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Autore: Abbykat    13/04/2014    0 recensioni
Riflessione sulla natura dei poteri di Rogue e su come li vede lei, e sulla sua strana non-relazione con l'unica persona che quasi capisce. Indirettamente ispirato da 'Her First And Last', da Classic X Men 44.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anna Raven/Rogue
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: X-Men e i suoi personaggi sono proprietà di Stan Lee e Jack Kirby e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro. Nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

DEFINITIONS
scritta da Abbykat, tradotta da Alessia Heartilly

Sono divertenti le parole a cui si arriva, la frasi che si creano nello sforzo di trovare un modo semplice di riferirsi alle cose che sfuggono alle descrizioni semplici. Avevano sviluppato il loro gergo peculiare, un dialetto composto di scienza e pseudoscienza e termini più ingannevoli.

Per lei, le parole erano quelle piuttosto semplici: "invulnerabile", "indistruttibile". Non una descrizione molto accurata, ma le piaceva il suono e faceva del suo meglio per incoraggiare il pregiudizio. E poi, di certo, c'erano altre parole, per un concetto che non era mai stato molto semplice da definire. "Assorbire." "Assimilare." "Imprimere."

In privato, pensava che "stuprare" potesse essere un po' più vicino alla verità.

Nessun altro la pensava a quel modo; non che lei ne avesse parlato, in realtà, con qualcuno di loro. Sospettava che avrebbero trovato scioccante l'idea. Ma cosa era il sesso, davvero, se non prendere una parte di qualcun altro dentro di sé, o spingere in qualcun altro una parte di sé? Come altro si poteva chiamare, quando con una carezza si prendeva tutto quello che rendeva qualcuno chi e cosa era, e lo si teneva dentro di sé? In un certo senso, era l'ultimo atto sessuale, la penetrazione più personale e intima.

Usarla come un'arma la rendeva uno stupro, e lei non era sicura di chi, nell'equazione tra lei e la sua vittima e il suo potere, era lo stupratore.

No, nessun altro la pensava così, e a lei non interessava suggerire l'idea, forse perché pensava che avrebbero insistito per farla smettere, e forse perché aveva paura che glielo facessero fare comunque. Soprattutto perché lei non voleva davvero scoprire quale delle due.

Era arrivata alle sue conclusioni tempo prima, in ogni caso, e se loro non avevano del tutto capito cosa le chiedevano, quello non cambiava il principio della cosa. Quello che andava fatto, andava fatto; ognuno di loro che aveva accettato quella battaglia aveva capito, o era arrivato a capire, che avrebbero dovuto fare dei sacrifici per un bene più grande. Nessuno aveva promesso che sarebbe stato semplice.

L'avevano resa una sostenitrice. Poteva prostituirsi per il sogno, se serviva.

E per un po' non aveva davvero avuto molta importanza. Le era stato dato il suo spazio, e lei era giunta a una comprensione dentro di sé, aveva trovato un equilibrio che funzionava. Tutto era stato, se non proprio a posto, almeno più o meno decente.

Ma "decente" sembrava sempre più lontano, in quel giorno. Quell'equilibrio delicato e guadagnato a fatica era stato turbato dalla presenza dell'unica persona sulla terra che aveva una qualche idea della vera natura di ciò che faceva lei, l'unica persona abbastanza pazza da volere quello che chiunque altro evitava come la peste.

L'inferno della cosa era che lui quasi capiva. Quasi - ma non proprio.

Immaginò che fosse solo la sua natura a portarlo a pensare a quello che lei gli aveva fatto come bene invece che male. Che faceva male non c'entrava nemmeno, non per lui; era come se lui pensasse all'incoscienza che sarebbe seguita come a una specie di glorioso ultimo bagliore, lo stupore beato che sarebbe seguito giustamente all'esperienza sensuale più definitiva. Sapeva che lo faceva impazzire il fatto che lei avrebbe preso da chiunque altro quello che non prendeva da lui.

Ma era quello il problema. Con chiunque altro, non importava. Con chiunque altro, era una necessità sgradevole, qualcosa che faceva quando doveva, ma che non le piaceva. Fino a quando la pensava in questo modo, c'era un certo grado di impersonalità nella cosa, un piccolo elemento di protezione.

Cambiare questo, farlo non perché doveva ma perché voleva farlo - quello cambiava tutto. Se prendeva per piacere invece che per necessità, se si fosse permessa di goderselo, non ci sarebbero state garanzie che sarebbe stata in grado di fermarsi. E quello era pericoloso, una roulette russa in cui c'era in gioco la vita di lui, e lei aveva il dito sul grilletto.

E anche nonostante questo, poteva quasi valere la scommessa - ma era semplicemente troppo, troppo in fretta. Quando il tocco più semplice avrebbe rimosso ogni singola barriera tra loro, non ci sarebbe stato alcun tipo di preliminare. Non ci sarebbe stata alcuna tensione dell'attesa, il dolce brivido della scoperta, una volta che ogni ricordo e pensiero e piano e paura e speranza le sarebbe stato buttato addosso in un impeto violento. Non poteva innamorarsi così.

Lui non lo capiva. Si offriva troppo facilmente, insisteva troppo quando lei rifiutava. Poteva sentire la pressione del suo desiderio dall'altro lato di una stanza, senza nemmeno doverlo guardare. Quindi continuava ad allontanarlo, e lui continuava a tornare, e si facevano girare l'un l'altro in una danza di civetteria e sfiducia e frustrazione che non li portava mai da nessuna parte.

Non era giusto, ma d'altra parte, non lo era nemmeno tutto il resto.

*****
Nota della traduttrice: ogni recensione e commento, anche in messaggio privato, sarà tradotto e inviato all'autrice, e ogni eventuale risposta verrà poi riportata qui. Alla prossima! - Alessia Heartilly

   
 
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