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Autore: sarazaretta    08/04/2014    0 recensioni
Prima di andare a nanna quando eravate bambini vostra madre vi raccontava sempre delle storie, di quelle che servono per spaventare i bambini poco ubbidienti o quelle che escono dai libri pieni di fantasiosi racconti della buonanotte. Storie in grado di dare i brividi o stimolare la fervente immaginazione di qualche ragazzino sognatore. Poi siete cresciuti però e queste storie non le ricordate più, dopotutto nessuno prende sul serio i vecchi racconti che da secoli si narrano ai bambini.
E se vi stesse sbagliando?
Dietro la ragione c’è sempre qualcosa che non si può spiegare, qualcosa legato a un mondo antico avvolto nel mistero da polverose leggende. Eventi inspiegabili, al limite dell’assurdo, che sembrano usciti da un sogno.
O forse da un incubo.
In una Londra vittoriana c’è qualcuno che opera nell’ombra da secoli, circondato dalle stesse leggende che protegge, avvolto nel mistero.
Credete ancora che siano soltanto delle storie?
Benvenuti al Nightingale.
(revisionato e corretto)
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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May Rose

May Rose

Senza bussare Maximillian entrò dalla porta, il biondo già sapeva che il moro sarebbe entrato in quella stanza. Era solo questione di secondi.

“E il giornale?”

Alexander non si voltò nemmeno, né tantomeno distolse lo sguardo dalla vetrata, allungò semplicemente la mano per prendere il periodico che l’altro gli stava porgendo.

“L’hai letto?”

“Sì. Era quello che aspettavate?”

Maximillian sorrise quasi impercettibilmente, solo dal tono traspariva, appena. Il biondo aprì il giornale, scorrendo rapido con gli occhi tra le notizie come se sapesse cosa trovare e dove trovarlo Sorrise anche lui per poi voltarsi verso l’altro.

“Bingo.”

Gli porse il giornale, facendo leggere la notizia anche all’altro. Era inutile per lui leggerlo, già sapeva a grandi linee cosa era successo, quella era solo la conferma che il suo non era stato semplicemente un volo di fantasia. Il servitore cominciò a leggere ad alta voce quello che c’era scritto in quel piccolo fondo di giornale senza nessuna importanza apparente, semplicemente una notizia come tante agli occhi di tutti gli altri. Ma non a quelli dei Nightingale.

“Misterioso furto nella collezione privata Philippe Murray, scompare senza traccia il ciondolo di Madame Murray. Sembra che i ladri non abbiano rubato altro, nessun segno di infrazione e nessuna traccia o indizio. Incerto il movente e le dinamiche. La polizia brancola nel buio, a quando la soluzione del caso per Scotland Yard?”

Finito di leggere piegò il giornale e lo posò sul tavolo della stanza, il biondo si girò verso Maximillian fissandolo negli occhi chiari fermo e deciso. Sapeva già cosa fosse successo.

Lui l’aveva già visto.

“Chiama Nicholas e i gemelli, è ora di andare a fare una visita a un nostro vecchio amico.”

Il moro si spostò verso l’attaccapanni e prese il cappotto del suo padrone per poi aiutarlo ad infilarselo, Alexander inforcò gli occhiali dalle lenti scure e il cappello mentre l’altro si congedava con un leggero e veloce inchino.

Tornò alla vetrata della finestra, scrutando tra le case e le sagome dei palazzi di Londra la risposta che cercava.

“Dobbiamo fare presto.”

Strinse i guanti nel pugno della mano destra, deformando appena il suo bel volto con un ghigno.

“Dobbiamo fare prima di lui.”

“Odio, odio questo dannatissimo sole.”

“Smettila di frignare Nicholas, non siamo venuti qui per lagnarci del tempo.”

Avevano lasciato i gemelli dentro la carrozza, non era il caso di portarsi in giro le due pesti dentro gli uffici della polizia, bastava che fossero attenti a cosa sentivano. Giusto per pararsi le spalle.

Alexander spostò il fratello da davanti a sé, entrando senza bussare alla porta. Pessimo, pessimo vizio.

“Dov’è il sergente Atkingson?”

Si tolse i guanti e si guardò intorno, cercando tra le scrivanie della caserma il vecchio volto familiare. Un giovane poliziotto scattò in avanti avvicinandosi al gruppetto, disturbato dai modi di fare del biondo, non a torto visto i metodi alquanto approssimativi del nobile signorotto.

“Chi siete? Come vi permettete di irrompere in una stazione di polizia in questo modo e comportarvi da padroni?

Il poliziotto agguantò il cappotto del biondo e Maximillian fece per muoversi e fermarlo ma Alexander alzò semplicemente la mano verso il servitore per fermarlo. Con una calma innaturale si sfilò gli occhiali scuri, fissando dritto negli occhi il povero agente scapestrato.

Puro ghiaccio.

Ecco cosa sembrava il suo sguardo.

Due occhi quasi privi di colore, eccezione fatta per quella punta di grigio e azzurro che era nei suoi occhi. Fissi, immobili. Quasi crudeli.

Lo guardò con sufficienza, odiava essere toccato da estranei. Abbassò lo sguardo verso la mano del poliziotto che con uno scatto quasi impaurito lo lasciò andare, lo aveva riconosciuto proprio da quegli occhi.

Povero giovane appena uscito dall’accademia, non aveva la minima idea di chi diamine fossero quei tizi così strani; un nanerottolo vestito di scuro con tanto di occhiali anneriti e un volto così duro e impassibile, un gigante con gli occhiali e una faccia da fesso e un uomo sulla quarantina con lunghi capelli neri legati da una coda e profondi, profondissimi occhi azzurri che Dio solo sapeva cosa nascondessero, un uomo misterioso e silenzioso come i suoi movimenti. Temeva quasi a vederli fissi su di lui, in quell’espressione di puro disprezzo. Anche se gli costava fatica ammetterlo in realtà quello che gli incuteva più timore era quello che ai suoi occhi sembrava il più giovane, anche se dall’espressione mostrava molti più anni di quelli che gli avrebbe dato ad una prima occhiata.

Quel “nanerottolo” aveva il volto di un ragazzino e lo sguardo di un uomo, un uomo che aveva ucciso e non avrebbe avuto remore nel farlo ancora. Gli faceva quasi… paura. Sì, paura.

Un suo collega si avvicinò a lui e lo strattonò, portando il suo orecchio all’altezza della sua bocca.

“Idiota, non lo vedi che è uno degli Hamilton?”

Sussurrò a voce bassa al suo orecchio. Alexander non si curò del loro parlottare e continuò a guardarlo con sufficienza, non tanto perché non lo avesse riconosciuto, non poteva infatti importargli di meno, quanto odiasse essere trattato da ragazzino. Era molto tempo che non si sentiva tale.

“Mi… mi scusi signor Hamilton. Non… non vi avevo riconosciuto.”

Il giovane si scusò con un lieve inchino e senza dire nulla Alexander abbassò lo sguardo sulle sue mani, sfilandosi i guanti per poi metterseli nella tasca della giacca.

“Che cosa diavolo vuole da me il duca Hamilton?”

La voce veniva da qualche scrivania più in là dove un uomo stava leggendo un libro con i piedi sul tavolo, sembrava completamente solito a scene di questo tipo. Alzò lo sguardo dal libro e lo posò sul biondo e i due che lo accompagnavano, spostando lo sguardo su uno o sull’altro mentre cercava di capire per quale motivo stessero interrompendo la sua “attività”.

Nicholas si avvicinò all’uomo di mezza età dai capelli brizzolati che masticava rudemente un pezzo di tabacco. Aveva lo sguardo annoiato, quando quei due si presentavano alla porta non c’era mai nulla di buono.

“Siamo venuti a farti una visitina, zietto.”

Il più giovane fece un sorriso, che risultò in realtà abbastanza inquietante.

“Non vedete che sono occupato?”

Nicholas allora prese dalle mani del sergente il libro dalla copertina anonima, cominciando a leggerne il contenuto ad alta voce.

“… -Oh James, non potresti fare di me donna più felice! Prendimi, sono tua! James allora la cinse a sé con le sue braccia possenti e la gettò sul giaciglio dove cominciò a sbottonare la sua camicetta e…- Caspita, anche io vorrei essere occupato così.”

Il vecchio sbuffò scocciato, togliendo i piedi da sopra il tavolo e appoggiandosi con i gomiti ad esso.

“Che cosa vuoi? Quale pista stai seguendo per l’ennesima baggianata nella Town?”

Chiese, ancora più scocciato di prima, se possibile. Anche Alexander si appoggiò alla scrivania, arrivando all’altezza della sua vecchia conoscenza.

“L’amuleto che è stato rubato, che ne sai?”

Prima di capire a cosa si stesse riferendo il sergente lo guardò confuso, cercando di capire a cosa si riferisse questa volta. Ci mise un po’prima che l’illuminazione lo cogliesse.

“Non mi dirai che sei venuto fin qui solo per questo, signorino. Cosa vuoi che importi di un furtarello di un ladro così stupido da lasciare tutte le cose di valore per prendersi quella collana ridicola?”

“Non credo che un semplice ladro riuscirebbe a eludere la sicurezza della casa per prendersi solo quell’oggetto senza nemmeno lasciare traccia. E comunque lascia decidere a me se è una sciocchezza o no.”

Ci fu qualche secondo di silenzio tra i due, dai quali uscì vincitore Alexander visto che il sergente si arrese a quella battaglia di sguardi tirando una profonda sbuffata e girandosi dall’altra parte, andando a rovistare tra le carte e i documenti che teneva nei cassetti.

“Quando smetterai di darmi grattacapi, Alexander?”

Il biondo si mise le mani sui fianchi e lo guardò scocciato, non avrebbe mai ammesso che in fondo aveva ragione quel vecchio sergente di Scotland Yard.

“Insomma, vuoi aiutarmi o no Ronald? Ce l’hai un disegno dell’amuleto?”

Chiese, giusto per essere sicuro che quello era proprio quello che aveva visto in quella specie di visione. Sapeva già che era stato rubato ma voleva essere sicuro che si trattasse proprio di quell’oggetto che cercava già da tanto tempo e che ancora non era riuscito a trovare. Spulciando tra le carte trovò un foglio in particolare che consegnò nelle mani del duca davanti a lui.

“Non vedo come possa aiutarti, visto che non sappiamo praticamente nulla. Non si sa come possa essere entrato, nessuna delle guardie agli ingressi l’ha visto, non ha lasciato tracce se non un po’ di cenere vicino alla vetrina dove era custodito l’amuleto. Ha preso solo quello e di certo non perché gli mancasse tempo o altro visto che la tenuta era vuota in quel momento. Non so dirti altro.”

“Cenere hai detto? Non c’era scritto questo sul giornale.”

A Ronald comparse un ghigno sulla faccia che si tramutò presto in una sana e grassa risata.

“Se dicessimo ai giornali tutta la verità perderemmo tutta la nostra credibilità.”

“Pensavo l’aveste persa quando hanno messo te come sergente.”

Fece Nicholas, appoggiato al muro lì accanto, troppo impegnato a guardarsi intorno più che a impicciarsi di cosa dicessero quelle carte.

“… cenere, questa non me la aspettavo. E’ questo è il disegno dell’amuleto?”

Prese un foglio più ruvido tra le mani, studiandolo con attenzione. Il disegno raffigurava una collana con un pendaglio al cui centro c’era una pietra di rubino esagonale, con un incisione nell’anello dorato che la circondava.

“Cum finis principium cursus fiat”

Alexander passò il foglio al fratello che si era avvicinato sentendo quella frase così familiare. La sua espressione passò da serena a preoccupata in una frazione di secondo, anzi, decisamente preoccupata. Sapeva benissimo quello che voleva dire quella frase, e sapeva che quella era solo la prima parte della frase.

“E’ quello che penso io?”

“Direi proprio di sì.”

“E ora?”

“E ora giochiamo di vantaggio, per nostra fortuna siamo ancora in tempo.”

Lasciò i fogli sulla scrivania del sergente e prese i suoi occhiali, inforcandoli al naso. Si girò verso l’uscita e fece per andare via seguito dagli altri, per poi tornare indietro e prendere il foglio con il disegno da sopra al tavolo.

“Se non ti dispiace questo lo prendo io. Grazie per l’aiuto, vecchio.”

Al che il poliziotto si alzò in piedi e sbraitandogli contro cercò di fermarlo e farlo tornare indietro, cominciando ad urlare.

“Si può sapere che storia è questa? Ti dispiacerebbe darmi delle spiegazioni, ragazzino?”

Ma lui si limitò ad alzare la mano in segno di saluto, avviandosi verso l’uscita di quell’ufficio. Non c’era tempo per le spiegazioni, ora non dovevano semplicemente trovare il ladro e l’amuleto.

Forse erano ancora in tempo per evitare il peggio.

Dovevano cercare l’amuleto gemello.

Lawrence non si sarebbe dato per vinto, no.

Avrebbe scoperto cosa diamine era successo a Stephen. Purtroppo stavolta non poteva rischiare di essere visto dalla servitù, allora quale momento migliore per provare a rientrare dentro la casa del suo amico se non di notte?

Aveva dovuto aspettare che i suoi genitori e i suoi domestici si fossero tutti ritirati nelle loro stanze, piazzò nel suo letto un fagotto di vestiti che imitasse la sua forma e tirò su le coperte affinché tutti pensassero che effettivamente ci fosse lui nel letto. Sgattaiolò fuori dalla sua stanza mentre tutti credevano che stesse dormendo e si diresse verso la casa dell’amico.

“O la va o la spacca!”

Aspettò che la notte fosse calata per entrare dalla porta di servizio e stette attento che nessuno lo vedesse, forzò la porta con un ferro da calza che si era portato e si fece come un’ombra, stando attento a non fare il minimo rumore o sarebbe stata la fine per lui, non voleva che i tizi dell’altra volta lo scoprissero e lo buttassero fuori a calci nel sedere minacciando di morte lui e la sua famiglia.

Doveva esserci qualcosa di grosso sotto o non l’avrebbero di certo minacciato in quel modo.

Lentamente, con passi silenziosi attraversò il soggiorno e arrivò fino alle scale, le salì piano e si diresse verso la camera di Stephen. Prese un profondo respiro mise la mano sulla maniglia, la girò appena fino a quando non sentì lo scatto della serratura; cercò di aprirla piano per non farla cigolare e non far svegliare l’amico che dormiva profondamente nel suo letto. Lento entrò nella camera e si guardò intorno, c’erano libri ovunque.

Uno di quelli però sembrava attirarlo più degli altri, era quello che aveva già visto prima.

Con passo leggero si avvicinò alla pila di libri accanto alla finestra, una volta arrivato lì davanti sentì come qualcosa che lo affascinava, che attirava le sue mani proprio per aprirlo e cominciare a leggerlo. Appena toccò la copertina però lo sentì come vibrare e questo lo spaventò molto, cosa diavolo era?

“Fermati! Non toccarlo!”

Stephen si era svegliato e gli stava urlando contro, più che arrabbiato però sembrava spaventato. Fu solo questione di un attimo che i suoi occhi dal verde normale a cui era abituato tornarono rossi come l’ultima volta in cui l’aveva visto, quella cosa aveva ripreso il controllo su di lui e il ragazzo era tornato in quella che sembrava essere una possessione di un demone. Il ragazzo si alzò dal letto e cominciò ad avvicinarsi verso di lui a passi lenti, cadenzati.

Sul suo volto c’era il ghigno gelido che aveva visto qualche giorno prima. Lo stesso ghigno che gli aveva fatto gelare il sangue la prima volta, l’avidità per cui qualsiasi cosa, qualsiasi persona avesse avuto non gli sarebbe mai bastata. Non sarebbe mai stata abbastanza.

La disperazione, la profonda solitudine, il vuoto. Erano ancora tutti lì, nei suoi occhi.

La paura gli aveva gelato le gambe, non riusciva a fare un passo. Lasciò andare il libro dalle sue mani che si aprì una volta caduto a terra. Non riuscì a capire quale fosse la pagina che si era aperta né tanto meno cosa ci fosse scritto, ma si sentiva irresistibilmente attratto da quel libro. Era come se lo stesse risucchiando verso di sé, non sapeva quanto a lungo sarebbe potuto resistere. Non sapeva nemmeno se sarebbe potuto resistere.

“Vieni Lawrence, vieni con noi. Non ti senti solo?”

Non sapeva cosa fare il ragazzo. Era immobile in mezzo alla stanza, senza poter fare un passo per togliersi da quella situazione. Sentiva il proprio cuore esplodere, batteva all’impazzata contro il suo petto mentre quella voce continuava a rimbombargli nella testa. Non c’erano parole per descrivere come da quell’essere che aveva preso il controllo dell’amico tutta la luce sembrava essere risucchiata, anche quella flebile della luna che entrava dalla finestra.

Ma solitudine sì, quella riusciva a percepirla distintamente.

“Noi possiamo darti tutto quello che vuoi, Lawrence. Tutto quello che hai sempre desiderato…”

Era al centro del cerchio più grande nella stanza, quello che aveva visto la prima volta che era entrato lì dentro. Davanti a lui c’era un pendaglio, una specie di collana dalla pietra rossa che risucchiava la luce e dava le stesse vibrazioni che mandava Stephen davanti a lui.

Lento ma incessante si avvicinava l’amico a lui, con le mani tese come per prenderlo.

Vedeva però che era molto più rallentato dell’ultima volta, come se stesse combattendo una lotta interna, come se qualcosa da dentro tentasse di fermarlo. Non sapeva contro che cosa stesse lottando ma quella cosa probabilmente era quello che rimaneva del suo amico. Stephen da dentro riuscì a fargli piegare le braccia e portarsele al volto per impedirgli la vista dell’altro, lui lanciò un urlo e cadde a terra, come se fosse indebolito all’improvviso. Per un attimo gli sembrò di vedere gli occhi dell’amico tornare normali ma sapeva che qualsiasi cosa avesse fermato l’altro non sarebbe durata molto.

Radunò tutta la forza che aveva e si coprì le orecchie, cercò di togliere quella voce che sentiva da dentro di lui per quanto quello non servì a nulla. Provò allora a distogliere lo sguardo e lo fissò ancora una volta sulla gemma al centro di una delle inscrizioni nei cerchi.

Senza pensarci la prese in mano, il suo calore sembrava quasi bruciargli la mano eppure era la stessa cosa che lo attirava così tanto. Prese tutto il coraggio che aveva e lo mise nelle gambe, si alzò in piedi vacillante e corse via aprendo la porta e fuggendo da quella casa mentre i genitori di Stephen e tutti i servi uscivano fuori dalle loro stanze svegliati dalle urla nel cuore della notte.

“Fermati!”

Intimò il padre del ragazzo, per poi essere rincorso da quello che sembrava il servo che lo aveva sbattuto fuori l’altra volta. Doveva correre, doveva correre più veloce che poteva.

“Miller, ho detto di fermarti!”

Gli intimò la madre di Stephen, lui però corse più forte e veloce spinto dal terrore e uscì da quella casa, correndo come un pazzo. Uscì dalla porta e corse ancora e ancora, l’adrenalina era a mille e gli dava la forza per non fermarsi.

Si fermò solo quando non fu sicuro di essere abbastanza lontano. Nella mano stringeva ancora quello strano amuleto, si rese conto solo allora che gli stava bruciando la mano così lo lasciò cadere a terra. Si accovacciò e cercò di leggere quello che c’era scritto attorno alla gemma.

Quando la fine torna inizio.

Era la stessa frase che era incisa sui muri e sul pavimento della stanza di Stephen. Ancora la stessa frase ritornava nella sua mente. Ma cosa diavolo voleva dire?

In qualsiasi caso sapeva già che cosa avrebbe dovuto fare con quella “cosa”.

Doveva nasconderla da qualche parte.

Sì, ma dove?

“Dovremmo smetterla con questo gioco.”

Mormorò Alexander affacciato alla finestra, come al solito. Si girò verso l’altro e porse la mano, chiedendo quello che sapeva l’altro aveva portato.

Per quanto da un lato era stanco di quel continuo rincorrersi, di quel continuo giocare a nascondino, doveva ammettere però che non gli dispiaceva. Anzi no, non gli dispiaceva affatto.

Non era che semplicemente lo aveva sentito arrivare, no. Lui sapeva che sarebbe venuto, sapeva che cosa gli avrebbe portato, sapeva quando sarebbe entrato dalla porta della sua stanza, senza bussare, senza fare il minimo rumore. Se riusciva a concentrarsi poteva sentire i passi lenti e silenziosi dell’uomo, sentirlo avvicinarsi, sentire il suo respiro regolare. Se solo si concentrava riusciva a sentire il battito del suo cuore sempre più vicino, quel ritmo lento che lo affascinava ogni volta.

E poteva quasi sentirlo quel sorriso divertito sulle labbra dell’altro, poteva sentire anche il divertimento che gli provocava essere anticipato di un solo secondo.

Lui lo sapeva.

Dovevano smetterla sì, ma quel gioco divertiva entrambi.

“Dammela.”

Senza dire nulla Maximillian porse al biondo una fialetta che conteneva la cenere che era stata ritrovata nel luogo del furto dell’amuleto, era riuscito ad entrare negli archivi della polizia per prenderla, proprio come voleva il suo padrone.

“Non ti chiederò come hai fatto a prenderla, ho i miei seri dubbi che sia qualcosa di legale.”

Maximillian sorrise sghembo, portandosi una mano al viso per spostare una ciocca di capelli da davanti i suoi occhi. Sapeva perfettamente come aveva fatto a prendere quel reperto, semplicemente preferiva non chiederlo per non avere guai. Il biondo era sempre e comunque a conoscenza di ogni sua mossa, ovunque si trovasse. Fece fatica a fermare la piccola risata che uscì dalle sue labbra, come una piccola cascata da un torrente. Era uno splendido suono, puro e cristallino.

E anche incredibilmente raro. Per quanto non risparmiasse sorrisini e risatine era raro sentirlo ridere di cuore in quel modo e doveva ammettere che gli piaceva, molto.

“Perché, abbiamo mai fatto storie su questioni legali?”

Alexander alzò la fialetta e la mise controluce, analizzandola per quello che poteva. Purtroppo non riusciva a vedere molto, non riusciva a percepire nulla da quell’indizio. Anche se si sforzava non riusciva a vedere nulla, neanche se si concentrava al massimo. Evidentemente quella capacità andava oltre il “dono” che gli era stato dato.

La smosse ancora un po’ cercando di carpirne i segreti ma nulla, era buio totale.

“Andiamo, so chi mi può aiutare.”

“Aaaah Josephine, Josephine!”

Nicholas continuava a sventolarsi con una lettera davanti ai gemelli. L’arrivo di quella lettera gli aveva dato alla testa, era tutto il pomeriggio che non faceva altro che vantarsi di averla ricevuta. Se la portò alle narici e ne prese il profumo a pieni polmoni.

“Aaaah, che uomo fortunato che sono!”

Davis fece un profondo sospiro, appoggiando la testa alla spalla del fratello Damian.

“Basta Nicholas, non ti sopportiamo più! Saranno tre ore che non fai altro che vantarti di quella stupida lettera, dovresti smetterla e ricominciare a lavorare.”

Il biondo allora prese la carta e la sventolò davanti ai due, mostrando loro il contenuto della missiva romantica e smielosa. Damian girò la testa dall’altra parte, arrossendo lievemente. Come se quelle erano cose da far leggere a dei ragazzini.

“Ma non vedete? Lei mi ama, mi ama! Guardate qui, ha pure lasciato il segno del rossetto con le sue labbra sulla carta, non è fantastico? E’ pazza di me, me lo sento!”

Davis si rabbuiò per un solo attimo, corrugando le sopracciglia con disappunto. Certe volte Nicholas sapeva essere un vero idiota.

“No idiota, non vedo.”

Nicholas si fermò un attimo e si rese conto di quello che aveva appena detto. Non ci aveva fatto caso quando aveva fatto uscire quelle parole dalla sua bocca, Davis era cieco dalla nascita ovvio che non potesse vedere nulla.

“Scusa, non volevo..”

Damian lo guardò con un po’ di rabbia senza dire nulla, dopotutto non poteva dire nulla. Si limitò quindi a restare in silenzio senza dire una parola, guardando Nicholas come se fosse l’essere più stupido al mondo.

“Dai Damian, lo sai che non l’ha fatto apposta.”

Mise una mano sulla testa dell’altro, scompigliandogli un po’ i capelli e regalandogli un sorriso radioso. Non voleva che l’altro avesse del rancore per una cosa così stupida.

“Vogliamo smetterla con queste stupidaggini, che cos’è questo casino?”

Alexander entrò nella stanza, seguito da Maximillian. L’uomo era sempre la sua ombra, si separavano solo per poco e quel tanto che bastava per svolgere i propri compiti, dopotutto era il secondo paio di occhi di Alexander, tutto quello che il biondo non riusciva a vedere lo vedeva per lui il suo servitore fedele, anzi, fedelissimo.

“Nicholas si sta pavoneggiando perché ha ricevuto una lettera romantica da miss Heglett.”

Disse Davis, come un ragazzino che fa la spia alla mamma, incombendo così nell’ira del biondo e prendendosi la sua rivincita, segnata da una linguaccia da parte del ragazzino.

“Ah sì?”

Il più grande si avvicinò al fratello e gli strappò dalle mani la lettera tanto preziosa senza dire nulla, la portò ai suoi occhi e cominciò a leggerla con un’espressione sul viso sempre più disgustata. Prese la lettera e la strappò davanti ai suoi occhi, Nicholas rimase pietrificato, avrebbe cominciato a piangere se solo ne avesse avuto la forza e un minimo di orgoglio virile non gli avesse impedito di farlo.

“Ma… perché?”

“Dimentica quell’arrampicatrice sociale e lasciala perdere, vuole solo i nostri soldi.”

“…perché?”

“Perché lo sanno tutti che è una baldracca alla ricerca di denaro, non sei il primo a cadere nelle sue grinfie.”

Alla parola “baldracca” Davis coprì le orecchie a Damian, ridacchiando per quello che era appena successo tra i due. Di sicuro si era preso la sua agognata rivincita, se così si poteva chiamare. Il cuore di Nicholas sembrava fosse andato in frantumi, era da un po’ che la biondina amata gli girava intorno e aveva fatto di tutto per fargli capire che lei era interessata a lui, anche se non voleva credere a quello che suo fratello gli stava dicendo doveva ammettere che anche lui aveva pensato a questa possibilità.

“Piuttosto, smettila di fantasticare su donnine allegre e dammi una mano.”

Alexander si avvicinò al fratello e gli mostrò la fialetta, Nicholas la prese in mano e la smosse guardandola molto da vicino. Continuò a girarla tra le dita verso la luce, studiandone ogni minimo dettaglio, per quanto potesse vedere senza un esame più approfondito.

“E’ quello che penso?”

Il maggiore alzò gli occhi al cielo e fece un sospiro, suo fratello era sempre il solito idiota, mai una volta che capisse tutto al volo.

“Sì, è quello che pensi. Voglio che tu mi dica esattamente cos’è questa cenere.”

“Ora?”

“No, domani. Ma certo che lo voglio adesso Nicholas, e cerca anche di sbrigarti.”

Nicholas sbuffò e prese la fialetta in mano, si alzò dalla poltrona e andò a prendere i suoi occhiali sul tavolo del laboratorio. Continuò ad ispezionarla attentamente tenendo le dita sul mento, non sembrava ma era molto concentrato sul suo compito

“Ci vorrà un po’ prima che i macchinari analizzino cos’era, perché si è bruciata e come è avvenuta la combustione.”

Alexander si mise una mano sulla fronte e cercò di mantenere la calma, a che serviva avere un dono se poi uno si rifiutava di usarlo? Suo fratello poteva benissimo capire cosa era successo a quella cenere se solo si fosse concentrato un pochino sulle sue abilità.

“Non potresti semplicemente sforz…”

“NO!”

Urlò contro l’altro alzando la testa dal microscopio, sembrava piuttosto offeso e scocciato, come se già sapesse dove l’altro voleva andare a parare. Dopotutto era sempre la solita storia.

“Non possiamo basare un esperimento su intuizioni personali, supposizioni e improvvisi lampi di genio! Bisogna trovare una risposta su basi scientifiche, non sensazioni!”

L’altro si limitò a massaggiarsi le tempie dopo le urla dell’altro. Che scocciatura, era sempre la stessa identica storia. Forse era inutile sperare che un giorno l’altro si arrendesse all’evidenza che c’erano cose nel mondo che non erano spiegabili con la scienza. Il mondo era pieno di fenomeni che esulavano da essa e che l’intelletto umano non poteva spiegare semplicemente con la razionalità. Loro stessi venivano da un mondo che aveva poco a che fare con cose matematicamente ed empiricamente spiegabili.

Sarebbe bastato lasciarsi andare e dire quello che pensava fosse successo, lasciar fare il proprio “dono”.

Dopo averla esaminata attentamente al microscopio mise la polvere in un macchinario che faceva un rumore assordante e disegnava sulla carta dei grafici con dei pennini in base alla composizione chimica, tutti gli strumenti presenti in quel laboratorio erano stati creati da Nicholas stesso e potevano considerarsi all’avanguardia rispetto a tutti gli altri strumenti scientifici a disposizione di ricercatori e professori in tutto il Regno Unito.

D’altronde Nicholas aveva sempre avuto una passione sfrenata per tutto ciò che riguardava la scienza, ogni volta che da piccolo chiedeva spiegazioni al fratello su quello che non capiva rifiutava sempre ciò che gli diceva basate su credenze e leggende, voleva sempre cercare la spiegazione logica dietro ogni cosa, anche se apparentemente non ce n’era. Era difficile per lui affidarsi completamente a quelle che lui chiamava “intuizioni” e che in realtà erano qualcosa di ben più grande che gli permetteva di vedere oltre le cose, nel passato, a quello che già era successo. Ecco il suo “dono”.

“Sembra che sia carta bruciata, la fonte di calore è stata di sicuro molto alta ma non doveva essere semplicemente fuoco. Quello che posso dire è che c’era scritto qualcosa su questa carta, di sicuro non con semplice inchiostro visto che la composizione di questo è molto simile al sangue. Di sicuro non ci sono segni di acceleranti nella cenere, si direbbe quasi che ha preso fuoco da sola, ma questa è solo la mia impressione.”

Alexander prese dalle mani dell’altro il foglio appena uscito dalle macchine analizzatrici, studiandolo per quanto poteva capirci, dopotutto quelle macchine erano fatte dal fratello per comprensione di quest’ultimo, non sperava di capirci qualcosa.

“E se fosse… un incantesimo di traslocazione?”

Mormorò piano verso Maximillian, attento a non farsi sentire. Peccato che non fosse stato abbastanza silenzioso.

“Non dire stupidaggini, quante volte devo dirti che la magia non esiste? Penso che ormai a ventisette anni tu sia abbastanza grande per capire queste cose da solo, Alexander.”

Il biondo si limitò a guardare storto il fratello, piegando i risultati dell’analisi e lasciandoglieli sul tavolo. Sorrise appena e incrociò le braccia sul petto, quasi con aria di sfida appoggiandosi al tavolo.

“Vediamo, Nicholas: hai una sorella veggente, un fratello sensitivo e due medium che vivono sotto il tuo stesso tetto. E anche se non vuoi ammettere che sei un sensitivo anche tu, eppure ancora non credi nell’esistenza del paranormale?”

Rise appena, incrociando lo sguardo di Damian. Avrebbe incrociato anche quello di Davis se avesse potuto e inoltre quello se la stava ridendo di gusto, cercando di trattenersi almeno un po’, tra una risata e l’altra sentiva chiamare Nicholas “idiota”. Se non fosse stato d’accordo con lui l’avrebbe sgridato, quella peste.

“Non sai dirmi altro?”

Chiese al fratello che lo guardava storto a sua volta. C’era rimasto ancora scottato per quello che gli aveva detto.

“Secondo me, e ripeto secondo me, la carta proviene da un libro piuttosto antico. Facciamo dal Medioevo, anzi… facciamo dal tredicesimo secolo. Non so perché ma quello che penso è che sia uno di quei vecchi libri di amanuensi che scrivevano in latino, qualcosa pieno di formule alchemiche e pseudo-magiche che usavano un tempo.”

Alexander si avvicinò stavolta incuriosito al fratello e si mise ad ascoltare attentamente quello che aveva da dirgli, sempre più interessato e finalmente più presente a quello che gli stava dicendo. Nicholas teneva la testa bassa, quasi come se una parte di lui si vergognasse di quello che stava dicendo, quasi come anche se lo sentisse dentro di sé si rifiutasse lui stesso di credere a quello che era apparso nella sua mente.

“Mi sembra di dire una cosa assurda eppure non mi viene in mente altro.”

Il fratello maggiore sorrise e gli mise una mano sulla spalla, dandogli delle leggere pacche d’affetto. Gli sembrava di rivederlo quando era un ragazzino, sempre distrutto dal fatto di non riuscire a trovare una spiegazione sensata per tutte le cose che gli accadevano alle quali non sapeva dare una spiegazione, per tutti i ricordi e le immagini che gli venivano in mente senza che gli appartenessero. C’erano giornate in cui gli sembrava di impazzire, giornate in cui gli sembrava di vivere dentro i sogni e dietro gli occhi di qualcun altro.

“E’ la cosa più sensata che tu abbia detto oggi, Nick.”

Decise di chiamarlo così, come faceva un tempo. Dopotutto quell’uomo alto quasi il doppio di lui era sempre il suo fratellino adorato.

Lento saliva i gradini che lo portavano al piano superiore della villa.

Non avrebbe mai voluto chiedere il suo aiuto per una cosa di così poco conto, avrebbe preferito “usarla” solo in caso di pericolo. A dire il vero non avrebbe voluto farlo per niente.

Bussò alla sua porta, entrando prima che lei potesse rispondergli.

La trovò che pettinava le sue bambole, sistemate intorno a lei che se ne stava seduta sul letto. Alzò i suoi occhi grigi verso Alexander, accennando un piccolo sorriso.

“Lo so perché sei venuto qui.”

Lui non aveva il coraggio di dire nulla, si limitò a sorridere triste continuando a guardarla appoggiato alla porta.

“Fammi vedere quel disegno.”

Sorrise anche lei, triste.

Alexander avanzò di qualche passo, cercò nella tasca della giacca il disegno che aveva preso alla stazione di polizia e lo porse a quella ragazza dagli occhi di bambina, quella che per girare nella casa non portava mai scarpe sotto il vestitino leggero. Quella che sembrava vivesse in un altro mondo, completamente diverso dal suo. Un mondo pieno di gigli sempre in fiore.

“Sai dove posso trovarlo?”

Interruppe il silenzio dopo essere rimasto ad aspettarla per qualche secondo, si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei. La guardava dolcemente e cercava di non allungare la mano per accarezzarle i lunghi capelli biondi.

Peccato non fosse più una bambina, avrebbe potuto coccolarla come facevano quando erano piccoli.

“Non è più nel posto in cui lo cerchi, qualcuno l’ha portato via.”

“Chi? Dov’è?”

“Non lo so ora, ci devo pensare.”

Chiuse il foglio e lo porse all’altro, accennò un lieve sorriso e il biondo le prese la mano.

“Grazie Lilian, mi dispiace averti chiesto una cosa del genere. Lo so che non sopporti essere… usata, ma credimi è importante.”

La ragazza sorrise davvero, più dolce e gentile di quanto non avesse fatto prima. Accarezzò con la sua mano il viso dell’altro, cercando di fargli capire che non era arrabbiata con lui.

“Lo so.”

Rimasero in silenzio per qualche minuto, senza dirsi nemmeno una parola. Non ce n’era bisogno.

Alexander scostò i capelli dal viso della ragazza fissandoglieli dietro le orecchie e posò un bacio leggero sulla sua fronte, si alzò e fece per andare alla porta. Si volse a guardarla ancora una volta e sorrise di nuovo, ma sempre triste.

“Assomigli tanto alla mamma.”

Alexander sapeva di aver sbagliato a dirle quello, lo aveva capito dall’espressione sul suo viso quando glielo aveva detto. Non ci aveva neppure pensato, gli era venuto in automatico.

I suoi occhi così chiari e luminosi, i capelli come il fieno. Le labbra sottili e quel modo di sorridere così dolce delicato, le mani calde e morbide. Il suo stare in silenzio, non dire mai una parola di più, compensare con un sorriso e una parola da niente, dolce come il miele. Era bella, bellissima. Come solo il ricordo di una madre può rimanere nella mente di un figlio

Le mancava così tanto.

Lo sguardo di Lilian diventò triste e abbassò gli occhi sul proprio letto, rimanendo per qualche secondo in silenzio.

Era tutta la vita che non facevano che dirglielo, anche se lei non l’avesse mai conosciuta glielo ripetevano sempre. Pensavano che potesse farle piacere ma non credevano che questo la rendesse davvero triste.

Dopotutto era solo colpa sua se era morta.

“Lo so.”

Alexander era nel giardino della villa, accarezzava il muso del suo cavallo. Lo fissava nei profondi occhi scuri, dolci e mansueti. Passava la mano nella criniera, ogni tanto dava qualche zolletta di zucchero all’animale. Poggiò la testa su quella del cavallo, chiudendo gli occhi.

Odiava, odiava se stesso quando si comportava in quel modo. Odiava il fatto che probabilmente aveva ferito sua sorella ancora una volta, senza nemmeno rendersene conto. Eppure non poteva fare a meno di guardarla con quegli occhi, lei che gli ricordava tanto sua madre.

Sorrise, sentendo come un soffio dietro il suo collo.

“Dovresti smetterla di arrivarmi alle spalle cercando di non fare rumore, Maximillian.”

“Dovrei?”

Bassa la sua voce arrivò come un sussurro all’orecchio dell’altro. Lo scosse come un fuscello, facendolo tremare, appena, quasi in modo che nessuno se ne sarebbe accorto.

Ma non Maximillian, lui sapeva benissimo che nonostante fosse l’altro a “comandare”, ad essere il suo padrone, quella tra loro due era una lotta tra pari. Peccato che non ci fossero né vincitori né vinti. Ognuno era nelle mani dell’altro che aspettava di cadere nella prossima trappola, in una guerra senza fine.

Il passo avanti di uno era il passo indietro dell’altro.

Quando uno si faceva avanti l’altro si nascondeva, per vergogna, per pudore, perché semplicemente entrambi sapevano che di tutte le cose quella che stavano facendo loro era la più sbagliata da fare.

Che gioco pericoloso era quello tra loro due, come due funamboli nel vuoto giocavano a chi dei due sarebbe caduto prima, senza sapere che se cadeva uno sarebbero caduti entrambi. Da dieci anni andava avanti questa storia, se così la vogliamo chiamare; cose non dette, sguardi non visti, tocchi segreti. Senza mai spingersi oltre il baratro, senza mai osare, come un peccato che si ha paura di consumare non per la paura di esso, ma per il terrore di doverlo poi confessare.

Alexander non si girò, rimase con gli occhi chiusi a seguire lo sguardo dell’altro sulla sua schiena, pur non potendolo vedere lo sentiva come fuoco sulla sua pelle, sotto lo strato dei vestiti. Bruciava come un miliardo di parole rimaste sulle labbra che nessuno dei due aveva il coraggio di dire. Sarebbero rimasti per sempre uno accanto all’altro a lasciarsi consumare dalla loro stessa passione senza mai poterla esprimere all’altro?

Erano davvero così codardi?

Avrebbe voluto girarsi, poter guardare negli occhi l’uomo che aveva davanti, avvicinarsi al suo viso, lentamente, respirare sulle sue labbra per poi… per poi nulla, non avrebbe mai fatto un passo in più su quel filo teso nel vuoto.

La paura era troppo, troppo grande.

Se solo si fosse avvicinato a lui avrebbe potuto assaggiare quello che erano anni che si negava, provare il sapore del proibito, concedersi alla passione e al desiderio. Se solo avesse potuto si sarebbe concesso a quel desiderio avrebbe finalmente capito che sapore aveva quella bocca, che calore c’era in quell’abbraccio, avrebbe sentito il profumo dei suoi capelli e forse sarebbe riuscito a dirgli quello che sentiva, quello che gli lacerava ogni volta la carne e il cuore quando lo guardava negli occhi.

Se solo non avesse avuto paura di perdere la sua ombra.

Se solo quel corpo che si portava dietro non fosse qualcosa di cui vergognarsi, l’eterno ragazzo, il punto fermo nel tempo.

Sarebbe potuto essere sincero e se stesso una volta tanto. Sarebbe potuto essere se stesso. Sarebbe andato oltre il muro, le barricate che si era costruito per proteggersi da tutti gli altri. Sarebbe stato coraggioso e non avesse avuto paura di perdere l’altro.

Sarebbe, sarebbe, sarebbe… sarebbe caduto forse un giorno, ma non ora.

Poteva sentire il suo naso sul proprio collo, il respiro che scivolava sulla nuca per poi infilarsi sotto i suoi vestiti. Provava a resistere, continuava a mordersi il labbro e tenere stretti i pugni nella vana speranza di farsi forza in questo modo.

Doveva resistere.

Maximillian richiamò l’attenzione del biondo, teneva un fiore nella mano, una splendida rosa. Era di un rosso sangue, quasi scuro. Il suo profumo era inebriante, acerbo ma ancora pieno dei ricordi di erba tagliata, di rugiada e gelo dei mesi precedenti.

Alexander spalancò gli occhi, lasciando sfuggire un flebile sorriso per poi tornare a nasconderlo subito. Non poteva permetterselo.

“Cos’è?”

“E’ la prima del giardino, la prima di maggio.”

Alexander chiuse gli occhi. No. Doveva annegare ogni sentimento, ogni singola emozione. Non poteva permetterselo, non lui, non con Maximillian no. Non voleva cadere nella trappola.

Era incredibile però come solo con lui riuscisse a essere sincero, anche se provava a nascondere ogni cosa alla fine era sempre se stesso e l’altro lo sapeva. Anche se non glielo diceva, anche se non diceva nulla, anche se non lo guardava lui lo sapeva. Sapeva che non era un muro che aveva davanti, conosceva l’altro da troppo tempo ormai per non sapere che il viso dell’altro, anche se non lo poteva vedere, aveva un flebile rossore e un sorriso tenero. Anche se Alexander non avrebbe mai ammesso che se l’era lasciato andare.

Posò la mano sul suo petto, sentendo che dentro la gabbia toracica il suo cuore batteva forte.

Non c’era bisogno di parole, bastava anche solo questo a Maximillian. Non c’era bisogno di parole quando le poteva leggere nei suoi occhi e ascoltarle nel suo battito.

Erano troppo vecchi per confessioni melense e sdolcinate da ragazzini innamorati.

Il biondo prese la rosa tra le mani e la portò al viso, sentendone il flebile odore.

La prima di maggio.

Diciamocelo, come update me la sono presa piuttosto comoda.
Non so neanche quanti anni sono passati dall'ultima volta in cui ho messo mano a questa storia, fortuna che mi ero presa degli appunti sui vari accadimenti e situazioni che volevo far accadere.
Ecco qua dunque in nuovo capitolo in cui impariamo a conoscere meglio i personaggi, prometto però di essere più esplicita ed indagare meglio su tutta la famiglia Hamilton e gli altri. Ci sono cose che non avete capito? Qualsiasi dubbio chiedete, cercherò di svelare i misteri nei prossimi capitoli.

Ma veniamo alla romance... vi piacciono Alexander e Maximillian? Io li adoro e spero imparerete ad amarli anche voi... vedrete, ci sono tanti segreti che nascondono... ma non svelo niente!

Spero che mi seguirete con amore, o anche solo che mi seguirete... abbiate pazienza però! Secondo voi dovrei spostare la storia nella sezione romantica? Ricordate, un commento è sempre gradito, fatemi sapere se sto andando nella giusta direzione, ma sopratutto fatemi sapere le vostre opinioni!<3

  
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