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Autore: MayaSorako    12/04/2014    0 recensioni
Caro lettore, non chiedermi che cos'è questo racconto. Non chiedermelo, perché non ti saprei rispondere. Tutto ciò che potrei dirti, a riguardo, è che l'ho scritto perché ho sentito il bisogno di scrivere. E' stato allora che l'ho vista: questa ragazza dai capelli argentei ed il sorriso angelico, con quest'aura quasi mistica che si diffondeva tutt'intorno a lei. Ho cercato di immaginare che tipo di persona fosse, che vita avesse, che influenza avrebbe potuto esercitare sul mondo e sulle persone intorno a lei; è così che ha avuto inizio, questa storia. Ma è diventata una storia triste solo mano a mano che la scrivevo, perché mano a mano è riuscita a portare a galla dei sentimenti che credevo messi da parte, sentimenti che penso che ognuno di noi abbia sperimentato almeno una volta nella vita. Quei sentimenti agrodolci che si tatuano sul tuo cuore, quando una persona davvero importante per te, in un modo o nell'altro, ti lascia. Anche se la verità è che non ti lascerà mai.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sapete, mi dicevano sempre che fosse una ragazza strana. Raccontavano che avesse girato il mondo e che non stesse mai ferma nello stesso posto per più di un paio di giorni; ma quando andavo a cercarla, quando avevo bisogno di vederla, io sapevo che l'avrei trovata sempre lì, con il suo basco rattoppato e la sua giacca a vento di quattro misure troppo grande, seduta sulla stessa panchina bianca all'angolo della pasticceria che le piaceva tanto. Dicevano che fosse una randagia per scelta, una clochard che non accettava elemosina; una fetta di torta però - almeno da parte mia - non l'aveva mai rifiutata. "Forse non ha mai avuto una casa, forse è nata e cresciuta sulla strada", credevano alcuni. Altri supponevano che fosse una ragazza ricca scappata dal suo castello; forse per quei lineamenti così raffinati del suo volto... per i suoi lunghissimi capelli argentei... o ancora per quella rasserenante aura di nobiltà che perennemente emanava. Poi, invece, c'erano quelli a cui piaceva pensare che venisse da un altro mondo. Vi sembrerà un'assurdità, lo so bene... Ma io stessa, la prima volta che l'ho vista lì, seduta su quella panchina, con i capelli al vento e gli occhi pieni di stelle, ho pensato che fosse un angelo.
 
Ancora oggi non conosco la verità, e probabilmente non la conoscerò mai. Ma so che deve trovarsì lì, da qualche parte nel mezzo; o almeno, questo è ciò che sento lei mi avrebbe risposto, se mai avessi trovato il coraggio di chiederglielo. Ma non gliel'ho chiesto; io non le ho mai chiesto niente: io parlavo, e basta. Mi stava bene anche così, immagino. Credo che fosse questo ciò che mi piaceva di lei: quella bianchissima nuvola di mistero che non la abbandonava mai. Forse era proprio questo ciò che mi spingeva ad andare da lei per ogni minima sciocchezza che mi capitava. Già; forse era davvero questo il bello: il poterle dire ogni cosa senza alcuna remora, senza il timore di essere giudicata, senza la paura di usare una parola sbagliata. Adesso, a pensarci bene, non era poi così diverso dal parlare al vento, in fondo. E in fondo, forse, avevo solo bisogno di qualcuno con cui parlare. E' stata lei, sì, ma sarebbe potuto benissimo essere qualcun'altro. Sì, probabilmente è così...
 
Se vi aspettate che dica che mi manca, ora che è scomparsa, vi sbagliate di grosso: non succederà mai.
 
 "Perché", mi chiederete? Perché è impossibile, punto. E' impossibile sentire la mancanza di qualcuno di cui non conosci nemmeno il nome. E, se impossibile non fosse, sarebbe semplicemente stupido. E io non sono una stupida. Preferisco pensare che non sia mai esistita veramente, che sia stata soltanto il frutto della mia immaginazione, piuttosto che pensare di sentire la sua mancanza. E questa cosa è anche piuttosto facile da metabolizzare, a dire il vero. In fondo, non la conosceva nessuno; non l'ho conosciuta neanche io, che con lei ho trascorso alcuni dei più bei giorni della mia vita; figuriamoci. Era... come un fantasma- anzi no: come un miraggio. E' stata soltanto un miraggio. Sì, un miraggio... E, proprio come un miraggio, è apparsa dal nulla ed è scomparsa nel nulla. Ed è meglio così.

Però...
Se non fosse stata un'illusione, se fosse esistita davvero, penso che mi sarebbe piaciuto rivederla un'ultima volta... Lei e quel suo sorriso così gentile, quel sorriso che rivolgeva soltanto a me. Anche nei giorni più tristi, quelli in cui la vita dava il peggio di sé, e io desideravo di non essere nata... Lei mi aveva guardata negli occhi, e aveva sorriso. Ed io avevo sentito che sarebbe andato tutto bene. Non so come fosse possibile. Ad essere sincera, in quei momenti ho pensato che fosse magia. E mi sono sentita la persona più fortunata del mondo.
 
Sembrava così reale...
No, non è possibile che non lo fosse. Lei Era reale... E lo era anche la felicità che provavo nello starle vicina. Lo so; l'ho sempre saputo. Ma non è facile da accettare. Quando incontri qualcuno di così speciale, vorresti che restasse con te per sempre; e lo vorresti così tanto, che alla fine ti illudi che lo farà davvero... Anche se di lei non sai niente. Anche se di lei sai soltanto del suo sorriso, delle stelle nei suoi occhi, e del suo negozio di dolci preferito; forse, e solo forse anche soltanto questo è abbastanza. E' abbastanza per sentire questo profondissimo vuoto nel tuo cuore, quando percorri la stessa solita strada, sotto lo stesso solito cielo, verso la stessa solita panchina, e la trovi vuota. Forse, quel panico che ti prende all'improvviso e invade ogni singolo centimetro del tuo corpo, togliendoti il respiro mentre non sai cosa fare e come uscirne, non è poi così stupido. Ma io devo pensare che lo sia, o non ne uscirò mai. Devo tornare là, e dirle addio. Devo scappare da questa cosa, anche se non voglio dimenticare.
 
Mentre cammino per l'ultima volta lungo quella strada, voglio riportare alla mente tutti i ricordi più belli che ho di Lei. Li raccoglierò tutti in un pezzetto del mio cuore, e li abbandonerò lì, sulla panchina bianca, insieme a questa margherita che ho raccolto sulla via. Posso farcela... Posso farcela. Me lo ripeto ancora e ancora, adesso che il panico sembra avermi dato un attimo di tregua. E così eccomi arrivata, anche prima di quanto mi aspettassi; neanche a dirlo, la panchina è vuota. Ed io non posso fare a meno di rimanere delusa. Non so cosa mi abbia spinta a sperarci ancora, in primo luogo. La fisso per un momento, immaginando che Lei sia lì. Mi siedo sul solito punto, e appoggio la margherita dove si sarebbe seduta Lei. E poi, succede l'ultima cosa che vorrei; forse è successo troppo in fretta, forse non ero pronta... e così adesso sto piangendo. E le lacrime non si fermano, e più piango e più voglio piangere. Anche se non ho il diritto di piangere. Anche se i miei singhiozzi non raggiungeranno nessuno.
 
Poi, la sento. 
Sento una risata. 
 
La Sua risata.
Cristallina come l'acqua di un ruscello, fresca come una brezza di primavera.
 
Chiudo gli occhi, e lei è lì. Ed io sono felice. Anche se non riesco a smettere di piangere, anche se la solitudine che provo mi toglie il fiato, anche se probabilmente sono impazzita. Anche se domani, quando mi sveglierò, lei continuerà a non esserci. Anche se forse non c'è mai stata. Non mi importa di tutto questo. 
Perché adesso so che, nonostante tutto, succeda quel che succeda, nessuno potrà mai portarmela via.
 
  
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