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Autore: Inspired_girl    11/04/2014    10 recensioni
Cosa puoi fare quando l'insicurezza ti blocca? Cosa puoi dire quando la timidezza ti opprime la gola? Come puoi vivere quando attualmente vivi solo di malinconia e depressione?
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«Non abbiamo bisogno di psicopatici appena usciti da istituti per depressi, tornatene a casa Howen»
(N.d.A: tematiche delicate trattate con estrema cura e cautela, realismo)
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, ne offenderla in alcun modo'



                                        
                                  Adrenalin  

 
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“My silent is just another word of my melancholy'
{cit-M.S}




Girai a destra e proseguii per quella via piuttosto buia e deserta, girai il capo a destra e sinistra, nessuna anima viva, regnava il silenzio assoluto, ed iniziai a pentirmi di essermene andata lasciando gli altri; 
Dopotutto loro mi stavano prendendo in giro, quindi non avevo avuto tutti i torti ad essermi arrabbiata e andata via. Forse era così che le persone in sintonia si comportavano, ma loro sapevano delle mie difficoltà, e anziché capirmi peggioravano la situazione. Mi ero sentita umiliata, trattata come un fenomeno da circo, una stupida moscia imbecille, era questo, questo era il motivo per cui ridevano. Si divertivano alle mie spalle, alla mia stupidità e distrazione. Chiusi gli occhi per una manciata di secondi, e giurai di aver potuto sentire di nuovo le loro risate echeggiare nella mia
mente, ormai in stand-by a causa di tutti gli avvenimenti di oggi così duri e devastanti da immagazzinare nel cuore. L'unica cosa che mi dava forza era l'abbraccio di Zack, nessuno avrebbe mai saputo cosa avevo provato in quel momento se non Dio, mi ero sentita in paradiso. 
Chiusi nuovamente gli occhi cercando di ripetere l'immagine visiva di lui e cercando di manifestare nuovamente le emozioni che provai; continuai a camminare per quella lunga e dritta via, ed inspirai profondamente, mi stavo sentendo umana per la seconda volta durante questo giorno, una sensazione di benessere si stava impossessando del mio corpo, sorrisi. Sorrisi a quella mescolanza di scarica elettrica che stavo percependo, mi sentivo piena, viva. Mi toccai il petto, respiravo lentamente, ero serena, avvertivo una pace interna abitare dentro di me;
Accettavo di buona volontà le immagini che la mia mente mi stava inviando agli occhi, il suo petto contro il mio, le sue braccia accarezzarmi, il mio viso nascosto nell'incavo nel suo collo, il profumo che mi donava una percezione paradisiaca, il modo in cui mi stringeva, la sensazione di protezione, il contatto piacevole e rincuorante ed... ed il bacio tra Justin e Lizzie.  
Spalancai gli occhi di soppiatto e mi fermai, cadendo a terra incapace di sostenermi. M'immobilizzai e spalancai ulteriormente gli occhi, mi coprii la bocca con la mano e con l'altra che tremava mi strinsi il ciuffo dei capelli oramai in disordine.
Respirai pesantemente ed iniziai a sentire il naso pizzicare e il mio viso contorcersi in una smorfia di dolore e di sofferenza. Mi sbattei violentemente la mano con cui mi stavo coprendo la bocca in pieno viso, il mio petto stava vibrando per cercare di sovrastare le solite e maligne sensazioni di malessere, che stavano tornando numerose. L'abbraccio di Zack le aveva nascoste, e nonostante esse si fossero ripresentate quando terminò il contatto, non le avevo avvertite pesanti e inconcepibilmente presenti, le percepivo sì, ma in modo leggero. Solo in questo preciso secondo stavo sentendo la loro presenza  racimolarsi in un armamento numeroso, arrabbiato, pronto a dare luogo ad una guerra, l'ennesima battaglia, dentro di me, nel il mio petto. 
Avevo il fiato corto dallo spavento, stavo pensando a tutt'altro, qualcosa di bello e positivo, e la mia mente mi aveva mostrato l'immagine di Lizzie e Justin che si baciavano, la mia mente sapeva, sapeva quanto facesse male e sapendo che non trovavo motivo a quella sofferenza, cosa che mi rattristava ulteriormente, mi aveva giocato quel brutto scherzo.

Questa volta il mio cuore non batté velocemente, ma si spezzò. 
Di solito era sempre il mio corpo, i miei pensieri e l'essenza di me a stare male, ma ora lo era il mio cuore. Sensazione mai avvertita prima, ma dolorosa, estremamente dolorosa. 
Chiusi gli occhi di scatto, il mio cuore si stava contorcendo, rompendo, si stava tagliando, graffiando, lo sentivo dolermi. 
Urlai con la voce secca e me lo toccai istintivamente, lui stava battendo normalmente, sembrava intatto ma io lo sentivo urlare insieme a me, lo sentivo farsi male, lo sentivo piangere e dimenarsi... Bruciarsi.

Cos'era? Cos'era questo? L'amore? Un cuore bruciato era sintomo d'amore, ma io ero sicura di non provare niente del genere, verso quel ragazzo, quel maledetto essere maligno che mi stava procurando tutta questa pena, era appena un conoscente per me.

 Allora perché il mio cuore e le sensazioni che lo abitavano, si stavano spezzando? 
Ripensai alla figura del ragazzo con gli occhi dorati, e verso di lui sentivo a malapena un senso di affetto nascosto e di conoscenza, ne ero sicura. Focalizzai su Lizzie, e sentii una morsa togliermi il fiato e sgozzarmi l'organo centrale di ogni essere umano. Sangue.
 L'immagine del sangue del mio povero cuore mi stava occupando la percezione visiva, urlai impugnando con forza il tessuto del maglione che mi copriva il petto, mi accartocciai su me stessa ed iniziai a piangere. 

Lizzie, era lei, sempre lei. Da molto tempo provavo inferiorità, invidia e gelosia nei suoi confronti, ed ora quasi odio. 
Era colpa sua se stavo sentendo il cuore morire e l'anima volarmi via dal corpo, stanca di me e della sofferenza che doveva patire a causa mia ogni giorno. Oltre che farmi provare un senso di sottomissione in tutti i sensi, ora mi stava divorando il cuore, lei, lei era legata con l'unico ragazzo verso cui avevo provato un po' di affetto, me lo aveva rubato nonostante non fosse mai stato mio. 

Nonostante non amassi Justin, sentivo di volergli un po' di bene, eliminato definitivamente dalla ragazza bionda.
Non volevo più avere a che fare con loro, non avevo mai sofferto in questa maniera in vita mia, ero depressa certo, ma loro mi stavano facendo sentire pazza, una pazza da rinchiudere in una cella per matti incontrollabili. 
Loro mi avevano fatto del male, avevano peggiorato la mia situazione, loro non erano qui per aiutarmi, la vita gli aveva incaricati di farmi soffrire, e ci stavano riuscendo benissimo. 

Mi accasciai al suolo ed alzando la testa notai di essere nel bel mezzo della strada di quella via buia e silenziosa, se fosse passata qualche macchina mi avrebbe investito ed uccisa, una seconda morte nell'arco di pochi secondi. 
E mi ritrovai a pensare che forse sarebbe stato meglio, sì, non mi sarei suicidata, a togliermi la vita sarebbe stata un'altra persona, le ruote di una macchina ignara della mia presenza sull'asfalto. 
Sarebbe finito tutto, ma il dolore? No, non avrei sofferto, al contrario. Tutto  cesserebbe ed io potrei finalmente liberarmi di tutto, ci sarebbe stata la segregazione con le entità maligne che mi avevano sempre abitata, cresciute e sviluppatesi con me nel corso di questi diciassette anni, diciassette dolorosissimi anni, di disperazione, malinconia, tristezza e depressione inizialmente nascosta ed uscita fuori da poco.

Diciassette anni, l'arco di tempo in cui avevo dovuto sorreggere un peso sul petto ed un macigno sulla schiena, anni in cui avevo patito tutto ciò che potesse essere negativo nell'esistenza umana. 

Diciassette anni erano stati messi per iscritto nel libro della mia vita, le cui pagine sarebbero finite tra poco. 
Libro con una copertina nera, rovinata, con pagine secche a causa di tutta la positività sottrattami, a causa della linfa vitale prosciugatasi e trascinatami via di soppiatto da quando ebbi aperto gli occhi per la prima volta nella camera settentaquattro di quell'ospedale, maledetto quel giorno. 

Libro con una riga di felicità scribacchiata in malo modo perché mai stata accettata da tutto e da tutti, ripudiata.
Libro però con infinite righe di tristezza, righe scritte con il mio sangue, righe che raccontavano della vita di questa ragazza, di questo essere negativo stanco persino dell'aria che respirava. 
Libro, dannato libro rovinato quasi fosse stato arso, bruciato dalle fiamme dell'inferno, quelle che mi aspettavano e che reclamavano il mio nome e la mia presenza nel registro dei morti, i morti cattivi, come me, i morti che in un certo senso sono stati felici di morire, perché se la vita terrena non li voleva, allora sarebbe l'inferno ad accoglierli come si doveva, dando loro ospitalità, dando loro una punizione di cui tuttavia avevano sempre vissuto, il dolore. Non quello mentale, solo quello fisico, meno letale.

Piccole gocce di pioggia si poggiarono sul mio viso che volgeva lo sguardo verso il cielo, buio, quasi nero, proprio come il mio umore. Nonostante dentro di me la pena fosse tanta, cercai di focalizzare sul soffitto del mondo, pieno di stelle spente, esattamente come me, prive di ciò che le definiva, la lucentezza.
Sorrisi; anche il cielo mi somigliava, sorrisi, non ero la sola, c'era anche lui. 
Anche il cielo stava male di notte, tempo in cui calava il silenzio del mondo.  Anche lui era triste e ora stava piangendo, soffriva nel dover assistere alle atrocità umane che avevano luogo sotto di lui: omicidi, assassinii a sangue freddo, famiglie sfasciate, uccisione di gente buona con la voglia di vivere. Il cielo piangeva, ma lui lo faceva da spettatore, mentre io soffrivo da protagonista della sofferenza stessa, no, il cielo non mi somigliava per nulla.
Smisi di fissare il limite costellato di luci e girai lo sguardo verso la terra, nessuno mi avrebbe mai capito.
Sospirai chiudendo gli occhi, lasciando che la pioggia lavasse i miei pensieri accalcati tra di loro.
Dei fari ed il rumore di un motore giunsero ai miei sensi addormentati, mi alzai di scatto, chiusi gli occhi ed alzai le braccia al vento e alla pioggia, era l'ora.

Bandierina bianca Caren, avevi perso fin dall'inizio e non te ne eri mai accorta veramente, chiedi la resa Caren! Chiedi la resa alla vita, fallo.




«Ragazzina! Se non ti togli da lì verrò a sistemarti, spostati!» urlò una voce fredda e roca. Aprii gli occhi di scatto e vidi un uomo aprire la portiera del suo furgoncino bianco, non venne verso di me, si fermò lì.
«Spostati!» urlò gesticolando, credeva fossi sorda.
«Non mi dica cosa fare, sono stanca, mi lasci stare!» urlai con voce talmente stridula che mi graffiai la gola.
«Tu sei matta ragazzina, tu sei matta!» disse l'uomo dalla pancia grande. Spalancai gli occhi e sentii una presenza diabolica impossessarsi di me.

«No! Tu non capisci, non sai niente, smettila di usare vocaboli che non centrano con il contesto reale, sei un malfidato, un impertinente che non regola le parole, sei un mostro! Vergognati, ed io non sono matta, capiscilo, capitelo tutti, io non sono una psicopatica, non sono moscia, non sono distratta! Sono solo una persona stanca, sensibile a tutto lo schifo che la vita le ha donato, e tu come gli altri non sei nessuno per potermi insultare, mi avete stancato tu... Tu... » non riuscii a continuare a parlare che scappai via come una saetta piangendo di disperazione, non sapevo nemmeno esprimermi e mi stavo condannando per questo, ero stata creata per stare male, dovevo soffrire in silenzio, le persone non centravano nulla con me e con i miei problemi, forse non erano loro ad aver stancato, ma io.

Mi sedetti nella panchina del parco dove ero arrivata inzuppata d'acqua e tremante a causa del freddo. Iniziarono e tremarmi i denti che sbatterono rumorosamente tra di loro,  fissai il vuoto e lasciai che quest'ultimo sotto forma di sensazione mi abitasse, facendomi sentire un oggetto privo di emozioni.


Non sapevo per certo quanto tempo passò e nel momento in cui sentii dei passi avvicinarsi a me, alzai il viso di scatto, trovandomi davanti l'ultima cosa che avrei voluto vedere.
«Caren, finalmente!» disse lui, i suoi occhi color miele brillavano anche al buio, mi stavano scrutando con incertezza, stupore ma anche sollievo, aveva il fiato corto. Non risposi, ma abbassai gli occhi verso il terreno facendo entrare nella mia visuale le sue scarpe bianche, ormai piene di fango e rovinate. 
Mosse le gambe in mia direzione, ed io non volevo ancora vederlo, ero ancora scossa da ciò che stavo per fare, suicidio, ovvero l'arma di chi era stanco, ma anche debole, mi stavo per togliere la vita a causa del dolore che avevo patito al ricordo suo e della bionda. Strinsi gli occhi e mi morsi le labbra in senso di vergogna verso di me stessa, non potevo credere a cosa stavo per compiere, un omicidio contro di me, sarei diventata una ragazza suicida a causa di due conoscenti che le avevano spezzato il cuore e calpestato indirettamente i sentimenti. 

Lui si sedette vicino a me e mi accarezzò i capelli inzuppati d'acqua della pioggia che non smetteva di scendere, anche lui era fradicio.
«Perché i tuoi occhi sono spenti?» chiese prendendomi il viso tra le mani e facendomi incontrare il suo sguardo colmo di preoccupazione.
«Lo sono sempre stati» sussurrai con voce fragile e sottile a causa delle urla di prima, mi ero decisa a rispondere, stare in silenzio non sarebbe servito a nulla anche se quest'ultimo comunicava e trasmetteva un altro aspetto della mia malinconia.
«Invece no» rispose lui accarezzandomi la guancia; risi amaramente e scossi la testa tra le sue mani. «Non capisci, nessuno capisce» decisi di cercare di troncare la conversazione, lui non capiva, sarebbe stato inutile parlare con la fonte del mio dolore.
«Io capisco!» mi lasciò il viso e si voltò completamente verso di me.
«No, se capissi per davvero allora non saresti qui» quasi urlai adirata, lui era come tutti, credeva di capire quando in realtà non sapeva nulla.
«Ed invece sì, so che sei una persona profonda, molto profonda. A volte io ti ferisco senza rendermene conto, ma non sono abituato a dover misurare le parole con una persona come te, sei troppo sensibile» disse lui leccandosi le labbra.
«Profonda?» chiesi improvvisamente interessata all'aggettivo.
«Sì. So che stando sempre zitta tu pensi, e si vede dai tuoi occhi quanto tu sia riflessiva e costantemente triste» rispose Justin sorridendo compiaciuto della frase che aveva appena detto.
«Ah» risposi sconsolata, non erano una novità il mio silenzio e la mia tristezza.
«Ti chiedo scusa per prima, volevamo solo scherzare e non era nostra intenzione ferirti» 
«Però la avete fatto Justin» 
«Non volevamo farlo Caren, cerca di capire!» affermò lui gesticolando nervosamente.
«Va bene» stavo cercando in tutti i modi di cacciarlo, lui non ne voleva sapere.
«Questa conoscenza l'abbiamo iniziata male, ricominciamo da capo» esclamò il biondino sorridendo radiosamente, da capo? Cosa cambierebbe?
Mi tese la mano facendomi cenno con gli occhi di stringergliela, credevo stesse scherzando e solo notando la determinazione nei suoi occhi capii che che le sue intenzioni fossero serie.
«Piacere Justin Bieber, diciotto anni, ragazzo bello, solare, impulsivo ma simpatico e leale, tu?» chiese lui ridendo.  Spalancai gli occhi e risi un poco alla sua modestia, alla sua positività e alla sua strampalata idea, presentarsi in questa maniera non sarebbe servito a nulla e non dimenticherò mai la tristezza ed il dolore che mi aveva provocato insieme ai suoi amici, era successo troppo ed era impossibile cancellare, troppo. Non avevo mai sofferto così, avevo conosciuto la depressione, la malinconia, la tristezza immotivata, ma mai il dolore e l'agghiacciante sofferenza del cuore e dell'anima, mai. Ero indecisa, stanca, logorata... Forse se avessi stretto la sua mano spontaneamente aperta, mi avrebbe lasciata stare e se ne sarebbe andato a casa. 
Strinsi la sua mano fredda con lentezza, tossii e parlai.
«Caren Howen, diciassette anni» esclamai con poca vitalità e per niente convinta della sua iniziativa.
Justin sorrise e dopo avermi accarezzato la mano si avvicinò a me, la distanza diminuì, potevo sentire il suo caldo respiro sul mio viso, percepivo il calore del suo corpo e i suoi occhi erano vicini ai miei, mi presi la briga di osservarlo.
I lineamenti erano dolcissimi, dalla curva del sorriso, alle labbra carnose di un colore intenso, dal naso agli occhi... Mozzafiato. Le sue iridi erano marrone chiaro, nocciola, color miele. Vicino alla pupilla il colore era scuro, un marrone intenso quanto il tronco di un albero faceva da gradazione ad un marroncino più chiaro, per poi arrivare al color oro, e quest'ultima tonalità era costellata da numerose fantasie e luci, sì, aveva la luce negli occhi e per un attimo pensai che forse sarebbe potuta essere proprio quella a salvarmi dal buio e dalle mie tenebre.
Ancora incantata dai miei pensieri ridicoli e contorti, non mi accorsi che il ragazzo che avevo di fronte mi stava abbracciando. Rimasi un attimo dubbiosa sul ricambiare o no, abbracciare di ricambio il ragazzo che mi aveva quasi indotto al suicidio. 
Accantonai le mie riflessioni da una parte e automaticamente lo abbracciai, chiusi gli occhi e sotto la pioggia sentivo il suo cuore battere tranquillo al contrario del mio, in procinto di scoppiare dal nervoso. Chiusi gli occhi cercando di percepirlo, iniziarono i temporali e numerosi brividi mi attraversarono l'intero corpo. 
Strinsi gli occhi e iniziai a sentirmi divisa in due.
La prima parte mi stava infondendo sicurezza, mi sentivo decisa ad abbracciarlo, felice, allegra, vogliosa di continuare il contatto; L'altra parte era pieno di risentimento nei suoi confronti.

Come puoi Caren, abbracciare colui che ti stava per uccidere? Colui che ti ha fatto soffrire? Colui che insieme alla sua ragazza, ti ha pestato il cuore?


A quelle domande mi spuntò in mente l'immagine sua e di Lizzie, mi tornò il ricordo del mio cuore sgozzato e di me in piedi pronta a farmi investire. Sentii gli occhi lucidi ed il naso pizzicare, singhiozzai. Spalancai gli occhi e cercai in tutte le maniere di farmi tacere, di smetterla di mostrarmi debole, io non
 dovevo piangere di fronte a persone, assolutamente, penseranno sia ancora più debole. Niente, un secondo singhiozzo diede il via ad pianto straziante, che il ragazzo cercò di fermare abbracciandomi e stringendomi ancora di più. 
Ero un'idiota, sapevo solo frignare, mi credevo tanto brava a fingere i miei sentimenti quando non sapevo neanche rimandare un pianto a dopo. Piansi ancora di più, cercai di staccarmi da Justin, ma lui non mi lasciava andare. Mi sentivo felice, gioiosa e nello stesso tempo triste, ferita e disperata. Decisi di rinunciare ad intrattenermi e abbracciai ulteriormente Justin.
Fu un terzo singhiozzo a svuotarmi da tutti i miei pensieri, in quel momento stavo rispondendo agli stimoli solo con il corpo, un robot.
Lui si avvicinò a me e così feci anch'io, mancava poco che mi sedessi suo suo grembo, e fu proprio Justin a fare in modo che succedesse. Lasciai fare, lasciai che il mio corpo decidesse, e quest'ultimo voglioso di contatto con una persona, strinse il ragazzo ancora di più.

Mi stava spingendo contro di lui quasi a volermi imprigionare dentro il suo petto, spostò le mani sulla mia vita e sulla mia coscia sinistra, avvicinandomi ulteriormente nonostante la distanza non ci fosse più. 
Avvolsi il braccio destro sulle sue spalle e la mia mano sinistra sul suo collo portandolo più vicino a me. Mi girai completamente spingendo il mio petto contro il suo e stringendolo fortissimo, volevo di più, volevo percepirlo, sentire la cosiddetta aurea; lui per facilitarmi il movimento mi sollevò leggermente per farmi aprire le gambe e avvolgerle attorno alla sua vita, nonostante la panchina m'impedisse di 
farlo del tutto.  Avevo bisogno dell'affetto che mi era sempre stato negato e lo stavo trovando.
Una scarica elettrica di adrenalina entrò nel trambusto di emozioni che saltellavano ovunque nella mia pancia, brividi e formicolii mi regalavano una sensazione bellissima e la pioggia donava un'atmosfera rilassante e confortante. Sorrisi nelle lacrime, era stranissimo abbracciare con 'foga' una persona, strano ma 
assolutamente bello, ero protetta, confortata e mi sentivo consolata, forse lui mi voleva un po' di bene.
E se gli stavo a cuore un po', allora dovevo fare in modo di entrarci del tutto, guadagnandomi il suo affetto e la sua amicizia.

Chiusi nuovamente gli occhi lasciando che la sua mano si spostasse dalla mia schiena e arrivasse ad accarezzarmi il capo e toccarmi i capelli. 
Chiusi le mani attorno alle sue larghe spalle e lasciai che tutto accadesse. Ansimai leggermente non appena lo sentii afferrarmi le cosce stringendole con forza, e spingerle ancora di più contro di lui, Justin si alzò, chiusi le gambe completamente attorno alla sua vita e lui si sedette di nuovo. In quel momento era diventato un'ancora di salvezza, su cui arrampicarmi per non affondare. Il mio respiro era acceleratissimo e sentivo il fiato mancarmi, stavo così bene ma ero a disagio, non mi era mai successa una cosa del genere. Tuttavia lui aveva un tocco magico, il modo in cui mi stringeva la coscia per tenermi avvolta e sopra di lui era magnifico, il modo con cui mi tirava leggermente i capelli mi donava un senso di fraternità. Sì, in quel momento era come se Justin mi conoscesse da sempre.  

SPAZIO AUTRICE
Aw,
ciao a tutte, questo capitolo penso sia troppo forte all'inizio. Se devo dire la verità ho dovuto modificare la parte del 'suicidio' e di depressione, era molto forte e vi avrebbe portato un senso di angoscia. Tuttavia mi sono impegnata a scrivere la parte di Justin e Caren (che teneri aw), è stato difficile perché non mi convinceva mai, e nonostante non mi piaccia tuttora, ho deciso di lasciarla così. Ho aggiornato presto perchè ho amato le scorse recensioni, forse non lo sapete, ma così mi date forza e m'incentivate alla scrittura! Mi piacerebbe che mi lasciaste un parere anche in questo
capitolo, un po' boioso ma lungo :)
Mi raccomando RECENSITE! Mi fareste felicissima davvero, vi amo.
Avrei voluto mettere qualche gif ma penso caricherò solo le foto di alcuni protagonisti, scusate possibili errori ma li correggerò più avanti.
Spero il capitolo vi sia piaciuto.
Baci,
Sarah
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Justin
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Caren 
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Alex
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