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Autore: Beauty    13/04/2014    4 recensioni
What if? ambientata nell'universo della mia long "Grimm - No more happily ever after", richiesta da Jessica21 :).
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Angolo Autrice: E’ opportuno che vi avverta prima che leggiate questa storia, non fosse altro per evitare fraintendimenti che la vedono come una sorta di spoiler. No. Nessuno spoiler. Questa fanfiction mi è stata richiesta ed è dedicata a Jessica21, e si tratta di un mix di What if? e Missing Moment collocata nella seconda parte di Grimm – No more happily ever after, con protagonisti Elizabeth e Tremotino. Quello che leggerete non è spoiler e non accadrà mai nella storia – così come vi invito a prendere con le pinze i dettagli riguardanti gli altri personaggi, in particolar modo Anya, e lo svolgersi dei fatti.
Il finale che ho pensato per Grimm e i suoi personaggi è ben definito nella mia mente, e potete leggere questa storia come qualcosa che potrebbe accadere…ma anche no. Il loro finale – e vorrei sottolineare che se non ho scritto lieto fine non è stato certo a caso – sarà completamente diverso. A voi il beneficio del dubbio :p.
Probabilmente Jessica21 mi farà causa dopo averla letta, ma lei mi ha fornito il prompt e…dearie, ormai dovresti sapere che non conviene fare accordi con me quando si tratta di fanfiction, sono peggio di Tremotino, muhuhuhuhahahahah!!!!!
Non ho ancora finito di tediarvi, quindi tornate qui.
Mi rivolgo a chiunque sia iscritto al gruppo su facebook: come sapete ho scritto diverse versioni di questa storia e…in quest’ultima, Raphael non c’è, ma è in viaggio. Comprenderete alla fine, se non l’avete già fatto ;).
Ultimo avvertimento: angst is the way. Io vi ho avvisati.
Buona lettura.
 
 
 
Dodici rintocchi (lunghi un intero addio)
 
Non aveva idea di dove sarebbe potuta andare, una volta uscita da lì, da dove cominciare. Certo, sapeva cosa stava cercando, chi stava cercando. Avrebbe continuato le ricerche di sua sorella, ma prima di tutto doveva trovare un modo per riunirsi a Cenerentola e al Cacciatore. E ad Hansel, naturalmente. Si rese conto di non aver quasi mai pensato a lui, in quei mesi, e anche adesso il cacciatore di streghe rappresentava solo un’ombra evanescente in un angolo dei suoi pensieri, pronta a venire sostituita da altri alla prima occasione.
Prima di tutto, quando se ne fosse finalmente andata dal castello, avrebbe dovuto trovare una maniera per raggiungere Cenerentola e il Cacciatore, dovunque fossero. Dubitava che fossero rimasti lì ad attenderla per tutti quei mesi, senza fare nulla, poco importava se lei era una possibile candidata al ruolo di Salvatrice. Conoscendo il suo amico Cacciatore, doveva certamente aver trovato un modo per impiegare il tempo in modo utile – magari cercando una maniera per salvarla, e nel frattempo non abbandonando il progetto di raggiungere i ribelli o di trovare le altre chiavi. Non era troppo stupita del fatto che in quei mesi nessuno si fosse fatto vedere: il castello di Tremotino era non solo isolato e circondato da mura altissime, ma anche sorvegliato costantemente da goblin e statue di pietra; senza contare che lei ci era arrivata guidata dal libro, senza dire nulla a nessuno, e che il suo padrone era…
…uno degli esseri più potenti e malvagi di quel mondo, come dicevano sempre tutti.
Elizabeth scosse il capo con forza, imponendosi di pensare a Tremotino il meno possibile, e riprese il suo lavoro, nel tentativo di portare a termine i preparativi per la partenza entro la mezzanotte. Aveva indossato l’abito più pesante che aveva scovato nell’armadio, stivali di cuoio e si era gettata sulle spalle il mantello nero con il cappuccio che il Cacciatore le aveva regalato durante la loro breve permanenza a Salem. Erano i vestiti più pesanti e caldi che aveva trovato, eppure Elizabeth dubitava che sarebbero stati sufficienti a proteggerla dal freddo della notte e dei giorni seguenti. Il Grande Inverno era arrivato, alla fine: alcuni sporadici fiocchi di neve e un cielo grigio e ventoso gli avevano fatto da ambasciata quando lei e il resto della compagnia avevano lasciato Salem, ma in quei mesi il gelo era scoppiato in maniera violenta, ricoprendo l’intero Regno delle Favole di una spessa coltre di neve e ghiaccio, e quasi non trascorreva giorno senza che non vi fosse una bufera o una grandinata. Dovunque fossero, avrebbe fatto meglio a raggiungere Cenerentola e gli altri in fretta, se tutti loro non volevano avere una candidata Salvatrice morta assiderata.
Elizabeth aveva raccolto in una sacca di stoffa le poche cose che aveva con sé nel momento in cui era stata fatta prigioniera, e ora questa se ne stava gettata sul letto della sua stanza, pronta solo per venire caricata in spalla. Accanto a essa, chiuso e immobile, c’era il libro di favole.
Elizabeth lo guardò: non se n’era separata praticamente mai sino al momento in cui Tremotino l’aveva fatta prigioniera, e ora che l’aveva di nuovo a portata di mano, si rese conto di non esserne spaventata come lo era un tempo. Prima provava quasi una sorta di macabro terrore a leggerne le righe di inchiostro sbavato, a recitarne i versi di profezie e leggende, a osservare immagini di tante fiabe che erano state precipitate in un limbo di sangue e buio. Ora, le sarebbe sembrato quasi un libro come un altro, se non ne avesse conosciuto il potere.
Era stato lui a guidarla fino al castello di Tremotino, e sperava che conoscesse anche la strada di ritorno.
Elizabeth sospirò, sedendosi sul letto, cercando di non pensare a nulla che non fosse tracciare un piano per destreggiarsi nella Foresta Incantata una volta uscita da lì. Finora non si era mai trovata da sola: aveva sempre viaggiato insieme a qualcuno, prima in coppia con Anya e poi con Cenerentola e il Cacciatore. E Hansel.
Ancora lui. Elizabeth fece una smorfia: in teoria, il ricordo del cacciatore di streghe avrebbe dovuto essere un pensiero positivo, e invece era solo in grado di infastidirla. Cercò di concentrarsi su altro; si chiese distrattamente se non fosse il caso di ritardare un poco la partenza per andare al lago e salutare Odette, ma subito si rispose di no.
Forse la principessa ci sarebbe rimasta male quando avesse scoperto di essere di nuovo sola, ma Elizabeth riteneva che fosse meglio che lei pensasse…beh, qualsiasi cosa. Che fosse riuscita a scappare, o che Tremotino l’avesse rinchiusa. O uccisa. Se fosse andata da Odette e le avesse raccontato la verità, non avrebbe fatto altro che rattristarla ancora di più. Lei era stata più sfortunata, se anche avesse voluto provare a scappare la maledizione del cigno bianco l’avrebbe costretta a ritornare al lago, prima o poi, senza contare che, visto il carattere della principessa, le avrebbe sicuramente posto delle domande…E lei non avrebbe saputo nascondere la verità.
Perché Elizabeth non stava scappando…se ne stava semplicemente andando via. Così, alla luce del sole – o della luna, piuttosto –, senza inganni o sotterfugi. E con il pieno consenso di Tremotino.
Beh, a dire il vero, non che lui fosse propriamente d’accordo. Aveva cercato di fermarla, d’impedirglielo, ma non si era spinto più in là dal chiederle di rimanere e dall’imporle lo scoccare della mezzanotte, prima di lasciare definitivamente il castello. Elizabeth aveva compreso che la sua era una mossa volta a indurla a riflettere ancora un po’, era chiaro che sperasse che lei cambiasse idea, ma era stata solo fatica sprecata.
La mezzanotte era vicina e lei presto se ne sarebbe andata. Fine della storia.
Elizabeth si accorse solo in quel momento che due lacrime, solo due, le avevano appena rigato le guance. Se le asciugò con una manica del vestito, lievemente stizzita. Non avrebbe dovuto né voluto piangere, quello non era il momento per lasciarsi andare all’emotività e in ogni caso quel…quel…quell’essere malefico meritava tutto, tranne le sue lacrime.
Si alzò in piedi, rischiando si stracciare il mantello che si era impigliato in un chiodo piantato nel legno del letto. Tremotino le aveva concesso la libertà, le aveva permesso di prendere una decisione: restare o andarsene. E lei aveva optato per l’ultima; ma non era stato facile come si sarebbe aspettata, né quella decisione era stata presa spontaneamente, come se lo stregone le avesse offerto quella possibilità di sua volontà, senza condizionamenti. Non era stato così.
Era stata lei a pretendere di andarsene. La sera precedente era andata da lui e glielo aveva detto chiaro e tondo: non ne voleva più sapere di rimanersene rinchiusa lì, fra quelle quattro mura; poco importava cos’era accaduto fra loro due, non voleva più avere a che fare né con lui né con qualunque cosa lo riguardasse. Voleva il libro? Le chiavi? La dannata Pietra? Che se li prendesse, ma lei non era un oggetto, e lui non poteva pretendere che se ne rimasse buona e zitta con la consapevolezza di essere la prigioniera di un essere spregevole.
Non era stato facile, per niente. Lei aveva urlato e lui anche, per un attimo Elizabeth aveva creduto che fosse sul punto di scagliarle contro una magia a cui lei non avrebbe saputo rispondere, che si rivelasse esattamente l’uomo che Vivianne aveva detto essere e le facesse del male, ma non era accaduto nulla. Tremotino aveva imprecato, l’aveva insultata e aveva sbattuto una mano sul tavolo con rabbia, ma tutto ciò che era stato in grado di fare era chiederle che cosa l’avesse indotta a prendere quella decisione. Quando lei gli aveva risposto, lui le aveva domandato, quasi implorando, di rimanere. E di fronte al suo rifiuto, aveva fatto ciò che gli riusciva meglio – le aveva proposto un accordo.
Mezzanotte, doveva solo aspettare fino a mezzanotte, e poi sarebbe stata libera di fare ciò che voleva: rimanere o andarsene.
Elizabeth aveva accettato, più per stanchezza che per altro: l’idea di restare al castello non l’aveva neppure sfiorata.
Si distese sul letto, supina, con le mani giunte in grembo: ora più che mai, le parole di quella donna, ciò che le aveva raccontato sul conto di Tremotino, le ritornavano alla mente con chiarezza ancora maggiore di quando le aveva udite per la prima volta. Era rimasta sconvolta, all’inizio, non ci voleva neppure credere ma poi, riflettendoci, si era resa conto che tutto tornava, ogni cosa, ogni frase o comportamento dello stregone avevano perso ambiguità. E poi, che motivo avrebbe avuto Vivianne per mentirle?
Anche lei era una vittima, in fondo.
Chiunque si avvicinasse a Tremotino lo era. Il demone non era in grado di fare altro, se non mietere vittime. Vivianne, Odette…quel bambino il cui spettro aleggiava ancora nel giardino del castello…Fiodor…la misteriosa Mary-Anne che popolava gli incubi dello stregone…e lei. Lei che pur conoscendo il lupo, si era gettata dritta fra le sue zanne.
L’orologio nella stanza suonò la mezzanotte, ed Elizabeth sussultò.
E’ ora.
Stranamente, quella consapevolezza le provocò un groppo alla gola, ma si morse il labbro inferiore e si alzò di scatto dal letto. Si accorse che i capelli le erano cresciuti di quattro dita – fra poco saranno lunghi come quelli di Anya – quando se li gettò indietro; si mise la sacca su una spalla e si tirò il cappuccio sul capo, stringendosi il libro di favole al petto e avviandosi verso la porta. Velocemente. A passo sicuro.
Non doveva tentennare.
Afferrò la maniglia, mentre il secondo rintocco della mezzanotte risuonava nella camera. Fu a quel punto che si voltò: gettò un’ultima occhiata alla stanza, la sua stanza da letto. O almeno, Tremotino l’aveva definita così, la prima sera che aveva trascorso al castello e, quando la situazione si era un poco appianata, Elizabeth se ne era sentita anche lusingata.
Da che ricordava, aveva sempre diviso la stanza con sua sorella, litigandosi con Anya i cuscini e lo spazio che lei avrebbe voluto riempire con libri, mentre la maggiore insisteva dicendo di non avere più spazio per i suoi CD e i cosmetici. C’era stato un periodo, quando erano piccole e la mamma se n’era appena andata, in cui dividevano lo stesso letto, se una delle due non riusciva a sgusciare sotto le coperte accanto a papà. L’idea di avere una camera tutta per sé l’aveva riempita di contentezza, ma ancora di più lo aveva fatto la consapevolezza che Tremotino aveva avuto quel pensiero, nonostante tutto, per farla stare comoda.
- Beh…addio - soffiò Elizabeth con noncuranza forzata, evitando di approfondire la questione se stesse salutando più la camera, l’intero castello o il suo padrone, e abbassò la maniglia della porta.
- Allora, hai deciso.
La ragazza sobbalzò, più per la sorpresa che per lo spavento, ma non perse neppure un secondo a chiedersi chi fosse stato a parlare. Certo, non era mai stata sola, in quel luogo, ma la voce che aveva risuonato nella stanza non assomigliava neanche lontanamente a quella di Vivianne o di Odette, né tantomeno a quella dei goblin. Lasciò che il cappuccio le scivolasse giù dal capo, e si voltò lentamente e per la seconda volta a guardare l’interno della stanza.
L’ambiente era in penombra, ma la sagoma di Tremotino s’intravedeva alla perfezione, in piedi proprio accanto al letto, con le spalle appoggiate al muro. Teneva le braccia incrociate al petto, e stava tentando di mantenere la sua solita espressione arrogante stampata sul volto, ma a Elizabeth non sfuggì che aveva le occhiaie. Strinse le labbra, aumentando la presa intorno alla maniglia.
Scoccò il terzo rintocco.
- Avevo già deciso quando ti ho detto di volermene andare - rispose, risoluta.- Ho solo rispettato il nostro accordo.
- No, non l’hai fatto.
- E’ mezzanotte - la certezza che lui stesse cercando di trattenerla aveva iniziato a prendere piede, ma non mollò. Sapeva che era di gran lunga più forte di lei, che avrebbe potuto…trattenerla con la forza, sì. Magari metterle le mani addosso, rinchiuderla in qualche segreta. O usare la magia, intrappolarla con le arti oscure come l’aveva visto fare con Grendel, quel giorno. Che facesse pure: lei avrebbe gridato e scalciato, avrebbe fatto di tutto per liberarsi e alla fine ci sarebbe riuscita, e Tremotino non avrebbe guadagnato altro se non tutto il suo odio.
- Non ancora - lo stregone abbandonò la zona d’ombra in cui si era nascosto, venendole incontro. Aveva smesso di cercare di sorridere, e ora la stava guardando più serio che mai. Se non l’avesse conosciuto meglio, Elizabeth avrebbe quasi potuto dire che stesse soffrendo.- Non è ancora scoccato il dodicesimo rintocco, e mezzanotte non sarà giunta fino ad allora.
Come a volergli dare ragione, in quel momento si udì il quarto rintocco.
Elizabeth sospirò, ma sostenne il suo sguardo.
- Stai solo cercando di trovare dei cavilli per costringermi a rimanere, ma non servirà.
- Nessun cavillo. Hai stretto un accordo, e ora lo devi rispettare.
La ragazza strinse i denti. Mancano otto rintocchi, si disse, come per farsi forza. Solo otto rintocchi, e poi te ne potrai andare.
- Otto rintocchi non cambiano niente - dichiarò ad alta voce. Il volto di Tremotino s’indurì, e le venne ancora più vicino. Elizabeth si sentì saltare il cuore alla gola, e si appiattì contro la porta.
- Otto rintocchi posso cambiare un’intera vita, lo sai?- sibilò lo stregone.- Otto rintocchi sono un lasso di tempo più che sufficiente per poter tornare sui propri passi.
- Io non tornerò sui miei passi!- la ragazza scosse il capo con forza.- Ti ho detto di volermene andare, e tu mi hai dato il tuo consenso, ora smettila di comportarti come se…
Nella stanza riecheggiò il quinto rintocco.
- Sette…- soffiò Elizabeth, quasi involontariamente.
- Molto bene. Sette - Tremotino si fece ancora più vicino a lei.- Ti restano ancora sette rintocchi. Impiegali in maniera utile: sei davvero sicura che quella che ti ha raccontato Vivianne sia la verità? Sei certa che non mirasse a qualcos’altro, dicendoti tutte quelle cose?
- Perché avrebbe dovuto mentirmi?- involontariamente, il tono di voce della ragazza si alzò di diverse ottave.- Non ne aveva il motivo. Stava solo cercando di mettermi in guardia da te!
- In guardia da me?- Tremotino si lasciò sfuggire una delle sue solite risate, ma stavolta questa risultò molto più amara e priva di allegria.- Da me, dici? E’ chiaro che tutto questo tempo non ti è servito ad affinare la tua capacità di discernere fra ciò che è vero e ciò che è falso. Ti sei mai chiesta perché si sia presa il disturbo di raccontarti cosa è successo in passato? Perché abbia deciso di…
- Perché sapeva che razza di essere fossi!- sbottò Elizabeth, con rabbia.- Perché le avevi rovinato la vita, e non voleva che facessi lo stesso anche con me!
- Ah, e così le avrei rovinato la vita, eh? Io? Scommetto che ti ha raccontato di Merlino. Di suo marito e di come è morto…
- Sì, lei ha detto che…
- Lei ha detto ciò che le faceva comodo dire!- urlò Tremotino, picchiando rabbiosamente un pugno contro la parete. Elizabeth sussultò, scansandosi di lato, anche se in cuor suo sapeva che lui non l’avrebbe mai colpita.
Risuonò il sesto rintocco.
- Vivianne è una bugiarda, lo è sempre stata e se c’era qualcosa a cui aspirava, di certo non era salvare te! Ti ha raccontato quello che voleva con il solo scopo di farti allontanare…di…di farti allontanare…- lo stregone esitò, ansimando. Elizabeth si azzardò ad alzare lo sguardo su di lui: era pallido, tremava, ed era chiaro che avesse perso il controllo delle proprie parole. La ragazza deglutì, inspirando a fondo.
- …da te?- mormorò infine, guardandolo negli occhi.
Tremotino serrò le mascelle, allontanandosi di un passo. In pochi secondi, parve riacquistare tutto il suo autocontrollo.
- Sì, da me - confermò.- Da me, da questo posto…non voleva salvarti, voleva solo trovare un modo per farmela pagare. E a quanto vedo ci è riuscita.
L’ultima frase fu come una stilettata. Elizabeth chinò il capo, stringendo le mani a pugno. Avrebbe voluto mettersi a piangere, ma sarebbe stato un comportamento da bambini e le avrebbe solo impedito di ragionare a mente lucida. A quel punto, non sapeva davvero cosa pensare, a chi credere: a Vivianne, che si era vista rovinare la vita, o a Tremotino, che restava pur sempre uno stregone malvagio e che più di una volta le aveva teso un tranello…anche se…
Udì il settimo rintocco.
Si riscosse, scuotendo il capo e puntando nuovamente i propri occhi nei suoi.
- Quindi…mi stai dicendo che niente di quello che mi ha raccontato è vero?
- Ascolta…
- Che non hai rinnegato il tuo maestro per seguire la via del Male? Che non l’hai resa vedova?
- Ti posso giurare che la morte di suo marito non è andata come lei…
- Che non stai cercando di riportare indietro i Grimm?!
Era troppo anche per lui. Elizabeth lo vide vacillare, e allontanarsi da lei ancora di più. Lo stregone attese diversi secondi prima di trovare il coraggio di guardarla di nuovo in volto e, quando lo fece, vide una ragazza che si stava trattenendo a stento dallo scoppiare in lacrime.
- Ho sbagliato. So di averlo fatto. Ma…ma posso rimediare, se me ne darai la possibilità.
- Ah, sì?- Elizabeth si lasciò sfuggire una risata che sapeva di pianto.- E come faresti? Sentiamo!
- Da quando sei arrivata tu molte cose hanno cominciato a cambiare, non puoi negarlo. Me compreso.
Inaspettatamente, le prese una mano fra le proprie, facendosi più vicino. Per contro, la ragazza si appiattì ancora di più contro la porta. Risuonò l’ottavo rintocco.
- Che…che stai…?
- Se tu resti, se tu stanotte decidi di rimanere qui con me invece di andartene, allora forse le cose potrebbero ancora cambiare.
- Cambiare? Tu mi stai chiedendo di scegliere se essere libera o ancora tua prigioniera, come credi di…
- Non hai capito. Io non ti sto chiedendo di restare da prigioniera, Elizabeth. Ma nemmeno da amica…io ti sto chiedendo di…
Esitò di nuovo, ma stavolta fu per poco, prima che tornasse a guardarla.
- Posso migliorare, Elizabeth. Se tu diventassi mia moglie, allora le cose andrebbero meglio.
- Che cosa?!- la ragazza scattò all’indietro, sbattendo rumorosamente e dolorosamente contro lo stipite della porta. La proposta era stata così improvvisa e inaspettata da sembrare quasi ridicola e senza senso, eppure lei in quel momento aveva la sensazione di trovarsi in una realtà parallela.- Mi stai chiedendo di…di…oh, Dio, ma che cosa…
- E’ l’unico modo - insistette Tremotino.- Elizabeth, io non voglio che tu sia per me un giocattolo come lo è stata Vivianne. Ti sto chiedendo di sposarmi perché ti amo, perché so che…
- Ma io non posso, maledizione!- strillò la ragazza, prendendosi il capo fra le mani.- Non posso, accidenti! Ho sedici anni, ho perso mia sorella, non so dove sono, non so nemmeno chi sia tu veramente…come puoi chiedermi una cosa del genere?!
- Io sono solo l’uomo che hai conosciuto in questi mesi, niente di più e niente di meno! Quello che ti ha raccontato Vivianne non…
- Vivianne non c’entra! Lo so che tipo sei, ti ho visto! Hai fatto del male a tante persone, hai gettato un sortilegio su Odette, hai quasi ammazzato Grendel e Fiodor, e chissà che cos’altro!- ora Elizabeth stava veramente piangendo.- Quella notte in cui sei stato ferito hai detto di aver sognato di avere le mani sporche di sangue, e sai perché? Perché è vero! Ma come diavolo fai a vivere con questo peso sulla coscienza? Mary-Anne, il fantasma di quel bambino…
- Ti ho già detto che non l’ho ucciso io, e non devi nominare Mary-Anne!- urlò Tremotino, mentre l’orologio batteva il nono rintocco. Ne mancano solo tre…, pensò Elizabeth con un groppo alla gola.
- Io non ti sto rifiutando perché non ti amo, Tremotino…- soffiò la ragazza.- Ti sto dicendo di no perché anche se rimanessi, anche se decidessi di sposarti come mi chiedi, non cambierebbe niente! Io sono qui per impedire ciò per cui tu stai impiegando tutte le tue energie, il ritorno dei Grimm! Se ti dicessi di sì, metteresti da parte il tuo proposito? Lasceresti perdere?
Elizabeth non ottenne altra risposta se non il decimo rintocco.
- Se te lo chiedessi, smetteresti di cercare di riportarli indietro? No che non lo faresti, perché l’ombra di Mary-Anne, chiunque fosse, e la tua cattiveria non te lo permetterebbero mai! Se rimanessi con te, finirei solo per restare intrappolata in questo castello, non rivedrei più mio padre e mia sorella, morirei come tutti quelli che ti si avvicinano! Sei un assassino, e io non voglio essere la moglie di un mostro come te!
L’undicesimo rintocco.
Calò il silenzio. Nessuno dei due parlava. Tremotino sembrava essere molto colpito da quella scenata, ma non diceva nulla. Si limitava a fissarla, e nel suo silenzio Elizabeth lesse la conferma di quanto aveva appena detto: non sarebbe cambiato niente. Aveva ragione lei: non avrebbe smesso di cercare vendetta, non avrebbe cessato di fare del male…e lei voleva vivere, non morire accanto a un mostro.
Suonò il dodicesimo rintocco. Mezzanotte. Era ora di andare.
Stranamente, Elizabeth non si sentì affatto rincuorata da questa consapevolezza, tuttavia cercò di farsi forza…ma non riuscì a smettere di piangere. Afferrò a tentoni la maniglia della porta, mordendosi il labbro inferiore per smettere di singhiozzare, con poco successo.
- Posso andare, adesso?- ansimò, fissando le punte dei propri stivali.
Tremotino non rispose.
- E’ mezzanotte, i patti erano questi!- strillò Elizabeth, spalancando la porta.- Posso andare, ora?- ripeté, quasi con supplica.
- Io non voglio che tu te ne vada. Ma come hai detto, questi erano i patti, e la scelta è tua.
- C’è poco da scegliere.
- Già. Chi sceglierebbe di restare con un mostro?
Quella frase fu come l’ennesima stilettata. Elizabeth singhiozzò più forte, e si affrettò a uscire dalla stanza. Sollevò gli occhi sullo stregone un’ultima volta, sentendosi infinitamente stanca. Come se le avessero portato via tutte le energie.
- Mi dispiace…- soffiò, con la voce rotta.- Mi dispiace tanto…
Fu l’ultima frase che gli rivolse, alla quale Tremotino non replicò. La ragazza richiuse la porta, quindi prese a correre più velocemente che poteva in direzione dell’uscita. Non si voltò a guardare fino a che non fu abbastanza lontana dal castello, quindi, quando si trovò di nuovo nel folto della Foresta Incantata, si accasciò contro il tronco di una quercia. Il libro avrebbe saputo guidarla, lo sentiva, ma in quel momento l’unica cosa che voleva era piangere.
 
~
 
Si era risvegliata in lacrime, ancora una volta. Anche quella mattina, Elizabeth era stata scossa dalle braccia di sua sorella che le gridava di aprire gli occhi. Le prime volte che accadeva si ritrovava nel suo letto, stranita e confusa, e le ci volevano alcuni minuti per rammentare il sogno che aveva fatto – sempre lo stesso da un anno a quella parte.
Ormai era diventata un’abitudine spiacevole che non riusciva a togliersi, ma anche quella mattina Elizabeth si perse nell’abbraccio rassicurante di sua sorella, sentendo il ventre arrotondato di Anya premere contro il proprio. Quella sensazione non servì ad altro se non a peggiorare ancora di più il suo stato d’animo: sua sorella era incinta, incinta di un figlio che di fatto avrebbe dovuto crescere da sola; meritava di essere serena e tranquilla, soprattutto ora che il parto stava per avvicinarsi, e invece lei non faceva altro che farla preoccupare con i suoi incubi e i suoi sfoghi isterici.
- Tutto bene? Ti senti un po’ meglio?
- Sì, grazie…Papà ha sentito?
- No, sta dormendo.
Anya continuò ad abbracciarla, ma fu abbastanza discreta per non chiederle cosa abbia sognato. In fondo, lo sapeva già. Elizabeth chiuse gli occhi, poggiando una guancia contro la spalla di sua sorella, mentre nella sua mente continuavano a proiettarsi le immagini di quanto aveva sognato, un incubo che rispecchiava la realtà di un anno prima: una battaglia che aveva stroncato decine di vite, e fra di esse una che aveva dimostrato di poter essere diversa, ma che con la sua morte le aveva restituito tutto il dolore che lei le aveva inflitto, rifiutando la speranza di una nuova vita, forse migliore.
 
 
 
Angolo Autrice: Ribadisco, questo NON è il finale di Grimm e quanto detto non accadrà mai. Giusto per evitare paura dovuta al dubbio di aver letto uno spoiler ed eventuali istinti omicidi nei miei confronti. Bye, bye!
Beauty
  
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