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Autore: Yumi    09/07/2008    3 recensioni
“Tom… Ti amo…” sgranasti un po’ gli occhi. Poi prendesti in silenzio la mia mano, mettendola al centro del petto: il tuo cuore batteva fortissimo. Come risposta mi bastava. Sicuramente non saresti riuscito a darmene una a parole. Intrecciasti le dita delle nostre mani, lasciandole sempre sul tuo petto. Volevi che sentissi ogni cambiamento della pulsazione del tuo cuore. (Georg x Tom) (Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo. I personaggi di questa storia sono eterosessuali, nella realtà. I personaggi sono maggiorenni e non mi appartengono.)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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..-*°Touch me°*-.. di Yumi.

 

Pairing: Georg x Tom.   

Avvertenze: slash/ one-shot.

Raiting: arancione.

Genere:  romantico.

Riassunto: “Tom… Ti amo…” sgranasti un po’ gli occhi. Poi prendesti in silenzio la mia mano, mettendola al centro del petto: il tuo cuore batteva fortissimo.

Come risposta mi bastava. Sicuramente non saresti riuscito a darmene una a parole.

Intrecciasti le dita delle nostre mani, lasciandole sempre sul tuo petto. Volevi che sentissi ogni cambiamento della pulsazione del tuo cuore.

Note: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo. I personaggi di questa storia sono eterosessuali, nella realtà. I personaggi sono maggiorenni e non mi appartengono.

 

 

POV Georg

 

Ti ricordi com’è iniziato tutto?

Com’è iniziato tutto questo tira e molla, tra noi due?

C’era la luna piena, quella sera, eravamo in tournée, non mi ricordo esattamente dove. Forse in Italia. Non ricordo bene.

Avevamo appena finito un concerto, ed eravamo andati a festeggiarne la sua magnifica riuscita, come facevamo sempre.

Siamo entrati nel pub più alla moda della città, e abbiamo ordinato qualcosa al bar, alcolico, per poi iniziare a ballare con qualche bella ragazza, come succedeva tutte le volte.

Ma quella sera eri strano. Dopo neanche due “balli”, sei andato a sederti, cosa davvero insolita per te, visto che riesci a ballare anche per due ore senza fermarti quasi mai e se ti capita, non è di certo per riposarti.

Eri davvero strano, e la cosa ancora più anomala era che tuo fratello, Bill, non si era accorto di niente, continuando a parlare animatamente con una biondina al bancone. Perché lui non balla, dice che è una cosa troppo da femmina.

Allora decisi di sapere se qualcosa non andava, il perché di questo tuo comportamento.

Mi avvicinai al divanetto nell’angolo più scuro e nascosto del locale, dove sedevi abbassandoti la visiera del cappellino, un drink in mano, sperando che nessuno ti notasse. Cosa alquanto impossibile, visto che sei Tom Kaulitz, e non una persona qualunque.

Ti arrivai davanti, notando il tuo sguardo perso nel vuoto, mentre osservavi qualcosa di indefinito sul pavimento.

 

“Ehi!” dissi dopo qualche minuto, facendo notare la mia presenza.

Alzasti lo sguardo, e ne rimasi completamente affascinato, oltre che impietrito: non era il tuo solito sguardo, quello sfacciato e strafottente, di chi si può permettere tutto perché tutti cadono ai suoi piedi con un solo gesto della testa. Quello che si rispecchiava nel mio sguardo erano degli occhi spenti, stanchi, stanchi della vita.

“Ciao…” mi dissi laconico.

“C’è qualcosa che non va?” ti chiesi, andando subito al sodo, senza fare troppi giri di parole.

“No… Perché?”

“Mi sembri strano, da un po’ di tempo… Non so, come se non fossi più te stesso”

“No, tutto a posto…”

“Se è tutto a posto allora alzati, balla, la notte è giovane!” Voglio divertirmi invece di pensare a te, testa di rapa!

“Hai ragione… Voglio divertirmi

Non so perché, ma quella frase mi suonò molto strana, anche se non ci feci molto caso.

 

POV Tom

 

“La notte è giovane” quella frase continuava a vorticarmi nella testa, e aveva fatto scattare qualcosa. Mi alzai, e tornai a ballare, ma più ballavo, più mi rendevo conto che avevo bisogno di qualcosa di più, ma un qualcosa che da un po’ di tempo non riuscivo a trovare in una ragazza.

Era quello che mi sconvolgeva. L’avevo capito quell’esatta sera, quando avevo iniziato a ballare con una ragazza, ma non mi dava le sensazioni di una volta.

Cosa mi sta succedendo?

Perché mi sento così? Non mi era mai successo.

Ero in astinenza, eppure andare a letto con una donna non mi rendeva più appagato.

Vi osservai. Gustav che ballava con alcune ragazze, Bill che parlava con una biondina al bancone, che lo stava intrattenendo in una conversazione molto intensa, e tu eri tutto avvinghiato ad una moretta che non faceva altro che strusciartisi addosso, in un modo che avrebbe dovuto essere provocante, ma che ai miei occhi arrivava solo come volgare, ma tu eri evidentemente di un altro avviso.

Non sapevo perché, ma qualcosa si rimescolava nel mio stomaco. Una sensazione che avevo provato altre, rare, volte, quando mio fratello stava con qualche ragazza e nella mia testa lo vedevo allontanarsi da me per stare solo con lei.

Era una sensazione bruttissima, ma che non potevo fare a meno di provare, senza un apparente e valido motivo.

Mi misi a ballare, cercando di non pensarci, ma ogni volta che chiudevo gli occhi mi tornava in mente.

Andai verso il bancone per ordinare qualcosa di forte, diciotto anni li avevo già compiuti da quasi un anno, e potevo bere quello che volevo.

Mi misi a bere di tutto, e più prendevo roba forte, più mi sentivo bene, libero, leggero, e questo mi aiutava a non pensare.

Quando fu ora di tornare a casa mi reggevo in piedi per miracolo, ma comunque non lo diedi a vedere, soprattutto a Bill che, se se ne fosse accorto, si sarebbe preoccupato da morire, mettendo in allerta tutto lo staff.

L’ultima cosa che volevo.

Salimmo sulla macchina che ci avrebbe portato in hotel, e cercai di essere normale, di ridere e scherzare insieme a Bill quando Gustav diceva qualcosa di divertente o ridere a crepapelle per le gaffe di Bill con l’autista.

“Finalmente l’hotel!” disse entusiasta il mio gemello, appena si fermò l’auto, scendendo di corsa dalla macchina.

Dopo di lui Gustav, tu e poi io, un po’ traballante.

Avevo la vista leggermente annebbiata, ma riconobbi bene la camminata lenta e calcolata del bassista, mentre salivi le scale, e io dietro, mentre la mia metà e il batterista erano saliti in ascensore.

Neanche a farlo apposta, la mia camera era qualche porta più in là della tua, ma non capii perché mi fermai davanti alla tua porta, mentre l’aprivi con la chiave elettromagnetica.

483.

Era quello il numero della tua stanza, per puro caso. Ma che mi fece riflettere su una cosa:

Reden

E capii che avrei dovuto parlarti con sincerità. Parlarti da Sex Gott.

Entrasti, e non mi vedesti nemmeno, immerso com’ero nell’ombra, ma ti impedii di chiudere la porta, mettendoci in mezzo un piede.

Vedendo la resistenza, guardasti la mia scarpa salendo su fino ad arrivare ai miei occhi.

“Che stai facendo, Tom?”

Non ti risposi, ti feci spostare dall’uscio, entrai, e mi chiusi la porta alle spalle. In silenzio.

Mi guardasti un attimo, ma poi ti girasti, iniziando a mettere le tue cose sulla scrivania di fronte al letto, mettendo il giubbotto sull’attaccapanni.

Io ero ancora lì a guardarti, aspettando che mi dicessi qualcosa, qualunque cosa. Ma tu eri impegnato a fare altro.

Ti togliesti la maglietta nera aderente della ‘Vans’, rimanendo a petto nudo, dandomi ancora le spalle.

Mi avvicinai lentamente, arrivando dietro di te.

“Tom? Che stai…?” iniziasti ma non finisti la frase, interrotto da me, che ti strinsi le braccia alla vita, attirandoti a me, facendo aderire i nostri corpi. Ti baciai la schiena, tra le scapole, tenendoti stretto.

“Tom, che cazzo stai facendo?” mi chiedesti, serio.

Non ti risposi. Consciamente non sapevo nemmeno io cosa stessi facendo.

“Ho bisogno di qualcuno… Ho bisogno di te… ” risposi, a bassa voce.

“Le tue troiette non ti bastano più?”. Perché c’era acidità nelle tue parole?

Di nuovo non risposi.

“La verità fa male, eh?”

“Abbastanza…” sussurrai.

“E che cosa vuoi da me?”

“Stare con te… Io, non lo so cosa provo… Cosa provo per te, questo sentimento strano… Non so come spiegarlo…-” sospirai sulla tua pelle calda, continuando a tenere salde le mani sui tuoi fianchi forti, il petto contro la tua schiena. “-Vederti con qualche ragazza… Mi dà fastidio, non riesco a sopportarlo… Qualcosa dentro di me, ogni volta, mi dice di andare lì e uccidere quella sgualdrina… Un impulso fortissimo, di un’intensita… di cui mi sono reso conto solo stasera…”

Perché non mi dicevi niente?

Eri disgustato da me, in quel momento?

 

POV Georg

 

Cosa stavi dicendo?

Le tue parole continuavano a vorticarmi nella testa, ma non riuscivo a capirle fino in fondo.

Non capivo.

O semplicemente facevo finta di non capire.

Facevo finta di non comprendere quello che dicevi, perché non ero pronto ad accettare la verità che si proiettiva davanti ai miei occhi. Era troppo difficile.

Non capivo come poteva. Ero confuso, confuso su tutto, non sapevo cosa provavo io in primis.

Figurarsi capire i tuoi sentimenti. Era troppo difficile.

Eppure quando le tue braccia si erano strette a me, quando la tua bocca calda e il piercing tiepido si erano appoggiate sulla mia pelle… Il cuore aveva iniziato a battermi furiosamente, senza motivo. O forse c’era?

Continuavo a non dire niente, e utilizzasti questo momento per spostarmi i capelli su una spalla, con lentezza e portare le tue labbra di nuovo a contatto con la mia pelle, stavolta del collo.

Una tempesta di emozioni si sprigionavano in me, una scarica elettrica lungo la spina dorsale, la consapevolezza che si faceva strada nella mia mente come un fulmine a ciel sereno, spaccandola in due, con forza.

Appena sentii la tua lingua sul trapezio, a disegnare qualcosa di indefinito e lussurioso, non potei fare a meno di buttare indietro la testa, sulla tua spalla, poco più in alto. La bocca serrata a trattenere inconsciamente un respiro.

Facevi tutto con lentezza, come una dolce persuasione dei sensi. Con passione.

Quell’ornamento metallico sul labbro non mi dava tregua, seguendo la tua bocca, ripassando sui tasti sensibili della mia carne, come a voler ripetere qualcosa di unico.

“Tom… Oh, Gott…” dissi in un sussurro.

“Quanto ti piace?...” mi chiedesti, in un filo di voce, con quella nota rauca che la rendeva unica ed eccitante, prima di prendere a mordere il lobo dello stesso orecchio nel quale mi stavi parlando.

“Troppo…-” ti risposi, ansimando appena. “-… Non fermarti…”

Continuasti, perché era quello che volevamo entrambi, anche se non l’avevamo mai detto.

Anche le mani si mossero, andando a sfiorare il mio petto, solo con le punte, fredde sul mio addome teso e bollente.

Mi sfuggì un gemito, quando, non so se volutamente, la tua mano si andò a posare sul basso ventre, in una carezza leggera, e nello stesso momento la tua lingua toccava un punto dietro l’orecchio.

“Mein Gott… Tom… Ahh…”

“Oh, accordo perfetto…” dicesti, ridendo piano, facendo una metafora con la musica.

“Non fare molto lo spiritoso, sai?... Sicuramente anche il Sex Gott ha dei punti deboli…” sorrisi malizioso verso di te.

“Vieni a scoprire quali, se vuoi…”

“Ogni cosa a suo tempo…”

Mi feci portare verso il muro senza oppormi, mentre incatenavo il tuo sguardo di nocciola al mio.

La mia schiena cozzò con delicatezza con il muro, mentre trovai su di me il tuo corpo caldo. Completamente uno contro l’altro. La tua virilità che premeva contro il mio interno coscia, le tue mani a bloccarmi leggermente i polsi, mentre non la smettevi di strusciarti su di me come un gatto.

“Meglio io o la troietta del locale?” sorrisino alludente.

“Mah, non saprei… Sai, quella aveva due bocce così, che tu non hai, però…” altro sorrisino, mente ti sfidavo con lo sguardo.

“Peccato che lei non ha questo…” facesti scontrare i nostri membri, strusciandoti di nuovo contro di me, facendo gemere entrambi.

“No… Questo non ce l’ha…” un’ondata di calore si stava lentamente prendendo il possesso del mio corpo, come un fuoco nelle vene.

Eri troppo vestito, per i miei gusti, e in un batter d’occhio ti feci prendere il mio posto contro la parete, prendendo il controllo del tuo piacere.

 

POV Tom

 

In brevissimo tempo, che non mi diede neanche la possibilità di capire quello che era successo, mi ritrovai da predatore a preda, sovrastato dal tuo corpo imponente, che mi teneva letteralmente inchiodato alla parete.

Senza preavviso poggiasti le labbra sulle mie, passandoci quasi immediatamente la lingua sopra, passando più e più volte sul piercing, fin quando non schiusi le labbra a incontrare la mia.

Una danza antica, dall’alba dei tempi, che non vedeva né vincitori né vinti, ma complici di un qualcosa che era solo nostro e di nessun altro.

Una mano era appoggiata al mio fianco sinistro, l’altra sul collo, iniziando poi a baciare il mento, la gola, le clavicole, la base del collo, il lobo dell’orecchio.

Più andavi avanti più sospiravo, sempre più forte, sempre più ravvicinato, il petto che si alzava e si abbassava, mentre portavi una mano alla zip della felpa grigia per aprirla, e la facevi scivolare sulle mie spalle, per poi entrare a diretto contatto con la mia pelle. Facendomi venire i brividi, quando le tue dita toccarono leggere la pelle della schiena, da sotto la maglietta.

Quando iniziasti a percorrere il fianco destro con un dito, lentamente, non resistetti ad inarcarmi, trattenendo un respiro tra le labbra.

“Ecco un punto debole…” sussurrasti al mio orecchio, sorridendo trionfante.

Non risposi.

Sentivo solo il piacere vorticarmi nella testa, come una trottola, mentre sentivo i pantaloni farsi pian piano stretti, nonostante la maxi taglia.

Mi facesti alzare le braccia, per poi sfilarmi la maglia, con lentezza.

“Questi vestiti non ti rendono giustizia, dovresti indossare quelli di tuo fratello…”

“Sì… Così mi troverei delle cannibali addosso… E poi ho scoperto che largo è più… Oh… Sexy… Oh, Gott…” dissi, mentre iniziavi a leccarmi il petto, fermandoti più e più volte su entrambi i capezzoli, stuzzicandoli con la lingua.

“Gott… Ah… Fortunate… Le tue groupies…”

“Ovvio…”

Tornasti a baciarmi, con impeto, mentre la tua lingua esplorava la mia bocca con passionalità infinita, cercando la mia, mentre allacciavo le braccia dietro il tuo collo.

Ci baciammo per una manciata di minuti, ma dovemmo staccarci visto il bisogno di ossigeno.

Ti allontanasti un attimo, andando verso il comodino di fianco al letto, apristi il cassetto cercando qualcosa, mentre io rimanevo inerme, eccitato e con il fiato corto contro il muro.

“Chiudi gli occhi…”. Lo feci, mentre ti sentivo di nuovo vicino. Mi prendesti i polsi con una mano, mentre sentivo qualcosa di liscio che ci passava intorno, e poi improvvisamente i polsi stretti l’uno all’altro.

Poi di nuovo le braccia intorno al tuo collo, portate dalle tue mani.

“Cos’è?” dissi, non aprendo ancora gli occhi.

“Un nastro… Un nastro di seta rossa…” fu la tua risposta.

“E a che cosa serve?” sorridevo.

“Ad avere il pieno possesso su di te, mi sembra ovvio…” una risata leggera uscì dalla tua bocca.

“Sei furbo… Anche se io avrei preferito le manette!” risi anche io.

Sentii il tuo sguardo addosso, mentre mi osservavi, mentre osservavi il mio corpo, fermando più volte sulle mie parti intime, non più molto coperte, visto che i pantaloni a cavallo basso dovevo fermarli con una cintura proprio sul pacco. Tolta la cintura, sarebbero caduti come niente al suolo.

“Sei… Stupendo…” Era… Un complimento? Sentii le mie guance farsi un po’ più calde. Ero arrossito. Non era la prima volta che ricevevo complimenti del genere, ma qualcosa, nella tua voce, mi fece arrossire. Forse era il tono tra lo stupito e l’affascinato con il quale pronunciasti quelle parole.

O magari perché semplicemente lo pensavi davvero, dicendolo con sincerità, non con quegli occhi famelici con cui le ragazze che ho portato a letto me lo dicevano.  

“Gr-grazie…” ringraziai più volte il cielo che avevo gli occhi chiusi, in modo da non vedere la tua espressione.

“Ti imbarazzano, i complimenti?”

“No… Di solito…”

“Posso… Continuare a farteli, allora?”

“Sì, puoi…”

Aprii lentamente gli occhi, osservando il tuo viso, lo sguardo concentrato su qualcosa del mio, di viso.

“Che guardi?”

“Le tue labbra… Sono affascinanti…” eri incantato.

E senza preavviso le baciasti, un bacio casto, solo sfiorarsi. Giocando con il mio piercing, toccandolo con la lingua, lentamente.

Le tue labbra sapevano di alcol, come le mie.

“Ahh…” mi scappò un gemito. Strinsi le labbra.

“Che è successo?”

Non risposi, anche se capisti subito: avevi fatto scontrare, senza farlo apposta, le nostre virilità. La mia pulsava incontenibilmente, facendo un male cane.

Lo facesti di nuovo, stavolta con l’intenzione di farlo. Imprecai a mezza bocca per la frustrazione.

Mi avvicinai al tuo orecchio. Non ce la facevo più.

“Fammi tuo…” sussurrai.

Rimanesti di stucco. Era una totale richiesta di passività. Il Sex Gott si arrendeva, per una volta, a essere soddisfatto.

Ci avvicinammo al letto, con delicatezza mi facesti adagiare sulle coperte profumate ai piedi del letto, con te sopra. Forte. Imponente.

Mi sovrastavi facendo leva sulle braccia con le mani, appoggiate ai lati della mia testa.

Ci guardammo per un po’.

“Aspetta, Tom… Così mi viene un’ernia!” mi prendesti di peso, un braccio sotto le ginocchia, l’altro intorno alla vita e, facendo il giro, mi facesti appoggiare la testa sul cuscino, lasciando poi distendere il resto del corpo.

Ti allontanasti un attimo, mentre io desideravo solo avere ancora le tue dita addosso, a percorrerlo, sentire il tuo corpo sul mio.

Ansimavo leggermente. Ti togliesti i pantaloni, rimanendo solo in boxer.

Boxer stretti e grigi.

La tua erezione in bella mostra, senza vergogna.

Avrei voluto toccarla, per sapere com’era, ma in quel momento il nastro me lo impediva.

Tenevo i polsi legati sopra la testa, inerme, non potevo fare nulla, l’eccitazione che mi saliva nelle vene come bollente fuoco liquido, il mio corpo che ti aspettava, io che ti aspettavo.

Tu continuavi a stare lì, a fissarmi, mentre più cercavo di distrarmi, più mi ritrovavo a fissare sempre nello stesso punto, come se avesse una calamita per i miei occhi.

Cominciavo ad odiare i pantaloni, ormai stretti, che mi stavano torturando.

Cosa stavi aspettando? Che ti implorassi di soddisfare quella voglia impellente che avevo di te?

Se era quello, l’avrei fatto!

Il mio respiro era sempre più affannato, stavo lentamente raggiungendo il limite.

“Georg… Vieni qui, ti prego…” era la prima volta che imploravo qualcuno, ma davvero non ce la facevo più.

 

POV Georg

 

Mi stavi implorando? Dio, la tua voce, così roca, era davvero eccitante.

Per non parlare di come veniva pronunciato il mio nome.

Mi avvicinai al letto, e mi distesi sopra di te, cercando di non far toccare le nostre erezioni.

Il tuo petto si alzava e si abbassava piuttosto velocemente, la bocca semi aperta, gli occhi socchiusi, così schiavo del piacere.

Passai una mano sulla tua coscia, lentamente, per arrivare alla cintura dei pantaloni. Sfiorai appena il tuo membro, e buttasti la testa all’indietro, gemendo ancora. Il collo e la fronte imperlati di sudore, goccioline che scendevano dalla fronte, passavano sulla tempia, percorrendo ripide la mascella e poi tutto il collo, finendo nella federa del cuscino.

Aprii la cintura, facendola uscire dai passanti con estrema facilità. Sospiravi più forte ad ogni mio movimento sul tuo corpo caldo e sudato.

Eri completamente soggiogato al mio potere, al potere che avevo su di te, sul tuo corpo.

“Gott, Georg… Non ce la faccio più…” dicesti, ansimando rumorosamente.

Anche se non lo davo a vedere, anche io ero quasi al limite: il solo vederti in quello stato, che continuavi a inarcare il bacino, sfiorando la mia gamba con la tua lunghezza, mi eccitava da matti.

Lentamente cominciai a slacciare i bottoni dei jeans, lasciando che esponessero alla mia vista la tua virilità pulsante. Li lasciai scivolare sulle tue gambe, finché non caddero a terra.

Ti alzasti leggermente per baciarmi, con passione, amore, foga e dolcezza, tutte insieme, in modo travolgente, lasciandomi leggermente stordito per qualche secondo.

Mi staccai da te, e avvicinai la bocca ai tuoi polsi, prendendo con i denti un lembo del nastro, sciogliendolo. Volevo sentire le tue mani su di me.

Le portasti subito all’elastico dei miei boxer, tirandoli giù. Non riuscendo a sfilarmeli, mi misi in ginocchio, rimanendo a cavalcioni su di te, togliendomeli da solo.

“Oh mein Gott, Georg! E’… E’… E’ enorme! Oddio…“

“Credevi che solo tu avessi un’arma ?” ti risposi, ridendo. Eri veramente scioccato. “Posso vedere la tua?” sorrisi, malizioso.

“Io ho un bazooka!” e ti mettesti a ridere.

“Non lo sai che chi si loda si imbroda?”

“Sì, ma io… Ahh…” non terminasti la frase: ti stavo sfilando i boxer, sfiorando il tuo membro duro con le punte delle dita.

Lo sentivo pulsare contro il mio stomaco, mentre tu chiudevi gli occhi. Ti tolsi anche il cappello e la fascia, lasciando i rasta legati nell’elastico.

Finalmente eri completamente nudo sotto di me: bello come un angelo.

“Sembri un angelo…” sussurrai al tuo orecchio, dando voce ai miei pensieri. Ti feci aprire le gambe, accarezzando piano le cosce.

“Tu un diavolo tentatore…” sussurrasti in risposta. Il mio membro davanti a quell’anfratto a cui anelavo, inconsciamente, da molto tempo.

“Grazie… E comunque hai ragione, è proprio un bazooka…” sorridemmo l’un l’altro, mente ci guardavamo negli occhi.

“Tom… Ti amo…” sgranasti un po’ gli occhi. Poi prendesti in silenzio la mia mano, mettendola al centro del petto: il tuo cuore batteva fortissimo.

Come risposta mi bastava. Sicuramente non saresti riuscito a darmene una a parole.

Intrecciasti le dita delle nostre mani, lasciandole sempre sul tuo petto. Volevi che sentissi ogni cambiamento della pulsazione del tuo cuore.

Lentamente ti penetrai, cercando di farlo il più dolcemente possibile. La stretta si intensificò.

“Se non te la senti, fermami…”

“No… Vai avanti…” Il tuo cuore non smetteva di battere forte. Un battito di attesa.

Affondai ancora, mentre tenevi le labbra serrate, cercando di trattenere il dolore, chiudesti gli occhi, respirando a fondo, e poi buttando fuori l’aria dalla bocca, svuotando i polmoni.

“Resisti… Ci sono quasi…” ti baciai con dolcezza il volto: gli zigomi, la fronte, la tempia, stringendo la mano per farti forza.

“Ok…” Non piangesti, nonostante il dolore fosse molto intenso.

Aspettai un po’ che il tuo corpo si abituasse alla mia presenza al suo interno, muovendomi piano.

Il dolore sembrava passato, sentendo che i tuoi mugugni, da lamenti, passarono a sospiri di soddisfazione.

Il tuo cuore cambiò di nuovo battito: accelerato, un ritmo calzante, che diventava sempre più veloce più aumentavo le spinte. Non mi preoccupavo del rumore del letto che cozzava con il muro: che tutto l’albergo avesse sentito, non mi importava.

“Georg… Io… Ah…” venisti, buttando la testa all’indietro, quasi urlando.

Io dopo di te, accasciandomi sul tuo corpo, sfinito.

Riprendemmo fiato lentamente, l’aria impregnata dei nostri odori.

Io e te vicini, mentre affondavo la testa nella tua spalla, stordito dal tuo profumo così buono, un misto di doccia-schiuma e dopobarba alla menta. Mi stavi accarezzando i capelli.

“Grazie…” fu un sussurro, ma che nel silenzio sentii come se fosse stato un urlo.

Rimasi lì ad ascoltare il tuo respiro regolare.

“Sono io che dovrei ringraziarti, lo sai?” dissi dopo un po’.

“Perché?”

“Perché mi hai fatto capire cosa provavo davvero nei tuoi confronti e poi, per stanotte…”

“Bé, prego…” dicesti, sorridendo.

“Ti amo…” sentii perfettamente il tuo cuore iniziare a battere più forte, anche se non lo davi a vedere, rimanendo apparentemente tranquillo. Chissà da quanto tempo facevi così.

“Da quanto tempo è?” ti chiesi improvvisamente, tirandomi leggermente su, puntellando i gomiti sul lenzuolo.

“Da quanto tempo… Cosa?”

“Da quanto tempo mi ami –perché ero sicuro fosse così, non avevo dubbi- o che comunque provi qualcosa di diverso dall’amicizia per me”

“Credo qualche mese… Non lo so per certo…” rispondesti dopo qualche minuto.

Non mi guardavi negli occhi. Tutto spavaldo, ma in fondo in fondo, queste cose ti imbarazzavano.

Mi tirai su, appoggiando la testa sul cuscino, contento. Mi guardavi con un sopracciglio alzato, mentre mi giravo su un fianco, e tu ti accoccolavi con la schiena contro il petto, facendo passare un mio braccio intorno alla tua vita.

“Come sei caldo…” fu il tuo commento, a bassa voce, con la voce già impastata dal sonno, segno che ti stavi addormentando.

“Grazie…” dissi, dandoti un bacio sul collo, leggero. Giusto in tempo per sentire quello che sussurrasti subito dopo:

“Ti amo…”

 

 

Ende

   
 
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