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Autore: Francine    07/04/2014    4 recensioni
Gli sfugge un «Ah...», soddisfatto, le braccia appoggiate sui bordi della vasca e la testa su un asciugamano di spugna ripiegato dietro la nuca. Lo shock termico avrebbe ammazzato anche la pellaccia più dura, ma non lui. Lui è abituato a questi sbalzi di temperatura. E gli piace così. Passerebbe le ore in ammollo nella vasca, un piede fuori a sgocciolare sul pavimento. A pensare a tutto e a niente. Scivolando verso quel mondo tutto suo che gli si annida nella mente. Verso quel regno – quel paradiso – che Saga ha promesso di realizzare. Con il suo aiuto. Con la sua forza. E per cui è disposto a tutto. Persino a rinnegare la dea…
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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Aria&Acqua


cielo e oceano
acqua nell'acqua
onda e nuvola
acqua nell'acqua
fiato dentro il fiato
io a te cos'è che ho dato?

(Claudio Baglioni, Acqua nell'Acqua, 1995)




Colle del Santuario di Athena.
Il sole splende lucente sull'erba e sulle strade pavimentate di tufo che si snodano dietro la spessa porta segreta dell'Emporio del villaggio di Rodrio.
L'Emporio è lì da sempre. Vende un po' di tutto, dalle penne ai preservativi, dalle calze da donna alle pomate contro le ustioni, dalle caramelle alla menta e lampone ai repellenti contro le zanzare. Arrivare a Rodrio è facile, pur se non agevole. Una volta giunti ad Atene basta dirigersi alla periferia nord della città e prendere la corriera diretta a Maratona, scendere al villaggio di Kylería e recarsi al bar del paese. Il bar, l'unico che c'è, lo trovate lì, addormentato sulla piazza principale, accanto alla farmacia e al panettiere.
Adesso non dovete far altro che entrare dentro e chiedere di Antonios. Lo troverete al bancone insieme ad Athanásios, il padrone del bar, a chiacchierare dell'Olympiakós, oppure seduto al solito tavolo a giocare a carte con Kostas. Basta chiedere di lui; capirà all'istante e si alzerà per portarvi con Stávros, il suo asino pelle e ossa, lungo la strada che porta alla sommità del colle che sovrasta il suo villaggio.
Strada; il termine più esatto per definire la viuzza tortuosa scavata nel monte è mulattiera. Non è altro che un ammasso di sassi, polvere e vento, ma che vista da lassù! 
Il panorama abbraccia tutta la valle sottostante, comprendendo anche Atene e quella sottile striscia azzurra che è il mar Egeo. In quaranta minuti Antonios vi porterà al villaggio di Rodrio. È talmente piccolo che non è neppure segnato sulle carte della zona: un negozio, un bar, una piccola farmacia, una macelleria, un parrucchiere/barbiere ed un medico condotto che lavora anche come farmacista. Antonios vi scaricherà nella piazza su cui si affacciano tutte le case del paese, prenderà i venti euro concordati all'andata, si toglierà il cappello per salutarvi e se ne ritornerà al suo bar a bere il suo caffè. Alla greca. Non dite mai alla turca. Potrebbe offendersi. E fingere di non sapere dove sia Rodrio. Né che esista un posto chiamato Rodrio, lassù sui monti.
Scesi da Stavros sarete esposti agli sguardi curiosi che da dietro le finestre delle case vi avranno già fatto la radiografia.
Avanti, adesso; entrate nell'Emporio. Non è difficile, basta solo varcare la soglia ed avanzare tra masserizie accatastate sul pavimento e sugli scaffali, e rivolgervi ad Agathê.
Avete presente quei puttini rinascimentali, tutti rosa e paffutelli? Ecco, Agathê sembra scappata da un quadro di Raffaello, bassa e con la faccia tonda come la luna piena, due vivaci occhi celesti e una sfilza di boccoli di un improbabile giallo oro ammonticchiati in testa. Non vi potete sbagliare. Le mancano solo le ali.
«Devo andare al Santuario di Athena», direte voi e lei vi passerà da parte a parte con i suoi occhi chiari, mentre dal retrobottega vi arriverà l'odore delle braciole d'agnello e dell'olio d'oliva.
Sorriderà, Agathê, e chiamerà suo figlio Vassili e gli farà cenno di lasciarvi passare. Il comando è sempre lì, tra i barattoli di latte in polvere e lo zucchero; una leva, che se abbassata fa scattare il meccanismo che fa girare il muro dipinto di blu verso l'esterno, verso la luce. Verso il Santuario.

Oggi fa caldo.
Un caldo pazzesco. Per le strade, che la mattina sono affollate dalle persone che abitano il Santuario, non gira un cane e l'unica ombra è quella degli olivi che decorano la via principale che conduce al Tempio di Athena. Sono tutti in casa, a godersi un po' di fresco o a cercare requie dal caldo che oggi ha deciso di fare gli straordinari.
Come se ce ne fosse bisogno, pensa Death Mask avanzando da solo lungo la strada per il Tempio. Ha i capelli corti e scuri, la pelle abbronzata e una maglia di cotone; sta sudando, sente i jeans appiccicarsi addosso alle gambe e i piedi bollire negli anfibi scassati.
Si asciuga la fronte con il dorso della mano. Inutile. I capelli sono zuppi, la maglia dell'Hard Rock Café, nera come la pece, è un enorme chiazza bagnata sulla schiena.
Procede imperterrito, sperando che, una volta arrivato al Tempio, gli permettano di farsi una doccia. Un bagno, magari. Il pensiero dell'acqua fresca lo conforta un po'. 
Già la sente, lambirgli la nuca e il collo, fredda e ristoratrice. Scivola sulla schiena e hop anche la testa è al fresco, insieme a fronte, tempie e viso. Paradisiaco!, pensa seguendo la salita e dicendosi che sì, quella del bagno è proprio una bella idea. Tanto fare rapporto Sacerdote è urgente, ma non una questione di vita o di morte. O forse no? Spera che non gli dica così sfiga. Anche perché il sudore inizia a dargli fastidio. E tanto. E non sta bene presentarsi lordi dinnanzi al Sacerdote, giusto?

Due soldati della milizia lo salutano mettendosi sull'attenti.
«La stavamo aspettando, signore!», gli dicono in coro, facendo schioccare i talloni. «Fatto buon viaggio? »
«Come al solito. Voglio farmi un bagno con tutti i crismi, provvedete ad avvisare la Quarta Casa...»
«Come comanda signore!», gli risponde uno dei due, correndo dentro alla costruzione bianca ad un piano che sta all'entrata del complesso vero e proprio.
Lui sospira, passandosi la mano sulla fronte per l'ennesima volta ed entra mormorando un ironico «Riposo» alla guardia che sussulta quando sente la sua voce gelida passargli accanto all'orecchio e intuisce come sarà morire, un giorno.
Avanza, percorre un centinaio di metri fino ad arrivare davanti all'arena dei Tornei. E alla scalinata dei dodici templi.
Avanti, sono quasi arrivato!, si dice iniziando a salire le scale di marmo bianco incastonate nel colle, il pensiero rivolto al bagno gelido che sta per regalarsi. Gli pare già di sentire in bocca il sapore dell'acqua; e si ricorda che ha sete. Una sete pazzesca. E che l'acqua di rubinetto è la cosa più buona che ci sia.


Scivola nella vasca smaltata di bianco e sente il freddo corrergli addosso, dalla punta del piede destro ai lombi, alla schiena, serpeggiando come pelle d'oca sul moka della sua abbronzatura.
Gli sfugge un «Ah...», soddisfatto, le braccia appoggiate sui bordi della vasca e la testa su un asciugamano di spugna ripiegato dietro la nuca. Lo shock termico avrebbe ammazzato anche la pellaccia più dura, ma non lui. Lui è abituato a questi sbalzi di temperatura. E gli piace così. Passerebbe le ore in ammollo nella vasca, un piede fuori a sgocciolare sul pavimento. A pensare a tutto e a niente. Scivolando verso quel mondo tutto suo che gli si annida nella mente. Verso quel regno – quel paradiso – che Saga ha promesso di realizzare. Con il suo aiuto. Con la sua forza. E per cui è disposto a tutto. Persino a rinnegare la dea…
Ma adesso, adesso che è in ammollo come una camicia macchiata di vino messa a candeggiare, non esiste più nulla. Né Athena, né il Santuario, né Saga, né la missione. Adesso esiste solo lui, e quel vino - quel sangue - che gli lorda le mani e che nessun prelavaggio potrà mai cancellare dalle fibre del suo essere; anzi, quasi nemmeno percepisce il suo stesso corpo nell’abbraccio ristoratore dell’acqua. È un peccato non avere una vasca da bagno più larga, come quella del Sacerdote. Qualcosa in cui poter allargare le braccia e le gambe, in cui galleggiare andando alla deriva. Come un pezzo di legno a viaggiare sulle onde del mare. Blu e profondo, come solo lo Jonio sa essere, con quella spuma bianca che le onde creano schiaffeggiando gli scogli…
 
Ti sto aspettando, Death Mask…
 
Serra la mascella. Saga. Lui e il suo vizio di interromperlo nei momenti meno opportuni. Quelli più piacevoli. Come quando è a donne. Come quando è in ammollo. Strano. Eppure anche a lui piace farsi un bagno con tutti i crismi, pensa aprendo gli occhi.
«Che c’è?», domanda. All’aria che entra dalla finestrella aperta, da cui fa capolino un cielo di un azzurro abbacinante. A Saga. Che lo attende seduto sul trono.
 
Aspetto il rapporto sulla missione.
 
La voce gli esplode nella testa senza un’espressione precisa. Né rancore, né rabbia, né impazienza. Solo Saga. Ha fatto sua la ieraticità che colorava di eterno la voce secca del vecchio Sion, e dentro di sé Death Mask è costretto ad ammettere che quel ruolo gli calza a pennello. Gli calza dannatamente a pennello. Ma si guarda bene dal dirglielo a voce alta. Perché Saga, il forte Saga, l’ambizioso Saga, il dio sceso in terra possiede un ego molto più sviluppato di quello di Aphrodite, ed un orgoglio più profondo di quello di Shura. E sussurrare appena quelle parole, dentro di sé, è sufficiente perché nell’animo di Gemini la consapevolezza della propria forza cresca. Come un universo in espansione. E non è mai bene permettere all’universo di decidere da sé in quale direzione volgere il proprio sguardo, ma è più utile monitorare dove vadano a posarsi i suoi occhi. E prevenire sul nascere certi desideri. Certe spinte. Prima di ritrovarsi a maneggiare qualcosa di ingestibile.
«Dovevo lavarmi, Santità…», sussurra, quel tanto che basta perché Francesca non lo prenda per matto. O non sappia troppo. Sarebbe un peccato dover rinunciare a lei e alla sua cucina. Un grosso peccato. «Non potevo certo presentarmi al Vostro cospetto lordo di terra e madido di sudore…»
Si concede un sorriso. Da canaglia, dei suoi. E reclina il collo all’indietro. Saga non potrà di certo vederlo, ma avrà colto la sfumatura delle sue parole. Canzonatoria, ma non troppo. Sta pur sempre parlando col Sacerdote di Athena. Anche se sia Athena che il Sacerdote, quello vero, sono a concimare la terra da un bel po’.
 
Ti sei lavato. Ora, raggiungimi alla Tredicesima Casa.
 
Il tono è quello di chi non ammette ritardi ed ulteriori dilazioni. E la coscienza Saga sparisce dalla sua mente, un refolo più freddo nel vento caldo che entra dalla finestrella del bagno. Non c’è bisogno che aggiunga altro. Né che lui replichi altro.
Death Mask sospira. Un attimo ancora e sente i passi di Francesca avvicinarsi. Uno, due, tre e la donna bussa, toc toc, sul legno bianco della porta.
«Signore? Sono venuta ad avvisarla. La stanno aspettando.»
«Arrivo, arrivo, che palle!», e fa un cenno con la mano che lei no, non può vedere, ma è come se l’avesse fatto. I passi di Francesca sciabattano via, perdendosi in lontananza.
È seccato, per non poter restare ancora a mollo. Per essere stato spiato.Trattiene il fiato, mette la testa sott'acqua e poi la reclina di scatto all'indietro. Ed esce, lasciando una scia d'acqua pulita dietro di sé nel tragitto che conduce alla sua stanza da letto. Sulla sedia c’è il telo di spugna, rigorosamente bianco. E morbido. Se lo passa velocemente sulle braccia, sulle gambe e sul busto, lasciando i capelli umidi, e si veste in fretta. La maglia blu, la guaina blu per le gambe e i guanti senza dita, le protezioni per le mani.
E poi... lei.
La sua Armatura.
Che lo aspetta, lavata e sciacquata e riassemblata da Francesca.
Apre lo scrigno con lentezza, come se spogliasse una bella donna. Divarica il corpetto e pregusta la sensazione di sentire il freddo del metallo addosso. 
Alita sul rubino che ha al centro del diadema e lo lucida con un lembo asciutto dell'asciugamano, specchiandosi sulla superficie rosso sangue.
Un bijou, pensa calzando il diadema per ultimo, dopo aver indossato pezzo per pezzo tutte le parti: il pettorale che aderisce alla perfezione al busto scolpito, gli schinieri che gli fasciano le gambe fino ad oltre metà coscia, i coprispalle larghi ed i bracciali lucidi come specchi.
E ora, il tocco finale, si dice allacciando il mantello candido ed uscendo dalla Quarta Casa. Ha un appuntamento a cui presentarsi. Ed è già in ritardo. E non si fanno aspettare le signore. Per non parlare del Grande Sacerdote, pensa, mentre l’aria all’esterno lo abbraccia con il suo fiato caldo.


acqua nell'acqua di parole
come un salto nelle gole
verso isole di sole
un volo libero di bere
nelle azzurrità leggere
anche per perdersi e cadere
ricadere giù

   
 
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