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Autore: Wandering_Child    11/04/2014    1 recensioni
Piove.
Non c’è nessuno a farmi compagnia, a parte il rumore della pioggia incessante. Qui, seduta in quest’angolo buio e sporco, l’unico contatto che ho con il mondo sono le gocce d’acqua che mi scivolano sulle guance. Ma non ho freddo. Sono bagnata fradicia, ma non m’importa. L’unica cosa che avverto è il dolore. Il dolore di essere sola, di non essere capita, di essere stata abbandonata. La cosa che più mi fa male è la consapevolezza che questo dolore non se ne andrà, anzi, tornerà sempre a colpirmi, più forte che mai. Io so che nessuno verrà a salvarmi, non questa volta, non qui.
Piove.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piove.

Non c’è nessuno a farmi compagnia, a parte il rumore della pioggia incessante. Qui, seduta in quest’angolo buio e sporco, l’unico contatto che ho con il mondo sono le gocce d’acqua che mi scivolano sulle guance. Ma non ho freddo. Sono bagnata fradicia, ma non m’importa. L’unica cosa che avverto è il dolore. Il dolore di essere sola, di non essere capita, di essere stata abbandonata. La cosa che più mi fa male è la consapevolezza che questo dolore non se ne andrà, anzi, tornerà sempre a colpirmi, più forte che mai. Io so che nessuno verrà a salvarmi, non questa volta, non qui.
Piove.
Il frastuono caotico della città arriva alle mie orecchie da una distanza che mi sembra immensa, come se mi trovassi su un altro pianeta. Ma che sciocca: io sono su un altro pianeta. Sarò qui fisicamente, ma la mia testa è da tutt’altra parte. Tutto rimbomba rumorosamente dentro di me, sento i suoni e i lamenti triplicati. E mi chiedo perché, perché anche nel momento della fine non riesco a trovare pace.
Piove.
Ad un tratto mi rendo conto che sulle mie guance si sono aggiunte alle gocce di pioggia le mie lacrime. Buffo. Sono scoppiata in lacrime e nemmeno me ne sono accorta. È proprio vero: quando hai deciso di morire, del resto del mondo non ti importa più nulla. Perché non c’è nessuno ad asciugare le mie lacrime? Vorrei smettere di piangere. Io non voglio congedarmi dalla vita così, piangendo, è… patetico. Io non sono mai stata patetica, non ho mai cercato né mai voluto far pena, ma… adesso sono solo disperata. Basta piangere.
Un’altra cosa strana è che sia proprio l’acqua a fare da cornice alla mia morte. Avevo rischiato di morire affogata a sette anni; allora avevo ringraziato Dio di avermi fatto vivere. Adesso, vorrei essere morta in quel momento e non aver dovuto passare il resto degli anni immersa nel dolore. Ma adesso, forse, troverò la mia meritata e fottutissima pace.

“Perché?”.

Una voce chiara, cristallina. Sconosciuta. Alzo lo sguardo. Il suo viso è incorniciato da un’elegante maschera nera e i suoi occhi hanno il colore del cielo estivo. I capelli invece hanno il colore della notte invernale. È avvolto in un lungo cappotto nero, non sorride, non sembra umano.

“Perché?”.

Non trovo risposta. Continuo a guardarlo e lui ricambia il mio sguardo, ma sarà un lui? Non capisco. È tutto così dannatamente confuso. Eppure trovo la forza di rispondergli. La mia voce è rotta, squarciata dalla sofferenza, quasi un sussurro: “E perché non dovrei?”. Lui, o lei, scuote delicatamente la testa, sembra deluso dalla mia risposta. Accenna una smorfia. “Non hai ragioni sufficientemente valide per farlo e lo sai” “Non ho nemmeno delle ragioni valide per non farlo” ribatto io fredda. Ancora quello sguardo deluso. Quasi mi dispiace avergli detto così, vedere i suoi bellissimi occhi azzurri avvolti dallo sconforto mi ferisce e mi turba profondamente, ma non so perché mi facciano quell’effetto. Mi sento smarrita, vuota, fredda, morta. Chi sei tu? Da dove sei venuto? Lasciami morire in pace, ti prego… non voglio più vedere la tua delusione. Pensieri sconnessi che si ammassano uno sopra l’altro anche nell’ora della mia sospirata fine. Non troverò mai davvero pace… perché? Oh, ma che strano: adesso sono io a domandarlo.

“Non farlo”.

Non è una supplica, una preghiera velata dalla disperazione, un’implorazione: è proprio un ordine. Lo fisso incredula, mi sento arrabbiata. Con quale diritto tu pretendi che non lo faccia? Che t’importa se muoio o no? Non mi conosci nemmeno, che vuoi da me?

“M’importa invece. E ti conosco bene. Per questo voglio che tu non lo faccia. Ascoltami… ti prego”.

Ora m’implora sul serio. Non me lo ordina. Questa sconosciuta e bellissima creatura implora me. Non avverto più nei suoi confronti la rabbia precedente. Chino il viso. Mi alzo in piedi, lentamente, sempre con il viso rivolto a terra. Non so come ho fatto a staccare i miei occhi dai suoi. Non lo so.
Ora che sono in piedi posso vedere che è alto o alta come me, e che da vicino i suoi occhi sono ancora più ammalianti e sconvolgenti. E quella maschera… chi sei? Non glielo chiedo, non mi fido di me, ho paura di scoprire la sua identità. Ho paura che se ne vada, che mi lasci da sola. No, non voglio rimanere da sola. Non un’altra volta.

“Emily… grazie”.

Il mio nome. Ha pronunciato il mio nome. La sua voce vellutata non risuona di delusione o impartisce ordini, adesso è colma di gratitudine. Quest’angelo mascherato è grato a me. Io che fino a poco fa volevo dire addio alla vita e che adesso non voglio più, so che se lo facessi lui sarebbe amareggiato e scontento e io non voglio. Voglio che sia contento. E non morirò. Non stanotte. Non riesco a parlare, eppure dovrei essere io a ringraziarlo, mi ha ridato speranza. Pronunciando il mio nome mi ha ricordato che sono un essere umano, che c’è ancora una chance per me e per la mia vita.
Incapace di parlare, sto lì, davanti a lui, in silenzio. Sorride. I suoi denti bianchi e perfetti sono la luna in quell’oscurità in cui siamo avvolti. È un sorriso così dolce, così felice… io, che stupida, se sul serio fossi morta non avrei mai potuto ammirare quel sorriso.
Chino di nuovo il viso a terra e, prima che me ne renda conto, si allontana da me, quasi scomparendo. Sembra che cammini, ma è velocissimo. Sparisce alla fine di quel vicolo che avrebbe dovuto ospitare il mio suicidio. Cerco di raggiungerlo, di corrergli dietro, devo sapere chi è, devo ringraziarlo, devo vederlo in volto…
“Aspetta!!!”. Urlo, grido e lo chiamo con quanta più forza possiedo, ma non torna. E resto lì, da sola. Ma… stavolta sento che qualcuno è con me. Resto lì a lasciare che le gocce di pioggia mi bagnino ancora e adesso mi sembrano più leggere. Tutto mi sembra più chiaro.

Piove.

 

È passata una settimana ormai, dal mio incontro con l’angelo in maschera. Sono tornata al lavoro, alla mia vita di prima, ma sto cercando di gustarmela giorno per giorno. Sono più contenta adesso, mi sento meglio, ma… c’è qualcosa che mi manca. E so che cos’è.
Sono tornata in quel vicolo tutte le sere da allora, ma non l’ho più rivisto, e ogni volta che vedo qualcuno con un lungo cappotto nero il cuore mi batte all’impazzata perché sono convinta che sia lui. E ogni volta è un dolore sempre più forte e lancinante scoprire che si tratta di un’altra persona. Ho visitato anche tutti i negozi che si occupano di maschere nelle vicinanze di quello stramaledetto vicolo, ma non ho trovato la sua, non ho trovato niente. Rimprovero me stessa per non avergli chiesto chi fosse. Mi ha salvato l’anima, ma adesso il mio cuore è cieco. Non vede più niente, se non lui. Ma era davvero un lui? La confusione è troppo forte. Anche dopo una forte tempesta, si sa, le acque ci mettono un po’ prima di calmarsi del tutto. E così stanno facendo le idee nella mia mente. Prima o poi, lo ritroverò.

 

Sono passate quattro settimane. Niente. Qui è il vuoto più assoluto. Mi sento tradita, usata, sconfitta. Non può salvarmi e poi lasciarmi cadere di nuovo nel dolore e nella paura, no. Non adesso che inizio a stare un po’ meglio.
Cerco di trattenermi al lavoro il più a lungo possibile: tornare a casa prima significherebbe passare delle ore da sola, nel silenzio. Il silenzio mi fa pensare a lui, che mi ha sconvolto la vita in un attimo. Ma non c’è un filo di speranza per me? Un modo per fuggire definitivamente dal dolore? Ho così paura di diventare fredda e indifferente al resto del mondo… lui mi aveva ricordato che ero un essere umano. Che avevo in pugno la mia vita. Perché è riuscito a capire cosa stavo per fare allora e adesso non sente il dolore dentro di me che grida, che vuole e che pretende la sua presenza? Cosa è successo? Non riesco a lasciar perdere, mi sembra giusto non arrendermi, ma è anche la cosa che più mi provoca sofferenza… perché? Sono così confusa…
Adesso in negozio non c’è più nessuno. Sono sola. Per passare un po’ il tempo, comincio a spolverare il bancone, e poi pulisco i vetri. Piove. Piove forte come quella dannata sera. Le strade sono vuote. Non c’è nessuno… ma poi lo vedo, è un attimo, mi passa vicinissimo. È al di là del vetro, è lui, sono sicura, mi ha riconosciuta. È qui per me? Mi ha sorriso. È lui!
Getto lo straccio a terra, non mi preoccupo nemmeno di chiudere a chiave la porta, devo seguirlo, è troppo veloce… sta andando là, in quel vicolo, dove tutto è cominciato. Sono appena uscita e sono già bagnata. Non m’importa, no, adesso devo sapere chi è quell’angelo oscuro. È il tempo di togliersi la maschera.
Entro nel vicolo, lui è lì, mi sta dando le spalle. Ora respiro. Mi fisso per un attimo e mi rendo conto di avere addosso i vestiti che avevo allora. Dunque, stava aspettando che piovesse di nuovo, che mi mettessi senza accorgermene quei vestiti, che fossi disperata ancora è più di prima? Per ricreare l'atmosfera? Per avere un buon motivo per venire nuovamente da me? Mi porto le mani alla testa, sono sconvolta, confusa, arrabbiata, sola, disperata. Non riesco a credere a nulla, mi sento come se stessi galleggiando nel vuoto. Oh, ti prego, prendi quel che resta di me, rianima ancora la mia fiducia nella vita… ma non abbandonarmi stavolta.
Adesso si è voltato, mi sta venendo incontro, finalmente, ora saprò chi è. I nostri volti sono vicinissimi, sento il suo respiro caldo. Allungo le mani verso la maschera, voglio vedere il suo viso. Si allontana da me, come se volessi fargli del male e scappa. Scappa via… da me.
Questa volta sono pronta e non esito a seguirlo, io ho bisogno di lui, ho bisogno di sapere chi è.
“Fermati, ti prego!!! Aspetta, aspettami dannazione!!!”. Non ricordavo di avere tanta forza nella voce. Continuo a chiamarlo, ad implorarlo, a supplicarlo di fermarsi, di aspettare, di restare… sembra non sentirmi. Invece, il dolore che provo, si fa sentire. Non resta muto nemmeno adesso.
Si è fermato, di nuovo mi dà le spalle. Si avvicina. Io sto ansimando per la corsa, non ci sono abituata e poi perché il cuore mi batte fortissimo. Questa volta capisco dal suo sguardo che non si allontanerà. Guardo i suoi occhi… quanto mi sono mancati! Anche i miei sono azzurri, ma non così splendenti.
Allungo le mani, volte a prendere la maschera. Avevo ragione, mi lascia fare. L’elegante maschera nera è adesso nelle mie mani, la osservo e ammiro la sua bellezza e poi alzo gli occhi al viso dell’angelo. Ora posso guardarlo e finalmente sapere.

Una smorfia di terrore si disegna sul mio viso, la confusione occupa violentemente tutta la mia mente, la paura s’impossessa del mio cuore e dei miei organi vitali. La maschera cade a terra. Lancio un urlo. Non è possibile, non può essere vero. Urlo di nuovo.

 

Sono io.

  
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