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Autore: Not_Lollipops    11/04/2014    3 recensioni
E’ strano come tutto quello che percepiamo sia direttamente collegato alle nostra aspettative, credo che siano in realtà le aspettative a fotterci. Quando abbiamo aspettative nutriamo una sorta di attaccamento e gli diamo importanza; rimaniamo delusi se la realtà non raggiunge le nostre aspettative. Al contrario, senza aspettative, tutto può stupirci e deluderci incondizionatamente. E penso che sia questo il segreto di Frank; non nutriva alcuna aspettativa, era in balia del destino.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Frank Iero, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Autobus 


Mi aggiro smarrita nella scuola, mentre l’eco della campanella si diffonde ancora tra i corridoi; non riesco a trovare l'aula d'inglese. Guardo per quella che dovrebbe essere la centesima volta la cartina stropicciata che ho tra le mani, con la fronte corrugata; nella mia testa, sto maledicendo con foga chiunque abbia stilato questa pseudo-mappa. Questa giornata è iniziata proprio nel peggiore dei modi; ha chiamato mio padre, che era “scomparso” da un pezzo, tornerà nel pomeriggio. Grandioso. Stiro con le mani le pieghe della camicia bianca che indosso, chiedendomi se sia trasparente.

È il mio primo ultimo giorno di scuola, penso accennando un sorrisetto sarcastico: posso farcela. Lancio un’occhiata al lato destro del corridoio, controllando il numero inciso sulla porta di legno dell’aula chiusa. Gioisco tra me e me, camminando a grandi passi per finirla di stare in questo corridoio semi deserto. C’è un ragazzo appoggiato con le spalle agli armadietti blu, seduto per terra, con un braccio poggiato sul ginocchio piegato e l’altra lasciato sulla gamba distesa a tenere un libro. Sta leggendo attentamente, e riconosco la provenienza del romanzo dalla biblioteca. Mi fermo, struscio la converse blu sul polpaccio, rifletto su come comportarmi. Decido di non farci caso. Focalizzo tutta la mia attenzione sul camminare nel modo più naturale possibile, facendo finta che non esista.

Con i libri in mano, lo supero e mi guardo indietro, sì, mi sta proprio fissando. Sento il suo sguardo sulla camicetta che indosso, come se volesse attraversarla con gli occhi, semichiusi e incuriositi, dei brividi mi percorrono la schiena. Lo osservo meglio: i capelli un po' lunghi gli incorniciano il viso, spettinati e puliti. Noto un piccolo tatuaggio sul polso, sembra una scritta ma non riesco a distinguere le parole. Lui restituisce lo sguardo senza sorridere, sembra annoiato. Assottiglia gli occhi ancora, mi studia a sua volta, imbarazzandomi al punto da farmi abbassare lo sguardo. Mi accorgo improvvisamente di dover varcare la soglia, e un po’ a malincuore entro in aula.

Siedo all'ombra del mio albero da quasi un'ora, la pausa pranzo sta quasi per finire. Il mio sedere inizia ad appiattirsi, costringendomi a muoverlo di tanto in tanto, ma la trama del romanzo comincia ad infittirsi e non ho proprio voglia di scoprire cosa succederà ad Oliver sul bus. Quasi non avverto quello che succede intorno a me, se mi concentro riesco ad estraniarmi quasi del tutto.

Adocchio il ragazzo di stamattina sulle gradinate che è intento a finire il suo pranzo. Devo ammettere che è molto carino, tutto sommato, ed il piercing all'angolo della bocca è piuttosto attraente. Addio concentrazione.

Mentre lo sto studiando indisturbatamente da lontano, uno dei gorilla, quello biondo, gesticolando e ridendo ad alta voce, in modo arrogante gli lancia qualcosa che si va a posare ai suoi piedi. Lui non reagisce e scansa l'avanzo del sandwich con un calcio noncurante, una smorfia appare sul suo viso. Lo stesso ragazzo di prima gli urla qualcosa da lontano, che fa sbellicare dalle risate l’altro seduto accanto a lui. Lui semplicemente alza il dito medio e risponde a tono, per poi prendere un sorso della sua bottiglia d’acqua.

Stendo le gambe davanti a me ed incrocio le caviglie. Lo sto fissando ancora, forse solo un pochino. Il ragazzo mi guarda, sposto velocemente lo sguardo e ritorno al mio libro, diventando di un colore simile al bordeaux. Con la coda dell’occhio lo vedo sorridere; probabilmente sa che stavo fissando proprio lui.

Il bus è in ritardo. E di quasi mezz'ora. Mi alzo di nuovo dalla panchina e cammino nervosamente avanti e indietro. Di questo passo non riuscirò a vedere mio padre. Il ragazzo del cortile è seduto sul muretto, sta fumando una sigaretta tranquillamente mentre legge, per niente toccato dal fatto che il mezzo sia in ritardo, a differenza mia. Mi alzo dalla panchina di ferro con uno sbuffo, cammino per poco, lanciando con i piedi qualche sassolino che mi capita sotto tiro. Alla quinta volta che struscio la scarpa sull'asfalto per il nervosismo, lui mi lancia un'occhiata, controllo l’orologio sbuffando sonoramente; corrugo di nuovo la fronte provando di leggere il titolo del libro che ha in mano. Schiocco la lingua non riuscendoci.

E va bene, stai calmo Cime Tempestose. Mi siedo di nuovo e fisso le mie unghie, il pollice l'ho devastato durante l'ora di matematica, che alla fine non è andata tanto male.

“Cosa hai fatto al labbro?"- chiedo al ragazzo- "C'è un taglio." porto automaticamente il pollice sul mio labbro, mimando il tragitto che percorre il taglio, un po’ sbilenco, dall’alto al basso.
"Un pugno."- dice calmo con la sua voce vellutata, ritorna al suo libro leccandosi le labbra e incrocia la caviglie.
"Ha sanguinato?"-chiedo incuriosita
"Poco."- loquace.

Mi siedo e poggio il mento sul mio pugno chiuso e lo guardo per un po'. Si stiracchia, facendo alzare un bordo della camicia che scopre una piccola parte di pelle leggermente bruna, posa il libro nella sacca blu messa ai suoi piedi. Gioca un po’ con il labret lucente, restituendo lo sguardo. Ha delle belle labbra.

"Chi t'ha dato quel pugno?"
"Non è niente di che." - dice alzando le spalle- "Proprio niente di cui preoccuparsi." Capisco che non ne vuole parlare e non insisto, non mi piacerebbe se qualcuno facesse il ficcanaso con me.
 
"Ti piace il libro?" - domanda alzandosi dal suo posto sul muretto.
"Ah-a. Se vuoi te lo presto."
"Ho già letto Oliver Twist." - prende il libro dalla panchina e lo esamina.

"Quanti anni hai?" - chiedo fingendo noncuranza
"Quanti me ne dai?"- Bel colpo.
"Abbastanza da fare un tatuaggio."
"Sveglia." - sorride posando il libro- " E carina. Perché parli con gli sconosciuti?" - finge un tono di rimprovero e il suo sorriso si allarga.

Le mie guance diventano scarlatte. “Perché gli sconosciuti parlano con me” – ribatto con un filo di voce.
Vorrei replicare, ma prima di poter formulare una qualsiasi altra risposta lontanamente accettabile, sono già salita sul bus e seduta su uno degli sporchi sedili. Lui si trova qualche posto più indietro e sento il suo sguardo sulle spalle. Si alza e si siede proprio di fianco a me, non facendo sfiorare le nostre braccia, ma comunque abbastanza vicino da potermi toccare con libertà.

Si sfila una cuffietta bianca, che ha all’orecchio, che fa un rumore indistinguibile ma pur sempre riconoscibile, una melodia un po’ triste forse con qualche accenno di chitarra. Con un gesto deciso riusce a infilarla nell’orecchio, sfiorandomi per un attimo la massa di capelli castani. Adesso la melodia è molto più chiara, e prende una piega malinconica come quella delle vecchie canzoni, mentre una voce un po’ nasale cantava qualcosa di triste e un po’ melenso. Nessuno dei due parla, non c’è molto da dire, le case e i viali scorrono indistinti mentre guardo fuori dal finestrino immortalando mentalmente l’effetto dell’ombra pomeridiana sulle cose.

Una canzone adatta ad una giornata così, il suo profumo invade le mie narici e lui gioca con le dita mentre la voce conclude un verso e parte un assolo.
  
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