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Autore: Lily Liddell    12/04/2014    4 recensioni
Post-Mockingjay | Hayffie | Effie's POV {+Evelark}
~
Sequel di Rain.
{Potranno comunque essere lette separatamente.}
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Sono passati due mesi da quando Haymitch, Katniss e Peeta sono tornati al Distretto 12. Effie non se la passa bene, Plutarch le dà una mano ma il suo appartamento è stato distrutto durante i bombardamenti; è ancora psicologicamente sconvolta dall’esperienza in prigione e spera che il tempo guarisca le ferite.
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Capitolo 1:
Io non so più chi o che cosa sono. Al 13 ero una capitolina, alla Capitale sono una ribelle… Fortunatamente, fra le quattro mura di questo appartamento, sono solo Effie.
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Capitolo 18:
Dal momento che Peeta e Katniss hanno deciso di sposarsi pochi giorni prima del compleanno della ragazza, a lui tocca il compito di preparare non una, ma due torte.
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Capitolo 38:
L’odore pungente del detersivo s’infiltra nelle mie narici e non riesco a combattere la nausea.
I fumi profumati che evaporano dai vestiti appena lavati non sono nocivi ma mi vanno direttamente alla testa, causandomi continui capogiri.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Atmosphere'
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etrichor
1x01 - Dopo la pioggia

 
Gli occhi verdi continuano a fissarmi. Sono sopra di me, non vedo altro. Provo ad urlare ma dalla mia bocca non esce alcun suono.
Sono immobilizzata, non posso fare altro che aspettare, provo a serrare le palpebre più forte che posso, ma quegli occhi restano dove sono. Galleggiano nell’oscurità senza battere ciglio. Non andranno mai via.
Mi sveglio in un bagno di sudore e con il respiro affannato; quando trovo la forza di sedermi e poggiare la schiena alla spalliera, sollevo una mano fino a coprirmi il viso. Non era reale, sono al sicuro adesso.
Da due mesi a questa parte, lo stesso incubo torna a farmi visita ogni notte. I ricordi della prigionia sono più vivi che mai, lui è il sogno più ricorrente. Lui è quello che veniva da me quasi ogni sera. Non ho mai saputo il suo nome, per me era e rimarrà ‘il Pacificatore dagli occhi verdi’.
La stanza è illuminata solo dalla luce della lampada che ho sul comodino; da quando sono stata liberata dalla prigionia non ho più voluto dormire al buio, ma credo che anche volendo non ci riuscirei.
Vedendomi sveglia, il mio gatto si solleva sulle quattro zampe dall’angolo di letto sul quale si era acciambellato e si stiracchia, mi studia per qualche secondo e poi decide che è ora di mangiare, quindi mi sale in grembo e prende a strusciare la testa contro il mio petto.
Comincio a grattarlo dietro l’orecchio sinistro e lui risponde facendomi le fusa. La sua compagnia mi fa restare sana di mente.
Non ricordo molto del giorno in cui Coin e Snow sono morti; la mia memoria conserva immagini e brevi flash, come ad esempio Katniss nel suo costume da Ghiandaia Imitatrice, poi la freccia che viene scoccata e Coin che cade… dopo c’è la confusione più totale.
Mi sono svegliata in un ospedale e mi hanno detto che ero stata travolta dalla folla, che ero fortunata ad essere sopravvissuta. Di nuovo questa fortuna che sembra perseguitarmi.
Due settimane dopo sono stata dimessa e Plutarch è arrivato alla porta del mio nuovo appartamento con una scatola in braccio. Al suo interno c’era Pumpkin, sporco, spaventato e denutrito… ma vivo. Una fortuna che ci accomuna.
Era nel mio appartamento assieme alla mia famiglia quando è stato dato l’ordine di evacuazione e loro non lo hanno lasciato indietro. Una fortuna che non ci accomuna.
Dopo qualche momento di coccole, lo faccio scendere e lo seguo fino alla cucina, poi riempio la sua ciotola di croccantini e mi verso un bicchiere d’acqua. Non so nemmeno che ore sono, ma a giudicare dall’oscurità che regna fuori dalla mia finestra, direi che è ancora notte fonda.
Prima di tornare in camera da letto mi guardo intorno; è ancora strano per me trovarmi qui. È un regalo di Plutarch… il mio appartamento è stato distrutto dai bombardamenti e non avendo un posto dove andare, mi ha trovato questo.
È la metà del mio vecchio appartamento, ma non è troppo piccolo. Ho due camere da letto, un salotto, due bagni e una piccola cucina.
Da quando ho messo piede qui dentro non sono più uscita.
Una volta a letto, mi allungo per prendere un flacone di pillole che è poggiato accanto alla lampada e ad una bottiglietta d’acqua. Ne faccio cadere un paio sul palmo della mano e le ingoio con l’aiuto dell’acqua.
L’effetto non è immediato, ma dopo una ventina di minuti comincio a prendere sonno.
Quando mi risveglio è già mattina da un pezzo, però, non sono molto riposata. È come se non avessi dormito affatto, mi sembra di aver chiuso gli occhi un attimo fa, però almeno non ho avuto altri incubi.
Ci sono giorni in cui non mi alzo dal letto, dipende da come mi sveglio, questo credo sia uno di quei giorni…
Un paio d’ore dopo, capisco che invece sarò costretta ad alzarmi. Sento la porta d’ingresso aprirsi e mi costringo a tirarmi su.
Chi sarà adesso? Ci sono talmente tante persone che hanno le chiavi…
Plutarch, ad esempio. L’appartamento è intestato a lui e quindi ha una copia. Fulvia, è sempre al fianco di Plutarch, figurarsi se non ha anche lei le chiavi del mio appartamento. Venia, Flavius e Octavia… anche loro ne hanno una copia; il motivo principale è perché avevo smesso di rispondere alla porta, quindi in questo modo hanno aggirato il problema.
Mi avvolgo una vestaglia attorno al corpo ed esco dalla mia stanza; a farmi visita sono proprio i tre ex-preparatori. Li saluto cordialmente, perché sono sempre così gentili con me che mi sento in dovere di far finta di stare bene.
Venia regge due grosse buste della spesa e le poggia sul tavolo del salotto prima di venirmi ad abbracciare. “Allora, come stai oggi?”
“Meglio di ieri.” Rispondo, ed è vero. L’ho notato, ogni giorno che passa sto un po’ meglio.
“Ottimo!” Cinguetta Octavia, poggiando un’altra busta della spesa sul mio tavolo.
Non uscendo più di casa, ho bisogno che qualcuno si occupi di queste cose e loro si sono offerti di farlo prima che fossi io a chiederlo.
“Se sei di buon umore,” Flavius mi porge un grosso scatolo, ma quando vede che non ho intenzione di prenderlo, lo aggiunge alla collezione di spesa sul tavolo. “Potresti dare un’occhiata a questi. Sono vestiti, li ho presi per te!”
Lui sorride, quindi lo faccio anche io. All’inizio l’unica cosa che volevo fare era tornare alla normalità. Poi ho scoperto che la cosa sarebbe stata più difficile del previsto.
Dopo aver lasciato la prigione, credevo che il mio lavoro mi avrebbe aiutata; dopo essere stata dimessa dall’ospedale, però, mi sono resa conto che ci sarebbe voluto più del lavoro.
Ho perso tutto durante i bombardamenti, l’unica cosa che mi è rimasta è la parrucca dorata, una copia a dire la verità. L’originale è stata distrutta quando sono stata arrestata, immagino.
Vestiti succinti e parrucche, comunque, fanno nascere in me un’ansia irrazionale. Ho provato a combatterla all’inizio, quando poi ho iniziato a stare male fuori dalle mura di casa, ho preferito rinchiudermi e stare bene.
Con i ribelli al potere la Capitale sta cambiando. Molte persone hanno perso il lavoro e il governo sta chiedendo quantità di denaro sempre maggiori per ricostruire la città. La moda è diventata un lusso che in ben pochi possono permettersi.
La pelle di Octavia ormai è di un verde pallido, malato. Immagino che quando tutta la tinta sarà svanita, tornerà il rosa naturale. A quanto pare, però, può ancora permettersi il colore ai capelli. Probabilmente perché è Flavius ad occuparsene…
Tutti e tre ora lavorano in un centro estetico, anche se Venia mi ha confessato che stavano pensando di trasferirsi al Distretto 1. Lei e Flavius hanno perso la casa, quindi ora alloggiano entrambi da Octavia, che abita in un quartiere poco toccato dai bombardamenti.
Non hanno nessuno, le loro famiglie sono state uccise dopo che i ribelli li hanno sequestrati…
Per quanto riguarda me, io ovviamente non ho più un lavoro e non avendo un lavoro, ho ben poco da spendere.
I soldi della mia famiglia sono stati tutti prelevati dallo stato per permettere alla Capitale di riprendersi.
È il prezzo che è stato concordato al mio processo, in cambio del mio rilascio.
Flavius sembra non vedere l’ora di farmi provare quello che mi ha preso, quindi lo assecondo perché se è questo quello che lo fa stare meglio, allora sono più che felice di aiutarlo.

I giorni passano e così le settimane.
Plutarch e Fulvia mi fanno visita almeno una volta ogni settimana, mi aggiornano su cosa sta succedendo lì fuori.
Poi un giorno Plutarch si presenta alla mia porta offrendomi un lavoro. Non è importante, ma secondo lui – e secondo la mia terapista – potrebbe aiutarmi.
Accetto e divento la segretaria di Fulvia, il che significa che ogni mattina lei mi porterà centinaia di carte da controllare, timbrare e firmare e che alla fine della giornata passerà a riprendersele.
Non è un problema, è un lavoro ordinato e poi posso restare a casa.
Ogni volta che ne ho l’occasione, chiedo novità riguardanti la mia famiglia, ma le risposte che ricevo sono sempre le stesse. Mia madre e mio zio sono stati vittime dei bombardamenti, mio cugino è ricoverato in ospedale, mia sorella è ancora fra i dispersi, mio cognato – uno stratega – è stato giustiziato poco dopo la morte di Snow e i miei nipoti sono ancora in custodia dello stato, dal momento che l’unico familiare rimasto sono io e a quanto pare non sono ancora mentalmente stabile per potermi prendere cura di loro.
Ci sono stati momenti in cui ho implorato Plutarch perché si impegnasse di più nella ricerca di mia sorella, ma mi hanno detto che stanno facendo tutto il possibile, non solo per me, ma per tutti i dispersi.
Più il tempo passa e più diminuiscono le possibilità di ritrovarla ancora viva, ma ormai io non ci spero più. Vorrei solo avere la certezza che sia morta, perché il non sapere mi logora dall’interno.
Plutarch mi dice di non smettere di credere, mi dice che c’è ancora speranza per tutto. Ci sono così tante cose da fare…
Le prime strutture pubbliche ad essere tornate completamente funzionanti sono stati gli ospedali, subito dopo le scuole.
È stata immediatamente approvata una nuova riforma che prevede due ore a settimana di informazione; volontari del Distretto 13 fanno dei giri nelle scuole a raccontare la ‘vera faccia dell’era di Snow e degli Hunger Games’.
La televisione trasmette interviste su interviste a Paylor, Plutarch e ad altri personaggi che hanno preso parte attiva nella ribellione, che io non ho mai visto prima. Fra una trasmissione e l’altra, durante le pubblicità, fanno comparire i volti dei ribelli caduti.
In genere cambio canale appena cominciano, ma nonostante tutto ogni tanto non riesco ad evitare di guardare negli occhi di Cinna, Portia, Finnick, Primrose e altri volti sconosciuti e non.
Qualche volta mi soffermo a guardare le immagini di guerra. Sono fotogrammi di Katniss nei distretti con una voce fuoricampo. Quando capita, mi ritrovo a pensare. Non alla guerra appena finita, ma alla mia vecchia squadra.
Nella mia mente mi riferisco a loro ancora con questo nome, anche se non dovrei farlo già da tanto tempo, ormai.
Plutarch ogni tanto mi tiene aggiornata anche su di loro, non gliel’ho mai chiesto ma lui infila l’argomento nelle conversazioni appena può. Ho scoperto da poco che Katniss e Peeta si stanno rimettendo, anche se lentamente e che Haymitch è caduto di nuovo nella morsa dell’alcool. Non mi aspettavo nulla di diverso.
Non provo rancore verso i ragazzi, non potrei mai.
Potrei provarne verso Haymitch, ma non ci riesco. Anche se mi ha lasciata indietro la prima volta, dopo tutto quello che avevamo passato… credevo che non sarei uscita viva da quella prigione.
Quando sono arrivati i ribelli a liberare i prigionieri, poi, mi hanno lasciata di nuovo lì; e alla fine, quando mi hanno portata al 13… non è mai venuto a farmi visita. Tutto quello che ho saputo mi è stato riferito da Plutarch.
So che sia lui che Haymitch hanno cercato in tutti i modi di non farmi giustiziare dalla Coin e per questo so che gli sarò debitrice.
Spesso mi ritrovo a pensare all’ultima volta che li ho visti e non riesco più a ricordarlo. So solo che da quel giorno prima dei giochi, che ormai sembra appartenere ad un’altra vita, ho rivisto solo Katniss e solo per poco tempo. Poi sono tornati al Distretto 12, lasciandomi indietro di nuovo. Probabilmente anche se me l’avessero chiesto non sarei mai andata con loro, credevo che il mio posto fosse alla Capitale. Credevo che le cose sarebbero andate bene.
Fulvia una mattina, quando mi ha portato la solita catasta di fascicoli, mi ha detto che per tutta la città hanno sparso cartelloni e volantini con lo slogan niente più giochi e ha aggiunto che la gente della Capitale si sta lentamente abituando a queste nuove prospettive.
Secondo lei sono tutti molto positivi a riguardo.
Su questo ho i miei dubbi. Tutti quelli che consideravo amici non mi hanno più rivolto la parola da quando sono tornata; non tutti hanno preso bene l’ascesa dei ribelli.
Io non so più chi o che cosa sono. Al 13 ero una capitolina, alla Capitale sono una ribelle… Fortunatamente, fra le quattro mura di questo appartamento, sono solo Effie.

È una mattina qualsiasi quando mi sveglio e comincio a prepararmi. Do da mangiare al mio gatto e poi attendo pazientemente l’arrivo di Fulvia. Il suono del campanello non mi prende di sorpresa, ma quando vado ad aprire mi ritrovo di fronte Plutarch.
Sotto il braccio regge una cartellina che contiene il mio lavoro giornaliero, lo faccio entrare e gli offro del succo d’arancia.
Ci sediamo al tavolo del salotto e lui mi passa i fascicoli, comincio a sfogliarli e non mi sembra che ci sia nulla di anomalo, quindi non mi spiego la sua presenza.
“È successo qualcosa?” Gli chiedo, quando vedo che non sembra volersene andare.
Plutarch si sistema sulla sedia, schiarendosi la gola e annuendo appena.
Improvvisamente mi sento cogliere da un sensazione di soffocamento. È successo qualcosa. Cosa? Hanno trovato mia sorella? È morta? Non può più permettermi di restare? Dove andrò se decide di cacciarmi?
Riesco a cogliere un lampo di preoccupazione negli occhi di Plutarch, poi si sporge in avanti e cattura le mie mani fra le sue stringendole appena. Non mi ero resa conto di star tremando. “Non è nulla di preoccupante, sta tranquilla.” Cerca di rassicurarmi, ma non gli credo.
Fino a pochi secondi fa non sembrava così sicuro di quello che stava dicendo. Non trovo la forza di rispondere, quindi ritiro le mie mani e le poggio in grembo.
Ho smesso di tremare ma continuo a sentire il petto compresso in una morsa quasi dolorosa. Respiro profondamente e per un attimo il dolore diventa insopportabile, il respiro mi si blocca nei polmoni, ma è solo una frazione di secondo, poi sto meglio.
Plutarch torna a guardarmi con fare apprensivo e infila una mano nella tasca interna della sua giacca. Tira fuori dei fogli bianchi e li sistema sul tavolo, poi dal taschino tira fuori una penna e la poggia sui fogli.
Il suo comportamento comincia ad innervosirmi, quando finalmente comincia a parlare, lo fa con un tono serio e composto. “Tre giorni fa sono venuto a sapere che i figli di tua sorella non possono più restare nella struttura che li ospita. C’è un tetto massimo di giorni che loro hanno raggiunto…”
Comincia e io non capisco dove voglia andare a parare, i miei occhi sono fissati sui fogli e sulla penna davanti a me.
“Domani i loro fascicoli verranno inseriti nelle pile dei ragazzi in affidamento e loro verranno trasferiti in un’altra struttura di passaggio. C’è una grande possibilità che vengano separati.” Ora Plutarch sta tamburellando con le dita sul tavolo e io non riesco a sollevare lo sguardo nemmeno se ci provo. “Ne ho parlato con la dottoressa che ti sta seguendo e lei mi ha detto che secondo lei sarebbe una cosa positiva sia per te che per i tuoi nipoti. Loro vivrebbero con qualcuno che conoscono e di cui si fidano e tu, tu avresti qualcuno di cui occuparti, il che sarebbe sicuramente produttivo.” Non mi rendo conto di trattenere il fiato finché non devo necessariamente inspirare. Ora so quello che mi sta chiedendo, ma la cosa mi sembra ancora impossibile, non è reale. Spinge verso di me i fogli e mi porge la penna. “Se lo vuoi, se ti senti pronta, questi sono i moduli dell’affidamento.”


A/N: Salve a tutti! Finalmente sono riuscita a scrivere questo primo capitolo. L'ho pubblicato un po' prima del previsto. È un capitolo più che altro preparatorio a ciò che verrà in seguito ma mi serviva per mettere le basi…
Questa fanfiction comincia qui e spero arriverà il più lontano possibile.
Sono ancora una Hayffie shipper accanita quindi più avanti sicuramente proverò a sistemare le cose fra loro due. Dopo quello che è successo, però, ci vorrà un po’.

Non ho molto altro da aggiungere, siamo solo all’inizio e io sono veramente emozionata per questa cosa.
Nell’immagine di copertina ho usato Amanda Abbington come Fulvia, i ragazzini li conoscerete presto. :)
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere con un commento!
Vi aspetto al prossimo!
Se volete una piccola anticipazione sul prossimo capitolo, cliccate qui.
Se invece vi interessa leggere una piccola one shot sull'esperienza in prigione di Effie, cliccate qui.

 

x Lily
 
 
 
   
 
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