettando tutti una mia risposta.
“Pensa a quello che vuoi dire e poi espellilo con i pori del tuo corpo, così tutti ti sentiranno” disse spazientita la guardia che era dietro di me. Sobbalzai spaventata ma replicai con voce ferma:” non lo so cosa ci faccio qui, né come e perché ci sono arrivata. Speravo che me lo diceste voi”. Il capo riprese a parlare.
“Sei semplicemente in un sogno, dentro la tua testa. Ma noi siamo reali tanto quanto il ragno che alloggia nel tuo bagno. Noi siamo i guardiani delle tenebre dell’animo umano, siamo coloro che accolgono coloro che ormai non sono che scarti della società umana, che hanno intrapreso una via di non ritorno. Se vuoi puoi unirti a noi. Ti do la mia mia parola di Signore dei Ragni che unendoti al branco, troverai finalmente il tuo posto nel mondo e ti sentirai bene, bene come non sei mai stata. Per entrare a far parte della nostra famiglia dovrai solo compiere un piccolo sacrificio”. Il ragno concluse il suo discorso aprendosi in uno spaventoso ghigno che fece vibrare le zanne. Pensai seriamente alla sua proposta. Non potevo più sopportare tutto quel dolore; le parole del Signore dei Ragni erano seducenti, l’offerta allettante. 
“Va bene” dissi. 
Il ragno si aprì nuovamente in un sorriso soddisfatto e crudele. Il semicerchio attorno a lui si ruppe e due ragni enormi depositarono davanti a me i miei amici, tra cui Marco e il mio ex migliore amico Matteo. C’era anche la mia famiglia. Erano tutti avvolti e intrappolati fino al collo nella tela di ragno, incapaci di muovere un muscolo se non la testa. Stavano tutti piangendo e mi fissavano spaventati chiedendomi insistentemente perché fossero lì. Io non potevo rispondergli con la voce e loro non potevano percepire i miei segnali chimici. Erano soli, indifesi e incapaci di comunicare. Marco mi guardava con un misto di terrore e disgusto, mentre Matteo era pietrificato dalla paura. Il solito codardo.
“Cosa ci fanno loro qui?” chiesi con astio.
“Ma come cosa ci fanno, cara? Sono il tuo piccolo e parco prezzo per entrare a far parte della nostra famiglia.” rispose il Signore dei Ragni.
“Non voglio che nessuno si faccia male, anche se voglio unirmi a voi”. 
“Oh ma questo è un dolore piccolo, ma necessario, l’ultimo che proverai in vita tua. Non ti sembra sciocco sprecare un occasione del genere per uno scrupolo della tua compromessa coscienza?”. La sua voce era diventata velluto. 
“Che cosa devo fare?”
“Li devi solo mordere e loro periranno lentamente e senza dolore, solo paralizzati, come loro hanno immobilizzato e distrutto te. Questo è il prezzo: eliminare il tuo passato per accogliere il tuo futuro.”
Ripensai a tutti i torti che quelle persone mi avevano fatto, quanto dolore mi avevano provocato ed a quale staticità mi avevano condannato. Così, colta dalla disperazione e dalla sete di vendetta presi la mia decisione. Avrei risparmiato la mia famiglia poiché loro erano innocenti. Mi avventai per prima sulla mia ormai ex migliore amica, affondando senza pietà e delicatezza le mie zanne nel suo candido collo lasciato scoperto dalla tela, per poi passare rapidamente a Matteo, a cui riservai lo stesso trattamento. Lui non aveva retto alla tensione e lo capii dalla macchia giallognola che si stava formando sull’asfalto vicino al suo bacino. Tenni per ultimo Marco. Mi stava guardando impaurito ad occhi spalancati, occhi meravigliosi di un colore azzurro cielo e dorati vicino alla pupilla. Era bellissimo anche in quelle pietose condizioni. 
“Ti prego, Sara, ti imploro, risparmiami. Non ti ho mai fatto niente ed io voglio solo ritornare a casa dalla mia fidanzata e dalla mia famiglia. Ti prego!” 

Ah ah, parola sbagliata. Fidanzata.

Mi avvicinai ulteriormente e spostai le mie zanne fino a sfiorargli il collo. Le mossi su e giù per tutta la sua lunghezza fino ad arrivare al pomo d’Adamo. Sentii distintamente il suo terrore sottoforma di un penetrante odore; era questo quindi il profumo della paura. Mi inebriò a tal punto che fulmineamente mi avventai sul suo collo rilasciando più veleno del dovuto. Marco emise un urlo straziante e io mi svegliai di soprassalto accompagnata da quel suono spaventoso.
 

Mercoledì 19 Marzo

 

La mattina del mercoledì mi alzai di pessimo umore, dato che i sogni della notte appena conclusa non erano certo stati riposanti e allegri, ma foschi e oscuri e sopratutto con unici protagonisti ragni di ogni forma e dimensione.  Le mie azioni nel mondo onirico mi influenzarono l'umore per tutto il resto della giornata, così da risultare particolarmente taciturna e incupita. Neppure Marco riuscì a farmi recuperare il buon umore anzi, lo peggiorò inesorabilmente. Lui era uno di quelli che non avevo risparmiato sentendomi in colpa ancora prima di mangiarlo. Mi aveva implorato di lasciarlo andare, ma io per vendetta e per invidia verso tutta la sua felicità non l’avevo graziato.  
Durante le lezioni non avevo fatto altro che guardare i grandi vasistas sopra le lavagne scritte, osservando con attenzione le ragnatele che dominavano tutto il vetro, come se fossero tende ricamate. Chissà quanti ragni ci dovevano essere lì e quanto avevano dovuto faticare per ricamare quelle tende; non si dovevano preoccupare, nessuno li avrebbe scacciati, avrebbero potuto continuare a lavorare indisturbati e a cibarsi fino a scoppiare. Questo pensiero, fulmineo, mi fece arrabbiare. Perché loro potevano godere di una posizione privilegiata, senza correre il pericolo di morire se non di vecchiaia? Perché noi, esseri più evoluti e meno repellenti, corriamo sempre il rischio di morire se commettiamo la minima disattenzione? Perché, pur facendo anche noi parte del mondo animale, non sottostiamo alle loro semplici regole? Lotta, sopravvivi o muori se sei debole. Unica era la legge della Natura: vince il più forte. 

Fantastico, ora mi ritrovo ad essere invidiosa persino dei ragni.

Io, a differenza loro, non godevo di una posizione privilegiata anzi, cercavo di andare avanti come potevo nella vita tutti i giorni, superando a fatica le situazioni più difficili e cercando di ricavarmi nel caos calmo che era la mia vita più tranquillità possibile. Ma purtroppo non sempre era un progetto realizzabile: stavo infatti lentamente soffocando a causa del nero velenoso morso della depressione, la mia personale vedova nera. Ti paralizzava lentamente, facendoti raffreddare piano piano, fino a che non si provava più niente. Era una lenta morte interiore. Non c’era una vera e propria causa fondante, c’era e basta; chiaramente vi erano anche un mucchietto di persone, che reputavo amici, che non facevano altro che peggiorare questa situazione. I loro tiri mancini, la loro cattiveria (indiretta) e persino il loro pensiero mi faceva venire la nausea, mi avevano causato troppo dolore, ingnorandomi, sfruttandomi e trattandomi sempre come l’ultima ruota del carro. E io li lasciavo, lascio, fare donandogli bene in cambio di dolore. Non sono mai stata un’affarista e non per niente non frequento economia. Però ero arrivata ad un punto di rottura, dovevo liberarmi di almeno uno di quei tarli che mi avevano fin troppo distrutta e spezzata. Forse era quello il messaggio del sogno: elimina chi ti soffoca, chi ti impedisce di vivere e di vedere il sole.  Finite le lezioni, mi avviai verso casa con uno scopo e determinata a cambiare le cose. 

 

Giovedì 20 Marzo
Equinozio di primavera.

 

Mi alzai con la solita indolenza e mi trascinai con gli occhi ancora semichiusi in bagno. Sedendomi sul water rividi il mio coinquilino a otto zampe. Non aveva cambiato posizione. Non si annoiava a stare così fermo? Realizzai che l’unica cosa che avevamo in comune in quanto animali era la pazienza, infinita e imperitura pazienza. Ma la mia ormai era giunta al limite. 
Arrivata in università stetti con i miei compagni di corso tutto il giorno, fingendo di essere allegra e spensierata, quando in realtà era tutto il contrario. Due mie compagne di corso, molto più belle di me e soprattutto molto più oche, ronzavano attorno a Marco non lasciandogli un attimo di pace, tessendo anche loro la loro tela con dovuta dovizia e lui ci sarebbe cascato, almeno in una delle due. Era una conclusione più che logica, ci sarebbero voluti forse un paio d’anni ma prima o poi avrebbe ceduto. Io non potevo fare altro che guardare da lontano ed assistere alla mia ennesima sconfitta senza poter fare niente per evitare la disfatta. Non ero né così bella né espansiva e a vent’anni non si guarda di certo la bellezza interiore… neanche io lo facevo a dire il vero. Ma Marco era probabilmente uno degli ultimi esempi di kalokagathìa vivente, appunto bello, troppo, buono e gentile. Geneticamente non in grado di dire di no, era un po’ il ragazzo ideale, ma non per questo noioso, anzi ambito premio. Naturalmente era impegnato con una ragazza che molto probabilmente lo meritava e lui probabilmente la riempiva di gentilezza e amore, tutte cose di cui avevo assolutamente bisogno, ma che mi erano negate da un karma avverso. E perciò ero mortalmente invidiosa di tutta la fortuna che aveva avuto quella ragazza e arrabbiata con il destino che mi aveva fatto incontrare persone che nel 99% dei casi mi aveva procurato solo dolore e delusioni. Ero stata fortunata a conoscerlo, va bene, però ciò non aveva cambiato molto, anche perché da Marco nei miei confronti vi era la più totale indifferenza che si riserva per una qualunque compagna di corso con cui si parla solo di lezioni. Mi sarebbe bastato anche solo averlo come amico. Vita crudele.  Arrivata la pausa pranzo Marco andò a casa, segno che per quel giorno non l’avrei più visto. In compenso in cortile incontrai il mio ormai ex migliore amico. Decisi di salutarlo. 
“Ehi!” Dissi sedendomi accanto a lui.
“Ciao.” Non mi guardò neanche. Perfetto. Mi illusi che fosse colpa del sole di mezzogiorno che rendeva difficoltoso tenere aperti gli occhi.
“Come va con le lezioni?”
“Ho giusto un quarto d’ora di pausa, oggi è una giornata infernale. Nove ore di lezione con una misera pausa… un suicidio!” Mi disse parlando in fretta e iniziando a mangiare un panino.
“Ah, lascia stare, sfido a non trascorrere una giornata infernale qua dentro” risposi.Il discorso cadde e rimanemmo in silenzio. Capii che lui non avrebbe riniziato a parlare di sua sponte, quindi mi alzai e me ne andai senza dire un’altra parola e lui non mi guardò andare via. Non ho mai saputo quando e perché fosse iniziato questo allontanamento tra di noi, infatti non me lo disse mai anche se glielo chiesi più volte. L’unica cosa certa era che io non avevo nessuna colpa, da quel che potei estrapolare dai suoi discorsi lasciati a metà. Con il passare della giornata il mio nervosismo non fece che aumentare a causa del comportamento di Matteo.

Brutto stronzo egoista.

Nonostante le numerose delusioni e il dolore che mi aveva fatto provare, speravo comunque che tutto ritornasse come un tempo, con lui come migliore amico àncora di salvezza nelle giornate più buie. Gli avevo chiesto aiuto, ma lui me l’aveva deliberatamente e coscientemente negato, provocando in me una rottura che molto difficilmente si sarebbe rimarginata. Però, nonostante tutto, continuavo a sperare.  
Una volta tornata a casa il mio nervosismo era a livelli stellari. Entrata in bagno scorsi il ragno e non ci vidi più. In piena ad una furia cieca, presi l’acido muriatico che usavamo per pulire e gliene versai sopra un tappino colmo. Il pavimento iniziò a sfrigolare mentre subito il ragno si ritrasse, cercando di scappare scendendo dal muro al pavimento, non sapendo che così non avrebbe avuto scampo. 

Muori, muori, muori, lurido essere infame. Muori come sto morendo io dentro, tra atroci sofferenze. Signore dei Ragni, non farò mai parte della tua famiglia, ce la farò da sola!

Nonostante la sua naturale sveltezza, la sua andatura stava rallentando a causa dell’acido che sicuramente gli aveva bruciato gli innumerevoli occhi e che gli stava sciogliendo gli organi interni. Chissà che dolore straziante stava provando; sperai che fosse lontanamente simile al mio. Il ragno però non era ancora morto e per farla finita in fretta gli versai nuovamente sopra un tappino di acido. Si spense.  Subito dopo mi sentii in colpa, perché avevo ucciso per rabbia. Seppur fosse un ragno, avevo ucciso un essere vivente, senza motivo. Ebbi paura di me stessa. 

Questa è la legge della Natura, vince il più scaltro e perisce il più stupido e debole.

Era davvero così vantaggioso alla fine dei conti attenersi a quella legge? Non sarei sempre stata la più forte, anzi a dire la verità io ero un po’ il ragno della situazione: tessevo con pazienza la mia tela in attesa di qualche moscerino, qualche misero insetto e senza motivo qualcuno mi avrebbe uccisa. Per diletto, come stavano facendo adesso. Oggi è l'equinozio di primavera e i Celti erano soliti, come imparai da internet poco dopo, compiere sacrifici quel giorno per far sì che la nuova primavera potesse iniziare e trascorrere tranquillamente e in pace con la Natura. Così, anche io avevo involontariamente compiuto il mio sacrificio alla Terra e alla Natura, esorcizzando le mie paure e tagliando il primo dei tanti fili di ragnatela che mi stavano soffocando. La primavera era iniziata, così come la mia rinascita. Me lo sentivo.

  
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