Please remember, please remember,
I was there for you and you were there for me
Please remember, our time together
The time was yours and we were wild and free
Please remember, please remeber me
-Leann Rimes, Please remember
Quella notte Conan non dormì, passò ore ed ore a maledirsi
per quella telefonata. Stupido, stupido,
stupido. Come mi è saltato in mente di fare una cosa del genere? Se Ran non mi
vede arrivare è la fine. Stupido. Se Haibara sapesse quello che ho fatto..
Aveva agito d’istinto, aveva fatto ciò che rimproverava
sempre all’amico del Kansai. “Chi è l’impulsivo ora?” gli sembrava quasi sentire la
sua voce nella testa. Vedeva il suo viso, con quel sorriso saccente che lo
faceva tanto innervosire.
Gli serviva una soluzione, una soluzione sensata che non
implicasse nessuna supplica da parte sua alla scienziata.
L’ultima volta che gli
aveva permesso di prendere il prototipo dell’antidoto era stata
piuttosto
chiara, doveva aspettare che quello definitivo fosse pronto prima di
poter
tornare di nuovo se stesso. Continuare a prendere il farmaco sarebbe
stato pericoloso per la sua salute. Oltretutto lei e il professor Agasa
erano partiti
alcuni giorni prima per partecipare ad una conferenza a Kyoto.
A quel punto aveva due possibilità: mettere a soqquadro la
casa del professore con la speranza di trovare il composto; oppure trangugiare una
bottiglia intera di Paikal. Cosa che sarebbe risultata inconcludente, ma tanto
valeva provare. Effettivamente c’era anche una terza via, ovvero confessare tutto a
Ran. Negli ultimi tempi ci aveva pensato piuttosto spesso, sapeva di non poter
continuare con quella recita per molto, il peso che doveva sopportare si faceva
ogni giorno più grande. Ma poi pensava ad Heiji, ad Agasa, ai suoi genitori, a tutti
coloro che conoscevano il suo segreto e che correvano una miriade di rischi
ogni giorno. Non voleva che anche la sua più cara amica fosse sottoposta alla
stessa sorte.
Era appena sorto il sole quando fu riscosso dai suoi
pensieri da una forte fitta all’altezza del petto. Istintivamente
portò una
mano al cuore. Aveva il fiato corto e faticava a mettere a fuoco
ciò che aveva
intorno. Si alzò a sedere e trasse alcuni respiri profondi, per
calmarsi. Se si fosse messo a urlare, avrebbe svegliato tutti. E,
proprio quando credette di non poter sopportare più quella
sofferenza, il dolore se ne andò e il piccolo
detective si lasciò cadere sul futon.
Possibile che stesse tornando ad essere se stesso? No, non aveva preso l’antidoto.
Cosa sta succedendo? Forse gli anticorpi stanno reagendo al veleno.. Ma è troppo tardi, doveva succedere subito.
Iniziò a riflettere sulle possibili cause di quell'attacco,
senza trovare una risposta alle sue domande. Inoltre era convinto che
di lì a poco sarebbe arrivata una nuova fitta, ma non successe.
Nessun accenno di dolore.
Assolutamente niente.
Dannazione imprecò
tra sé, passandosi una mano tra i capelli scuri.
***
Le ore passavano inesorabili e il momento dell’appuntamento
si avvicinava fin troppo in fretta.
“Tutto bene, Conan-kun?” chiese Ayumi all’amico, nel
tragitto verso scuola.
“Sembra che tu non abbia dormito” aggiunse Mitsuhiko.
“In effetti ho fatto fatica a prendere sonno, ieri sera”
rispose l’altro, calciando un sassolino.
“E come mai? Hai mangiato pesante?” indagò Genta.
Conan scosse il capo con un sorriso. “Avevo solo troppi
pensieri per la testa”
“Tipo quella festa di stasera a cui deve andare Mouri-san?”
si sorprese nel sentire l’amica pronunciare quelle parole. La piccola Yoshida
aveva lo sguardo puntato a terra e il rosa pallido del suo viso era leggermente
più acceso sulle guance.
“M-ma no, assolutamente” balbettò lui.
Lei gli rivolse un sorriso triste e si strinse nelle spalle.
“Era tanto per chiedere”
Tsuburaya e Kojima guardavano la scena confusi senza sapere
cosa stesse succedendo. Conan era rimasto con la bocca semichiusa, come se
stesse per dire qualcosa ma allo stesso tempo non trovasse le parole giuste da
usare.
Tra i quattro bambini si era creato uno strano silenzio che
fu fortunatamente rotto davanti alla scuola.
“Ciao ragazzi!” urlò Kayoko, una bambina con i capelli rossi
e gli occhi blu che si era trasferita da poco a Tokyo. Gli altri ricambiarono
il saluto, mentre Conan pensava a ciò che era successo poco prima, non riusciva
a togliersi quell’espressione triste stampata sul volto di Ayumi. Eppure l’altro giorno era così contenta. E
poi come ha collegato me al ballo? Tutto questo non ha senso.
Finita la scuola si fermò a casa del professore, sapeva dove
teneva le chiavi di scorta -nel sottovaso di una pianta- ed entrò nel grosso
edificio.
Trasse un respiro profondo e iniziò a ragionare sul luogo in
cui potesse essere nascosto quell’antidoto. Guardò in ogni singolo cassetto e
anta senza risultati. Anche nel laboratorio di Haibara non c’era traccia del
composto e a quel punto iniziò a disperarsi. Mantieni la calma. Usa il cervello. Fai lavorare quelle quattro rotelle
che hai in testa.
“Ran mi avevi promesso che saresti venuta!” si lamentò
Sonoko.
“Te l’ho detto, mi spiace.. ci sarà Makoto-san, no? Potrai
stare con lui”
“Conoscendolo mi darà buca proprio all’ultimo” sbuffò.
“Vedrai che ci sarà, devi essere fiduciosa” continuò
l’altra.
“Parliamo ancora di Makoto-kun oppure..?” indagò l’amica,
cogliendo la karateka in fallo. Questa annuì in maniera fin troppo decisa.
“Certo che si, e di chi altri?”
L’ereditiera la guardò subdola “Tu non mi convinci per
niente, sai?”
In risposta Ran ridacchiò, sentendosi estremamente stupida. Erano appena arrivate al centro commerciale, ma Sonoko aveva
già accumulato alcuni vestiti da provare, diceva che, dato che la sua cara
amica non ci sarebbe stata, doveva brillare abbastanza per entrambe. Tipico.
Aveva programmato ogni secondo di quella giornata per
riuscire a passare dalla sue boutique preferita, dal parrucchiere e
dall’estetista. Ran era più che certa che non ce l’avrebbe mai fatta in tempo e
che sarebbe arrivata in ritardo come suo solito.
Passarono tre ore frenetiche tra vestiti, scarpe e camerini.
La karateka era distrutta e si congedò dall’amica intorno alle 18.30 per
dirigersi verso casa. Aveva decisamente poco tempo per fare tutto e non voleva
fare tardi all’appuntamento. Ti prego fa
che ci sia.
“Come hai potuto prometterle una cosa del genere??” sbraitò
Heiji appena ebbe finito di sentire ciò che l’amico aveva da dire.
“Sarebbe andata al ballo con quel..” si accorse di aver
detto un paio di parole di troppo e non finì la frase.
“Quindi sei geloso..” lo canzonò il detective dell’ovest.
“NO! Solo non lo conosco e potrebbe anche essere un
delinquente..” si stava decisamente arrampicando sugli specchi.
“Facciamo finta che sia così, non le puoi dire che c’è stato
un imprevisto o qualcosa del genere?”
“L’hai detto anche tu l’altro ieri, devo smettere di
mentirle, no? E poi gliel’ho promesso, mi ucciderebbe” e intendeva
letteralmente, non avrebbe augurato a nessuno di trovarsi davanti ad una Ran
arrabbiata.
“Hai provato quel liquore cinese
che avevo portato a Mouri tempo fa?”
“Ho controllato stamattina se ce ne fosse ancora ma la
bottiglia è sparita e, dato che non è diffuso qui, non credo di poterlo trovare
da nessuna parte. Ma non funzionerebbe comunque, secondo Haibara, dopo la prima volta non ha più
alcun effetto”
“Quindi abbiamo le mani legate”
“Ho paura di sì..”
“Cosa pensi di fare?” l’altro si lasciò sfuggire una risata
amara.
“Forse è arrivato il momento di dirle la verità”
Ran controllò
l’orologio prima di uscire di casa, mancavano
quindici minuti alle 20. Aveva ancora un po’ di tempo. Si
guardò allo specchio
un’ultima volta, i capelli scuri le cadevano sulla schiena e gli
occhi azzurri sembravano più luminosi del solito. Indossava un
giaccone pesante lungo fino a metà coscia che
nascondeva una camicetta rosa pallido e una gonna scura. Sorrise e
salutò il
padre, pur sapendo che non l’avrebbe sentita, dato che dormiva
beato sulla
scrivania piena di scartoffie e lattine di birra vuote.
Per ottenere il permesso aveva lottato, ma alla fine il
detective dormiente aveva ceduto, dicendole che se non fosse tornata
per le 22, quel giovanotto si sarebbe ritrovato con un occhio nero.
La ragazza si avviò giù per le scale, fantasticando su cosa
avrebbero fatto, cosa si sarebbero detti. Non si vedevano da quasi tre mesi
ormai, e Ran aveva iniziato a pensare che lui non volesse davvero più vederla.
Ogni volta si presentava senza preavviso, sbucava dal nulla e spariva dopo
alcune ore.
Cercava di nasconderlo, ma aveva paura che Shinichi
non si presentasse, di certo non sarebbe stata la prima volta.
Caccia via quei brutti
pensieri. Lui ci sarà.
Percorse la grande via illuminata dai lampioni, finchè non
svoltò in una stradina secondaria. Camminò per qualche minuto e, quando fu
giunta a destinazione, le sue labbra si incresparono in un sorriso.
“Shin!” urlò la
bambina sentendosi strattonare “Dove mi stai portando?”
L’amico si portò un
dito alla bocca “Shhh”
A Ran iniziavano a
fare male le gambe, correvano già da un po’ di tempo e nemmeno sapeva quale
fosse la loro destinazione. “Dove andiamo?” chiese di nuovo lei.
“Zitta, Mouri. Aspetta
e vedrai” disse l’altro esasperato.
Trascinò l’amica per
altri cinque minuti tra le strade trafficate di Tokyo, evitando alla bell’è
meglio i passanti, senza molto successo, in effetti. Poi si bloccò di
colpo e Ran gli finì addosso, facendolo cadere.
“Mouri!” urlò lui
mentre l’altra si sbellicava dalle risate.
“Ti sta bene, brutto
antipatico”
“E pensare che io
volevo condividere con te il mio posto speciale” mise il broncio lui, dopo
essersi alzato.
“Posto speciale? Dove?
Dove? Dove?” aveva colto nel segno, la sua amica era da sempre la persona più
curiosa del pianeta.
“Non credo che te lo
dirò”
“Dai.. Shinichi, per
favore” supplicò Ran “scusami, mi dispiace, non avrei dovuto ridere”
“Mmh”
“Shin..” continuò, con
lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
“Non ti metterai a
piangere, vero?” chiese lui “lo sai che diventi più brutta quando piangi”
Lei alzò gli occhi,
incrociando quelli dell’amico, azzurri come il cielo d’estate. In effetti le
sue guance erano già rigate da diverse lacrime ed era piuttosto rossa in viso.
Shinichi le prese una mano e sorrise.
“Stavo solo
scherzando, Mouri. Andiamo”
Detto questo, i due,
dal vicolo in cui si trovavano, uscirono su una stradina dove c’erano poche persone e
a quel punto il bambino fece segno all’amica di guardarsi intorno.
Ran rimase a bocca
aperta. Si trovavano sulla riva del fiume Sumida e i ciliegi in fiore rendevano
l’atmosfera quasi magica.
“Ma è bellissimo!”
esclamò.
“È uno dei posti che
preferisco, soprattutto in questo periodo dell’anno” disse l’altro, imbarazzato.
“Sono contenta che tu
mi abbia portata qui” sussurrò dopo un attimo la bambina, senza guardarlo.
“Ehm.. d-di niente” le
sue guance si erano tinte di rosa acceso.
Ran sospirò,
le sarebbe piaciuto poter tornare indietro nel
tempo, rivivere quei momenti così belli che avevano segnato la
sua infanzia. Si
sentiva fortunata ad avere un amico come lui, le era sempre stato
accanto, era
pronto a consolarla quando piangeva e, nonostante quell’aria da
sbruffone,
aveva un cuore d’oro. Ma ultimamente lo sentiva distante, quasi
non si ricordasse più di lei. Avrebbe dato qualunque cosa per
far tornare tutto come prima.
La ragazza attraversò la strada e andò a sedersi su una
panchina, con la speranza di vedere il suo amico arrivare presto. Si strinse
nel giaccone e rivolse lo sguardo al cielo ormai scuro. Si lasciò scappare un
altro sorriso, mentre sprofondava tra i ricordi di quando tutto andava bene,
quando tutto era perfetto.
Il detective
dell’ovest rimase a fissare il muro davanti a
sé per svariati secondi dopo aver ascoltato ciò che
l’altro gli aveva detto.
Voleva veramente rivelarle la verità? Non era il genere di
persona che lasciava le cose a metà, ripeteva di non voler
esporre Ran. Eppure stava per mandare tutto all'aria.
Il ricevitore emetteva un tuuu continuo, la linea era caduta subito dopo che il ragazzo aveva
pronunciato quelle ultime parole.
“Forse è arrivato il
momento di dirle la verità”
Heiji prese il giubbotto che aveva abbandonato
un’ora prima sulla sedia e si precipitò fuori di casa, diretto alla stazione,
maledicendo l’amico e la sua scempiaggine.
Il primo shinkansen sarebbe partito di lì a pochi minuti,
perciò ebbe appena il tempo di prendere il biglietto e infilarsi sul treno, mentre le
porte si chiudevano dietro di lui. Prese posto e inviò un messaggio a sua
madre, dicendo che si sarebbe fermato a Tokyo per un paio di giorni a causa di
un’emergenza, le avrebbe spiegato tutto più tardi.
Sperava di arrivare in tempo per fermarlo, o, nel caso
peggiore, per rimediare ai danni a seguito della confessione. Non aveva un
piano preciso, avrebbe seguito l’istinto. Guardò il portafortuna fatto a mano
da Kazuha appeso al suo telefono e ricordò le volte in cui l’amica gli aveva
ripetuto che era solo grazie a quello se si erano salvati quella volta
sull’Isola della Sirena*.
Sentì il cellulare squillare e lesse il nome del mittente
sullo schermo. Quando si parla del
diavolo..
“Pronto?” chiese.
“Heiji! Dove ti sei cacciato? Ti aspetto da mezz’ora!” urlò
l’altra.
“Kazuha, ma che..?” lasciò la frase a mezz’aria e si portò
una mano alla fronte, facendola passare poi sugli occhi. La mostra! Le aveva
promesso di accompagnarla un paio di settimane prima, dopo varie suppliche da
parte della ragazza.
“Ehmm.. scusa, Kudo ha bisogno di me, quindi non credo di
poter venire..” allontanò il ricevitore dall’orecchio, prevedendo che si
sarebbe messa a gridare. Ma non fu così. Dall’apparecchio non giungeva alcun
suono.
“Kazuha, ci sei?” chiese, piano.
“Sapevo che avresti trovato qualcosa di meglio da fare” disse lei con la voce rotta, prima
di attaccare.
Heiji rimase con un palmo di naso, gli occhi fissi davanti a
lui. Deglutì, preoccupato. Questa volta l’aveva fatta grossa e sapeva che non
gliel’avrebbe perdonata facilmente. Dopo il malinteso di alcuni giorni prima si era ripromesso
di non combinare guai per un po’, ma evidentemente, non ne era capace.
“Mi spiace per ciò che è successo” aveva esordito lui, dopo aver
obbligato l’amica a sedersi e ascoltarlo “ma hai
frainteso la situazione, Kazuha”
“La tua faccia era appiccicata a quella ragazza! Come posso
aver frainteso?” aveva sbraitato lei.
“Ma vuoi lasciarmi parlare?” lei aveva sbuffato, incrociando
le braccia. “Primo, non la stavo baciando. Stavamo solo parlando, devi
aver avuto le traveggole, mia cara. Secondo, anche se fosse, non dovrebbe
interessarti, non credi?” aveva quindi sfoderato il suo sorriso beffardo, che
aveva fatto saltare i nervi alla ragazza.
“Smettila di fare l’arrogante!”
“Tu smettila di ficcare il naso negli affari degli altri”
“Mi puoi almeno dire chi era?” era piuttosto irritata dal
comportamento dell’amico, ma aveva cercato di mantenere la calma.
“La figlia di un amico di mio padre, la sua famiglia è
venuta in vacanza qui ad Osaka e ha chiesto se potessi accompagnarla a visitare
la città, punto”
“Mmh..” aveva mugugnato lei, non sembrava troppo convinta ma
alla fine aveva ceduto “va bene, fa' come ti pare”
In realtà non aveva creduto a una singola parola di
quello che aveva detto, ma sapeva che se avesse continuato, lo avrebbe
perso. Non si erano parlati per una giornata intera e ci era stata
malissimo. Voleva continuare ad averlo
al suo fianco e sapeva di
essere masochista, lui non l’avrebbe mai guardata nel modo in cui
lo guardava
lei, non avrebbe mai pensato a lei come la sua ragazza. Sarebbe stata
sempre la sua stupida, testona, impicciona amica d'infanzia.
L’ora dell’appuntamento era passata da un pezzo e le guance
di Ran erano rigate da diverse lacrime. Si asciugò gli occhi con la manica del
giaccone e trasse un respiro profondo. Sono
un’illusa. Era caduta nuovamente nella sua trappola, gli aveva creduto per
l’ennesima volta, convinta che sarebbe stato diverso.
Cercò di trattenere un singhiozzo, invano. Il suo pianto non
si fermava, le lacrime scendevano copiose dagli occhi e non riusciva più a
distinguere ciò che aveva intorno a lei. Tutto era sfocato.
Passò qualche minuto prima che riuscisse a calmarsi, poi si
alzò e inspirò. L’aria fredda di metà dicembre la fece rabbrividire.
Fece per dirigersi verso casa,
quando sentì un braccio
cingerle la vita. Un attimo dopo, il corpo della ragazza
aderì a quello dell’altro. Avvertì una forte
pressione sul collo e si immobilizzò. Quel tizio le stava
puntando una pistola alla gola. Fece per gridare, ma le parole le
morirono in gola quando il viso dell’altro si avvicinò al suo
orecchio destro. Il cuore della
ragazza batteva talmente forte che aveva paura fosse sul punto di scoppiarle in
petto.
“È un po’ tardi per
girare da sola, non credi?”
Precisazioni:
*riferimento a quando Heiji salva Kazuha che sta cadendo da un dirupo sull'Isola della Sirena (file 283, volume 28)
Kalimera!
(Sono stata in Grecia e volevo illustrarvi quanto ho imparato -niente-)
Alloooora, Shin-chan ha preso la sua decisione, dirà la verità a Ran. Naturalmente l'amico non è d'accordo e pensa di raggiungerlo, riuscirà a fermarlo in tempo? Boh boh.
Ho iniziato ad affrontare la faccenda di Heiji e Kazuha, più avanti verrà approfondita, ma rimarrà comunque di sfondo, altrimenti la storia non finisce più ahah
Cosa pensate di questo finale? Ran riuscirà a liberarsi dalla morsa del maniaco? (Che, in effetti non ha tutti i torti dicendo così, ma non è mica colpa sua se è rimasta sola come un cane di nuovo, no? È solo per colpa
Aaah! Su gentile richiesta, ho aggiunto una mini-scena tra Conan e Ayumi (shinichi e ran amore, solo per te! ahah)
Niente, non so più cosa dire aha spero vi sia piaciuto il capitolo, lasciatemi una recensione!
Grazie a chi ha recensito, chi ha messo nelle seguite/preferite e ai lettori silenziosi.
A presto,
Gaia