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Autore: MatteoIacobucci    07/04/2014    1 recensioni
L'arrivo a Torino di Alex, ragazzino di diciotto anni ed elemento del PSD(Promesse settore detective), progetto del ministero per plasmare nuovi detective, sconvolge la vita di Flavio, esperto investigatore privatista. Alex ha un'incredibile capacità deduttiva che lo distingue dai compagni di corso e appare infallibile, risolvendo ogni caso con estrema facilità. Flavio cela un terribile segreto che è oggetto di discussione anche tra i figli dell'uomo e Alex, spinto dalla voglia di verità e dai sentimenti per Bianca, figlia dell'uomo, cerca in tutti i modi di farvi luce. Mettendo da parte divergenze caratteriali e rivalità professionali, i due dovranno collaborare per un obbiettivo comune: vendicare il loro passato ed impedire che il loro futuro venga distrutto. L'intelletto di Alex farà la differenza o il ragazzo sarà l'ennesima vittima del male?
La pubblicazione avverrà a FILE. Una serie di FILE comporranno un caso poliziesco.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Bianca aprì la porta in mogano ed entrò. La casa si apriva con un corridoio abbastanza stretto, dove c’era solo un piccolo mobiletto con su un telefono fisso.
La ragazza ci fece strada dimostrando di essere un’ottima padrona di casa. Svoltò a destra e ci portò in una cucina abbastanza accogliente. Oltre al consueto piano di lavoro, con tanto di forno e quant’altro, c’erano la lavastoviglie e un tavolo, sempre di mogano, con al centro un contenitore di frutta finta. La stanza si chiudeva con un piccolo divanetto di colore rosso fuoco.
Usciti dalla cucina, a sinistra del piccolo corridoio, c’era un salottino abbastanza spazioso, con un divano bianco ad angolo e una televisione al plasma ultimo modello. Non mancavano poltroncine e un tavolo interamente di vetro con alcuni posacenere sopra.
«Vedi quei posacenere vuoti?» mi domandò Bianca. «Lascia che arrivi mio padre e diventeranno pieni. Tu fumi?».
«No, per niente».
«Meno male …».
 Alle spalle del divano ad angolo, verso sinistra, era posta una scrivania di legno antico che dava le spalle ad una grande vetrata, coperta da tende color salmone. Accanto ad essa, verso l’angolo più cieco della stanza, un’antica lampada ricamata con decorazioni bronzee molto eleganti. Di certo era una casa dove vigeva il buon gusto.
Verso la parte destra del salottino sorgeva un’altra vetrata, poi c’era una libreria molto grande dove erano stati custoditi una moltitudine di libri che toccavano i più svariati argomenti e infine alcune piante che sentivano indubbiamente  la presenza del tempo. C’era inoltre una scala, interamente in legno pure quella, che portava al piano superiore. Al piano superiore erano situate quattro camere da letto, due bagni e una piccola saletta esterna con panchina, tavolino e sedie. Una sorta di studio nel corridoio, praticamente. C’erano poi numerose finestre e diversi balconi. Scendemmo di nuovo al piano di sotto, con Bianca che continuava a parlare e con me che, in tutta sincerità, non le prestavo molta attenzione.
Ero molto impegnato ad ambientarmi in quella casa, ma soprattutto a considerare ancora l’opzione di andare via, fare una faccina dolce e salutare per sempre.
All’uscita del piccolo corridoio, verso la fine, c’era un’ulteriore  porta di legno, molto più vecchia delle altre presenti in casa . Questa, mi spiegò Bianca pazientemente, dava spazio nell’ufficio di Moggelli, quello che sarebbe diventato anche il mio posto di lavoro.
«Si può …».
«Vuoi entrare, eh?» mi chiese ironicamente.
«Be’ … non mi dispiacerebbe».
 
L’ufficio era arredato in modo abbastanza sobrio ed era alquanto spazioso.
Una scrivania di legno con delle sedie modernissime troneggiava in fondo alla stanza. Un piccolo salottino era stato allestito ai piedi delle due sedie poste di fronte alla scrivania del detective. A tutto si aggiungeva una piccola televisione attaccata al muro e rivolta verso la scrivania, una libreria con poche pratiche cartacee disposte in evidente disordine e molti fogli sparsi a terra, molti dei quali calpestati dalle orme di quello che doveva essere Flavio Moggelli. A dire la verità mi sembrava tutto, davvero tutto, tranne che l’ufficio di un detective. Mi avevano detto che l’agenzia non andava come avrebbe dovuto e che attraversava un periodo di magra dovuto al carattere «instabile e rissoso» del responsabile e dunque cercai di far buon viso a cattivo gioco.
Verso il fondo dell’ufficio, a sinistra della scrivania, c’era un piccolo portoncino, sempre di legno. Doveva essere un’entrata secondaria della casa o qualcosa del genere.
«Allora, che ve ne pare?» ci domandò Bianca facendomi sobbalzare. Aveva parlato per almeno quindici minuti, ma io non avevo praticamente ascoltato nulla.
«Tutto molto carino, complimenti» affermai educatamente.
«Sono contento che ti piaccia. Tu e tuo fratello dormirete in camere separate, ma comunque vicine, va bene così?».
«Certo, è perfetto. Ti ringrazio molto di avermi “guidato”»
«Di niente» rispose con un largo sorriso.
 
Il portoncino dell’ufficio si aprì improvvisamente. La chiave girò frettolosamente nella toppa e quando la serratura scattò, mi ritrovai di fronte un uomo altissimo, che sfiorava sicuramente il metro e novanta. Era molto magro, direi longilineo. Aveva sicuramente qualche chiletto in più, che però non aggravava affatto la sua persona. La barba incolta gli incorniciava il volto e l’espressione tesa e aggressiva mi fecero immediatamente intuire chi fosse.
Alla nostra vista si sorprese, quasi non si aspettasse di trovarci lì.
«Bianca, cosa ci fai qui?»
«Ciao papà. Stavo mostrando la casa ad Alex».
«Alex?» pronunciò il mio nome quasi con disprezzo. Forse era stata solo una mia impressione ed essendo diffidente per natura non potevo escludere questa possibilità.
«Ah» continuò poi, «sei tu ragazzo?» disse rivolgendosi a me.
Gli tesi la mano per stringergliela, per presentarmi con educazione, ma lui la guardò con diffidenza e sorrise in modo sarcastico lasciandomi di stucco.
«Allora se non sbaglio,» cominciò a parlare sedendosi alla scrivania e prendendo in mano alcune carte «tu dovresti essere il ragazzino che il ministero ha mandato qui, dico bene?».
«Sì».
«Be’ ragazzo, non hai l’aria tanto sveglia».
Che gentile vero? Aveva subito instaurato un clima pesante e mi era già simpatico come un mal di denti il giorno di Natale.
Bianca aveva corrucciato la fronte e aveva risposto:
«Bel modo di accoglierlo … papà, sii gentile almeno con lui».
Intanto si era tolto la giacca ed era rimasto in camicia bianca con una cravatta nera.
«Che significa?» domandò a sua figlia. «Io sono sempre gentile. Piuttosto, oggi non hai compiti da fare?».
«Be’, certo, ma …».
«E allora falli, no?».
«Antipatico!» lo apostrofò facendogli una linguaccia.
Bianca si allontanò con un’espressione serena sul viso.
Probabilmente Flavio, quello il suo nome, non era così scorbutico, oppure lo era ma solo per rafforzare un carattere normale che però lavorava in un ambiente particolare. Forse però stavo fantasticando troppo e mentre ero assorto nei miei pensieri, la voce dura, rude e ferma dell’uomo mi fece sobbalzare.
«Come hai detto di chiamarti?»
«Alex» risposi.
«Alex, siediti di fronte a me e attendi un momento».
Feci come aveva detto. Flavio aveva la testa abbassata sulle pratiche, le esaminava, le spulciava minuziosamente e talvolta le correggeva a penna. Poi alcune le strappava e le buttava nel cestino situato sotto la scrivania ed altre invece le riponeva in un cassetto. Il silenzio totale durò circa dieci minuti.
Poi ad un tratto, il signor Moggelli cominciò a parlare sollevando lentamente la testa dalle pratiche e guardandomi fisso.
«Allora Alex, dimmi un po’» esordì «perché vuoi fare il detective?».
Mi imbarazzai. «Be’ vede signore, io …».
Mi interruppe.
«Non cominciare ad incantarmi con queste cose formali. Dammi del “tu” e chiamami Flavio»
«D’accordo» asserii. «Come dicevo, fare il detective è sempre stato il mio grande sogno».
Fece un mezzo sorriso, naturalmente sarcastico, prese fiato e rispose con una calma invidiabile.
«Quindi, tu ti sei trasferito da … da dove ti sei trasferito?».
«Fondi».
«Dov’è?».
«Provincia di Latina».
«Dicevo … ti sei trasferito da Fondi, piccola città ridente, a Torino grande metropoli, per coronare il tuo sogno? Buona fortuna, ragazzo».
«Cosa vuol dire?».
«Vedi, le pratiche che ho letto fin ora … riguardavano solo te. Qui c’è il certificato di provenienza del PSD, quella sottospecie di corso che hai frequentato nel quale l’unica cosa che fanno è approfondire giuridicamente la figura dell’investigatore, alcune parole scritte dal commissario di Fondi, Gabriele Marbelli e poi qualche tuo articolo di giornale … quegli articoli dei quotidiani locali nei quali si leggono le tue imprese in quella città».
«Diciamo che ho sempre amato collaborare con la giustizia, ma con quella vera».
«Cosa vuoi dire?» sussurrò mantenendo il ghigno.
«Che mi piacerebbe garantire la vera giustizia».
«E cosa ti fa pensare che non tutta la giustizia sia autentica?».
«Be’ tante cose … »
«Sei vago, ragazzo … perché non approfondisci e mi fai capire davvero cosa pensi?».
«Semplicemente penso che non sempre la legge sia uguale per tutti».
Il suo volto s’incupì. Probabilmente avevo colpito nel segno. A Fondi mi avevano detto che Flavio era stato per quindici anni nelle forze dell’ordine. Un uomo di giustizia come lui, non poteva sopportare che un ragazzino gli dicesse quelle cose. Era come se avessi instaurato una discussione sul piano personale, così si alzò lentamente dalla sedia e andò verso la sua destra, a consultare la libreria. Poi prese un fascicolo di colore giallo ocra e lo lanciò sul tavolo in segno di sfida. Si risedette al suo posto e cominciò a parlare prendendo tanto fiato.
«Davvero pensi questo, ragazzo?»
«Perché non dovrei?»
Aprì il fascicolo. All’interno c’erano un sacco di cartelline trasparenti, un sacco di documenti, un sacco di articoli di giornale, di ritagli fotografici, di attestati al merito poliziesco e quant’altro.
Prese una cartellina, estrasse un foglio di giornale sotto l’evidente peso degli anni e lo aprì con scioltezza.
«Padova» disse cominciando a leggere «Brillante operazione poliziesca oggi nella cittadina veneta di Padova. La collaborazione delle forze dell’ordine nostrane con quelle della città di Torino è stata  provvidenziale per catturare Giancarlo Fannorini, noto ricettatore. Per Fannorini sono stati necessari tre anni di appostamenti. I leader dell’operazione sono stati l’ispettore Giovanni Andrelli del distretto padovano e l’agente Flavio Moggelli del distretto di Torino”, coordinato dall’ispettore piemontese Vincenzo Ducato».
Stetti zitto.
Prese un altro foglio e ricominciò a leggere.
«Torino. La polizia ha finalmente arrestato Bernardo Mastroni, noto spacciatore assassino che aveva seminato panico in tutto il nord del Belpaese. Mastroni è stato brillantemente fermato al termine di un inseguimento per tutta Torino dall’ispettore Flavio Moggelli che ha dichiarato che questa è stata la vittoria definitiva della giustizia».
Mi guardò con aria di sfida
«Allora, ragazzino. Cosa ti fa pensare che la giustizia sia sporca?».
«Il fatto che ci sono decine di reati rimasti impuniti».
«Davvero? E tu sai il perché?».
«Perché la polizia si rifiuta di indagare oltre».
Diede un violentissimo pugno sulla scrivania. Dopo aver resistito a quel colpo, sarebbe durata ancora una buona decina d’anni. Si alzò di scatto e ispezionò la stanza con il suo passo aggressivo e felpato.
«Che insolenza! Un ragazzino viene nello studio di un uomo di giustizia a dire che … che la giustizia è corrotta! Non hai un briciolo di vergogna!».
«Che c’è? Non posso esprimere una mia opinione?».
«E’ un’opinione abbastanza stupida».
«Potrei dire lo stesso della tua».
La stanza si gelò. Ci eravamo conosciuti da nemmeno mezz’ora eppure avevamo già tastato i punti di cedimento l’uno dell’altro. Mi guardò con occhi di fuoco, spiritati. Le sue braccia possenti appoggiate alla scrivania tremavano per l’agitazione. Si era sbottonato i primi bottoni della camicia e ciò faceva notare ancor di più il suo respiro affannoso,  un misto di adrenalina all’ennesima potenza mescolata con tanta rabbia repressa.
Poi si voltò e vide mio fratello. Già, Andrea era rimasto seduto su una piccola sedia sistemata ad est della stanza. Non mi ero nemmeno accorto ci fosse, in quanto non aveva ancora mai aperto bocca
«Chi è quel piccoletto?» disse a voce alta.
«Mio fratello Andrea».
«Resterà con noi?».
«Se ci sono io deve starci anche lui».
Si avvicinò con aria da sbruffone a mio fratello. Seguii i suoi movimenti con lo sguardo. Gli si mise davanti e abbassandosi sulle ginocchia gli chiese:
«Allora giovanotto, quanti anni hai?».
«Cinque» rispose timidamente Andrea.
«Bene. Quindi vai ancora all’asilo?».
«Sì».
«Mi sembri un po’ agitato. Vuoi qualcosa da bere, vuoi mangiare qualcosa?».
Insolitamente gentile il tipo. Stavo scoprendo un Flavio che mi era stato oscuro fino ad allora. Con i bambini sapeva essere quantomeno premuroso. Dovevo aspettarmelo. Aveva anche lui una figlia.
«No, grazie signore» rispose educatamente mio fratello.
«I tuoi genitori ti hanno educato bene. Sicuro però di non volere niente? Ho della cioccolata in casa, un pezzo di torta, un bicchiere d’acqua …».
«No grazie, sto bene così».
Flavio si sollevò da terra e disse:
«Ok. Allora mangerai a cena come tutti».
Flavio ritornò alla scrivania con fare militaresco e fissandomi cominciò un  nuovo discorso.
«Bene ragazzo.» disse guardandosi l’orologio. «Sono le sette e trenta. Tra poco si cena. Tu intanto sistema la tua roba e quella del tuo fratellino nelle camere da letto. Fatti aiutare da Bianca, per il bambino».
«Grazie mille». Mi alzai e gli augurai buon lavoro. Presi per mano Andrea ed uscì dall’ufficio.
Uscito dall’ufficio mi diressi ciondolante nel corridoio. Il dialogo con Flavio mi aveva leggermente scosso. Non era stato molto ospitale.
Entrando in salotto Bianca mi vide e decise di accompagnarmi alle camere da letto. Per le scale parlò del più e del meno, dei suoi impegni scolastici, del mestiere di suo padre così affascinante e del fatto che da lui potevo imparare molto.
Al piano superiore mi mostrò la mia stanza. Era una camera normale, con un piccolo balconcino e terrazzo per affacciarmi. Il letto era disposto in modo verticale verso la parte sinistra della stanza. In fondo a sinistra c’era una piccola scrivania e a destra un armadio.
Nella camera del piccolo invece, accanto alla mia, un lettino messo in modo orizzontale, una piccola finestrella, un armadio di fronte al letto ed anche per lui, una piccola scrivania di legno piena zeppa di foglietti e colori.
«Allora, che ne dite?» domandò Bianca.
«Ci troveremo benissimo».
«Sono felice. Hai già fatto amicizia con papà?».
«Amicizia è una parola grossa, diciamo che abbiamo avuto modo di parlare».
«Scommetto che avete discusso, non è vero?» si rabbuiò in viso.
«Be’…»
«Lo sapevo!» esclamò piuttosto irritata. «É sempre il solito burbero. Ma gliene dirò quattro!».
«No, no … era solo una visione diversa di vedere una cosa».
«Quindi non avete litigato?»
«No, battibeccato, ma sempre con il dovuto rispetto».
  
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