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Autore: Hesper    09/04/2014    3 recensioni
"Le fitte nello stomaco di Bakura aumentarono d'intensità. Aveva la sensazione che, di lì a poco, sarebbe successo qualcosa di orribile."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Touzoku-ou Bakura
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nei pressi della zona situata vicino a Tebe, conosciuta con il nome di Ta-sekhet-a’at, l’odierna Valle dei Re, erano un tempo collocati alcuni villaggi e città, tutti sottostanti alle leggi imposte dall’uomo che regnava sull’esteso regno d’Egitto, ovvero il faraone.
Tra tutti questi piccoli agglomerati urbani, se così si potevano chiamare, ve ne era uno, il quale era conosciuto come “il villaggio dei ladri”, nonostante il suo nome ufficiale fosse Kul Elna.
Questo villaggio era costituito da diverse abitazioni di modesta dimensione costruite l’una vicina all’altra sul pendio di una collina rocciosa, ed era molto povero di sentieri, in quanto ve ne era solamente uno, quello principale, che, di fatto, divideva a metà l’insieme di dimore, diramandosi in seguito in angusti sentieri che separavano ciascuna casa da quelle vicine.
Oltre che presentare una semplice struttura, Kul Elna era anche povero di abitanti. Questi ultimi, tra l’altro, svolgevano tutti quanti la stessa occupazione, la quale era assai disonorevole secondo gli usi e i costumi del tempo: erano dei ladri, per la precisione dei profanatori di tombe, ed è proprio da qui che deriva il secondo nome del villaggio. Infatti loro, in qualità di discendenti dei fidati costruttori di tombe al servizio del sovrano dell’Alto e Basso Egitto, erano a conoscenza della struttura, e, cosa più importante, delle misure di sicurezza applicate all’interno delle piramidi o di semplici cripte che fungevano da tombe ai sovrani oramai deceduti. Perciò, quando si trattava di commettere furti nelle tombe, per loro non si presentavano grossi problemi.
E fu proprio per questa ragione che il faraone, o meglio, suo fratello Aknadin, aveva designato questo piccolo villaggio come sede dello svolgimento di un’alchimia finalizzata a dar luce a sette tesori d’oro che sarebbero poi stati utilizzati per la salvezza del regno, al momento in periodo di crisi a causa delle guerre.
Per fabbricare questi oggetti, conosciuti come Sennen Items, diceva il Sennen no Majyutsu Shou*, bisognava appunto effettuare un rituale grazie alla Magia Nera, che, in questo caso, prende il nome di Alchimia Oscura, sacrificando novantanove esseri umani, trasformando in seguito le loro membra e il loro sangue in oro.
Un atto davvero disumano. Ma, tanto, quelli erano solo dei criminali, pensava il sacerdote, tutto ciò che sapevano fare era profanare le tombe, disonorando e facendo adirare i loro déi e il loro sovrano. Erano dei traditori, dei bravi lavoratori finiti male, dei poveracci…
Nessuno si sarebbe mai accorto della loro assenza, a meno che qualcuno non avesse avvisato la gente dell’accaduto, cosa peraltro improbabile…
Quella era un’occasione a dir poco imperdibile. Perciò, il fratello minore di Aknamkanon non esitò a far partire la spedizione contro questo villaggio, o meglio, contro i suoi abitanti.
 
 
Era già da tempo calata la notte nel villaggio di Kul Elna.
Un bambino di circa cinque anni aprì gli occhi lentamente, essendo stato interrotto il suo riposo, realizzando subito, però, a giudicare dal fatto che non vi era alcun tipo di luce, che non sarebbe ancora stata l’ora di alzarsi, in quanto il nuovo giorno non era ancora arrivato.
L’unica cosa che non si chiese in quel momento fu il motivo del suo risveglio prematuro, in quanto ne era già a conoscenza.
Anche da sveglio, continuava a sentire delle grida disperate provenire dall’esterno, delle richieste di aiuto, rumori di percosse, di vasi rotti, di porte abbattute…
La prima cosa che gli venne in mente di fare fu cercare conforto e spiegazioni dai suoi genitori, i quali dormivano proprio accanto a lui.
“Mamma? Papà?” disse il piccolo, scuotendo con le mani paffute i corpi dormienti dei genitori.
“Hmm… Cosa c’è, figlio mio?” chiese la madre, guardando il suo bambino con occhi pesanti a causa della stanchezza.
“I-Io ho paura… Si sentono delle grida e dei rumori forti provenire dall’esterno… Che succede fuori…?” rispose il bimbo, turbato dalle sue stesse parole.
“Delle grida? Dei rumori strani?” chiese poi il padre “È vero… Aspettatemi qui tutti e due, guardo dalla finestra che cosa sta succedendo lì fuori.”
L’uomo quindi si alzò, affacciandosi in seguito dalla finestra rivolta proprio verso la strada principale del villaggio.
Mai l’avesse fatto.
Fuori si era scatenato un caos paragonabile soltanto a quello dell’Inferno: i soldati del faraone, infatti, avevano fatto irruzione a Kul Elna, scatenando il panico generale tra tutti gli abitanti, i quali si ritrovarono tutti fuori dalle loro abitazioni per trovare un rifugio lontano da quei selvaggi.
Alcuni si erano dati appunto alla fuga, anche se, prima o dopo, sarebbero stati poi catturati e uccisi dai soldati. Altri cercavano di ribellarsi, ingaggiando combattimenti contro gli invasori, cadendo però miseramente, in quanto non armati. Le donne e i bambini, invece, venivano picchiati, maltrattati e uccisi senza alcuna pietà.
“Che succede là fuori, papà?” chiese il bimbo, avvicinandosi al padre e tirandogli il gonnellino, come per attirare la sua attenzione.
“I soldati del faraone stanno attaccando il nostro villaggio.” Disse l’uomo, venendo subito al dunque e, allo stesso tempo, spaventato da ciò che aveva appena visto “Se rimaniamo qui anche solo per un attimo, ci uccideranno senz’altro.”
“Cosa?!” esclamò la donna, spaventata anche solo dalle parole del marito “Allora muoviamoci! Usciamo da qui e mettiamoci in salvo!”
Ciò detto, tutta la famiglia uscì di corsa dall’abitazione, cercando di tenersi il più lontano possibile dai soldati.
Mentre correvano per mettersi in salvo, però, alcune guardie reali li videro, dirigendosi in seguito proprio verso di loro. Sia padre, madre e figlio spalancarono gli occhi dal terrore di essere uccisi da quegli esseri senz’anima, ma, in un momento di lucidità mentale, l’uomo disse ai suoi familiari:
“Voi due pensate a trovare un nascondiglio. Io cercherò di distrarli un attimo, in modo tale che voi possiate prendere del tempo per seminarli.”
“Ma…” cominciò la moglie, sconvolta dalla decisione del coniuge.
“Niente ma. Fate in fretta, scappate per tener salva la vostra vita! Va’, mia donna, e anche te Bakura, figlio mio.”
Detto ciò, Bakura e sua madre si allontanarono dall’uomo, il quale, una volta presentatisi davanti a lui i soldati, ingaggiò un combattimento contro questi ultimi.
Durante la fuga, il piccolo non poté fare a meno di voltarsi indietro per riuscire a vedere se il padre era ancora lì a scontrarsi con quelle bestie o se li stava già raggiungendo, segno del fatto che aveva avuto la meglio sugli avversari.
Nessuna delle sue due ipotesi, però, si rivelò corretta. L’unica cosa che vide in lontananza fu il cadavere del padre, immerso in una pozza di sangue, sdraiato prono proprio ai piedi di coloro che gli avevano appena tolto la vita.
Il bimbo, vedendo quell’orribile spettacolo, si arrestò, provocando la stessa reazione nella madre, la quale gli chiese:
“Cosa ti prende, Bakura? Non fermarti!”
Il piccolo rimase impassibile, come se avesse ignorato le parole della madre, mentre delle lacrime cominciarono a scendergli giù per le sue guance paffute.
Le uniche parole che gli vennero fuori in quel momento furono:
“No… Papà…”
La madre, sentendo ciò, tolse lo sguardo dal suo bambino, per poi rivolgerlo verso il punto in cui suo marito combatteva per la loro incolumità, vedendolo oramai privo di vita.
“No…” disse la donna, anche lei sconvolta, trattenendo le lacrime e soffocando un grido per essere forte per il figlio.
“Andate di là, presto! Non lasciate nessuno vivo!” esclamò un soldato ai suoi due compagni, guardando il punto dove Bakura e sua madre si trovavano.
Questi ultimi, sentendo queste parole, uscirono fulmineamente dal blocco psicologico causato dal decesso di un membro della loro famiglia, riprendendo immediatamente a correre per seminare i tre soldati che, probabilmente, li stavano inseguendo.
Loro malgrado, però, la loro fuga fu nuovamente interrotta, poiché la giovane donna, in preda alla fretta e, soprattutto, al panico, inciampò su un sasso, cadendo a terra e ferendosi gravemente le ginocchia e una caviglia.
“Mamma!” esclamò Bakura, abbassandosi verso la madre e poggiando una mano sulla sua schiena, come per esortarla a rialzarsi e riprendere la fuga.
“Figlio mio…” disse quella “Non aspettarmi. Rischieresti di morire. Mettiti in salvo.”
“Ma dove? Niente è sicuro qui: dovunque tu vada, quelli ti trovano e ti uccidono!”
“C’è ancora un posto di cui, probabilmente, non sono a conoscenza. Qui a Kul Elna si trova un tempio sotterraneo, dove un tempo si svolgevano le celebrazioni in onore degli déi… Va’ lì a nasconderti, e non uscire finche non sarai certo che sarà tutto finito.”
“Ma tu cosa farai? Non posso lasciarti qui, quelli ti faranno del male!”
“Non preoccuparti per me, piccolo mio…” disse quella, accarezzando dolcemente la guancia del figlio “La mamma se la caverà da sola. Ma ora sbrigati!”
“Ma…”
“Corri, Bakura! Mettiti in salvo!”
Sentito ciò, il bimbo riprese a correre, dirigendosi verso il tempio sotterraneo che la madre gli aveva indicato poco prima.
Arrivato a destinazione, scese lentamente per la rampa di scale, intimorito dal fatto che, anche in quel luogo, potessero esserci stati dei soldati pronti ad ucciderlo.
Controllò meticolosamente ogni passo che compiva, come per non fare rumore, e, qualche volta, voltò indietro il capo, avendo la sensazione che qualcuno lo avesse seguito.
Fu oramai a pochi gradini dal raggiungere il naos, quando, vedendo in lontananza delle ombre, si arrestò, premendo la schiena sul lato destro del corridoio.
“C’è qualcuno qui! Adesso cosa faccio? Mi vedranno senz’altro!” pensò Bakura, cominciando a sentire delle fitte allo stomaco per la paura.
Si guardò intorno, come per cercare un nascondiglio, quando i suoi occhi s’illuminarono nel vedere una diramazione nel percorso: infatti, in quel caso, poteva nascondersi dietro al muro che separava le due strade, in modo tale da avere la vita salva. E così fece.
A causa della sua innata curiosità in quanto bambino, sporse la testa dal muretto che lo teneva lontano dalla vista di presunti soldati, rivolgendo lo sguardo verso il naos del tempio in cui si trovava.
Non si distingueva dagli altri luoghi sacri per grandezza, ma per l’atmosfera cupa che lo circondava: infatti, le torce di una luce opaca che illuminavano la stanza facevano scaturire a tutti coloro che si trovavano all’interno di quest’ultima una qualche sensazione di inquietudine.
Affacciatosi quindi Bakura dal suo nascondiglio, non vide però soldati, bensì cinque uomini incappucciati, i quali confabulavano riguardo a qualcosa.
“È tutto pronto?” disse uno di questi.
“Sì, Aknadin-sama.” Rispose un altro “I preparativi per l’Alchimia Oscura sono stati effettuati. Ora dobbiamo soltanto aspettare l’arrivo dei nostri soldati, così potremo finalmente dare inizio al rituale.”
“D’accordo.”
“A-Alchimia Oscura?” pensò il bimbo, sentendo le gambe tremare a causa della paura “Cosa… vogliono dire con questo?”
Bakura prestò più attenzione a ciò che si trovava all’interno del naos, e vide sistemato, proprio al centro della stanza, un grande calderone, le cui maniglie erano collegate ad una struttura circolare costruita sul soffitto per mezzo di alcune catene, e vicino al quale si trovava una grande costruzione rotonda in pietra con un piccolo foro in mezzo.
Vedendo tutto ciò, il piccolo non poté fare a meno di farsi un sacco di domande: a cosa serviva tutta quella roba? Come mai quei cinque uomini si trovavano in questo tempio? Avevano a che fare con il massacro che stava avvenendo proprio in quel momento nel suo villaggio?
Le fitte nello stomaco di Bakura aumentarono d’intensità. Aveva la sensazione che, di lì a poco, sarebbe successo qualcosa di orribile.
Stava già facendo alcune teorie sull’utilità del calderone e della grande tavola di pietra, quando le sue riflessioni furono interrotte dalle ennesime grida di terrore e dolore che, oramai, avevano invaso la zona, rendendola come un Inferno sulla terra. I soldati, infatti, avevano fatto il loro ingresso all’interno del tempio, conducendo con loro circa un centinaio di persone, tutte marchiate nel volto dal panico e dalla sofferenza psicologica. Non smettevano mai di implorare aiuto, nonostante, dentro di loro, si fossero già rassegnati del fatto che nessuno gli avrebbe mai potuti portare via dal loro triste e inesorabile destino. Così, però, non facevano altro che contagiare tutti coloro che si trovavano intorno a loro, pervadendo i loro animi di paura e privandoli di ogni speranza. O almeno questo era l’effetto che stavano provocando nel povero bimbo nascosto dietro quel muretto all’insaputa di tutti coloro che si trovavano, in quel momento, in quel tempio. Nonostante la paura che stava ormai prendendo il possesso del suo spirito, Bakura decise comunque di continuare a guardare la scena, poiché mosso dalla curiosità, la quale, paradossalmente, stava avendo la meglio sull’inquietudine.
“Soldati” iniziò uno tra i cinque uomini incappucciati, per la precisione quello che, da uno dei suoi colleghi, era stato chiamato Aknadin-sama “Potete dare inizio ai sacrifici!”
Sentendo ciò, i soldati non esitarono nemmeno per un istante ad uccidere tutti coloro che erano stati portati a forza all’interno del tempio. Ma, purtroppo, non si limitarono solamente a quello: una volta tolta la vita alle persone, gettarono infatti ad uno ad uno i corpi di queste ultime all’interno del calderone, il quale era pieno di un liquido denso che, ad occhio e croce, poteva essere metallo fuso.
Tutto questo venne compiuto sotto lo sguardo apatico di quei maghi e dei soldati, ma, cosa ben peggiore, sotto lo sguardo di un bambino di cinque anni.
A quella vista, Bakura non poté fare a meno di sbarrare occhi e bocca, disgustato e terrorizzato da ciò che quelle belve stavano facendo ai suoi compaesani, uomini, donne o bambini che fossero.
Non riusciva a credere ai suoi occhi. Per un attimo aveva appoggiato l’idea che quello fosse solo un orrendo incubo, e che, dopo non molto, si sarebbe svegliato tra le calde e protettive braccia dei suoi genitori.
Ma, purtroppo, le cose non stavano così. Quella che si presentava davanti ai suoi teneri occhi ingenui era la dura e cruda realtà, e, cosa ben più frustrante, lui non poteva fare nulla per impedire tutto ciò.
“Ne manca ancora uno.” Disse uno tra i sacerdoti, con un tono composto che non si addiceva per nulla alla gravità dell’atto che anche lui aveva approvato.
Sentendo ciò, i soldati condussero insieme a loro una giovane donna, non molto alta, dai capelli lunghi e bianchi e grandi occhi del colore del ghiaccio, i quali, nonostante tutto, non sembravano aver ancora perso la vitalità che, solitamente, presentavano. La cosa però che saltava di più all’occhio di lei in quel momento non erano i suoi tratti somatici, benché fossero insoliti soprattutto in un paese come l’Egitto, ma il fatto che gran parte del suo corpo presentava ferite non di poco conto: infatti, sia il suo volto che le sue braccia erano piene di lividi e tracce di sangue, mentre le sue ginocchia erano entrambe sanguinanti, in quanto ferite.
“Lasciatemi andare! Vi prego! Non voglio morire!” gridò quella, dimenandosi con veemenza dalla presa dei due soldati che la tenevano ferma.
Era sorprendente quanta energia avesse ancora quella giovane donna, malgrado lo stato in cui era ridotta. Ma, purtroppo, questa sua forza non durò per molto: un altro soldato, infatti, avvicinandosi alla donna, le trapassò il cuore con la sua lunga lancia. Quella, oramai morta, cadde pesantemente a terra, facendo svanire dai suoi bellissimi occhi tutta l’energia e, bisogna ammetterlo, anche la paura che, poco prima, stava dimostrando palesemente.
Bakura, assistendo a quella scena straziante, mostrò segni di cedimento, piangendo silenziosamente. Aveva riconosciuto quella persona. Quella giovane donna era infatti nientemeno che sua madre. Nonostante ciò, però, non si girò dall’altra parte, né chiuse i suoi occhi oramai pieni di lacrime, ma decise di guardare persino il momento in cui il corpo inerte della persona che lo aveva cresciuto fu gettato, come quello di tutti gli altri, nel grande calderone.
A seguito di ciò, quest’ultimo fu sollevato grazie a tre uomini, i quali tirarono verso il basso la catena con cui era stato legato alla struttura costruita sul soffitto, e il liquido al suo interno fu versato nel foro situato al centro della lastra di pietra, la quale funse da stampo per la creazione dei sette tesori.
Dopo non molto, questa struttura fu distrutta a colpi di martello, e il risultato che ne uscì fu un’ulteriore tavola di pietra con sette oggetti d’oro incastonati, i quali furono subito presi dai sacerdoti che, a seguito di ciò, se ne andarono dal luogo in questione.
Fu proprio in quel momento che Bakura uscì finalmente dal suo nascondiglio, pur essendo ancora terrorizzato a causa di ciò che era appena accaduto. Si recò a passi lenti proprio vicino alla tavola in cui, poco tempo prima, si trovavano i Sennen Items, inginocchiandosi vicino ad essa e lasciandosi finalmente andare, emettendo un sonoro grido straziante, il quale segnò l’inizio di un lungo pianto.
Tutto questo solamente per creare degli stupidi artefatti? Perché? Perché doveva capitare questa tragedia? Cosa avevano fatto di male gli abitanti di Kul Elna per meritarsi tutto questo? Perché compiere questi atti disumani? Non erano, in fondo, anche loro degli abitanti del Regno, come tutti gli altri?
Le domande nella testa del bimbo erano tante, tutte però senza risposta.
Solo di una cosa era certo: qualcuno doveva portare giustizia a quella gente. E sarebbe stato compito suo farlo. La persona che aveva permesso il compimento di quegli atti orribili, colui che gli aveva, solamente in una notte, portato via tutto e fatto crollare il suo piccolo mondo, doveva pagare. Doveva morire.
 
 
Note
*Il libro della magia dei mille anni.
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Salve!
Lo so, è difficile liberarsi di me…
Ad ogni modo, questa oneshot è la riflessione di come io mi immaginavo il massacro di Kul Elna, che, se mi permettete un commento, è stato un atto veramente orribile che non sarebbe dovuto mai accadere.
Vi dico che, per comporre la storia, mi sono attenuta il più possibile alle immagini che si trovano nel manga (e nell’anime), le quali, purtroppo, erano veramente poche. Ed è proprio per questo che gran parte delle scene me le sono dovute inventare io…
Spero davvero che vi sia piaciuta, anche se era piuttosto deprimente, e sarei molto felice se ricevessi una recensione da parte di qualcuno di voi gentilissimi lettori. In fondo, fa sempre piacere sapere le opinioni che hanno gli altri dei propri scritti, siano queste positive o negative (eh già, anche quelle servono, ma solo se sono consigli).
Ora vi lascio. Alla prossima (se mi verrà qualche altra idea)!
-Hesper
 
  
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