Anche questa giornata è finita.
Sono stanco.
Mi levo il cappello rosso che ho tenuto tutto il giorno e mi concedo di alleviare il prurito ai capelli, (che sempre mi provoca il tessuto di quel cappello) grattandomi.
Mi siedo a terra edaccendo una sigaretta.
Tu stai contando le monete che abbiamo guadagnato oggi, il ridicolo costume da renna ancora indosso.
"Quant'è?" ti chiedo.
"Non molto" rispondi.
Li dividi a metà e ti siedi accanto a me porgendomi la mia parte.
Ti bacio il naso rosso a palla che ti sei messo in faccia, è un gesto che ti fa sorridere, ti ha sempre fatto sorridere, per poi baciare le tue labbra, alle quali non so mai dire di no.
Ed è sempre a malincuore che poi mi separo dalla tua bocca.
Da quanto tempo mi appartiene?
Non saprei dirlo, forse da quando ti conosco, ma a me pare un'eternità.
"Togliti quella roba, sei ridicolo" dico prendendoti in giro.
"Anche tu, con quella barba lunga".
Ridacchiando mi tocco la barba finta "non offendere Babbonatale, altrimenti non ti faccio nessun regalo".
"Non me lo faresti comunque, pezzente".
Bisticciando come sempre, ci dirigiamo verso quel malandato appartamento che chiamiamo casa.
Ti avvolgo un braccio attorno alle spalle, non protesti, ormai hai fatto l'abitudine.
Gli inverni sono sempre freddi, il materasso ancora scomodo e le cene sempre magre, ma ci faccio un po' meno caso da quando lo condivido con te.
Non credo sia amore ciò che provo nei tuoi confronti, solo un egoistico bisogno di avere qualcuno.
E non è felicità, la nostra, solamente un surrogato economico di questa.
Ma è già qualcosa, e non me ne lamento.