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Autore: oswin_    10/04/2014    2 recensioni
E se Regina fosse stata rinchiusa nel Vaso di Pandora prima che potesse lanciare la Maledizione?
E se la principessa Emma ritrovasse questo Vaso di Pandora vent'otto anni dopo, senza essere a conoscenza della sua storia?
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Dal testo:
In pochi cuori regnava la verità: una verità che non veniva mai accennata, una verità che taceva nei ricordi di coloro che sapevano. Se ne raccontavano miti e leggende, come se la Sua esistenza fosse solo mera invenzione, ma la vera storia non venne più raccontata. Da vent’otto anni ormai non c’era più terrore nel regno, ma solo pace e serenità – e ignoranza. Ignoranza perché si preferì dimenticare, si preferì non divulgare la tumultuosa storia di quel regno.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: David Nolan/Principe Azzurro, Emma Swan, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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In pochi cuori regnava la verità: una verità che non veniva mai accennata, una verità che taceva nei ricordi di coloro che sapevano. Se ne raccontavano miti e leggende, come se la Sua esistenza fosse solo mera invenzione, ma la vera storia non venne più raccontata. Da vent’otto anni ormai non c’era più terrore nel regno, ma solo pace e serenità – e ignoranza. Ignoranza perché si preferì dimenticare, si preferì non divulgare la tumultuosa storia di quel regno: rimase tutto nelle mura di quel castello, e neanche in tutte. I regnanti ne erano a conoscenza, come anche i sette cavalieri ufficiali del regno: ma lei no. Viveva nella fittizia convinzione che nel regno fosse sempre regnata la pace e la serenità. Credeva questo, la principessa Emma. Non sapeva cosa realmente fosse successo in passato ai genitori, e loro non riuscivano a comprendere come lei potesse essere una principessa così maledettamente fuori dagli schemi.

 
« Padre, dov’è la Vostra armatura? » L’erede al trono fece irruzione nella camera da letto dei regnanti, spalancando la porta e trovandoli intenti a conversare sul possibile nome della prole in procinto di nascita. Emma roteò gli occhi e si avvicinò all’armadio – costruito in legno d’acero da Geppetto –, cercando gli abiti corazzati del re.
« L’ho lasciata alle scuderie, Emma. » All’affermazione dell’uomo seguì uno sbuffo da parte della principessa, subito interrotta dalla melodiosa voce di Biancaneve, che s’infranse nell’aria.
« Vieni, aiutaci a scegliere il nome. » Con aria sognante portò una mano sul proprio ventre, rigonfio di vita e di gioia. Emma aggrottò la fronte, nuovamente disturbata da quella vita principesca a cui era sottomessa, disturbata da quella vita principesca che le imponevano.
« Avanti, proponete. » E così dicendo si alzò le maniche del vestito celeste e incrociò le braccia dinnanzi al petto, con fare tutt’altro che femminile che James accolse con poco consenso, guardandola con uno sguardo di rimprovero che ben presto, però, svanì.
« Pensavamo ad Eleanor, in caso fosse una bambina. » Riflettendo sulle parole della madre, Emma andò a sedersi sul baule situato davanti al giaciglio dei genitori, rivolgendo loro lo sguardo.
« Che ne pensato di Regina? » Un sorriso divertito si manifestò sul viso di Emma, consapevole che – per qualche ragione a lei sconosciuta – quel nome riusciva a catturare l’attenzione dei genitori, in un modo o nell’altro. Notò infatti la madre sgranare lo sguardo, e riprese parola.
«Ma sì, come la donna di tutti quei miti… Ad ogni modo, spero sia un maschio. » Si alzò dal baule, dirigendosi verso la porta, ma venne interrotta dalla voce bassa del padre James, che intervenne con una ulteriore questione – dopo essersi calmato dall’aver udito il nome dell’EvilQueen.
« E come vorresti si chiamasse, in caso fosse maschio? »
« Henry. »

 
Si inoltrò nella Foresta Nera dopo aver recuperato l’armatura del padre. Amava quel luogo, l’affascinava particolarmente e spesso si rifugiava lì alla ricerca di misteri, misteri che raramente non si manifestavano – perché quello era la Foresta Nera, un colossale mistero celato dal silenzio. Celato da un silenzio troppo assordante per essere realmente considerato tale. Quello fu solo l’ennesimo pomeriggio trascorso a cavalcare tra le fronde fitte della foresta, l’ennesimo pomeriggio trascorso a essere sé stessa.
Perché lei non era nata per essere una principessa, lei era nata per essere un qualcuno che non sapeva neanche ben definire, e neanche avrebbe saputo dire con certezza se quello fosse il suo mondo, se quello fosse l’universo in cui sarebbe dovuta vivere – perché lei sapeva, tutti sapevano, che di altri – di altri mondi – ce n’erano a iosa. Lei non apparteneva a quella realtà, lei aveva bisogno di altro.
Non sapeva cosa, ma non quello.
Non voleva ereditare un regno, né tantomeno sposarsi con qualche principe. E non perché rifiutasse l’idea dell’amore, ma perché trovava estremamente noiosi quegli omaccioni buoni a nulla.
Raggiunse il ventre della selva quando il sole regnava in tutto il suo splendore nel cielo, donando alla foresta alcuni – frastagliati – raggi solari che riuscivano a far apparire quel luogo meno oscuro di quanto non raccontassero. Emma scese da cavallo, andando ad allacciare le briglie di cuoio ad un ramo basso del primo arbusto che le capitò a tiro. Recuperò la spada dall’armatura e iniziò a rigirarla tra le mani, essendo ormai esperta con quel tipo d’arma: non le permettevano di combattere, ma molte erano le giornate che trascorreva lì – nascosta dal resto del mondo – ad allenarsi. E così accadde anche quel giorno: si sistemò di fronte ad un vecchio salice, a qualche metro di distanza da esso, e iniziò a fissarlo con insistenza, con la spada salda tra le mani.
Temeva il peggio ogni volta che si soffermava ad osservare qualcosa con insistenza: troppo spesso le era capitato che degli oggetti, sotto al suo sguardo, –  in momenti di particolare tensione – prendessero fuoco d’improvviso, senza una spiegazione logica – ma, per fortuna, era consapevole che in quel mondo la magia non era poi così tabù.
Osservando il centro del salice alzò le mani sopra al capo, espirando profondamente e concentrandosi sul suo obiettivo: centrare il tronco dell’albero a distanza – erano giorni che ci provava. Tutti tentativi vani, inutili. Per quanto si sforzasse, non ci riusciva. E poi fu un attimo: le sue braccia scattarono in avanti e le mani lasciarono l’impugnatura dell’arma, permettendo alla spada di volteggiare nell’aria, dirottando il proprio volo e sparendo in un punto non ben preciso. Quello di Emma fu uno sbuffo esausto, subito seguito dal rumore dei suoi passi che si affrettavano ad andare a recuperare l’arma del padre – che mai  avrebbe dovuto perdere, o rovinare.
Perché i suoi genitori non dovevano assolutamente sapere che maneggiasse le armi.
Superò il salice piangente e s’infiltrò verso il lato più oscuro della foresta, rischiando più volte di farsi male. Il suo sguardo chiaro saltava da un lato all’altro dell’ambiente a lei circostante, senza però riuscire ad individuare l’arma.
Fu solo dopo una buona mezz’ora, che Emma riuscì a riconoscere lo scintillio della spada al fondo di una grotta. Inclinò il proprio busto e assottigliò lo sguardo, avanzando a passi lenti fin quando non sentì una spiacevole sensazione sotto ai piedi. Una sensazione di viscido, una sensazione che ben presto si trasformò nella causa che la fece scivolare all’interno di quel buco nero.
Scivolò per diversi istanti, sentendo l’aria divenir sempre più sgradevole e notando dell’acqua stagnate grondare dall’alto della caverna. Quando fu finalmente giunta al capolinea di quella fastidiosa scivolata, si ritrovò con la schiena poggiata contro un piedistallo in pietra al quale si aggrappò per sollevarsi. Non appena fu in piedi, il suo sguardo non poté far altro che soffermarsi su una scatola cubica presente sul piedistallo, emanante una luce rossa che di certo non era quella della spada.
Emanava anche uno strano calore, uno strano calore che la pervase e fu come se l’obbligasse ad allungare una mano verso di essa. Una mano che di fatto si allungò verso quel cubo e che, non appena lo sfiorò, fu obbligata a ritrarsi.
Fu obbligata a ritrarsi perché Emma fu colta da una scomoda sensazione di disagio, perché Emma fu colta da un terrore nel notare una strana luce sinistra irradiare tutto l’ambiente. Indietreggiò di qualche passo e socchiuse gli occhi, girando leggermente il viso da un lato.
Il suo sguardo riprese vita solo nel momento in cui la luce cessò di esistere, lasciando spazio ad un buio inquietante, che non permetteva alcuna visione.
« Chi devo ringraziare per questo? » Una voce di donna – che di certo non apparteneva ad Emma – si diffuse nell’aria, facendo indietreggiare ancor di più la principessa. Una voce tagliente, ironica, sarcastica… ma con del calore. Una voce contraddittoria che sconvolse Emma, che la terrorizzò a tal punto da farle mancare il fiato.
Una voce troppo misteriosa, troppo cupa – per essere vera.
   
 
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