Serie TV > Bitten
Segui la storia  |       
Autore: Katie Who    08/04/2014    0 recensioni
«Fossi in te mi laverei bene le mani.» - le disse ridendo e poi mettendo in moto. Effettivamente la mano con cui aveva aperto lo sportello la sentiva umida ed appiccicosa, ma era una sensazione con cui stava imparando a convivere da quanto trascorreva ore con Nick. - dal terzo capitolo.
-
-
-
Post prima stagione.
[NickXNuovo Personaggio] [Accenni: ElenaXClay]
Rating provvisorio.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Bitten è finito. E io già sento la sua mancanza. Non li perdonerò mai se non avrà una meritatissima seconda stagione! Il finale è stato pazzesco!
Ma a parte ciò, veniamo alla storia. Nick è il mio personaggio preferito, così come lo era Antonio. (ancora non ho superato la cosa...) Avrei veramente voluto che lasciassero più spazio ai Sorrentino, ma non mi posso lamentare ci hanno dato molto materiale su cui immaginare! 
Devo avvisare, chiunque si vorrà prestare alla lettura della storia, che avrà una struttura un po' atipica. Ci saranno alcuni salti temporali, quindi armatevi di pazienza XD
Detto questo buona lettura e spero che vi piaccia :) 
I credits per l'icon vanno a me xP





 

 
“Sono mio padre, seconda edizione, riveduta ed ampliata.”
Valeriu Butulescu.
 






Bear Valley - Stoneheaven.
11:30 AM.
23 Aprile.

 

Jeremy Denvers ha la buona abitudine di svegliarsi presto la mattina. Di solito, ancor prima di bere un caffè, esce dal lato posteriore di Stoneheaven e corre nel grande bosco che circonda la villa, arrivando quasi ai confini della sua proprietà. Poi torna in casa ed inizia a preparare un pasto che definire abbondante, sarebbe minimizzare, sia per sé che per i tre ragazzi che al momento vivono con lui. Elena, Clay e Nick. Quella mattina però, aveva infranto la sua routine per rimanere in casa, seduto alla sua padronale scrivania, a controllare le bollette e gli arretrati. Essere un Alfa significava prendersi cura del Branco e quindi anche assicurarsi che non mancassero mai né luce né acqua calda, in quella grande casa. Il periodo non era certo dei migliori, anzi, avevano appena superato un attacco da parte dei Solitari che li aveva duramente provati, e non riuscivano a trovare Rachel, la donna che aspettava il figlio di Logan. Non era facile, soprattutto perché i suoi due più maturi compagni, gli erano stati portati via brutalmente nel giro di poche settimane. Antonio e Peter. Non c’era giorno che Jeremy non li ricordasse e che non ne sentisse la mancanza. Sentì dei rumori provenire dal piano di sopra, Elena si era svegliata. Sistemò la pila di buste e fogli sulla scrivania ed andò in cucina a salutare la ragazza. La trovò a bere un succo di frutta con indosso una delle camice di Clay.

«Buongiorno.» - gli disse la ragazza mentre lui iniziava a preparare la colazione. Di lì a poco sarebbe comparso anche Clayton, non rimaneva mai troppo a letto dopo che Elena se ne era andata. E proprio quando la ragazza stava finendo di apparecchiare, il ragazzo fece la sua comparsa in cucina, con i capelli spettinati e l’aria assonnata. 
«Nick?» - domandò Jeremy.
«Non credo si sveglierà prima di sera.» - gli rispose Clay. La notte prima non aveva sentito rincasare nessuno di loro, ma aveva smesso di preoccuparsi molto tempo fa. Elena e Clay si erano concessi un’uscita per staccare la spina dalla spirale di eventi che li aveva travolti negli ultimi mesi, e Nick aveva fatto lo stesso, ubriacandosi in chissà quale locale, se non proprio il suo. Se per Jeremy perdere Antonio aveva significato dover dire addio ad un fidato amico, per Nick il dolore aveva tutto un altro sapore. Quel ragazzo era cresciuto sempre e solo con suo padre accanto, ed aveva imparato da lui più di quanto non avesse mai voluto dimostrare. Da quando Antonio non c’era più, Nick aveva smesso di essere il ragazzo superficiale e donnaiolo, aveva preso il suo posto nel Branco, diventando il suo nuovo braccio destro. Ma le vecchie abitudini tornano a sedurti proprio quando ormai pensi di averle perse, e la sera prima doveva essere andata esattamente come immaginava. Qualche litro di alcool di troppo, una o più ragazze poco vestite, ed il resto era inutile immaginarlo, era solo grato che almeno fosse tornato a casa. Lui, Elena e Clay fecero colazione per lo più in silenzio, fatta eccezione per i sorrisi a mezza bocca che i due ragazzi si scambiavano quando credevano di non essere visti. C’erano molti argomenti che Jeremy avrebbe voluto affrontare con i ragazzi, ma tirare fuori i Solitari e Logan avrebbe rovinato quel raro momento di tranquillità. Lo squillo del cellulare arrivò provvidenziale, come a volergli suggerire di abbandonare quei pensieri. Lasciò le uova a friggere sul fuoco e raggiunse il mobile su cui aveva appoggiato il telefono, realizzando solo in quell’istante che non si trattava del suo cellulare.

«Ragazzi?» - domandò. Ma Elena aveva indosso solo una camicia e Clay i pantaloni della tuta. Lo squillo veniva dall’altra stanza, dal salone, dalla sua scrivania. C’erano due telefoni che lasciava accesi e chiusi nel primo cassetto a destra della scrivania, quelli di Peter ed Antonio. Dal suono non riusciva a dire quale dei due stesse squillando, ma avrebbe scommesso, su qualche vecchio amico di Peter. Restò quindi sorpreso vedendo che era quello di Antonio a suonare e vibrare senza sosta. Tutti loro avevano dei numeri personali, che servivano per comunicare con il Branco, o con gli alleati, i numeri che venivano dati ad altri finivano distrutti insieme a tutto il resto quando si doveva coprire una morte. Per questo era strano che ora quello di Antonio squillasse, tutte le persone che dovevano avere quel numero erano state informate dell’accaduto, non aveva senso chiamarlo.
«E’ il telefono di Antonio.» - disse Elena seguita da Clay raggiungendolo nella sala. - «Non rispondi?» - non c’era un nome, il numero era privato.
«Pronto?» - rispose Jeremy con decisione.
«Sono arrivata.» - gli disse una voce femminile al telefono. - «Ci vediamo più tardi in città, o devo venirti a prendere direttamente a Stoneheaven?» - Clay ed Elena si insospettirono sentendo che conosceva il luogo nel quale vivevano.
«Mi dispiace, mi ha confuso con Antonio.»  - rispose calmo Jeremy. - «Al momento non è disponibile, se mi dice il suo nome lo informerò della sua chiamata.»
«Ah!» - la donna era rimasta stupita. - «Il Signor Sorrentino non si trova a Bear Valley?»
«E’ partito per una vacanza e non ha portato con sé i telefoni. Non ho capito il suo nome…» - era strano che una donna avesse quel numero, ed anche Jeremy iniziava a trovare sospetta tutta quella familiarità.
«Sono Emily… Emily Howen. Avevo un appuntamento con il Signor Sorr-»  - sentendole dire il suo nome Jeremy aveva ricostruito i pezzi del puzzle. Ora era chiaro il motivo per cui avesse il numero privato di Antonio.
«Tu sei Emily?» - chiese di nuovo, quasi a volersi sincerare di aver sentito bene. Si voltò vedendo scendere Nick, assonnato e con i pantaloni del giorno prima sbottonati.
«Lo studio mi-» - Nick non si era accorto che Jeremy fosse al telefono, era entrato nel grande salone sbraitando e si ammutolì all’istante quando l’uomo gli fece cenno di tacere. Il ragazzo cercò negli sguardi di Clay ed Elena una spiegazione, ma anche loro non ne sapevano nulla.
«Incontriamoci alle quattro al bar in città. Non puoi sbagliare è l’unico.» - il fatto che Jeremy intendesse incontrarsi con lei aveva fatto crescere alle stelle la curiosità dei ragazzi.
«Di che si tratta?» - domandò subito Elena appena lo vide rimettere il cellulare di Antonio nel cassetto.
«Quello era il telefono di mio padre?» - Nick aveva chiesto di poterlo tenere lui, ma Jeremy aveva preferito non affliggergli l’ulteriore sofferenza di dover rispondere e spiegare, un numero indefinito di volte ciò che era successo. Quella conversazione però, non aveva nulla a che fare con i vecchi amici di Antonio o con il loro mondo, era una situazione completamente diversa.
«Preparati, oggi pomeriggio hai un appuntamento.» - gli disse Jeremy sedendosi alla scrivania.
«Credevo ci saresti andato tu.» - intervenne Clay.
«Lo studio legale ha mandato una mail a mio padre chiedendogli se confermava l’incontro.» - commentò il ragazzo sedendosi su una delle poltrone. - «Sembra che sia qualcosa di importante, lo ha fissato da almeno sei mesi.» - aggiunse con un sorriso amaro.
«Non possiamo evitarlo come al solito?» - domandò Elena accarezzando la schiena a Nick cercando di consolarlo da quel doloroso ricordo.
«Non questa volta. Antonio ha affidato ad Emily la gestione del vostro patrimonio, se vuoi continuare a vivere senza doverti preoccupare di nulla, devi per forza incontrarla.» - disse Jeremy. Ricordava bene quanto Antonio elogiasse le capacità di Emily. Quello di cui non era al corrente è che le avesse parlato di Stoneheaven, ma la cosa non lo stupiva.
«Considerando con cosa abbiamo a che fare ultimamente, se puoi levarti il pensiero di come gestire i tuoi soldi, magari è meglio andare.» - suggerì Elena. Nick doveva occuparsi di molte cose per il Branco, aveva trascurato gli affari di famiglia, gestendo il tutto abbastanza distrattamente e senza impegno. Se come diceva Jeremy questa donna era una persona a cui suo padre affidava quel genere di lavoro, poteva tornargli utile in quel momento.
«Vado a farmi una doccia.» - disse il ragazzo risalendo per le scale da cui era sceso poco prima. Suo padre era un uomo d’affari affermato e stimato, aveva azioni in moltissime società e quando il Branco non lo risucchiava nelle sue guerre, era sempre in giro per lavoro. Aveva girato il mondo e lui molto spesso era stato al suo fianco. Fatta eccezione per gli anni del college, che quasi non ricordava essendo stato per la maggior parte del tempo, completamente ubriaco. Aveva conosciuto moltissimi soci di suo padre, ed altrettanti collaboratori, ma questa Emily era la prima volta che la sentiva nominare. Non che fosse strano, suo padre tendeva ad evitare di farlo incontrare con le donne con cui lavorava. A differenza sua, era un uomo che preferiva mantenere separata la vita privata dal lavoro. E comunque tutte le donne con cui suo padre aveva intrattenuto rapporti di lavoro, non lo avevano mai interessato, troppo grandi, troppo noiose, o troppo serie. Jeremy aveva fissato l’appuntamento per le quattro, questo gli permise un altro paio di ore di riposo prima di essere costretto a prendere la macchina e raggiungere il centro della città. Entrò nel bar e cercò di individuare a senso chi potesse essere la donna che era riuscita a farlo uscire di casa nonostante il sonno. Conosceva i gusti di suo padre, si era già fatto un’immagine piuttosto precisa di come dovesse apparire. A parte i soliti cinque uomini di mezza età che bevevano birra, c’erano diverse donne, ma nessuna lo convinceva fino in fondo. Suo padre non avrebbe mai affidato la gestione del loro patrimonio ad una giovane in minigonna, né tantomeno ad una donna dalla discutibile permanente biondo platino. Poi ce n’era un’altra, seduta davanti alle finestre, dove tutti potevano ammirarla. Avrà avuto una quarantina d’anni ed un evidente paura d’invecchiare. Un trucco ben studiato, una scollatura provocante, unghie laccate, e la sigaretta accesa. Poteva essere lei. Si diresse deciso verso di lei, non li separavano più di una diecina di metri, ed indossò il suo miglior sorriso. Il lieve scampanellio della porta del bar che indicava l’arrivo di un nuovo cliente, una folata di profumo ed un paio di passi sottolineati dal ticchettio di un tacco, lo fecero rallentare. Era qualcosa di familiare, qualcosa di buono che non riusciva a ricordare. Nick era diretto verso la donna alla finestra, ma aveva fiutato l’arrivo di una possibile rivale alle sue spalle.

«Mi scusi sono Emily Howen, per caso qualcuno ha chiesto di me?» - domandò la donna appena entrata al barista. E quando la sentì ricordò chi era l’unica altra Emily di cui aveva mai avuto senso ricordare il nome. Dieci anni prima, nel Tennessee, il suo ultimo anno di liceo. Emily. Nick sorrise. Aveva sbagliato, la donna che avrebbe dovuto incontrare non era quella alla finestra. Si voltò per aggiornare l’immagine di lei che la sua mente ricordava. Non gli sarebbe bastata tutta l’immaginazione del mondo per indovinare i cambiamenti che il tempo aveva fatto su di lei. Aveva un tailleur nero ed un camicia bianca, perfettamente abbottonata. La gonna avvolgeva stretta le gambe fino al ginocchio e si apriva in uno spacco poco pronunciato sul retro. Le calze chiare lasciavano scoperta la gamba fino ad incontrare le scarpe, quelle si, erano proprio come le aveva immaginate, decolleté nere con un tacco vertiginoso ed un piccolo laccetto legato alla caviglia. Nick conosceva le donne, o meglio, conosceva il modo in cui le donne comunicavano al mondo i loro desideri e le loro intenzioni. Anche la donna alla finestra portava dei tacchi, ma l’intenzione era molto diversa da quella con cui li vedeva addosso ad Emily. L’intero look ed atteggiamento della ragazza dovevano supportare la sua serietà e la professionalità, non aveva intenzione di attirare le attenzioni del suo interlocutore. Non portava gioielli, solo un piccolo orologio che sbucava dalla manica del tailleur. L’aveva immaginata con i capelli legati, invece le onde marroni cadevano morbide lungo la schiena, e le coprivano per metà il volto. Ma ciò che veramente lo lasciava senza parole, era che fosse proprio lei. Dieci anni dopo, ma era lei, la sua Emily.  
 «Emily?» - la chiamò richiamandone l’attenzione. La ragazza si voltò a guardare chi fosse la persona a chiederlo, sperando con tutta se stessa, non uno degli ubriachi visti all’entrata. La voce non era la stessa che aveva sentito al telefono, e quando vide il ragazzo che glielo aveva domandato, non trattenne la sua mimica facciale, facendosi sfuggire un’espressione perplessa.
«Tu…» - dovette lasciare almeno un paio di minuti al suo cervello per immagazzinare la figura che aveva davanti. Non era assolutamente possibile che lui fosse lì. Non per incontrare lei, Antonio le aveva detto di avere un figlio, si, ma che aveva sette anni! Era stata una delle prime domande che gli aveva fatto quando aveva scoperto il suo cognome.   
«Sediamoci.» - le disse il ragazzo facendole strada verso il tavolo.
«Come è possibile?» - e di nuovo le sfuggì un’espressione dubbiosa. Per quale assurda ragione Antonio avrebbe dovuto mentirle su chi fosse suo figlio? Forse era stato proprio lui a chiederglielo.  Conosceva Antonio da anni, avevano stretto un rapporto di vera e propria amicizia, perché non le aveva mai detto che Nick era suo figlio? Avrebbe potuto rimanere scioccata a vita, ma erano passati dieci anni, non era più il momento per essere indecisa e titubante davanti a lui. Era andata lì per lavorare e quello avrebbe fatto. - «Tuo padre mi ha affidato la gestione del vostro patrimonio, ho bisogno di alcune autorizzazioni.» - Nick non le aveva tolto gli occhi di dosso. Continuava a fissarla incuriosito da tutti quei cambiamenti. Dopo dieci anni dal’ultima volta che si erano visti Emily voleva davvero parlare di lavoro? Tanto valeva assecondarla.
«E’ per questo che ti aveva dato appuntamento oggi?» - le chiese. Era difficile spiegare la natura degli appuntamenti ed in generale del rapporto che la legava ad Antonio Sorrentino. Era difficile farlo avendo scoperto che il figlio altro non era che una sua vecchia cotta, ignara quanto lei del rapporto con il padre. Emily bevve un sorso del tè ghiacciato e guardò ancora una volta Nick, doveva aver preso dalla madre, ma l’atteggiamento era sicuramente quello del padre.
«Si. Ci sono alcuni investimenti per cui ho bisogno della sua firma prima di procedere.» - disse tirando fuori dalla borsa una cartellina che passò a Nick. - «Mi aveva chiesto di preparare il tutto per questa data…» - il ragazzo non aveva assolutamente idea di cosa suo padre avesse chiesto o avesse intenzione di fare con quanto lei  gli stava mostrando. Il cerchio alla testa causato dalla sbronza della sera prima non era sparito e discutere di investimenti, finanza ed azioni non era certo la cosa migliore.
«Come hai conosciuto mio padre?» - le domandò interrompendo quella che si prospettava essere una lunga e noiosissima spiegazione a cui non aveva alcuna voglia di sottoporsi. Emily accarezzò il bicchiere gelato dal quale colarono sul tavolo alcune gocce d’acqua, sotto lo sguardo indagatore di Nick. Quella domanda confermava la sua intuizione, Antonio aveva tenuto entrambi all’oscuro della reciproca esistenza, e conoscendo il tipo d’uomo che era sicuramente l’aveva fatto per tutelare Nick.
«Al college, tenne una lezione per uno dei miei professori.» - Nick cercò di riesumare dalla memoria un qualche ricordo relativo ad un simile evento, ma il rapporto di suo padre con Emily continuava ad essere per lui una nube imperscrutabile. - «Mi chiese di scrivere una tesi su quella lezione. Quella fu la prima volta che lo incontrai.»
«E poi?» - improvvisamente lo incuriosiva scoprire di più di quella che sembrava essere una parte di vita che suo padre aveva tenuto oscurata. Si stava attaccando a quei racconti per sanare il vuoto che aveva lasciato in lui. Scoprire che suo padre aveva per anni lavorato con lei, avrebbe tormentato la sua mente per i prossimi decenni. Rimpianse di non essere mai stato più partecipe negli affari di famiglia, se lo avesse fatto forse avrebbe rivisto Emily molto prima.
«E poi è stato il mio primo cliente, appena ho iniziato a lavorare.» - rispose con un gran sorriso. - «Grazie a lui mi sono aperte molte porte.» - confessò. Suo padre doveva avere una qualche speciale simpatia per quella ragazza. Una simile a quella che aveva sentito lui per lei, ma conosceva suo padre troppo bene per sapere che non poteva essere un caso. Non si era trovato a lavorare con Emily, aveva voluto lei come sua dipendente, e come tutto ciò che Antonio Sorrentino aveva desiderato, era riuscito ad ottenerla. Emily si accorse troppo tardi che Nick aveva firmato i moduli senza che lei avesse potuto finire di spiegargli il contenuto, i rischi e le conseguenze.
«Erano solo questi?» - le domandò lui restituendole la cartella.
«Si e… Tuo padre mi ha detto che volevi aprire un locale. Mi ha chiesto di occuparmene per te, se sei d’accordo.» - il locale che avrebbe dovuto aprire e di cui non aveva avuto il coraggio di confessare l’acquisto ad Antonio fino a pochi giorni prima dello spiacevole evento.
«D’accordo, ti porto a farci un giro?» - finché Jeremy non lo richiamava a casa tanto valeva trascorrere con lei qualche ora. Infondo era più che una piacevole coincidenza averla rincontrata.  
«Certo.» - era una delle tante cose che Antonio le aveva insegnato. Mai decidere un investimento o un lavoro senza prima averlo visto da vicino. Osservò Nick durante tutto il tragitto fino al locale, era diverso dal padre, era impetuoso, aggressivo, irruento, più o meno lo stesso di dieci anni prima. Lo seguì nel palazzo in cui aveva deciso di aprire il locale, era ancora tutto da sistemare. C’erano teli di plastica ovunque, le pareti erano verniciate solo per metà, e l’impianto di illuminazione non era stato ultimato. - «Vedo che però gli alcolici sono già qui.» - disse accucciata dietro il bancone.
«Serviti pure.» - le disse lui prendendo una bottiglia.
«No grazie, sto lavorando.» - rispose abbandonando il bancone del bar e passando a controllare minuziosamente le finestre. Segnava ogni appunto su un blocco, mentre Nick la guardava bevendo. - «Antonio è andato in vacanza? Ne parlava sempre, ma non credevo avrebbe mai avuto il coraggio di prendersi una pausa…» - aggiunse guardandolo mandar giù un altro sorso prima di risponderle.
«Già… Un po’ di riposo gli farà bene.»  - continuava ad assecondare quella farsa, a fingersi due estranei quando fra di loro c’era molto, molto di più. Emily sembrava conoscere bene suo padre, al punto da meritarsi il suo numero privato e informazioni su Stoneheaven. Un trattamento sospetto per qualcuno attento e giudizioso come suo padre.
«Ama il suo lavoro, sono sicura che non resisterà a lungo senza.» - e Nick non avrebbe potuto essere più che d’accordo con lei, ma c’era una storia di copertura che doveva sostenere.
«Non ci giurerei, l’ultima volta che l’ho sentito era entusiasto… Potrebbe perfino decidere di ritirarsi.» - accompagnò quell’ennesima bugia con un altro sorso.
«Ha cambiato numero? Ho provato anche l’altro, ma lo da irraggiungibile.» - continuò lei passando accanto al ragazzo ed andando ad esaminare l’altra metà del locale.
«Non vuole che il lavoro lo raggiunga.» - le rispose Nick. Era bravo come Antonio, non lasciava trasparire nulla di quale fosse la realtà, ma Emily aveva avuto il suo stesso insegnante, ed in passato lo aveva osservato abbastanza da aver imparato a capire quando mentiva. Inoltre Antonio non si sarebbe mai assentato da un loro incontro, e non avrebbe mai mandato il figlio che le aveva tenuto nascosto ad incontrarla così all’improvviso.
«Quindi ti sei occupato tu degli investimenti ultimamente?» - domandò continuando a pungere lì dove sapeva che Nick sarebbe crollato. Entrò nei bagni del locale, erano abbastanza spettrali, ma una volta completati sarebbero stati magnifici, come tutto il resto. La sua voce raggiunse Nick portata dall’eco delle stanze vuote, era il momento della verità, qualunque risposta le avesse dato, avrebbe tradito quella facciata che stava cercando di propinarle.
«Cos’è che vuoi sapere veramente?» - le chiese arrivatole alle spalle. Emily indietreggiò di qualche passo, giusto per ristabilire una distanza accettabile fra di loro. Tentativo inutile dal momento che rimaneva comunque bloccata in un bagno.
«Mi stavo solo chiedendo perché un ragazzo capace e bello come te…» - avrebbe dovuto dire intelligente, ma il suo cervello iniziava a sabotarla. Tornava ad essere la quindicenne impedita, soprattutto se era costretta in uno spazio così piccolo proprio con lui. - «Avesse investito in titoli così evidentemente fallimentari.» - non aveva mai saputo mentire, ma Antonio le aveva insegnato come bluffare.
«A volte succede anche ai migliori.» - concluse lui lasciandola libera di uscire dal bagno in cui l’aveva imprigionata e dove per qualche istante i loro occhi avevano combattuto un guerra di resistenza. Non aveva bisogno di altro, aveva segnato tutto ciò che avrebbe dovuto fare. - «Ti consiglio di metterti d’accordo con Amanda, sarà lei a gestire il posto.»- aggiunse passandole un biglietto da visita. Jeremy lo stava chiamando, doveva tornare a Stoneheaven. Avrebbe interrogato Emily in un secondo momento.
«Perfetto la contatterò il prima possibile. Meglio non perdere altro tempo. » - disse avviandosi verso l’uscita.
«Sicura di poterti occupare di tutto?» - domandò prima di lasciarla andare via.
«Quando si lavora per tuo padre, bisogna essere in grado di fare qualunque cosa.» - rispose la ragazza salendo in macchina e salutandolo a sua volta. E se c’era qualcuna in grado di essere all’altezza delle aspettative di un Sorrentino quella era sicuramente Emily. Nick aveva intuito che sospettava qualcosa dell’improvvisa sparizione di suo padre, ma si muoveva in un terreno del tutto sconosciuto. La prima cosa da fare era cercare di capire, come quando e perché suo padre aveva allacciato dei rapporti proprio come lei. Era impossibile che non avesse messo in conto un loro incontro.  
«Sa o sospetta qualcosa!» - ripeté per l’ennesima volta a Jeremy, camminando nervosamente davanti il caminetto del salone. Aveva parlato di Emily solo a Clay, ma non gli aveva detto che si trattava della stessa persona. Sospettava invece che Jeremy lo avesse capito.
«Nik non hai alcuna prova…» - cercò di tranquillizzarlo Elena. - «Ti ha solo fatto qualche domanda.»
«Com’è possibile che Antonio la conosca da tutto questo tempo e nessuno di noi ne abbia mai sentito parlare?» - domandò Clay.
«Antonio non era tenuto a dirvi tutto.» - ribatté Jeremy. - «E finché non avremo delle prove, non sei autorizzato ad agire contro di lei.» - l’ordine di Jeremy era chiaro, Nick doveva darsi una calmata. - «Se come dici ha dei sospetti, qualunque tua azione, non farebbe altro che allarmarla di più.»
«Tu la conosci… Vero?» - chiese Nick avvicinandosi alla scrivania di Jeremy. - «Sai perché mio padre ha scelto lei. Qualunque cosa sia, devo saperla.» - Jeremy poteva immaginare quali idee avessero invaso la mente del ragazzo.
«Non è niente.» - gli rispose, ma era ovvio che vi fosse qualcosa sotto. - «Occupiamoci dei Solitari piuttosto.» - non era quello che suo padre gli aveva insegnato, non era il modo in cui lo aveva cresciuto. Nick doveva e voleva ascoltare ed ubbidire agli ordini di Jeremy, quindi se lui diceva che non c’era nulla, così doveva essere. Eppure quella sera la sua stanza gli stava stretta, il letto gli sembrava una prigione. Grazie ai sensi molto sviluppati aveva sentito l’uomo chiudere la porta della sua stanza da letto, dopo aver abbandonato il seminterrato. Jeremy era l’ultimo ad andare a dormire, faceva sempre il giro dell’intera villa, spegnendo le luci e chiudendo le finestre, ma era anche il primo a svegliarsi.  Per Nick era come uno zio, un secondo padre, avrebbe dato la vita per lui, proprio come aveva fatto suo padre. Si mosse con attenzione senza fare rumore, il cassetto della scrivania in cui Jeremy teneva i cellulari di Antonio e Peter era aperto, non c’era bisogno di chiuderlo a  chiave, perché nessuno di loro avrebbe mai disobbedito ad un suo ordine. E l’ordine che avevano era quello di non utilizzare quei telefoni. La lealtà era tutto ciò su cui si fondava quella strana ed atipica famiglia. Nick lo prese, poteva ancora sentirvi sopra l’odore del padre, ormai quasi del tutto scomparso. Scorse la rubrica, c’erano pochi numeri, tutti di persone che conosceva, altri lupi per la maggior parte, e poi c’era lei: Emily. Aveva preso ciò che gli serviva e poté tornare in camera. Il loro compito principale in quel momento era quello di rintracciare i Solitari e di assicurarsi che non potessero più nuocere al Branco. Non aveva confessato a nessuno degli altri d’aver preso il numero di Emily, non perché non si fidasse di Elena o Clay, ma perché aveva la sensazione che l’unico a sapere veramente qualcosa potesse essere Jeremy. E convincere Jeremy Denvers a parlare di qualcosa che non voleva rivelare, era presso che impossibile. Rintracciare i Solitari aveva occupato più tempo di quello che avrebbe voluto, Emily era in città da giorni e lui non era ancora riuscito a rivederla dopo il loro primo incontro. Sapeva che l’avrebbe trovata al locale, aveva fiutato il suo profumo passando per il bar della città, e poi lo aveva chiesto ad Amanda.  I lavori al locale erano ripresi e procedevano spediti, non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo, gli arrivavano solo le notifiche quando venivano utilizzati i soldi del suo conto. Era tardi, ma dalla strada vedeva le luci accese all’interno, nonostante i teli in plastica coprissero le finestre e lasciassero filtrare ben poco di quello che avveniva all’interno dell’edificio. Attraversò la strada e sentì un altro odore, meno piacevole di quello di Emily, e decisamente più pericoloso. Karl Marsten. Scostò il telo che fungeva da momentanea porta e l’odore della vernice gli bruciò nelle narici. Emily era arrampicata su una scala intenta ad appendere una delle fotografie di Elena che avrebbero arredato l’intera sala. Marsten era con lei, la guardava dal basso suggerendole come spostare il quadro per metterlo diritto ed in perfetto equilibrio.

«Marsten.» - ringhiò Nick attirandone l’attenzione. Il Solitario si era pentito e collaborava con il Branco, ma Nick non si fidava di lui, non si fidava di nessuno. Soprattutto non poteva tollerare che fosse così vicino ad Emily.
«Ecco il nostro proprietario.» - commentò l’uomo offrendo la sua mano alla ragazza come aiuto per scendere. - «Speravo di incontrarti.» - aggiunse poi. Non c’era alcun sistema di sicurezza dato che non c’era alcuna porta. Una volta superato il portone all’ingresso chiunque avrebbe potuto trovarsi lì. E per uno come Marsten sicuramente non era stato difficile.
«A quanto pare aveva ragione. E’ venuto.» - disse Emily tirando fuori dalla borsa dieci dollari ed infilandoli nel taschino dell’uomo. - «Vi lascio soli, se avete bisogno di me sono qui affianco.» - Nick e Marsten attesero che la ragazza sparisse dal loro campo visivo prima di ricominciare a parlare.
«Hai già chiamato i rinforzi?» - ironizzò l’uomo sedendosi ad uno degli sgabelli del bancone.
«Non ne vali la pena.» - commentò Nick avanzando nella sala poco illuminata. - «Se ti ritrovo qui, mi assicurerò di essere io ad onorare il desiderio di morte che Jeremy ti ha negato.» - l’uomo si lasciò sfuggire una risata, e sistemò meglio la giacca.
«Oh Nick ho sempre apprezzato la tua spavalderia… Non sono qui per le “nostre questioni”, avevo degli affari in sospeso con tuo padre, immagina quanto sono stato felice di scoprire che ora se ne occupa quel dolce bocconcino.» - Marsten era un uomo potente e scaltro, Nick se ne era sempre tenuto il più lontano possibile perché in ogni sua parola era nascosto un tranello mortale. - «Tuo padre l’ha davvero cresciuta bene.» - aggiunse sorridendo.
«Cosa vuoi dire?» - Nick aveva investigato su Emily, ma non aveva trovato nulla che potesse in qualche modo connetterla a suo padre, ad eccezione ovviamente del rapporto che aveva avuto con lui al liceo. I suoi genitori erano morti in un incidente d’auto quando lei aveva quattro anni, da allora aveva cambiato diverse famiglie affidatarie. Dopo il liceo era entrata a Yale, e da un controllo incrociato con alcuni collaboratori di suo padre aveva avuto la conferma che effettivamente aveva tenuto una lezione lì.
«Come sai non mi immischio nelle faccende del Branco.» - rispose l’uomo abbandonando lo sgabello e fermandosi a pochi passi da lui. - «Sono rimasto solo per un saluto.» - disse superandolo ed esitando ancora una volta. - «Ed anche per una scommessa. Ho provato ad estorcerle una cena, ma sembra che dovrò accontentarmi di questa banconota.» -  Nick non era sicuro di aver colto tutti i passaggi di quella conversazione, con Marsten era una cosa piuttosto comune. Ma c’era una cosa che gli ronzava in testa, ovvero il fatto che avesse descritto Emily come una questione del Branco.
«Emily!» - la chiamò facendo echeggiare la sua voce per tutto il locale. Era seduta alla scrivania dello studio ascrivere qualcosa al computer. L’aveva spaventata perché era sobbalzata.
«Il Signor Marsten se ne è andato?» - disse arrivando da lui. Non aveva l’aspetto professionale della prima volta. Aveva i capelli legati in una coda alta, delle scarpe basse che si erano macchiate di vernice, un paio di shorts ed una maglietta. Non aveva nemmeno l’aspetto della Emily che conosceva, non lo guardava più con gli occhi innamorati.
«Perché è venuto?» - le domandò.
«Voleva assicurarsi che tuo padre avesse ancora intenzione di vendergli le azioni della società-» - era una transazione di cui si era occupata mesi prima. Antonio voleva disfarsi di quella società ed il Signor Marsten era l’unico acquirente.
«No.» - disse Nick. - «Non vendo nulla a quell’uomo.»
«Non puoi tirarti indietro adesso, pagheresti una penale altissima per una società che è sull’orlo del fallimento!» - rispose lei alzando di qualche decibel il tono della voce.
«Ho detto, che non vendiamo.» - ripeté lui.
«E io ti sto dicendo che è meglio così. L’accordo è stato concluso con l’approvazione di tuo padre-» - era assurdo che volesse annullare quella vendita. Soprattutto senza conoscere nulla dei dettagli dell’accordo.
«Lavori per me ora. Quindi se io dico che non vendiamo, non vendiamo.» - la interruppe lui sedendosi su uno dei divani abbandonati a caso nella sala. Chissà se poteva sfruttare in altri modi quella sudditanza dovuta alle loro posizioni lavorative. Emily prese un profondo respiro, a volte le era capitato di discutere con Antonio su alcune scelte da prendere, ma mai nessuna era stata così smaccatamente sbagliata.
«D’accordo mi occuperò della questione.» - le ci sarebbero voluti giorni per sistemare il tutto. Senza contare che meno di un’ora fa aveva confermato la vendita al Signor Marsten, personalmente. Avrebbe veramente voluto elencare in ordine alfabetico le ragioni per cui quella scelta era delirante, ma una delle caratteristiche dei Sorrentino era la tenacia. Antonio non era mai indietreggiato di fronte a nulla una volta deciso qualcosa, ed il suo intuito le diceva che Nick aveva ereditato quel tratto dal padre. L’occhio le cadde sull’orologio a parete, non si era resa conto che fossero quasi le nove, aveva finito un’altra volta per buttare la serata dentro quel locale. - «Buonanotte.»
«Te ne vai?» - era andato lì solo per poter parlare con lei, e appena rimanevano soli lei si defilava.
«Non so tu, ma io è da stamattina alle sei che sono in piedi a lavorare, quindi si, me ne vado.» - disse lasciando Nick da solo nella grande sala. Mancava solo l’arredamento per completarla e le porte che sarebbero arrivate fra pochi giorni. Ci aveva lavorato senza sosta per settimane, perché era così che faceva quando c’era un nuovo lavoro da portare a termine. Ci si buttava a capofitto, senza orari, senza limiti, senza freni. Nick restò immobile sul divano, ascoltando Emily uscire e mettere in moto la macchina. La vecchia Emily avrebbe anelato a passare del tempo extra con lui, mentre invece ora lo aveva liquidato senza troppi problemi. Appena fu certo che la ragazza se ne fosse andata salì al secondo piano ed entrò nello studio. Collegò la sua pennetta al computer e controllò di nuovo i dati che aveva ricevuto su di lei. Era originaria del Wisconsin, da quello che ricordava né lui né suo padre c’erano neppure mai stati, l’ultima famiglia a cui era stata affidata non risultava in nessuno dei loro archivi. Il che significava che non avevano mai incrociato la strada di nessun Branco. L’ultimo anno del liceo suo padre aveva avuto molto da fare e tornava raramente a casa, era impossibile che si fosse accorto di Emily, soprattutto del fatto che aveva provato qualcosa per lei. Doveva averla incontrata per caso, e poi aveva deciso di aiutarla per ringraziarla di quello che aveva fatto per lui in passato. Ma poi c’erano le parole di Marsten, quel “l’ha cresciuta bene” che metteva in ballo un rapporto più intimo, più personale. C’era solo una cosa che avrebbe fatto quadrare tutti i pezzi di quel puzzle. Ma si rifiutava di credere che suo padre e Jeremy gli avessero nascosto una simile verità. Durante il tragitto di ritorno verso Stoneheaven, Clay lo chiamò informandolo che alcuni Solitari erano tornati in città, Elena ne aveva fiutato l’odore e seguito gli spostamenti fino a quello che doveva essere diventato il loro nuovo rifugio. Avrebbero presto organizzato un assalto per metterli definitivamente fuori gioco. Nonostante avessero sconfitto Santos ed i suoi continuavano ad essere attaccati da alcuni Solitari, anche se tutti sapevano che il vero problema era il ritorno dal mondo dei morti di Malcolm Danver.  

«Marsten è venuto al locale, voleva parlare di una vendita.» - disse entrando in casa e raggiungendo gli altri in cucina.
«Da solo?» - gli domandò Jeremy.
«Si, ha aiutato Emily ad appendere i quadri.» - commentò il ragazzo.
«Emily? Pensi che possa essere in combutta con  i Solitari?» - chiese Elena, ma Jeremy non rispose.
«Inizia ad essere in mezzo a troppe circostanze sospette, non dovremmo farle qualche domanda?» - propose Clay.
«Concentriamoci sui loro spostamenti e cerchiamo di capire cosa li abbia fatti tornare in città.» - disse Jeremy salendo al piano di sopra.
«Sta nascondendo qualcosa.» - disse Nick.
«Probabilmente è meglio così.» - gli rispose Clay appoggiando una pacca sulla spalla. Erano amici da sempre, quasi due fratelli. Erano abituati alle omissioni di Jeremy, tanto quanto a quelle di suo padre quando ancora era in vita. Si erano sempre rivelate la scelta migliore per il Branco, per questo non avevano mai questionato. Eppure Nick voleva vederci chiaro in quella faccenda, scoprire perché suo padre si era preso così tanto disturbo per Emily. E perché Jeremy evitava di dire la verità.  
«Magari posso provare a parlarle io. Un’amichevole incontro fra ragazze.» - aggiunse Elena. E quella proposta lo rassicurò. Con una ragazza forse Emily si sarebbe lasciata sfuggire qualche informazione utile. O quantomeno avrebbe abbassato la guardia che teneva sempre alta con lui. Emily, quando non era in giro per il mondo ad occuparsi degli affari dei suoi clienti, aveva un appartamento ad Hamilton una città non troppo lontana da Toronto. Si era trasferita lì mettendo fra lei e la sua famiglia affidataria svariati chilometri ed un confine. Gli Howen non erano una brutta famiglia, anzi, non le avevano mai fatto mancare nulla, ogni suo desiderio era sempre stato esaudito, ma aveva sempre avuto la sensazione che non l’avessero tenuta con loro per affetto. Dopo qualche mese da quando l’avevano presa in affidamento il Signor Howen venne licenziato e lei fu riconsegnata ai servizi sociali. Un’abitudine fin troppo consolidata. Si stupì quando tornarono a prenderla, non chiese mai le ragioni di quel gesto, volle illudersi che fosse stato per affetto.  Da quando aveva iniziato ad occuparsi del locale di Nick aveva preso una camera in affitto nel motel di Bear Valley. Le serviva un posto nel quale potersi fare una doccia, dopo l’ennesima giornata passata ad occuparsi di quella nuova avventura imprenditoriale in cui il giovane Sorrentino sembrava volersi lanciare, senza troppa attenzione. Si domandò quanto tempo sarebbe stato in grado di farla durare. E mentre l’acqua della doccia si alternava fra il tiepido ed il freddo, pensò che Karl Marsten non sarebbe stato affatto contento di sapere del cambio di rotta che avrebbero preso i loro accordi. Ma non era la prima volta che si trovava in una situazione spiacevole, era brava nel suo lavoro, in qualche modo se la sarebbe cavata. Quello che continuava a non convincerla era l’assenza di comunicazioni da parte di Antonio. A quest’ora Nick doveva averlo avvertito del loro incontro ed era impossibile che lui non la chiamasse. Non sapendo che il ragazzo aveva fatto lo stesso con lei, aveva scavato leggermente più a fondo nei dettagli sulla partenza di Antonio e quello che aveva scoperto era che in realtà nessuno lo aveva visto né prendere effettivamente l’aereo né arrivare a destinazione. Conosceva bene il modus operandi di Antonio, si stava nascondendo, stava sparendo, ma perché e soprattutto da chi? Si buttò sul letto fissando la parete bianca del soffitto. I muri erano così sottili che se si concentrava poteva sentire la televisione accesa nella stanza accanto alla sua. Aveva dimenticato di chiudere le tende, e la luce dei lampioni della strada illuminavano per metà quella piccola camera. Guardando fuori si vedevano delle colline con alcune case, Bear Valley doveva essere proprio una cittadina tranquilla in cui vivere. Non il genere di posto in cui si aspettava di rincontrare Nick Sorrentino. La vibrazione del telefono la spaventò a morte, perché si propagò lungo tutto il mobile assomigliando ad un terremoto.

«Pronto?» - rispose tirandosi su e mettendosi a sedere sul letto.
«Nick.» -  le disse il ragazzo al telefono. - «Domani pomeriggio vediamoci al locale devo chiederti alcune cose.»
«Domani? Devo tornare allo studio per iniziare la pratica di recessione dal contratto con Marsten…» - disse arrivando alla sedia su cui aveva appoggiato la borsa e tirandone fuori la sua agenda.
«Lascia stare Marsten, vediamoci domani.» - l’avrebbe fatta impazzire. Non meno di un paio di ore fa le aveva chiaramente fatto intendere di non voler concludere quell’accordo con Marsten ed adesso sembrava non importargliene più nulla. Appena avrebbe rivisto Antonio lo avrebbe pregato di non farla lavorare mai più con lui.
«Ok allora-» - non le diede il tempo di finire. Voleva metterlo al corrente che allora avrebbe spostato a domani mattina l’arrivo dei mobili, ma Nick Sorrentino non aveva mai avuto la pazienza di farle finire una spiegazione. L’unica ragione per cui non aveva ancora piazzato una cinquina su quel viso da impertinente era l’immenso affetto che nutriva per il padre. Ed il fatto che era rimasto bello esattamente come lo ricordava, anzi forse perfino di più. Guardò lo sfondo del suo telefono rimpiangendo il giorno in cui aveva lasciato Hamilton e preparandosi psicologicamente a trascorrere l’ennesima giornata chiusa in quel locale. Prima di addormentarsi inviò una mail alla ditta dei mobili, fortunatamente a Bear Valley non c’erano molti ordini e furono ben lieti di assecondare la sua richiesta spostando l’appuntamento alla mattina dopo. I mobili vennero consegnati in orario, li scaricarono sul fondo del locale, ed Emily diede agli operai le istruzioni sulla sistemazione. Un’altra abissale differenza fra Nick ed Antonio nel campo lavorativo era la puntualità. Antonio stabiliva sempre precisamente i modi ed i tempi per ogni cosa, mentre Nick non le aveva detto a che ora si sarebbe degnato di raggiungere il locale. Lasciò che gli operai tornassero prima a casa, dal momento che li aveva richiamati all’ultimo momento e poi attese per delle interminabili ore l’arrivo del ragazzo. Quando Nick arrivò Emily lo vide dal modo in cui la guardava che c’era veramente qualcosa di serio di cui voleva discutere. Sperò con tutta se stessa che non si trattasse nuovamente di qualche investimento fallimentare.
«Vuoi?» - le disse offrendole da bere. Doveva avere una qualche dipendenza dall’alcool, forse era per quello che si era aperto un locale. - «L’orario di lavoro è finito puoi concedertelo.»
«No grazie, preferisco di no.» - era inutile cercare di spiegargli che il suo lavoro non aveva orari, e che grazie alle sue ultime, discutibili, scelte imprenditoriali, le aveva reso il tutto ancor più complicato e stressante. - «Di cosa volevi parlarmi?» - domandò sedendosi accanto a lui nei divanetti posizionati a ridosso delle vetrate.
«Marsten… Non lo avevi mai incontrato prima di ieri?» - Emily si prese qualche istante prima di rispondere. Nick aveva intenzione di chiederle quando aveva incontrato per la prima volta ogni persona con cui era in contatto? Perché la lista sarebbe stata veramente lunga.
«Ieri è stata la prima volta che l’ho incontrato di persona. Ho scambiato qualche e-mail con il suo rappresentante legale in passato, ma nient’altro.» - le capitava spesso di concludere affari senza mai dover fisicamente incontrare il suo acquirente o compratore. Faceva parte del bello delle nuove tecnologie.
«E’ stato mio padre a parlarti di Stoneheaven?» - Nick sapeva che avrebbe dovuto seguire il suggerimento di Elena e lasciare che si occupasse lei di parlare con Emily. Ma si trattava di una questione personale sua e di suo padre, e  voleva essere il primo a scoprire la verità.
«Chi altro avrebbe potuto?» - rispose la ragazza sorridendo. - «Era questo che dovevi chiedermi?» - gli occhi azzurri del ragazzo la penetrarono come due lance di ghiaccio. No, non era solo quello che voleva chiederle.
«Giù!» - le gridò spingendola a terra. Quello che accadde dopo fu molto confuso. Sentì degli spari e vide le grosse vetrate creparsi e poi frantumarsi crollandole addosso. Sarebbe stata trafitta da un numero imprecisato di vetri se Nick non le avesse fatto scudo. Fu una questione di secondi, ma a lei sembrò durare un’ora. Quando riaprì gli occhi Nick era ancora sopra di lei, aveva alcuni vetri impigliati nei capelli. Rimasero immobili, stesi sul pavimento circondati dalle vetrate fatte a pezzi dagli spari, per qualche attimo, e quando furono certi che fosse sicuro provarono ad alzarsi. Appoggiò una mano a terra senza fare troppa attenzione e si tagliò.
«Che cavolo è successo?» - chiese con la voce che le tremava.
«Ce ne dobbiamo andare.» - le disse il ragazzo. E lo mise a fuoco in quel momento che aveva la camicia azzurra impregnata di sangue. Lo avevano colpito alla spalla e diversi vetri si erano conficcati nella schiena. Emily corse a prendere la borsa che aveva lasciato appoggiata sul bancone, doveva chiamare subito un ambulanza. - «Non chiamare nessuno, portami a Stoneheaven.» - le disse Nick che cercava di alzarsi.
«Cosa? Ti hanno sparato devi andare in ospedale!» - rispose iniziando a chiamare. Il centralino dell’ospedale rispose quasi subito, ma prima che riuscisse a dare il loro indirizzo Nick le tolse il telefono dalle mani buttandolo a terra e calpestandolo.
«Stoneheaven.» - ripeté crollandole addosso. Lo sostenne evitando di cadere a terra sotto il suo peso. Era impossibile per lei riuscire a spostarlo da sola. Non solo era pesante, ma era molto più alto di lei.
«Ok, ok, Stonheaven, ma mi devi aiutare a portarti in macchina.» - gli disse cercando di fare qualche passo verso l’uscita. Nick era quasi incosciente, riusciva a malapena a muoversi. Gli teneva un braccio dietro la schiena ed a volte quando le sembrava che le stesse scivolando lo muoveva sbattendo contro i vetri conficcati nella schiena, facendolo ringhiare di dolore. La macchina era proprio davanti all’entrata del locale, pochi metri che però sembravano chilometri. Nick lasciava una scia di sangue dietro di sé ed a lei veniva da piangere. Lo mise sul sedile posteriore con la schiena rivolta verso l’alto. Poi salì al posto di guida e mise in moto, solo dopo qualche minuto realizzò di non avere la più pallida idea di dove fosse Stoneheaven. Si ricordò di quando Antonio gliene aveva parlato la prima volta, l’aveva descritta come un enorme villa, circondata da un giardino così sconfinato da essere un vero e proprio bosco. Era fuori dal centro abitato a ridosso delle colline, lontano da ogni altra abitazione. Era un luogo in cui si stava in pace, dove non andava mai nessuno. Prese allora la strada che portava verso le colline e si lasciò guidare dal suo intuito, sperando che non la tradisse. La strada alberata si concludeva davanti ad un imponente cancello, lo superò senza nemmeno fermarsi. Lesse di sfuggita le lettere incise nella pietra: SH. Potevano significare qualunque cosa, ma volle credere con tutta se stessa di aver trovato veramente Stoneheaven. La villa che si trovò davanti era effettivamente enorme e tre persone uscirono di casa proprio mentre lei arrivava.

«Portatelo dentro.» - disse il più grande ai due ragazzi che tirarono fuori Nick dalla macchina. Lo conoscevano, non aveva sbagliato posto.
«Io…Non…Ci hanno sparato… Avevo…» - tremava appoggiata allo sportello della macchina. Non riusciva nemmeno a spiegare cosa fosse successo, ma a giudicare dalla prontezza con cui quelle persone avevano reagito probabilmente non ce n’era bisogno. Tutti erano entrati in quella enorme casa, seguendo il corpo di Nick, e fece lo stesso anche lei, seguendo le gocce di sangue che macchiavano il pavimento. Arrivò nell’immensa cucina, Antonio l’aveva descritta come il cuore pulsante della casa, dove tutti si ritrovavano per fare colazione. Aveva desiderato visitarla un giorno, non si sarebbe mai aspettata che lo avrebbe fatto in circostanze simili. Nick era stato disteso sul grande tavolo di legno e lo stavano medicando, o almeno così sembrava.
«Jeremy il proiettile è ancora dentro!» - disse la ragazza dai capelli biondi. L’uomo lo estrasse usando delle pinze. E a lei salì un conato di vomito.
«Clay dobbiamo fargli una trasfusione!» - disse poi all’altro ragazzo. - «Elena occupati di lei.» - la ragazza si diresse verso di lei portandola fuori dalla cucina.
«Sei ferita?» - le chiese.
«No, io…» - trattenne ancora le lacrime. - «Se la caverà? Non è voluto andare in ospedale…»
«Starà bene, hai fatto la cosa giusta a portarlo qui.» - Elena la condusse nella stanza accanto. Un ampio salone arredato con del legno scuro, al termine del quale vi era un caminetto sormontato dalla testa di un grande cervo. - «Aspetta qui.» - le disse poi scomparendo in un corridoio. Clay e Jeremy si erano trovati spesso a dover medicare dei compagni. Nick se la sarebbe cavata con un po’ di punti e qualche giorno di riposo. Lo sparo lo aveva colpito alla spalla ed un altro gli aveva lisciato il braccio, era stato fortunato che non l’avessero preso al cuore. I vetri nella schiena una volta estratti e medicati avrebbero solo lasciato delle cicatrici, ma non avevano danneggiato nessun organo vitale.
«Sembra che te la caverai anche questa volta.» - gli disse Clay mentre lentamente tornava ad essere vigile. La trasfusione stava funzionando.
«Chi è stato?» - gli domandò Jeremy  pur conoscendo già la risposta.
«I Solitari.» - rispose il ragazzo cercando di tirarsi su. - «Lei sta bene?»
«Sta bene.» - rispose Clay aiutandolo. - «Non muoverti troppo o rovinerai le mie cuciture.» - tutti e tre gli uomini risero mentre Elena guardava Emily bere la tisana. Poteva immaginare quanto dovesse essere stato scioccante per quella ragazza trovarsi coinvolta in quella che purtroppo era invece la loro quotidianità. La guardava fissare con lo sguardo perso nel vuoto il liquido nella tazza, la stringeva come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
«Ti sei tagliata la mano? Fammi vedere.» - disse la bionda notando le gocce di sangue che cadevano sul pavimento. Era difficile capire quale di tutto il sangue che avesse addosso fosse suo e quale di Nick.
«Nick sta bene, se vuoi…» - Jeremy le aveva raggiunte nel salone, si stava pulendo le mani sporche di sangue con un asciugamano giallo. Emily lo superò quasi correndo, diretta verso la cucina. - «Immagino volesse.» - commentò l’uomo. Nick se ne stava seduto sul tavolo sporco di sangue, con ancora i tubi per la trasfusione infilati nelle vene. La spalla era completamente fasciata, e sulla schiena aveva diverse bende a coprire i tagli più profondi. Emily comparve sulla porta della cucina, spaventata e tremante.
«Stai bene?» - gli chiese con un filo di voce. - «Stupido pazzo bastardo!» - aggiunse poi scatenando la risata di Clay. Nick trattenne la smorfia di dolore per quell’abbraccio che aveva la violenza di un pugno. Aveva notato la camicetta semi aperta, sporca e stropicciata. I capelli arruffati, il trucco colato, ora era quasi come la quindicenne che aveva conosciuto. E di tutte le volte in cui Emily avrebbe  voluto veramente insultarlo, aveva scelto proprio quella. Al diavolo la professionalità, l’affetto per Antonio, la sua educazione, Nick era uno stupido, un pazzo ed un bastardo.
«Clay passami il disinfettante e la garza.» - disse tenendola ancora stretta a sé. Era un atteggiamento fin troppo confidenziale per essere una ragazza che Nick aveva appena conosciuto, ma Clay non vi prestò più di tanta attenzione.
«Mi hai distrutto il cellulare e macchiato la macchina.» - disse Emily allontanandosi da lui e cercando di ricomporsi.
«Dammi la mano.» - rispose lui prendendo il disinfettante. Le tremavano le mani, oltre che la voce e gli occhi. Non voleva dargliela. Ma Nick se la prese quasi a forza, e le aprì il pugno che teneva stretto rivelando il taglio. Non era una ferita profonda, ma sanguinava molto soprattutto perché lei continuava a voler chiudere la mano. Le bruciò un po’ il disinfettante, ma anche se provava, Nick non le lasciava possibilità di fuga. Le medicò il taglio, avvolgendole la mano nella garza bianca.
«Credevo fossi specializzato in management imprenditoriale non in medicina.» - commentò mentre il ragazzo fermava la garza, sorridendo.  Si era informata su di lui proprio come lui aveva fatto su di lei.
«Elena ti mostrerà la tua stanza.» - disse Jeremy raggiungendoli.
«Resterà qui?» - domandò di getto Clay.
«Elena…» - la ragazza le fece cenno di seguirla, ed Emily obbedì lasciando nuovamente i tre uomini da soli. - «Resterà per questa notte.» - specificò Jeremy.
«Come sapevano che sarei andato al locale oggi pomeriggio?» - domandò Nick.
«Non lo sapevano.» - disse Clay. - «Hanno colpito solo per farci avere un messaggio. Probabilmente se non fossi stato lì Emily sarebbe morta.»
«Devo proteggerla.» - biascicò a mezza bocca Nick. - «Per mio padre.» - si scambiò un lungo sguardo con Jeremy.
«Può restare…» - disse l’uomo. - «Tutto il tempo che serve.» - aggiunse per poi scendere nel seminterrato.
«Farla rimanere a Stoneheaven? Dev’essere davvero qualcuno di speciale se Jeremy le permette di restare.» - disse Clay staccando Nick dalla trasfusione.
«Era importante per mio padre. L’ha  seguita da quando i suoi genitori sono morti, se ne è preso cura.» - disse Nick confidando all’amico quanto aveva scoperto. Conti bancari, versamenti, donazioni alle scuole, non c’era nulla che Antonio sorrentino non avesse fatto per aiutare Emily.
«Antonio era un brav’uomo, ma non credevo si prendesse cura degli orfani.» - commentò Clay accompagnandolo al piano di sopra dove c’era la sua stanza.
«Ha mantenuto la famiglia che l’aveva presa in affidamento per evitare che continuasse ad essere rimandata ai servizi sociali, le ha perfino pagato il college…» - continuò Nick stendendosi sul letto. - «Ti viene in mente una ragione per cui abbia dovuto farlo?» - quello era il pezzo del puzzle che a lui era mancato quando suo padre aveva di punto in bianco deciso di trasferirsi a Nashville nel Tennessee.
«Non ne ho idea, non ne ha mai fatto parola.» - disse il ragazzo.
«Credo che possa essere mia sorella.» - alla fine Nick diede voce ai dubbi che lo avevano agitato in quei giorni.  
«Cosa?» - Clay si sedette sul letto di Nick cercando di immagazzinare la notizia appena ricevuta.
«Niente oltre questo potrebbe collegarla a mio padre.» - spiegò. - «Forse l’avventura di una notte.» - ed era una prospettiva terribile considerando quello che c’era stato fra lui ed Emily.
«E perché non te ne ha mai parlato?» - domandò giustamente Clayton.
«Forse voleva proteggerla da tutto questo.» - se fosse rimasta lontano da Bear Valley, da Stoneheaven e da lui, non si sarebbe mai trovata in mezzo ad una sparatoria. Era anche la ragione per cui lui non l’aveva mai cercata in tutti quegli anni. Le regole del Branco ed i rapporti con gli umani non andavano affatto d’accordo.
«Credi che Jeremy sappia la verità?» - chiese ancora l’amico.
«Mio padre può aver avuto dei segreti con me, ma di sicuro non nascondeva nulla a Jeremy.» - la gentilezza e la disponibilità che aveva dimostrato verso Emily erano un’altra prova a loro vantaggio.
«A lei lo hai detto?» - domandò ancora Clay.
«Non ne ho avuto il tempo… Ci hanno sparato.» - rispose sorridendo. Clay lo lasciò riposare raggiungendo Elena che lo aspettava nella loro stanza. Emily aveva preso in prestito alcuni vestiti di Elena, ed era stata sistemata nell’ex camera della ragazza. Aveva fatto una doccia liberandosi del sangue di Nick, che le si era attaccato addosso come una seconda pelle. Si addormentò appena toccò il letto, o forse semplicemente perse i sensi. 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Bitten / Vai alla pagina dell'autore: Katie Who