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Autore: 1rebeccam    07/04/2014    13 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 27

 
I dieci minuti che li separano dall’appartamento di Beckett trascorrono silenziosi.
Ryan è teso, non riesce ad alleggerire la stretta al volante.  La crisi di Castle è stata forte e per un momento ha davvero avuto paura che smettesse di respirare. Non riesce a togliersi dalla mente le sue mani strette a quelle di Beckett, le lacrime sul suo volto e quelle dita tremanti che chiedevano scusa per il dolore che ha visto negli occhi di ognuno di loro.
Sposta un attimo lo sguardo su di lui. Tiene la testa appoggiata al finestrino laterale e gli occhi persi nel vuoto. Non sembra faccia fatica a respirare e anche la sua espressione è più rilassata, ma completamente spenta.
Sente un moto di rabbia salirgli dalle viscere, stringe ancora di più lo sterzo e spinge il piede sull’acceleratore.
Non riesce a sopportarlo, non riesce ad accettare che quel pazzo assassino possa giocare così con la sua vita… con tutti loro.
Dopo tanto tempo Beckett è serena.
Insieme, lei e Castle, hanno trovato l’equilibrio dei sentimenti e vederli distruggersi l’un l’altro per la morte che li circonda, lo fa andare in bestia.
Parcheggia sotto casa della collega e, quando Castle scende dall’auto, lui si prende un attimo per respirare a fondo. Aspetta che apra il portone, lo guarda entrare leggermente curvo e si decide a raggiungerlo.
Rick cerca di mettere la chiave nella toppa, ma il mazzo gli scivola dalle mani e Ryan si abbassa immediatamente a prenderlo, quando si rialza nota l’amico aprire e chiudere la mano un paio di volte, cercando di non farsene accorgere; comincia ad avere fastidio anche nei movimenti. Finge di non aver visto, apre la porta e lo lascia passare, restituendogli le chiavi.
-Mi fa un certo effetto entrare qui senza Kate!-
Esclama Rick guardandosi intorno come se non fosse mai stato in quella casa.  Si volta a guardare Ryan, mettendogli una mano sulla spalla.
-Faccio in fretta.-
L’amico annuisce e si siede sul divano, mentre lui si chiude in camera da letto.
Senza esitazione si spoglia, posa gli abiti sporchi sul letto e riesce a farsi una doccia e rivestirsi in soli cinque minuti. Rientra in camera e sente un’improvvisa stanchezza, non nel corpo, quello è stanco già da qualche ora, ma nel petto. Sente un peso all’altezza del cuore, che in un attimo è diventato insopportabile, come il dolore che lo aveva messo all’angolo qualche minuto prima.
Si siede sul letto e accarezza il copriletto, passa il palmo della mano sulla calda lana come se stesse accarezzando la pelle di Kate. Chiude gli occhi e si rivede nudo, sotto quelle coperte, abbracciato al corpo dell’unica donna che ha sempre desiderato, non solo nella carne, ma anche con l’anima.
Sembrano passati secoli da quando lei, solo un paio di giorni prima, gli aveva portato la colazione a letto e alla fine si erano nutriti di ben altro che uova e bacon. Sposta gli occhi sul comò, rivede lo sguardo attonito di Kate davanti all’orologio di suo padre in frantumi sul pavimento e stringe il pugno stropicciando il copriletto tra le dita.
Non riesce a togliersi dalla mente le foto di Stepahn Grayson, sorridente abbracciato alla moglie. Non riesce a non pensare al dolore di Brad Hollsen con gli occhi fissi sulla finestra, dietro cui giaceva il corpo della donna che amava. Non riesce a non pensare al dolore di Jessica Benton e a quella piccola foglia d’oro che doveva essere un ricordo di gioia e che sarebbe diventato solo il cimelio di una mancanza insostenibile.
Serra la mascella e cerca di ricacciare indietro le lacrime, che adesso non sono di dolore o di resa, ma cariche di rabbia per quello che Dunn vuole togliergli.
Respira a pieni polmoni, portandosi le mani al viso, le passa poi sui capelli e si alza di scatto, avvicinandosi alla cassettiera.
E cerca di tenere in ordine il tuo cassetto, o me lo riprendo!
Sorride passando la mano sul pigiama che ciondola fuori.
Tutto è rimasto come quella mattina, quando la sua vita era cadenzata da un tempo indeterminato e il domani esisteva ancora.
Prende la piccola chiave dorata e il foglio ripiegato in quattro dalla tasca del cappotto e li stringe tra le mani. Apre il cassetto, ripiega per bene il pigiama e tra le sue pieghe nasconde il suo pensiero per Kate. Ripone il pigiama nel cassetto e lo richiude del tutto con cura, senza nulla che ciondoli fuori… in ordine, lasciando la mano ad accarezzare il legno lucido.
-Castle, tutto a posto?-
La voce di Ryan lo riscuote, guarda l’orologio e si rende conto di avere perso troppo tempo.
Apre la porta e annuisce.
-Tutto a posto… mi aiuti?-
Gli porge il cappotto e Ryan lo aiuta ad indossarlo, mentre gli squilla il telefono.
Si rabbuia quando riconosce il numero di casa sua e sospira.
-Dev’essere Alexis…-
Anche Ryan si rabbuia, in cinque anni non lo ha mai visto rattristarsi per una telefonata di sua figlia. Gli si stringe il cuore a vedere come possa essere così difficile per lui accettare la telefonata.
Si siede sul divano accanto a lui, che guarda ancora il display senza riuscire a rispondere.
-Se non rispondi la farai preoccupare, penserà che stai male!-
Castle annuisce e preme il tastino verde.
-Pronto!-
-Papà…-
La voce dolce di Alexis gli fa diventare gli occhi lucidi.
-Ciao tesoro.-
-Come ti senti? A che punto siete con le indagini? Non ti sei fatto più sentire, la nonna ed io non volevamo disturbarvi, ma…-
-Non preoccuparti, va tutto bene… non lo abbiamo ancora trovato, ma siamo sulle sue tracce.-
Il silenzio dall’altra parte lo fa rattristare ancora di più.
-Tesoro, mi sento bene, davvero…-
-Vorrei poter fare qualcosa per aiutarvi.-
Risponde lei con un sussurro.
-Puoi sorvegliare tua nonna, così io sto tranquillo.-
Le dice sorridendo e sente che anche sua figlia sorride dall’altra parte.
-Ora devo andare tesoro, tranquilla… lo troveremo.-
-D’accordo… ti voglio bene papà!-
Risponde lei, riagganciando troppo in fretta per non scoppiare a piangere al telefono, cosa che a Rick non sfugge, sentendo torcersi le budella. Posa il telefono in tasca e si passa le mani tra i capelli.
-E se non lo trovassimo?-
Dice con un filo di voce, con un tono misto di stanchezza e disperazione, cosa che fa riaccendere la rabbia nelle viscere di Ryan.
-Lo troveremo!-
-…e se non lo trovassimo in tempo?-
Ryan si volta verso di lui con lo sguardo di fuoco. I suoi occhi non hanno nulla del simpatico latte e miele che conosce. La sua mascella è tesa e le mani strette a pugno.
-C’è un intero distretto che sta lavorando ininterrottamente per salvarti la vita. Nessuno di noi si arrenderà, il minimo che puoi fare è non perdere la fiducia.-
-Io mi fido di voi e…-
-…e niente Castle!-
Lo interrompe Ryan.
-Ti fidi di noi, ma non ti fidi di te stesso, non credi di avere la forza di andare avanti! Beh… dovrai trovarla questa forza.-
Si ferma un attimo per riprendere fiato e continua anche lui con un sussurro.
-Dovrai trovarla la forza…-
Segue lo sguardo nel vuoto dell’amico e sospira.
-Mio figlio dovrà avere due padrini d’eccellenza, a costo di litigare con Jenny e tutta la sua famiglia. Stavolta non accetterò nessun altro e nessun compromesso.-
Castle si gira all’improvviso e lui lo guarda dritto negli occhi.
-Mio figlio dovrà avere qualcuno che gl’insegni a prendere la vita a pugni e a difendersi dalle cattiverie e questo sarà compito di Esposito, ma avrà bisogno anche di qualcuno che gl’insegni a credere nella magia, ad avere fede nelle cose che non si possono vedere, a galoppare con la fantasia e sorridere di qualunque sciocchezza, senza mai prendersi sul serio… e questo lo puoi fare solo tu, Rick!-
Castle lo segue a bocca aperta, gli occhi di Ryan sembrano ancora più grandi, lucidi e pieni di dolore.
-T… u… tuo figlio!? Jenny è incinta?-
Balbetta all’improvviso e lui annuisce semplicemente, lasciando andare una lacrima sul viso.
-Lo abbiamo saputo qualche giorno fa, poi è successo tutto questo casino e non abbiamo avuto modo di dirlo a nessuno, non lo sa nemmeno Javi.-
-Diventerai padre!-
Esclama Rick, mostrando il primo vero sorriso sincero, da quella mattina.
-E tu dovrai esserci.-
Conclude Ryan annuendo, prima di essere sopraffatto dall’abbraccio dell’amico, che sembra aver ritrovato le forze che lo avevano abbandonato e che gli avevano fatto perdere anche la presa su una stupida chiave.
-E’ fantastico Kevin. Un piccolo Ryan in giro… oppure una piccola Ryan, le bambine sono di gran lunga più belle!-
Mentre si abbracciano Castle comincia a ridere e Ryan si allontana da lui guardandolo stupito.
-Beh… certo che devo esserci. Voglio proprio vederti mentre litighi con Jenny e con tutta la sua famiglia!-
A quel punto anche Ryan ride, si stringono le spalle contemporaneamente e si guardano seri.
-Lo troveremo!-
Afferma Rick sicuro e Ryan annuisce.
Si dirigono alla porta, Castle si da un ultimo sguardo intorno, memorizza ogni piccolo angolo di quella casa, sperando nel silenzio del suo cuore di poterci tornare, di poter ancora tenere in disordine il suo cassetto, di potere ancora immaginare un futuro con Kate e la sua meravigliosa famiglia allargata, di poter vedere nascere il piccolo Ryan.
Sale in macchina guardando le finestre buie dell’appartamento di Kate, non riesce a spiegarsi il motivo, ma quel peso sul petto si è diradato leggermente. Guarda Ryan, che serio mette in moto e prende la direzione dell’ospedale e non può fare a meno di sorridere. Sa benissimo perché si sente più leggero. La sua vita potrebbe finire da un momento all’altro e un’altra è pronta per venire al mondo e questo, nonostante tutto, lo fa sentire vivo. Ha la consapevolezza che i suoi amici non si arrenderanno fino alla fine.
Su questo punto Scott Dunn ha già perso.
Vuole fare terra bruciata intorno a Kate, ma i suoi amici non l’abbandoneranno mai e mai lui smetterà di avere fiducia in lei. Mai lui smetterà di credere in lei o nel loro amore.
Questo fa la differenza tra lui e Dunn: Richard Castle crede in qualcosa di reale, di vivo, di vero!
 
La siringa si riempie lentamente di quel sangue infetto che lo sta uccidendo.
L’infermiera non è la stessa del mattino, si volta a guardare l’orologio alla sua destra e sospira leggermente.
Naturale che non lo è…
Le ore sono passate inesorabili, i turni del personale sono cambiati e manca poco più di un quarto d’ora a mezzanotte. Ancora quindici minuti e sarebbe iniziato il giorno dopo.
L’infermiera si chiama Edith!
Mentre tira lentamente lo stantuffo della siringa per il prelievo, Rick la fissa con attenzione. Il suo volto è serio, lo sguardo attento sul lavoro preciso che sta facendo ed istintivamente le chiede il nome, un po’ per la sua innata curiosità, ma anche perché gli dà un senso di sicurezza associare un nome al viso delle persone che si occupano di lui. Lei solleva di poco lo sguardo e con un sorriso si presenta, tornando immediatamente a posare gli occhi sulla siringa, che subito dopo poggia su un vassoietto d’acciaio, ricoprendola con una tela bianca.
-Grazie Edith!-
Le sussurra Rick con un sorriso facendola arrossire, come se non fosse abituata ad essere ringraziata per un lavoro troppo  scontato. Si avvia verso la porta e il dottor Travis le chiede gentilmente di aspettare un momento nel corridoio.
-Il detective Ryan mi ha detto che ha avuto una crisi.-
Rick gli spiega il suo malessere, il modo in cui si è sentito mancare il respiro e il dolore insopportabile alle viscere e al petto.
Il medico gli ausculta le spalle con lo stetoscopio, chiedendogli di respirare profondamente, ma quello che ottiene sono solo un paio di respiri corti che gli provocano anche una tosse convulsa.
Scrive qualcosa su un foglio stampato con dei diagrammi, apre la porta e lo consegna all’infermiera Edith, raccomandandole di darlo alla dottoressa Dobbson insieme al prelievo.
Rientrato in stanza, prende un flacone da una vetrinetta posta dietro alla sua scrivania e lo sistema su un apposito sostegno.
Un altro ago…
Pensa Rick senza fiatare. Aspetta che inserisca la flebo, che sistemi il flusso del liquido e poi lo guarda con un’espressione strana.
Il dottor Travis sorride e gli si siede accanto.
-Stia tranquillo, non voglio trattenerla se non vuole. Però è anche vero che il suo organismo è molto provato. Questa flebo le servirà da ricostituente e le permetterà di andarsene in giro senza troppa difficoltà ancora qualche ora.-
Rick sospira di nuovo e Ben gli mette una mano sulla spalla.
-Non dimentichi però che non servirà a molto. Per quanto il cervello cerchi d’imporsi, il suo organismo prima o poi non risponderà più. E’ solo un palliativo, per questo vorrei che restasse qui, se avesse un’altra crisi così forte potrei aiutarla meglio.-
Sa già che avrebbe ribattuto, così non gliene da la possibilità, continuando immediatamente.
-La flebo durerà una mezz’oretta, chiuda gli occhi e si rilassi nel frattempo.-
Si dirige alla sua scrivania mettendosi a scrivere senza dargli possibilità di risposta.
Castle si guarda intorno ancora una volta.
Le due stampe con il mare di sfondo sono sempre di fronte a lui e l’orologio ha dato inizio ad un nuovo giorno.
Chiude gli occhi e sente le parole di Ben Travis vere come non mai.
Sono davvero stanco!
Lentamente i piccoli rumori di fondo che sentiva all’esterno dello studio spariscono e nel silenzio della sua mente, si fa largo il volto di donna triste all’inverosimile, con una lacrima color sangue sulla guancia. Sussulta stringendo le palpebre quando la figura sbiadisce leggermente mostrando i lineamenti di Kate, sul cui volto scende lenta quella stessa lacrima che la spinge in una fossa buia e profonda, senza uscita.
-No… Kate… no… no…-
Sussurra talmente piano da dare l’impressione di lamentarsi, attirando l’attenzione del dottor Travis, che solleva la testa corrucciando la fronte, premurandosi di controllargli il polso. Si rende conto che si è addormentato, ma le sue labbra si muovono ancora.
-Non… piangere Kate… non permetterglielo…-
Sbiascica un’ultima volta prima di arrendersi completamente alla stanchezza.
 
Il rumore di vetri rotti fa girare tutti nella stessa direzione, dove Lanie, china sulle ginocchia, cerca di raccogliere i cocci e ripulire tutto prima possibile. La dottoressa Dobbson fa cenno ai suoi analisti di tornare a lavoro e si china di fronte a lei per aiutarla.
La sua nuova collega, però, non se ne accorge, cerca soltanto di sistemare tutto, ma le mani le tremano talmente tanto che non riesce farlo.
Claire Dobbson le prende le mani tra le sue e la costringe a fermarsi e a guardarla.
-Mi spiace Claire, ho combinato un macello!-
Esclama Lanie con gli occhi lucidi e lei le stringe le mani più forte.
-Era solo una provetta, vuota per giunta. Non credo sia tutto qui il macello.-
Lanie scuote la testa e sospira.
-Non so che mi prende…-
Claire la interrompe costringendola ad alzarsi.
-Siamo qui dentro da più di 18 ore… ci serve un caffè!-
-Un altro?-
Chiede Lanie ironicamente, pensando che se avesse ingurgitato ancora quella cosa che chiamavano caffè, avrebbe anche potuto uccidere qualcuno a caso.
-Diciamo un caffè fuori da qui. Vieni con me… pausa!-
La trascina fuori dal laboratorio, facendola uscire nel piccolo terrazzo a lato dell’entrata. E’ mezzanotte passata, il freddo è pungente, ma dopo tante ore rinchiuse, nessuna delle due sembra badarci. Le luci della città fanno contrasto con il colore scuro che sente Lanie dentro di sé. Si appoggia alla ringhiera e guarda il cielo ancora coperto, pieno di nuvoloni che rendono la notte cupa e pronta ad esplodere.
-Sono abituata a stare in obitorio per 18 ore e anche di più…-
China la testa, passandosi una mano tra i capelli.
-…solo che i miei pazienti sono ormai senza tempo!-
Claire annuisce appoggiando anche lei le braccia alla balaustra.
-Questo Scott Dunn, perché ce l’ha tanto con Castle e Beckett?-
Lanie si gira e appoggia i gomiti alla ringhiera, riuscendo così a trovarsi di fronte alla giovane biologa.
-Tre anni fa ha ucciso senza pietà nel nome di Nikki Heat. E’ uno psicopatico che confonde la fantasia con la realtà. Aveva letto il libro di Castle e si era fissato con Nikki, pretendeva che lei, cioè Kate, lo aiutasse nella sua follia e si sentisse lusingata delle sue attenzioni.-
Claire annuisce.
-Ma naturalmente Beckett lo ha arrestato!-
-Naturalmente! E ci è riuscita con l’aiuto di Castle. E adesso li vuole morti, vuole concludere quel gioco che lui ha iniziato, ma che loro hanno interrotto.-
-E’ una situazione così assurda!-
Esclama Claire, chinando lo sguardo.
-Già! Vuole distruggere Kate… o Nikki… ucciderla sarebbe stato troppo semplice. Sa benissimo che questa corsa contro il tempo la renderà fragile.-
Sospira chiudendo gli occhi e voltandosi di nuovo verso le luci della città.
-Conosco Beckett, so come funziona il suo cervello. Se Castle dovesse…-
Claire le mette una mano sulla sua e la guarda seria.
-Abbiamo ancora del tempo e per quel che ho potuto capire dei tuoi amici, nessuno di loro si arrenderà a questo pazzo assassino… e nemmeno io e Ben!-
Lanie la guarda negli occhi quando le sente pronunciare il nome dell’amico, sorride sollevando le sopracciglia e Claire corruccia la fronte, lasciandole la mano.
-Perché quel sorrisetto… strano!?-
La dottoressa Parrish solleva le spalle, senza smettere di sorridere.
-Ripetilo un po’!-
-Cosa?-
Chiede Claire continuando a non capire.
-Il nome di battesimo del dottor Travis… Ben!-
Sussurra con lo stesso tono in cui lo ha pronunciato Claire e lei si mostra sempre più confusa, senza sapere cosa rispondere.
Lanie si volta ancora verso la città, spazia lo sguardo lontano e poi torna a guardarla.
-In queste ore Ben è venuto in laboratorio spesso e… ti ho osservata. Cambi espressione quando sei vicina a lui e anche quando pronunci il suo nome… ho notato che cambi intonazione della voce.-
Claire spalanca occhi e bocca senza riuscire ad emettere un suono.
-Siete una bella coppia voi due!-
Esclama all’improvviso brandendo il colpo di grazia alla dolce dottoressa Dobbson, che si drizza davanti a lei arrossendo violentemente e scuotendo la testa.
-Ma… ma noi due… non… siamo una coppia!-
Lanie si trattiene dal ridere e con la stessa espressione che terrebbe davanti a Beckett, solleva le spalle.
-Come no? Siete due persone, quando siete vicini formate una coppia, come tu ed io, in questo momento siamo vicine e formiamo una coppia. Quello che volevo dire è che quando siete vicini tu e Ben, siete due persone, quindi una coppia… bella.-
Ammicca cercando di non scoppiare a ridere e Claire sospira di sollievo, sistemandosi gli occhiali, completamente nel pallone, tanto da non recepire immediatamente l’ironia.
-Oh… intendevi in quel senso?-
Lanie continua a guardarla, godendosi le diverse gradazioni di rosso del viso della collega.
-Perché? Quale senso avrei dovuto intendere?-
Claire abbassa lo sguardo e scuote la testa.
-Nessuno… non… non avevo capito.-
-Davvero!? E se invece avessi capito?-
Claire solleva la testa di colpo avvampando ancora di più.
-Ho sempre trovato Ben affascinante e la maturità gli dona tanto… ma non sono affari miei!-
Finisce Lanie, mettendole una mano sulla sua.
-Ora torniamo a lavoro.-
Claire annuisce, senza riuscire a guardarla e si voltano entrambe verso la vetrata, oltre la quale Esposito sta tamburellando le dita per fare notare la sua presenza.
-Espo… novità?!-
Chiede Lanie speranzosa, mentre lui scuote la testa.
-Non su Dunn, però abbiamo la lista delle sostanze velenose di cui parlava la Gates.-
Mostra un foglio alla dottoressa Dobbson che lo prende immediatamente, guardandolo con attenzione.
-Può essere utile?-
Chiede Esposito e Claire annuisce senza smettere di leggere.
-Sapere da che sostanza partire è già un passo avanti. Speriamo solo che non ne abbia mischiate più di una.-
Claire ha finalmente smesso di arrossire e anche il cuore, che inspiegabilmete, alle parole della collega si era messo a correre furiosamente, è tornato normale.
-Io torno in laboratorio, così comincio a lavorare con queste formule sui diversi campioni di sangue che abbiamo, tu resta pure a finire il caffè!-
Solo in quel momento Lanie si rende conto che non sono andate per niente alla macchinetta e solleva le sopracciglia.
-Quale caffè?!-
Chiede confusa. Claire le si avvicina sorridendo.
-Anche voi due siete una bella coppia!-
Le sussurra piano all’orecchio, solleva le spalle e rientra in corridoio, lasciando Esposito e la sua nuova amica da soli.
Lanie sorride e scuote la testa.
-E’ una cara ragazza!-
Esposito le accarezza il viso e lei gli mette la mano sulla sua.
-Come sta Kate?-
-La conosci. Fa la donna di ferro… fino a che non si ferma a pensare, evita la mazzata! E’ andata allo studio del dottor Travis, Castle è ancora lì.-
Le  prende le mani e inclina la testa.
-Hai gli occhi stanchi Chica!-
Le dà un bacio sulla fronte e lei gli mette le braccia attorno alla vita.
-Stringimi Javi! Stringimi e dimmi che andrà tutto bene…-
Lui la stringe a sé, ma non le risponde. Resta in silenzio con il mento appoggiato sulla sua testa, senza però dire una sola parola…
 
 
Aveva dodici anni quando cominciò ad incurvarsi.
Ricorda che aveva difficoltà ad alzarsi dal letto da solo per il dolore alle ossa che lo consumava. Sua madre lo aiutava in tutto e mai una volta, in tutti quegli anni di sofferenza, fisica per lui e morale per lei, si era lamentata del fatto che fosse per lei un enorme peso.
Non aveva mai conosciuto suo padre, era un ragazzino buono e tranquillo e nel vicinato era conosciuto come cuore d’oro, pronto ad aiutare un amico o chiunque avesse bisogno. Poi la malattia ha cominciato a deformarlo e invece di ricevere bene per la sua bontà, si ritrovò in mezzo al deserto, non solo lui, ma anche sua madre.
Abitavano in una casa in periferia, due stanze e cucina, piccola ma sempre tenuta pulita e splendida da quella donna meravigliosa da cui aveva sicuramente ereditato la bontà d’animo.
Non potevano permettersi niente di più.
Le medicine portavano via ogni centesimo che riuscivano a racimolare e nonostante tutto, niente lo avrebbe salvato. Era una malattia rara, terribile e senza via d’uscita.
Una malattia che lo avrebbe portato alla morte giovane e tra atroci dolori.
Eppure non si era mai arreso, né alla malattia, né alla cattiveria e all’insensibilità della gente.
Non era mai riuscito a provare rancore o odio verso coloro che lo trattavano male o semplicemente non lo ‘vedevano’.
Forse era vero che aveva il cuore d’oro, nel senso che il corpo era macchiato dalla sofferenza, ma il cuore era così perfetto da non riuscire a conoscere la cattiveria.
Era tornato in quella piccola casa, chiusa da tempo.
La facciata era un po’ scrostata e la pittura all’interno urgeva di una rinfrescata, c’erano ragnatele e polvere ovunque, ma l’odore era sempre lo stesso. Era odore di casa, odore di mamma, odore di ricordi belli tra le sue braccia amorevoli e brutti, tra le lacrime che versava ogni notte, in silenzio e di nascosto.
Dopo essere andato via da casa del Professore, aveva girovagato per la città per un’oretta, poi il freddo aveva preso il sopravvento e le sue povere ossa avevano cominciato a gridare vendetta, così aveva messo le mani in tasca e si era ritrovato a stringere quel vecchio mazzo di chiavi che non aveva mai buttato via.
Era disteso sul suo vecchio letto, il lampione illuminato di fronte alla finestra disegnava delle strane ombre cupe sul soffitto e lui si ritrovò a sospirare.
Il Professore non era così.
Lui conosceva un uomo strano, è vero, con un bruttissimo vizio che lo aveva marchiato agli occhi del mondo, ma aveva pagato per i suoi sbagli e dopo aveva cercato di rinsavire, stando lontano dalle tentazioni.
Lui conosceva un uomo intelligente e dal cuore buono. Qualunque sbaglio avesse mai fatto nella sua vita, era sicuro che non sarebbe mai riuscito a fare del male a nessuno… tanto meno a lui.
Per questo era rimasto bloccato qualche ora prima, quando lo aveva strattonato, cacciandolo via in malo modo.
Aveva lavorato tanto per trovare una cura alla sua malattia.
Gli voleva bene, gli si era affezionato e avrebbe fatto di tutto per lui… allora perché cacciarlo?
Era distrutto per il senso di colpa, non solo per la tossina, ma anche per le altre morti che sentiva come un peso, perché lui sapeva che erano opera di quell’uomo orribile.
Perchè cacciarlo?
Aveva paura, si sentiva oppresso dalla paura.
La notte precedente non aveva chiuso occhio, con lo sguardo fisso oltre la quercia, come a cercare di scorgere il male, sicuro che sarebbe arrivato a prenderlo presto.
Scattò a sedere sul letto all’improvviso, sentendo il cuore correre come un treno.
Il battito era così accelerato, che ebbe la sensazione che si sarebbe fermato di colpo.
Una strana paura s’impossessò di lui.
Un lampo illuminò la stanza e il rombo del tuono che ne seguì gli tolse il respiro per qualche secondo.
‘Non tornare affatto…’
Le parole del Professore rombarono nelle sue orecchie come il tuono.
Il Professore guardava oltre la quercia aspettando il male…
Si alzò e andò verso la porta di corsa, anche se il corpo non lo aiutava nei movimenti.
Il Professore stava aspettando il male… e voleva essere solo quando fosse arrivato.
Uscì di casa velocemente e non riusciva a pensare ad altro mentre correva per le vie deserte, lontane da quelle sempre vive e trafficate della metropoli.
Continuava a sentire la voce dura del Professore che lo cacciava via.
Continuava a darsi dello stupido per non averlo capito prima.
Aveva fiducia nel Professore e, quando lui lo aveva cacciato malamente, avrebbe dovuto capire…


Angolo di Rebecca:

Ed eccoci a casa di Kate, nella sua camera da letto, con tanti ricordi e quel cassetto...
Ryan riporta un po' di gioia nel cuore di Castle
Lanie comincia a sentire il peso delle ore in laboratorio senza nessun riscontro, però riesce a mantenere "l'occhio lungo"...
Povera dottoressa Dobbson!
Sappiamo qualcosa di più anche di Abraham... ma perchè tutta quell'ansia e quella corsa nella notte?

Ancora grazie a tutte <3

Ps: per il banner ho preso in prestito due personaggi che vedo bene nella parte della biologa e del bel dottorino :p
  
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