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Autore: Shainareth    10/07/2008    4 recensioni
[Mai HiME - anime] Le aveva seguite solo ed unicamente perché Takumi si era mostrato d’accordo e, come al solito, aveva finito per coinvolgere anche lei nel: “Non preoccupatevi, ragazze, è tutto a posto”.
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Rancore'
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Rancore

 

 

Le aveva seguite solo ed unicamente perché Takumi si era mostrato d’accordo e, come al solito, aveva finito per coinvolgere anche lei nel: “Non preoccupatevi, ragazze, è tutto a posto”. Certo, perché essere stato attaccato da quattro HiME diverse in una sola volta, durante il Carnival, ed essere stato rinchiuso in un pilastro fino a che Lord Kokuyou non è stato sconfitto, è roba da niente, eh, Takumi?, rifletteva ancora la ragazzina, seccata, fissandolo di sottecchi. Beh, c’era però da dire che nessuna delle loro compagne di scuola era propriamente in sé, dovette riconoscere con un sospiro che spazzò via ogni residuo di rancore: Mikoto era sotto l’influsso di Kokuyou, Shiho agiva inconsciamente, Nao si era sentita tradita, e Sister Yukariko era stata manipolata non poco dall’uomo che diceva di amarla. Quel viscido verme di Ishigami-sensei, si ritrovò ad imprecare Akira, ferita non poco dal comportamento del proprio insegnante. E dire che l’uomo si era sempre mostrato gentile, specialmente con lei e Takumi… e invece? Quel maledetto aveva tramato alle loro spalle, violentando psicologicamente la povera Yukariko. La ragazzina si ritrovò a sospirare di nuovo: anche Ishigami-sensei, dopotutto, poteva essere giustificato perché timoroso di perdere la vita. Però… però io non ho mai attaccato nessuno, paura o non paura!, le ricordò l’orgoglio.

   «Akira-kun, tutto bene?»

   Chissà perché, ma la voce pacata di Takumi riusciva puntualmente a farla calmare. «Sì» rispose allora, ritrovando il sorriso.

   «Sei ancora arrabbiata?» le domandò la minore delle sue senpai con aria davvero mortificata. Che Shiho si sentisse più in colpa delle altre era dovuto al fatto che era stata proprio lei ad ordinare al suo Child di sferrare il colpo di grazia a Gennai, così da distruggerlo e da rubare, seppur apparentemente, la vita di Takumi. «Mi dispiace tanto!» scoppiò quindi quasi a piangere, gli occhioni luccicanti di lacrime, il musino tremolante.

   «N-No, no! Sta’ tranquilla!» cercò di rasserenarla Akira, agitando le mani davanti a sé. «Va tutto bene, davvero!»

   Le due ragazze più grandi, che li precedevano lungo il marciapiede, vedendo i tre fermarsi a discutere, arrestarono il passo a loro volta davanti ad una sala giochi. «Ehi, è la terza volta che scoppi a piangere oggi, e loro ti hanno già detto che non hai di che preoccuparti. Quindi, per cortesia, dacci un taglio» ordinò con aria svogliata la rossa, le braccia intrecciate sotto ai seni, mentre, accanto a lei, Mikoto fissava la scena senza fiatare.

   Mancavano due giorni alla partenza di Takumi per gli Stati Uniti, e dal momento che Akira lo avrebbe seguito, le loro tre compagne di scuola avevano deciso di offrire loro qualcosa dopo le lezioni. Non che un gelato o un caffè avrebbero risolto la questione lasciata in sospeso dal Carnival, ma si trattava più che altro di un gesto simbolico.

   Fu nell’istante in cui ripresero il cammino che il gruppo incontrò una bellissima ragazza dai lunghi capelli fiammanti e dai grandi e luminosi occhi verdi, dal corpo snello e dalle curve mozzafiato, dall’incedere elegante e dal sorriso gentile: una venere scesa tra i mortali. Per un secondo i cinque rimasero esterrefatti nell’ammirare cotanto splendore; se non che, la porta automatica della sala giochi si aprì e ne uscì, correndo come un pazzo, una sottospecie di orango alto due metri che si abbatté con forza contro la povera fanciulla, la quale, a sua volta, finì addosso a Shiho. Questa perse l’equilibrio e tentò di aggrapparsi alla borsa dei libri di Akira, strappandogliela e rovesciandone in terra tutto il contenuto nonostante la sua kohai avesse allungato le mani per afferrarla ed impedirle la caduta.

   Takumi subito si precipitò ad aiutare la ragazza dai capelli di fuoco, finita anche lei rovinosamente in terra. «Stai bene?» le domandò preoccupato, mentre Mikoto, nonostante la ferita ancora fresca al fianco, scattava alle calcagna del colosso che si era dato alla fuga – che, a giudicare dalle urla del personale e dei clienti della sala giochi, era scappato dopo aver compiuto una rapina.

   «S-Sì, grazie» rispose la fanciulla sconosciuta, nonostante un ginocchio sbucciato. «Ah! La mia borsa!» esclamò con voce sofferente, notando solo allora che anche la borsa con i suoi libri era caduta in terra ed il contenuto si era sparpagliato insieme a quello della cartella di Akira.

   «Aspetta, ti aiuto» si propose il giovane, così da poter recuperare anche la roba della compagna di stanza, la quale, accertatasi che Shiho stesse bene, si chinò anch’ella per aiutarli.

   «Mi dispiace tanto, Akira-kun!» piagnucolò di nuovo la ragazzina dai capelli rosa, dispiaciuta per averle strappato la borsa.

   «Non l’hai certo fatto apposta» spazzolò via la questione la kunoichi che, se non fosse stata sicura delle doti atletiche della sua senpai Minagi, si sarebbe mossa in prima persona per fermare il malintenzionato in cui si erano imbattute.

   «Se c’è qualcuno che dovrebbe dispiacersi, è quel bastardo che vi ha travolte» ringhiò Nao, sperando con tutta se stessa che Mikoto riuscisse a prenderlo e a dargli una bella lezione. Lo sguardo furioso non era facile da poter ammirare sul bel viso della ragazza, ma dal momento che in lei vi era ben radicato un odio feroce verso i rapinatori in genere, la cosa non deve stupire il lettore.

   «Vi sbagliate» le smentì a sorpresa la rossa dai capelli lunghi ancora accovacciata in terra, la borsa stretta in grembo, l’espressione gentile devastata dalla sofferenza. «Se c’è qualcuno da biasimare, quella sono io.»

   I quattro la fissarono interdetti. «Quello ti è venuto addosso» le ricordò Nao.

   «Sì, ma io mi trovavo a passare proprio davanti a lui nel momento in cui è uscito dalla sala giochi» rispose la ragazza, mortificata.

   «Se quello con correva e badava a dove metteva i piedi, non saresti caduta.»

   «Però sono stata io a scivolare addosso alla vostra amica, ed è sempre per colpa mia se la tua cartella si è rotta» continuò imperterrita lei, lasciando gli altri a chiedersi se non avesse battuto la testa, oltre che il ginocchio.

   Takumi cercò di venirle incontro. «Sono certo che tu ti sia spaventata. Ti va di bere qualcosa? Magari ti aiuterà a calmarti.»

   La sconosciuta volse i bellissimi occhi verdi su di lui e parve scrutarlo per qualche attimo con fare intontito. Quindi, come svegliata da chissà quale torpore, rispolverò il sorriso gentile che le era proprio e strinse la borsa al petto. Nel farlo, però, badò bene di acchiappare fra le dita e la cartella un lembo della corta gonna, così da mettere sotto al naso del ragazzo tutto ciò che avrebbe potuto mostrargli in quel frangente. «Grazie, sei davvero gentile.»

   Imbarazzato come non lo era mai stato in vita sua, eccetto forse la volta in cui aveva sorpreso la propria compagna di stanza in bagno quasi senza vestiti indosso, con fare signorile Takumi impedì ai suoi occhi di indagare troppo a fondo la questione, e subito scattò in piedi proprio quando Shiho avvertiva la ragazza di ciò che era successo e Akira rimaneva a fissare la scena a bocca aperta, mentre Nao, l’unica fra loro in grado di avvertire subito odore di imbroglio, rimaneva alquanto perplessa.

   «Oh, non me n’ero accorta!» mentì abilmente la sconosciuta in risposta alla graziosa Munakata. «Sono davvero una frana!» tentò allora di riparare al guaio, rimettendosi in piedi anche lei e chinandosi in avanti per scusarsi con il giovane. Sfortunatamente, però, non si ricordò di avere una divisa scolastica parecchio scollata nonostante fossero ormai in autunno e, così facendo, deliziò i presenti di un secondo spettacolo.

   Takumi indietreggiò di un passo, sempre più impacciato, mentre a quel punto Akira si tirò su con rabbia, mettendosi davanti a lui. «Ritengo che così possa bastare» proruppe, cercando di controllare il tono della voce affinché non risultasse troppo duro. «Non credi anche tu?»

   La rossa fu in procinto di rispondere, ma la discussione venne interrotta dal suono delle sirene della polizia, giunta sul luogo della rapina. E mentre i gestori della sala giochi spiegavano agli agenti cos’era accaduto, si vide la folla aprirsi in due: Mikoto stava tornando con il malfattore, trascinato da lei per una gamba.

   «Nao, guarda! L’ho preso!» esclamò la ragazza, felice, andando incontro ai suoi amici.

   Inutile descrivere la reazione dei testimoni: come aveva potuto, una ragazzina tanto minuta, acciuffare un rapinatore di quella stazza? Fra lo sbalordimento generale, Mikoto si ritrovò interrogata dai gendarmi che vollero assolutamente portare lei e gli altri testimoni alla più vicina stazione di polizia.

 

Insomma, quando le acque si furono calmate, i nostri cinque protagonisti, con sconosciuta al seguito, si riunirono finalmente attorno ad un tavolo in un bar nelle vicinanze. Takumi e Mikoto avrebbero preferito di gran lunga fare tappa al Linden Baum, benché più distante, così da poter godere anche della compagnia di Mai, ma Mari, la ragazza in cui si erano imbattuti, dovette scusarsi con loro perché le era impossibile tornare a casa tardi quel giorno.

   «Mi dispiace, oggi non ne faccio una giusta» si rimproverò, lo sguardo afflitto che vagava sui volti dei suoi compagni di sventura.

   «Non c’è problema, davvero» provò di nuovo a tranquillizzarla Takumi, guadagnandosi un’occhiataccia dalla kunoichi che gli sedeva accanto con aria tremendamente seccata.

   Tuttavia la mora non disse nulla e tornò a controllare che nella sua borsa non mancasse niente: libri e quaderni… c’erano; astuccio con le penne… c’era; contenitore per il pranzo… c’era; album da disegno… c’era. Fu proprio quest’ultima constatazione che riuscì a farla nuovamente rilassare al punto da poter dimenticare quanto accaduto poco più di un’ora prima. Il suo album da disegno era ormai come una seconda pelle, per lei, ed il fatto che sia Takumi che Mai avessero avuto modo di ficcanasarvi, seppur senza malizia, l’aveva in qualche modo infastidita: era come se avessero osato sbirciare nella sua intimità. Ma alla luce dell’evoluzione del suo rapporto con Takumi, Akira aveva deciso che, dopotutto, per quanto la cosa la facesse arrossire, poteva evitare di essere così fiscale almeno con il ragazzo e con la di lui sorella.

   Prese l’album dalla cartella e se lo posò sulle gambe, per evitare che altri, a parte lei e Takumi, potessero vederlo. Quindi, lo aprì per sfogliarne il contenuto, come a volersi accertare che anche i fogli ed i disegni fossero in buone condizioni come la copertina. Infine, un urlo agghiacciò i presenti, e tutti gli sguardi si focalizzarono sulla figura della kunoichi, troppo rossa e basita per poter ancora emettere il minimo suono.

   «A-Akira-kun…?» balbettò Takumi, spaventato dalla reazione della ragazza. «Stai bene?»

   Lei chiuse di scatto l’album da disegno e si alzò in piedi. «Torno subito» annunciò con voce malferma, afferrando la borsa e scappando verso la toilette, mentre tentava in tutti i modi di tenere nascosta l’espressione del suo viso ai presenti.

   Fu quando si ritrovò davanti all’ingresso dei bagni che, per forza d’abitudine, rimase per un lungo istante a contemplare la targhetta con l’omino che stava a segnalare la toilette per uomini e quella che stava invece a segnalare la toilette per donne. Merda, anche se portava ancora la divisa maschile, ormai non aveva più necessità di nascondere la verità agli altri, quindi perché stare a rifletterci su?! Infastidita oltremodo da questo nuovo pensiero, e da quanto accaduto nel corso del pomeriggio, Akira entrò nel bagno femminile e lo trovò vuoto con suo enorme sollievo. Poggiò la schiena alla porta e posò nuovamente lo sguardo sulla copertina dell’album da disegno che aveva fra le mani, il volto ancora imporporato per l’imbarazzo.

   D’un tratto si sentì spingere alle spalle e la porta si aprì, facendola sobbalzare. «Ero indecisa se cercarti qui o nel bagno degli uomini» fu il beffardo commento che annunciò l’entrata di Nao.

   La ragazzina si irrigidì. «C-Che vuoi?»

   «Che ti è successo? Perché sei scappata così?»

   «Non dirmi che eri preoccupata per me, perché non ci credo.»

   «Infatti non lo sono» non si sprecò in convenevoli la rossa. «Ero solo curiosa di sapere cos’ha quell’album da disegno di così sconvolgente» e nel dirlo fece segno con il capo verso l’oggetto che la kunoichi stringeva al petto.

   «Nulla.»

   Nao alzò gli occhi al cielo. «Credi davvero ch’io sia stupida?»

   «Che ti importa, scusa?»

   «Mettiamola così, allora:» cercò di essere diplomatica la maggiore, almeno per una volta in vita sua, «mi è stato imposto di sentirmi in debito con te, e di là abbiamo una ninfomane che ha preso di mira il tuo bel fidanzatino.»

   Seppur nuovamente rossa in viso per via delle ultime parole usate dalla sua senpai, Akira saltò su per una in particolare. «Come fai a saperlo?!»

   «Beh… ci è mancato poco che gli mostrasse anche le tonsille, sai?»

   «Ma no!» pestò un piede in terra nel tentativo di scaricare la rabbia che le montava ogni qual volta ripensava alla cosa. «Intendevo dire, come fai a sapere che quella…» e la voce le si spense per l’imbarazzo.

   Nao rise. «Su, dimmelo: cosa nasconde quell’album da disegno?»

   Indecisa se mostrarglielo o meno, la kunoichi si morse il labbro. «Credo sia una cosa personale… o meglio, voglio sperarlo…»

   «Come sarebbe “credo”? Non è tuo?»

   Akira scosse il capo. «Temo di aver raccolto quello sbagliato quando ho ripreso la mia roba da terra» iniziò allora a spiegare, abbassando lo sguardo. «Devo aver preso per errore l’album di quella tizia. Me ne sono accorta poco fa, sfogliandolo.»

   «Questo non spiega perché tu ti sia messa ad urlare e sia scappata via.» Ma non ottenendo risposta, Nao allungò una mano verso di lei. «Fammelo vedere.»

   «No.»

   «Allora torna lì e chiedile di restituirti il tuo, no?»

   La mora esitò. «Sarebbe oltremodo… imbarazzante.»

   L’altra aggrottò un sopracciglio. «Perché?»

   «Quella ragazza potrebbe voler verificare il contenuto dell’album che ha in borsa e… non me la sento di farlo.»

   «Perché? Che ci hai fatto su, dei disegni sconci su te e il tuo fidanzatino?»

   «I-Idiota!» starnazzò Akira, così rossa che sembrava stesse prendendo fuoco. «To’, guarda!» si arrese infine, gettandole l’album da disegno fra le mani.

   Soddisfatta, Nao lo aprì. Il suo sguardo si corrucciò. Quindi provò ad allontanare dal viso il disegno che stava guardando. Poi lo ruotò di novanta gradi. Infine, tentò di osservarlo a testa in giù.

   «Non si può dire che non abbia fantasia, quella ninfomane. E per dirlo io…» commentò allora, ridendosela non poco. «Piuttosto, mi stupisce il fatto che tu sia riuscita a decifrare quest’opera d’arte in un attimo» continuò, mostrando il disegno all’altra. E, per decenza, noi eviteremo di descriverlo.

   Colta di sorpresa, la kunoichi non fece in tempo ad evitare che l’occhio le cadesse sulla pagina e sobbalzò. Per sua fortuna, tuttavia, l’imbarazzo cedette il posto alla perplessità. «Cos’è?» osò domandare, non riuscendo minimamente a capire cosa vi fosse disegnato.

   Nao sghignazzò ancora. «Per analizzarlo a dovere, credo che ti ci vorrà un bel po’» le spiegò, tornando a girare l’album verso di sé per poterlo sfogliare con fare interessato. Fu quando incontrò una figura comprensibilissima che si fermò ed il suo sorriso si fece più largo. «Immagino sia questo, il disegno che hai visto tu prima» osservò, esibendolo alla sua kohai.

   Questa subito si ritrasse. «Non voglio vederlo di nuovo!»

   «Ora capisco il perché ti sia venuto un infarto,» convenne, richiudendo l’album e fissando la ragazzina con aria da sfottò, «anche se non sono convinta che tu sia così pura da non aver mai immaginato di fare cose del genere con Takumi.» L’espressione che Akira assunse a quelle parole, dovette essere terribile, perché Nao strabuzzò gli occhi e subito tentò di riparare alla cosa, senza però danneggiare troppo la propria immagine. «Stavo scherzando, rilassati… Sei ancora una mocciosa, dopotutto, e anche se così non fosse, è difficile pensare di potersi dare alla pazza gioia con uno che rischia di morirti addosso nel bel mezzo del divertimento.»

   La kunoichi si rifiutò di rispondere e le scippò l’album dalle mani, limitandosi a fissarla male, malissimo.

   «Sta bene» si arrese allora Nao, braccia conserte. «Se non vuoi chiederle la restituzione del tuo album da disegno, c’è solo una cosa che puoi fare.»

   «E sarebbe?»

   «Seducila.»

   «COSA?!»

   «Ninfomane com’è, di sicuro ci starà e tu potrai chiederle di mostrarti i suoi disegni. Che poi sono i tuoi.»

   «Sei matta?!»

   «In tutta sincerità, Okuzaki: come ragazza sei passabile, ma è stato come ragazzo che sei riuscita a tenere testa alla popolarità del fratello di Mikoto.»

   «E’ fuori discussione!» ribatté piccata Akira, per via dell’assurdità della cosa e, sotto sotto, anche per via dell’umiliazione che le procurarono quelle parole.

   «Preferisci che a farlo sia Takumi?»

   «Mi domando chi diavolo me lo fa fare di starti a sentire.» E quest’ultimo eccesso di collera le diede il coraggio necessario per uscire dalla toilette, pronta ad affrontare quel mostro sacro di perversione dai capelli rossi. E non stiamo parlando di Nao. Quest’ultima, invece, alzò le spalle rassegnata e la seguì.

   Ma ancora prima di raggiungere il loro tavolo, notarono una certa agitazione nel gruppo che avevano lasciato qualche minuto prima.

   «Mi dispiace! Sono mortificata!» si stava scusando per l’ennesima volta Mari, inchinandosi dinanzi a Takumi più del dovuto.

   «N-No, non preoccuparti…» tentava di evadere la marcatura lui, sudando freddo. E nel modo di alzarsi dalla panca sulla quale era seduto, Akira e Nao poterono ben notare una grossa macchia di gelato sul cavallo dei suoi pantaloni. Le due ragazze aggrottarono la fronte.

   «Aspetta, ti aiuto a pulirti!» si fece di nuovo avanti Mari, tirando fuori dalla tasca il fazzoletto. E nonostante le rassicurazioni di Takumi, e i di lui inviti a lasciar perdere per ovvie ragioni, la leggiadra fanciulla non si curò della cosa ed allungò la mano sulla preda.

   «TU, LURIDA…!» sbottò Akira, non trattenendosi ed avventandosi sui due, riuscendo così a bloccare il polso della rossa prima che questa potesse compiere il misfatto.

   «Akira-kun!» esclamò il giovane, intontito per quel salvataggio in extremis, ma sicuramente felice come se non la vedesse da almeno un decennio.

   Shiho, che aveva assistito alla scena senza poter essere d’aiuto a Takumi perché troppo stordita anche lei, ma dalle azioni di Mari, si scosse finalmente dal torpore e si affiancò ad Akira nel tentativo di spiegarle la situazione. «Ehm… ecco… è successo che…»

   «Questa tizia ha rovesciato il suo gelato sui pantaloni di Takumi» intervenne invece Mikoto, l’unica del gruppo ad aver mantenuto la calma da quando il rapinatore era stato arrestato. Apparentemente distratta dalla sua grossa e golosa coppa di gelato, la minuta studentessa del terzo anno delle medie del Fuuka Gakuen fissava gli altri con occhi tranquilli, senza stupirsi né di una Shiho in preda al panico né di una Akira sull’orlo di una crisi di nervi né di un Takumi che quasi si reggeva il cuore per via di un collasso né di una Mari che pareva soffrire per la presa ferrea che la kunoichi aveva sul suo polso né, infine, per una Nao quasi piegata in due dal ridere. «A me è parso che l’abbia fatto apposta» aggiunse, quindi, dopo aver ingollato una nuova cucchiaiata di gelato alla vaniglia.

   Parole che non giovarono alla collera di Akira, la quale fulminò l’assalitrice di Takumi con furioso rancore. Lei, la piccola, innocente e dolcissima Mari, invece, riuscì a trovare il coraggio di fissarla negli occhi purpurei e, incontrando quello sguardo così determinato, non poté fare a meno di rimanerne profondamente turbata: dopotutto, si disse, Akira era anche più bello di Takumi.

   Con il più teatrale degli svenimenti, la rossa le si buttò addosso nel tentativo di farsi stringere al petto, cosa che, pur volendo, la kunoichi non riuscì ad evitare: spinta da Mari, andò a cozzare con la schiena contro il proprio compagno di stanza che tentò di reggerla maldestramente per le spalle.

   «Ohi! Che cavolo ti prende, ora?!» esclamò Akira, impacciatissima per quel ruolo da protagonista in un sandwich gradito solo per metà.

   Mari riaprì lentamente gli occhi e li fissò in quelli di lei. «Perdonami, ho avuto un capogiro…» sussurrò con voce flebile, tentando di arpionarsi di più alla nuova preda.

   Questa si irrigidì più di prima nel sentire il suo viso tra i seni. «D-D’accordo, m-ma ora…» e si bloccò quando, sotto lo sguardo sconcertato di Shiho e Takumi, Nao le tolse di mano l’album da disegno per poterlo così scambiare in tutta tranquillità con quello che Mari aveva nella borsa. Fu a quel punto che Akira riacquistò padronanza di sé. Prese la gatta morta per le spalle, se la scollò poco gentilmente di dosso e recuperò un certo equilibrio sui piedi che le consentì di lasciare tirare un sospiro di sollievo a Takumi. «Senti un po’, tu…» iniziò allora la kunoichi, pur non sapendo se rimproverarla prima per averci spudoratamente provato con il ragazzo di un’altra o se piuttosto per averci spudoratamente provato anche con l’altra.

   Avvertendo il tono duro con cui lei le si stava rivolgendo, senza preavviso Mari scoppiò in lacrime e nascose il viso nel fazzoletto che aveva in mano, lasciando i cinque spiazzati. «Mi dispiace! E’ tutta colpa mia!»

   «Questa tizia sembra un disco rotto» sbuffò Nao, stanca di averla fra i piedi.

   «In effetti non fa altro che ripetere la stessa cosa…» bisbigliò Shiho, non sapendo come rendersi utile.

   «Avete frainteso le mie intenzioni, davvero!» singhiozzava frattanto la fanciulla conosciuta quel pomeriggio. «Non volevo mettere in crisi il vostro rapporto! E’ stato un incidente, lo giuro!»

   Takumi ed Akira sobbalzarono: non le avevano mica detto il tipo di legame che c’era fra loro, eppure Mari era stata comunque in grado di capirlo. Seppur lusingata dalla trasparenza dei sentimenti suoi e del giovane, la kunoichi non si lasciò commuovere troppo da quella pantomima – anche perché Nao fu così gentile da sventolare l’album da disegno dietro le spalle tremanti della rossa, ricordandole perciò di quanto poco c’era da fidarsi di una tipa del genere. «Anche se fosse, questo non ti dà il diritto di…»

   Il giovane Tokiha la fermò, facendosi avanti. «Quel che è stato è stato. Ora però basta discuterne, d’accordo?»

   «Takumi…» mormorò la mora, indispettita per tanta bontà fuori luogo: se lei avesse tardato ad intervenire, quella tipa gli avrebbe fatto un regalo con i controfiocchi. E davanti ad un intero nugolo di persone che se ne stavano annidiate nel bar quel pomeriggio.

   Finalmente un membro del personale intervenne per informarsi se ci fosse qualcosa che non andava e, rassicurandolo che era tutto risolto, il gruppo si diresse verso l’uscita.

   Ferma davanti all’entrata del locale per congedarsi dagli altri, Mari lanciò uno sguardo intimidito a Takumi che, sebbene fosse meno affascinante del suo compagno, era di sicuro molto più gentile. «Mi dispiace davvero tanto.» Nao ed Akira ruotarono gli occhi al cielo per la monotonia dei discorsi di quella tizia. «Spero che tu ed il tuo ragazzo possiate essere felici insieme.»

   Calò il silenzio. Quindi, la bella Yuuki, le lacrime agli occhi, fu sul punto di morire per via della mancanza d’ossigeno causata delle troppe risate, mentre Shiho imponeva a se stessa di non farsi contagiare da lei.

   Sempre più arrabbiata ed umiliata, Akira si affiancò a Takumi, rossissimo in volto e ormai privo della facoltà di parlare. «Guarda che non hai capito un accidenti!» ci tenne subito a precisare lei, domandandosi al contempo quante altre volte le sarebbe toccato spiegare la situazione agli estranei fino a che non avesse smesso l’uniforme maschile per indossare finalmente quella alla marinaretta.

   «Oh, non preoccuparti!» mise le mani avanti Mari come volesse calmarla anche a gesti. «Non ho nulla contro gli omosessuali» concluse, sorridendo gentilmente ai due.

   Akira esplose. «IO SONO UNA RAGAZZA, IDIOTA!» non le riuscì di trattenersi dall’urlare a pieni polmoni, ottenendo così di attirare l’attenzione di chiunque si trovasse lì intorno, nel raggio di circa mezzo chilometro. E, nonostante l’ira, dovette ammettere che quell’urlo le giovò non poco: da quanto moriva dalla voglia di gridarlo al mondo intero? Da una vita, probabilmente.

   Mari trasecolò, portandosi entrambe le mani davanti alla bocca. «Non lo sapevo! Mi dispiace da morire!» strillò, giusto per assicurarsi che proprio tutti i passanti li stessero fissando. «Ecco perché prima mi sembravi morbida sul petto!»

   Sempre più rossa, Akira incrociò le braccia sui seni. «B-Beh, ora lo sai!»

   «Sono imperdonabile!» continuò nel mea culpa la ragazza dai capelli fiammeggianti, tornando ad inchinarsi davanti ai due.

   Per evitare di farle del male, la kunoichi preferì sfogare la frustrazione e la rabbia – sempre crescente – sul poveretto che l’affiancava. Lo afferrò per la manica dell’uniforme e lo strattonò via da quella visione infernale costituita da un reggiseno verdino con un ippocampo ricamato su ogni coppa.

   «Anch’io voglio un reggiseno!» esclamò ad alta voce Mikoto, intromettendosi nel momento meno opportuno ed alzandosi la blusa della divisa per far vedere agli altri che ne era ancora sprovvista.

   Shiho le bloccò prontamente i polsi. «Sta’ ferma! Te l’abbiamo pur detto almeno cento volte che non devi farlo!»

   «Forse non servirà a scusare la mia impudenza, ma voglio chiedervi scusa ufficialmente!» si propose Mari, armata delle migliori intenzioni, ignorando le due. «Se volete, domenica mattina possiamo vederci di nuovo qui! Vi offrirò quello che vorrete!»

   «No, grazie!» tagliò corto Akira. «Fortunatamente io e Takumi saremo in un altro continente, domenica, quindi non serve.»

   Domandandosi se stesse scherzando o se cercasse semplicemente di tenerla alla larga da lei e dal ragazzo, i pensieri dell’altra furono interrotti dal timido intervento di Shiho. «Ehm… Mari-chan, ma tu non avevi detto di avere un impegno?»

   «Oh, è vero! Devo scappare!» sussultò lei, gettando un occhio all’orologio. «E’ stato un piacere avervi conosciuti» salutò, ripetendo il suo fatale inchino che, se Takumi non avesse trattenuto Akira per le spalle, le sarebbe senz’altro andato di traverso.

   E mentre lei era sul punto di allontanarsi, qualcuno venne loro incontro. «Mi era parso di sentire delle voci familiari, e infatti non mi sbagliavo…»

   «Ani-ue!» saltellò Mikoto, tutta contenta, schizzando verso di lui per circondargli il torace con le braccia.

   «Vivace come al solito, eh, Mikoto-chan?» rise il fu Kokuyou, alzando prontamente l’arto ferito per evitare che lei glielo stritolasse nell’abbraccio. Si rivolse poi agli altri ragazzi. «Dove state andando di bello?»

   «A casa» rispose seccata Akira, lanciando uno sguardo in tralice a Mari. La quale, visto Reito, pensò bene di inciampare non si sa bene dove e di cadere sulla schiena a gambe all’aria, improvvisando, già che c’era, anche una spaccata frontale per consentire ai signori maschietti di rallegrarsi più di quanto fosse consentito.

   «Ehm… la tua gonna…» tentò di farle notare il maggiore degli studenti del Fuuka Gakuen, impacciato.

   «Lascia perdere,» sospirò Nao, asciugandosi le lacrime dopo aver finito di ridere una volta per tutte, «tanto, anche se glielo fai notare, poi decide di farsi perdonare smanettandoti la patta dei pantaloni.»

   E mentre Reito rimaneva stordito da tale rivelazione, Akira, che ormai trascinava già da diversi istanti il suo Takumi lontano da quella malata mentale e dalle sue mutandine che facevano pendant con il reggiseno, non poté fare a meno di sbuffare: «Se avessimo saputo che le cose sarebbero andate in questo modo, per noi sarebbe stato meglio declinare l’invito di oggi.»

   Il giovane sorrise divertito. «Allora ti conviene evitare di portare rancore per il futuro.»

   «Oh, consideralo fatto.»

   «Anche verso Mari-san?»

   «…»

   «Akira-kun!»







Giuro che questa fanfic era partita con le migliori intenzioni, e invece mi sono poi ritrovata a scrivere una cosa che non stava né in cielo né in terra. Chiedo scusa ai lettori, per questo.
Ora, per chi non avesse colto la cosa, Mari sarebbe una sorta di parodia di Mary Sue, anche se mi rendo conto che, vista la sua malattia mentale, non pare rispecchiarla del tutto. Confesso quindi di essermi pesantemente ispirata al personaggio di un gioco di ruolo a cui mi sto dedicando da alcuni anni, un personaggio (dal nome diverso) che era sputata a Mary Sue, eccetto per la particolarità di ritrovarsi casualmente sempre mezza nuda davanti a tutti (specie davanti ai maschi) e di causare non pochi casini fra i signori uomini e le loro fidanzate/mogli. Ah, ma mica lo faceva apposta, eh! Era solo maldestra, la tr... ehm! Scusate.
Non so quanto sia scritta correttamente né se vi siano sviste, errori o ripetizioni, perché questa shot è stata scritta tra ieri e oggi, fra crisi isteriche dovute alla scoperta di ben tre plagi ai miei danni su un altro sito, e per di più la mia beta, NicoDevil, per tutta la durata della lettura non ha fatto altro che ridere, chiamandomi "assassina", senza però correggermi altro che una letterina digitata al posto di un'altra. Dovrò cambiare beta, se continua così. (Scherzo, Devil, abbassa quell'ascia! O_O)
Un bacio a tutti e grazie per la fedeltà con cui continuate a leggere le mie idiozie. ^^
Shainareth
P.S. Al di là della scemenza di fondo di questa storia, confesso di aver adorato non poco Nao, qui.





  
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