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Autore: Nisi    14/04/2014    8 recensioni
“Come reagiresti tu, se tutto ad un tratto ti dovessero tagliare quei bei riccioloni scuri e te li tingessero di biondo, se ti dicessero che non puoi mettere più il tuo Belstaff e la tua sciarpa blu e ti facessero indossare delle camicie da boscaiolo invece delle tue button down che ti piacciono tanto, se ti portassero via la tua vestaglia preferita e se al posto dei cerotti alla nicotina ti dessero della tisana al tiglio? Se non potessi più suonare il tuo violino?”
Per ragioni di sicurezza Molly Hooper deve assumere un'altra identità e la cosa non le piace affatto. E' evidente che nei suoi nuovi panni non si trovi, ma forse non tutto il male viene per nuocere.
Seguito di Via, ma molto meno drammatico.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Finnick
Asteria Morgana
Yllel
Irregolare di Baker Street
Trillian87
Martiachan
Grazie!
 
“Non è possibile, è il settimo cadavere in tre giorni!”. E’ Cora a fare questa esclamazione, sbuffando esasperata. Ha ragione, qui all’obitorio della Clinica Universitaria della Città di Galway stiamo avendo quello che si chiama un picco di lavoro. A Londra ero abituata – gli straordinari ad oltranza mi sembrano un ricordo così lontano - ma in questo piccolo angolo di Irlanda, tutto ciò è abbastanza strano. In ogni caso, sono tre giorni che rientro a casa il tempo necessario per farmi la doccia e crollare sul letto per svegliarmi quattro o cinque ore più tardi al suono della sveglia perché devo tornare all’obitorio. Sto vivendo a snack bio e il mio stomaco reclama cibo spazzatura implorando pietà.
Quello  che è ancora più strano è che tutte sono morti violente. Vediamo, uno strangolamento, due sgozzamenti, uno finito a colpi di arma da fuoco, uno avvelenato  con la digitale, uno annegato e dato in pasto ai salmoni del Corrib. Un’occhiata al “nuovo arrivato” e stabilisco che è stato intossicato con l’ossido di carbonio. Se è come tutti gli altri, anche questo cadavere non porta addosso né documenti, né altri segni che ne possano aiutare l’identificazione. Gli altri sono stati identificati senza difficoltà da O’Leary e apparentemente facevano tutti parti della delinquenza locale.
Si aprono ancora le porte e Mellie annuncia pigolando: “Ne è arrivato un altro!”
Il morto deve essere di corporatura piuttosto robusta visto che Mellie ha serie difficoltà a spingere il lettino a rotelle sul quale il nostro paziente è sdraiato. Faccio per aiutarla, ma Mellie si irrigidisce istantaneamente, abbassa gli occhi e mormora: “Ce la faccio da sola”, salvo poi riprendere a spingere con tanta fatica. Sospiro perché so benissimo perché Mellie faccia così, conosco perfettamente il motivo dietro al suo comportamento,  anzi, il nome: Fintan O’Leary – per gli amici e i fan, Fin (chiedo scusa per il bisticcio di parole).
Le volte che è venuto qui O’Leary mi ha girellato intorno, ignorando completamente la povera Mellie, tranne che per trasmetterle il suo ordine per il caffè, come fosse una cameriera e non una patologa certificata.
Nero, due zollette di zucchero, che il Diavolo in persona se lo porti, lui e il suo dannato caffè.
Lo ammetto, è un bell’uomo e sono molto tentata da lui. E’ passato troppo tempo da quando avuto un compagno e una relazione minimamente soddisfacente sul piano fisico. Normalmente questo non costituisce un problema, so gestire la mia solitudine in un modo o nell’altro, ma in questo caso... credo che tutto questo abbia molto a che fare con quello che ho passato in questi ultimi mesi. Insomma, Sherlock, il mio addestramento, il fatto di essere in un posto nuovo, con gente nuova, lavoro nuovo, ritrovarmi in panni che non sono proprio i miei. Questo genere di cose, ecco, solo che non mi piace il suo non voler vedere Mellie. E’ ironico, lei ha esattamente tutte le qualità che avrei voluto che Sherlock notasse in me: oltre ad essere una patologa in gamba, è carina, molto gentile anche se paurosamente timida.
Anche se non mi sta indifferente, faccio l’indifferente. “Ispettore, se vuole dare un’occhiata agli ultimi due”.
Mi scocca un sorriso smagliante un po’ malandrino che mi ricorda troppo, troppo quello di qualcun altro. Cerco di fare finta di niente. “Quando vuole…”
Se si è accorto della mia apparente freddezza, non sembra proprio. “Va bene, vediamo subito”. Tira indietro il sudario che copre il volto del poveretto, lo studia per un momento e poi sbotta con un: “Ma guarda! Ronan O’Shaughnessy! Erano secoli che non lo vedevo, mi chiedevo dove fosse finito e ora lo so. Vabbeh, dai. Che la terra ti sia lieve, eccetera eccetera.”
Io, Cora e Mellie lo guardiamo con occhi sbarrati. Lui ci fissa sorpreso: “Beh? Lo conoscevo. Un pesce piccolo, di nessuna importanza, proprio come gli altri. E’ evidente che è in atto un massiccio regolamento dei conti, qui nel Connacht. Tranquille, signore, era solo un casinista, nessuno sentirà la sua mancanza. E sua madre è troppo ubriaca per rendersi conto della dipartita del suo caro figlioletto”.
Sono allibita, non posso fare a meno che esclamare: “E’ sempre un essere umano!”
Mi fa un sorriso che non so se classificare come quello di un pazzo o di un esaltato. Mi prende una mano tra le sue e mi fa “pat pat”, come per volermi blandire. “Cara, cara dottoressa Summers! Qui in Irlanda siamo abituati a perdere uomini, con quello che ci avete combinato voi inglesi per secoli…”
Mi ritratto bruscamente,  cercando di ignorare le farfalle allo stomaco mentre Cora si pianta una mano sul viso e scrolla vigorosamente il capo. “Ossignore, ci risiamo! Ancora con le sue menate repubblicane del popolo oppresso! Fra un po’ attacca con la storia della peste delle patate!”
Mi sembra di essere finita al nido di infanzia con questi due stanno cominciando un battibecco idiota. Sarei la responsabile, qui, e mi tocca intervenire. Tre sospiri profondi e:  “Va bene, allora se non c’è altro, Ispettore, la lasciamo al suo lavoro.”
O’Leary mi scocca un altro sorriso che questa volta trasuda fascino e testosterone. “Oh, ma di roba ce n’è tanta, mia cara dottoressa. La posso chiamare Tracey?” una mia occhiataccia e: “No, a quanto pare non la posso chiamare Tracey. Si tenga libera una sera che la porto fuori e le faccio vedere i fuochi d’artificio.”
Mellie ha la faccia di una alla quale hanno raso al suolo la casa, rapito la famiglia, appeso il gatto allo stendibiancheria e rubato i soldi, ma ce la fa a rimanere inchiodata dove sta e a non scappare a nascondersi nel bagno. La ammiro e le faccio un sorriso di incoraggiamento, solo che lei distoglie lo sguardo per non farmi vedere le lacrime che le hanno riempito gli occhi. Mellie cara, sai quante volte è successo a me e avevo a che fare con un genio idiota molto simile, anche se meno farfallone e meno impegnato politicamente? Tra le altre cose, l’ultimo fuoco che ho visto era  quello di Sant’Antonio su un paziente ottuagenario. Che la terra sia lieve pure per te, a proposito.
Un ultimo sorriso affascinante e O’Leary se ne va. Rimaniamo tutte e tre in silenzio, in piedi davanti alla porta. “Coraggio, ragazze, vediamo di finire in fretta. Stiamo tutte stanche e abbiamo bisogno di riposare per davvero.” Cora borbotta qualcosa, Mellie non dice una parola. I cadaveri sono decisamente più amichevoli. Certo che tra una innamorata dell’ispettore, un’altra che lo detesta e un’altra che non ha ancora capito bene, le cose non sono facili.
Non mi quadra il ragionamento di O’Leary. Mi va bene che possa essere un regolamento di conti in massa, ma mi ricorda tanto la mia amica Becky. Anche lei studiava patologia assieme a me, solo che l’ultima volta che l’ho sentita era sepolta viva in un ashram nel Kerala. Becky adorava giocare all’assassino, sapete quel gioco in cui bisogna ammazzare i personaggi facendo loro l’occhiolino? Lei non aveva una pistola, aveva una mitragliatrice perché il suo  occhiolino era il più veloce che avessi mai visto. Blink, blink, blink e dopo pochi secondi erano morti tutti, impressionante. Ho lavorato troppo con Sherlock per non cogliere delle incongruenze. Per esempio, i due sgozzati. Apparentemente sono stati uccisi da due persone diverse, ma non ne sono convita: quello che è stato ucciso da un mancino – taglio da destra verso sinistra – è netto e preciso. Quasi chirurgico e l’assassino sapeva quel che faceva, mentre quello ammazzato da un destrimano – taglio da sinistra verso destra – è incerto e slabbrato. Mi sembra quasi che il colpevole si sia sforzato di far apparire che questi due omicidi siano da ricondursi a due assassini diversi, però  secondo me si tratta della stessa persona che sta cercando di far fuori più gente possibile nel più breve tempo possibile. Da qui l’analogia con Becky. Ma perché?
Finiamo il lavoro in un silenzio pesante, poi inforco la bici e torno a casa.
Di solito quando torno trovo Sherlock parcheggiato sul mio divano, ma sono giorni che non lo vedo.
La luce è spenta, la cucina è ordinata in maniera preoccupante, non ci sono in giro le solite carabattole che il mio compagno di sventura ha l’abitudine di distribuire in maniera random chiamandole pomposamente “esperimenti”. Per quanto irritante Sherlock e le sue manie possano essere, ormai mi sono abituata a rincasare e a trovare qualcuno che mi aspetta o una cosa del genere. E’ confortante, non mi succedeva da tanto tempo. Da quando è morto papà, intendo.
Per la seconda volta, scelgo di avventurarmi in casa sua. Non che non possa farlo, ma ho sempre un certo timore di andare da lui. Per essere un uomo che invade gli spazi altrui con nonchalance, è molto geloso della sua privacy, delle sue cose e nessuno vuole che gliele tocchi. Mi ricordo che una volta John mi ha detto di una sfuriata alla povera signora Hudson perché aveva osato fare la polvere, quasi come se anche lo sporco di Baker Street fosse anch’esso di sua proprietà.
In punta di piedi entro in casa sua, è tutto buio, ma è una notte chiara e la luce della luna filtra attraverso il vetro. Sherlock è seduto sul divano, la testa tra le mani. Indossa la sua solita vestaglia e credo, non sono sicura, che sotto abbia il pigiama o la tuta. E’ ripiegato su se stesso ed è totalmente immobile. Da quanto tempo è lì, in quella posizione?
“Sh… Sherlock?”
Nessuna risposta.
Mi preoccupa, perché fa così? Non è da lui. Allungo un braccio a sfiorargli il polso, ma non faccio in tempo a toccarlo che lui pronuncia solo una sillaba: “No!”
E’ ancora immobile, non si è mosso, non ha sollevato la testa, solo quelle due lettere: NO.
Non so cosa fare.  Riprovo e appoggio la mano sulla sua spalla che è terribilmente contratta in un fascio di nervi.
“Ti ho detto di non toccarmi, Molly Hooper!” sibila con un tono che non gli ho mai sentito usare. Rabbia, dolore, paura e altre cose che non riesco a identificare. Con uno schiaffo scosta la mia mano, quasi fosse un insetto molesto.
Indietreggio, sono annichilita da questo Sherlock pieno di violenza repressa che non conosco e che mi fa paura.
Quasi corro verso la porta, sia per andarmene il più velocemente possibile, che per evitare di scoppiare a piangere davanti a lui, ma la sua voce mi ferma. “Aspetta!”
Mi giro e attendo che dica qualcosa, che faccia qualcosa.
Solleva il viso e capisco perché aveva il capo chinato: è sconvolto, ha gli occhi iniettati di sangue e la paura che avevo percepito nelle sue parole è così chiara, così evidente sul suo volto tanto bello.
Allunga un braccio verso di me; esitante, mi siedo sul divano accanto a lui, e aspetto.
“Hai mai fatto qualcosa che odiavi ma che era necessario fare, Molly Hooper?”
Quelle parole mi levano il velo davanti agli occhi. E’ stato Sherlock a far fuori tutta quella gente, come ho potuto non arrivarci prima? Quei morti sono, erano tutti scagnozzi di Moriarty!
Sherlock non mi guarda, forse non ne ha il coraggio.
“Certo. Quando ti ho fatto morire.”
“Era necessario, Molly Hooper.”
“Lo so, ma questo non vuol dire che mi sia piaciuto.” Esito, non so se è giusto quello che sto per dire, ma al diavolo!  “Come quello che stai facendo tu, Sherlock. Tutti quei morti sono opera tua, sono membri della rete di Moriarty e non è possibile fermarli, se non uccidendoli. E lo stai facendo il più in fretta possibile, perché ti vuoi liberare di questo macigno prima che puoi.”
Trasale, forse perché non si aspettava che capissi quello che ho capito, ma poi non fa più niente. Rimaniamo in silenzio per un tempo che non so quantificare, io seduta rigidamente su un morbido divano e Sherlock accanto a me, ancora con la testa fra le mani. Quasi non me ne accorgo quando lui, con un movimento impacciato mi prende tra le braccia e nasconde il viso sulla mia spalla. Non è l’abbraccio di un amante, questo. E nemmeno quello di un figlio a sua madre o di un fratello a sua sorella e neanche quello di un amico. Mi sembra quasi di essere un’ancora che gli impedisce di affondare, la stampella che non lo fa crollare.
“Solo un momento, Molly Hooper”, dice forse più a se stesso che a me, quasi a giustificare il suo attimo di debolezza.
“Va bene, solo un momento, Sherlock.” Mormoro a mia volta dopo avergli circondato le spalle con le mie braccia.
E non importa niente se quel momento è durato tutta la notte.
  Doppio sangue


E’ in ritardo.
Stinkin’ Ben non si è presentato all’appuntamento. Voglio fare in fretta e, come dice Molly, voglio togliermi questa spada di Damocle al più presto possibile. Tutto ciò è molto strano, quell’uomo ha una puntualità svizzera e quando non è riuscito a presentarsi, ha sempre mandato qualcuno di fidato al posto suo.
E’ molto strano, sì.
E’ pomeriggio e il centro è pieno di gente. Come al solito, avevamo appuntamento vicino alla statua di Padraig O Conaire in Eyre Square, ma qui non si vede nessuno. Ancora un quarto d’ora e me ne vado, poi cercherò di scoprire cosa diavolo sia successo.
Cinque minuti.
Otto.
Dodici.
Quattordici.
Sto per andarmene, quando il moccioso che ho inseguito la prima volta mi si para davanti. Non dice una parola, ma ha la faccia sconvolta. Mi fa un cenno impercettibile col capo e si incammina verso il mare. Lo seguo a debita distanza, facendo l’indifferente e con le mani sprofondate nelle tasche del giubbotto – quanto mi manca il mio Belstaff. Usciti dal centro ci dirigiamo verso il quartiere di Claddagh, una piccola lingua di terra che si allunga verso l’oceano. In una stradina nascosta, trovo Stinkin’ Ben. O meglio, il cadavere di Stinkin’ Ben. Ha una ferita profonda all’addome, di quelle che non lasciano scampo, ma che danno abbastanza tempo per sentire un dolore d’inferno, pensare a tutti i peccati commessi su questa terra e a tutte le persone che val la pena di ricordare in un momento simile. Come è prevedibile, i Gardai non sono ancora arrivati.
Povero Stinkin’ Ben, l’odore del sangue e di morte sovrasta persino quello del suo corpo non lavato.
Non è che non me lo fossi aspettato, so bene che quello che sto facendo comporta dei rischi, ma non così presto. La rete di Moriarty è evidentemente più organizzata e complessa di quanto mi aspettassi.
Per Ben non posso più fare niente, ma è evidente che io e O’Leary siamo in pericolo. Quindi devo muovermi e in fretta. Devo trovarlo e avvisarlo al più presto.
*
Sono immersa fino ai gomiti nella cavità toracica dell’ennesimo morto ammazzato, la scheda dice che il suo nome è Feargal Mulligan. Quanto ci scommettete che fra un po’ arriverà O’Leary come un falco a vedere cosa è successo?
“Dottoressa Summers!”

“Dottoressa Summers!”
Oh, già. Stanno chiamando me. A volte, quando sono così presa col lavoro, mi dimentico anche come mi chiamo, figuriamoci il mio nuovo nome.
Sta chiamando me, Fintan O’Leary. “Ah, buongiorno, sto lavorando sul signor Mulligan, se vuol dare un’occh…” rispondo senza nemmeno alzare gli occhi.
“Si frigga pure Mulligan! Tanto è morto, qualche minuto in più non fa differenza.”
Finalmente alzo lo sguardo e mi accorgo che O’Leary mi sta fissando in modo molto strano. “Ho bisogno di parlarle. Urgentemente. Ma non qui, venga!”
Sono qui da sola con Cora, grazie al cielo Mellie se ne è andata a casa, visto che il suo turno è finito da un pezzo. Guardo la ragazza che nel frattempo mi si è affiancata che a sua volta fissa O’Leary con uno sguardo ostile.
A giudicare dalla veemenza, deve essere successo qualcosa di grave. Quindi mi giro verso Cora la quale non mi lascia nemmeno aprire bocca e mi fa un cenno come per dire: “Vai… e portatelo via, possibilmente lontano da qui”.
“Va bene, Ispettore, andiamo pure. Devo solo prendere la borsa e l’impermeabile”, rispondo fingendo una sicurezza che non ho e sperando che non mi porti lontano visto che tanto per cambiare, le scarpe che Anthea mi ha comprato mi stanno facendo vedere le stelle (e no, Ispettore, non grazie a te). Lo seguo cercando di camminare il più in fretta possibile e dopo pochi minuti mi porta in un localino appartato.
Luci soffuse, lume di candela, atmosfera ovattata. Musica jazz in sottofondo.
Il locale è pieno da scoppiare, ai tavolini siedono varie coppie. In che posto mi ha portato O’Leary?
Si fa avanti un maitre in smoking che lo saluta cerimoniosamente con un profondo inchino. “Ispettore O’Leary, benvenuto. Il ristorante è al completo, ma per lei c’è sempre posto. Se lei e la sua gentile ospite vogliono seguirmi, vi accompagno al vostro tavolo.”
Lo guardo stupita – queste situazioni le ho già vissute - e lui mi informa laconico: “Ho tirato fuori dai guai la figlia minore del maitre. Da quel momento c’è sempre un tavolo libero per me, in questo ristorante”. E mi prende galantemente per il gomito per guidarmi al nostro posto, lanciandomi un sorriso un po’ lascivo.
Non appena ci accomodiamo al tavolo, esplodo: “Non aveva da dirmi niente di importante, vero? Mi ha portata in questo posto con l’inganno! Come si permette di tratt…”
Mi interrompo perché vedo l’Ispettore che si china su di me e anche un’imbranata come me capisce ancora meglio le sue intenzioni.
*
Cosa sta facendo quell’idiota irlandese con la mia patologa? Sta cercando di…baciarla?
Ancora una volta, mi è sfuggito qualcosa. E che qualcosa! Io… non riesco a sopportare le manifestazioni di affetto, soprattutto in pubblico e ancora di più in un momento simile. Non è professionale!
Io… devo uscire di qui, l’aria è soffocante. Al diavolo O’Leary, quell’uomo se la potrebbe cavare in situazioni ben peggiori, che si arrangi. Impara a comportarsi in maniera più consona e appropriata alla sua posizione.
*
O’Leary mi afferra per il polso; prende un’espressione dura che non gli ho mai visto. Di solito è scanzonato, gigione, un po’ idiota. Ma ora i suoi occhi sono freddi, calcolatori, guardinghi. Quello dell’ispettore impegnato politicamente, dedito al porno e alla pesca è evidentemente un travestimento come un altro.
“Mi dia corda, Dottoressa Summers o come diavolo si chiama. E’ da un po’ che la osservo e oggi quando non mi ha risposto quando l’ho chiamata, ho fatto due più due. E tranquilla, lei non mi interessa, tanto più che il suo “collega” è un tipo che non ama condividere, quindi niente ménage à trois”, mi sussurra all’orecchio.
Io trasalgo, mi ha scoperto nonostante tutti gli sforzi. Ma non ho capito la storia del ménage. Con Sherlock, poi?
O’Leary prosegue implacabile: “La sua copertura e quella del suo amico sono salve, per questo non si deve preoccupare. Non ho intenzione di scoprire chi siate veramente e cosa c’entri lei con quel suo collega Englishman, ma non è un caso che due inglesi arrivino qui a poco tempo l’uno dall’altro e abitino in due case comunicanti.” Alla mia espressione stupita da pesce lesso, O’Leary sbuffa: “ Galway è una piccola città, grazie al cielo è piena di gente che non si fa gli affari suoi, ho degli amici al catasto e le notizie girano veloci.” O’Leary sta strofinando la mia mano contro la sua guancia ispida. “E poi il suo adorabile concerto seguito dalla scenetta di gelosia del suo amico mi hanno taaanto divertito.” Scoppia in una risata cattiva che mi fa venire i brividi.
Gelosia? Quale scenetta di gelosia? Quest’uomo non conosce Sherlock. “So che ha capito benissimo cosa sta succedendo, nonostante il suo collega con gli occhi azzurri non sembra propenso a dire mai un fico secco. Si guardi le spalle, Tracey, e faccia finta di non sapere niente. Faccia attenzione, i suoi sentimenti le si leggono in faccia. Lo prenda come un consiglio da amico.”
Ancora quello sguardo penetrante e determinato che non sono abituata a vedere. Afferra il suo cellulare e fa finta di controllare i messaggi. “Mi regga il gioco, se qualcuno le dovesse chiedere qualcosa, ho ricevuto un messaggio urgente e ho dovuto lasciarla qui da sola; ora me ne vado, ho delle cose da sistemare. Si goda pure la cena, è tutto pagato e questo posto è sicuro. E poi se ne torni a casa, oggi ha lavorato anche troppo”.
All’improvviso, si alza, si esibisce in un baciamano d’altri tempi degno di uno strano Mr. Darcy irlandese e si avvia all’uscita. Non appena prima di infilare la porta, si volta e mi fa l’occhiolino.
“Signora? La sua ordinazione, buon appetito.”
Mi trovo davanti un bel piattone di ostriche. Costano un sacco di soldi e le ho sempre volute assaggiare. Stasera non ho niente da fare, il conto è già stato pagato, quindi… perché no?
* * *
Riesco ad arrivare a casa dopo un paio d’ore. Sono piacevolmente piena, il buon cibo mi fa sempre questo effetto; provo una leggera ebbrezza e le mie ginocchia fanno giacomo-giacomo, grazie a quel vinello bianco, fresco e traditore. Non c’è traccia di Sherlock, qui tutto è come lo avevo lasciato. Vado in bagno a togliermi tutto ‘sto cerone dalla faccia e a prepararmi per la notte. La vestaglia di Sherlock mi tiene bene al caldo e mentre mi spalmo giudiziosamente la crema per le mani, seduta sul letto a gambe incrociate, ripenso a questa strana serata.
O’Leary sbaglia, non ho capito proprio niente di quello che sta succedendo, tranne che Sherlock sta facendo fuori tutta quella gente della rete di J… Moriarty, che O’Leary lo ha beccato e che ci conosciamo.
Non è che i miei pensieri durino a lungo: nonostante la preoccupazione crollo addormentata dopo pochi minuti.
Mi sveglia lo squillo del telefono.
Apro gli occhi a fatica e vedo che fuori è ancora scuro. L’orologio sul comodino segna le tre e quarantadue.
Allungo il braccio e leggo l’ID del chiamante.
Cora? Quella Cora?
“Pronto?”
“Tr… Tracey, v…v…vieni s…subito, è un… un… un’emergenza.” E’ agitata, balbetta ed è passata a darmi del tu senza accorgersene.
“Come un’emergenza? Cos…”
“O’Leary.” Singhiozza.  “L’ho t…trovato qui in obitorio, svenuto in una p…pozza di s…s…s…sangue.”



* * *


Istinto.
Sì, è stato l’istinto ad agire che mi ha portata ad uscire di casa ancora in camicia da notte, vestaglia, ciabatte e cappottino frou frou e a montare a cavallo della mia bicicletta.
E’ stato ancora lo stesso istinto che mi ha fatto pedalare più velocemente di quanto abbia mai pedalato in vita mia, percorrendo la distanza da casa mia alla Clinica Universitaria in metà tempo senza vedere niente, letteralmente, del paesaggio che mi circondava.
Notte buia, a Galway, ma un po’ rischiarata dalle stelle che brillano sul Corrib.
Se non mi trovassi in una disperata lotta contro il tempo, potrei pensare che tutto ciò è molto romantico.
Arrivo senza fiato, butto la bici da un lato dell’edificio e mi precipito all’interno. Le maledette ciabatte mi impediscono i movimenti, quindi me le strappo via e arrivo all’obitorio a piedi nudi, trafelata, col cuore in gola e coperta di sudore nonostante il freddo.
E mi trovo davanti a uno spettacolo quantomeno singolare: CC visibilmente in stato di shock e Mellie che accudisce l’uomo che ama con una cura e una concentrazione da manuale.
“Ragazze!”, esclamo avvicinandomi. CC mi si avvinghia addosso e comincia a piangere disperatamente, mentre Mellie mi lancia uno sguardo diffidente. Poi si rivolge a me, senza guardarmi:  “Ha perso molto sangue… Ho tamponato la ferita e ho fermato l’emorragia. Ho bisogno…” esita e lancia uno sguardo a un povero O’Leary terreo e tuttora svenuto. “Penso di essere in stato di shock anche io”, pigola con la sua vocina. “Puoi suturare tu? Mi tremano le mani e ho sempre ricucito pazienti sempre e solo in rigor mortis”.
La guardo chinarsi sull’Ispettore e la sua espressione mi sembra la stessa della Pietà di Michelangelo che ho visto a Milano tanti anni fa, in gita con la scuola. E’ dolce, Mellie e lo ama sinceramente. Qualsiasi pensiero romantico nei confronti di O’Leary sparisce in un attimo.
“Non ti preoccupare, ci penso io. Mi è capitato di ricucire pazienti vivi e ho una certa pratica.  Mellie, aiutami a vestirmi, CC prepara una sutura di seta montata da 10-0 assieme al portaaghi.”
La ferita è profonda e ci metto del tempo per cercare di fare un lavoro accurato. Un paio di volte O’Leary si è lamentato per il dolore. Ma per il resto, è filato tutto liscio. Ora non ci resta che aspettare che si riprenda.
Mi strappo di dosso il camice insanguinato e mi lascio cadere su una poltrona, peggio di un sacco di patate.
Si avvicinano entrambe le ragazze. CC che regge tra le mani un vassoio con tre tazze di tè, lo zucchero, il latte e una bottiglietta di Bushmills, per una bevanda più corroborante. E Mellie, che mi si accosta minimamente e mi studia per un lungo minuto prima di parlare. “Grazie.”
Scuoto il capo. “Di nulla.”
CC mi si siede accanto. “Ho perso la testa. La verità è che a furia di rifilare il lavoro a Mellie e tenermi le cose più facili, non so più affrontare le urgenze.”
Non dico niente, in questo caso. Evidentemente è così, l’unica cosa utile che CC ha fatto è stata quella di portare il tè. E il whiskey, che mi sto versando nella tazza di tè ormai svuotata.
C’è da fare.
O’Leary non è stato ferito qui all’obitorio, evidentemente. E’ arrivato qui non si sa come e lungo il corridoio ci sono parecchie tracce del suo sangue, tracce che dobbiamo far sparire al più presto. Non penso che domattina qualcuno passerà col luminol i corridoi solitamente immacolati della Clinica Universitaria di Galway.
Mellie arriva con secchi, stracci e spazzoloni e ce li porge quasi con aria di scusa.
Ok, e sia. Siamo tutt’e tre di corvée.
Parecchio tempo dopo abbiamo finito. Vorrei andare a casa, ora, a riposare. E a cercare di salvare la bellissima vestaglia di Sherlock, che ora è coperta di sangue, ma non possiamo lasciare qui O’Leary perché sicuramente qualcuno lo starà cercando per finire il lavoro. Un po’ perché qui all’obitorio fa freddissimo, ma soprattutto per la sua sicurezza. Dobbiamo portarlo via da qui. Sì, ma dove?
Quasi facendo eco ai miei pensieri, Mellie esordisce con un: “Bisogna portarlo via da qui, non può rimanere.”
In coro io e CC domandiamo: “Sì, ma dove?”
“A casa mia”, risponde Mellie con semplicità, avvicinandosi all’ispettore dormiente e scostandogli i capelli dalla fronte con una carezza che mi fa stringere il cuore.
“Ma tu vivi con tua mamma…” sbotta CC.
“Mia mamma è invalida e vive al piano di sopra di casa mia. Non scende mai da basso.”
“Va bene, ma come ce lo portiamo a casa tua, io sono in bici, CC viene in autobus e…”
“Sono in macchina e possiamo abbassare i sedili. CC, tu guiderai e tu Tracey ci seguirai in bici a una certa distanza.” Ordina. “Io sto dietro con lui.”
CC la fissa a bocca aperta, incapace di credere che la piccola Mellie che si fa tiranneggiare sia la stessa donna dall’aria decisa che sa dannatamente cosa sta facendo.
O’Leary è un uomo alto e robusto e nelle sue condizioni, è pure un peso morto.
Tirando con cautela, sbuffando per la fatica e la stanchezza, riusciamo a spostarlo su una barella rotelle; questa volta, l’aiuto di CC è stato determinante perché è una ragazza piuttosto forte, quindi la maggior parte del “lavoro” lo ha fatto lei senza fiatare, ad eccezione di un paio di imprecazioni dirette agli ispettori rincitrulliti e deficienti che osano farsi ridurre in fin di vita sul suo luogo di lavoro.
Sono ormai le quasi le cinque e l’alba è ancora lontana. Fortunatamente siamo a fine gennaio e ci vuole del tempo perché sia giorno.
Siamo tutte stanche morte e abbiamo disperatamente bisogno di una doccia, ma ora non è possibile.
Per fortuna la casa dove vive Mellie non è lontana ed è nascosta in un vicolo.
Anche in questo caso, la forza fisica di CC è una mano santa e riusciamo a portare O’Leary in casa con la barella.
In men che non si dica, Mellie ha preparato il divano letto e l’ispettore si ritrova al caldo e sotto le coperte.
“Non possiamo lasciarlo da solo”, riflette CC, mentre Mellie annuisce quasi sovrappensiero.
“Faremo dei turni.” Annuncia Mellie.
“Sì, va bene. Ma lui non ha una famiglia? Qualcuno di preoccuperà se non lo vede più in giro.” Obietto.
“Conosco le sue cinque sorelle e le sue zie, oltre a tutta la sua famiglia.” Sospira Mellie.
“Eh?????”
E queste siamo io e CC che esclamiamo all’unisono, al colmo della sorpresa.
“Io e Fin siamo fidanzati da tre anni e mezzo e dovremmo sposarci tra sei mesi.”
Continuo a non capire.
“Fin fa un lavoro molto pericoloso, ha dei nemici. E quando ci siamo fidanzati abbiamo deciso di mantenere il segreto per evitare rischi sia per me che per lui. Lo sa la sua famiglia, ma non mia mamma. Mio papà era anche lui un poliziotto ed è stato ucciso su nel Nord, tanti anni fa.”
“Quindi… quindi tutte le tue paturnie… il suo ignorarti… il caffè” sbotta CC. “Mi hai preso in giro! Anche lui ha raccontato un sacco di balle. Vabbeh, è un uomo, ma tu… la mia collega…”
“Scusami, CC, purtroppo è stato necessario. Non abbiamo potuto evitarlo.” Sospira Mellie stancamente. “però non puoi negare che certe cose ti abbiano fatto comodo,” ridacchia maliziosamente la nostra collega ex un sacco di cose.
“Tre anni e mezzo? Tu lavori alla clinica da due anni solamente, quindi tutta questa storia è cominciata quando eri ancora alla Galway Clinic.”
Mellie si limita ad annuire.
“Ma non ti ho mai visto stare con lui, nessuno ti ha mai visto con lui.”
“Ci vediamo di notte quando sono di turno.”
“Oh”, è il mio unico commento.
CC invece va su tutte le furie: “Spero bene che non abbiate fatto sesso sulla mia scrivania!”
Mellie trattiene una risata e ci pianta in asso con la scusa di fare il tè. Quella risata soffocata mi mette addosso qualche dubbio.
Per qualche minuto CC sembra immersa nella riflessione più profonda, ma ad un tratto sbotta con un: “Ci pensi, Tracey? Non solo ci ha raccontato un sacco di balle, magari si è pure spupazzata questo mentecatto sulle nostre scrivanie. Ti immagini che schifo?”
“Ehm, forse dopo ha disinfettato tutto col Cidex?”
“Dici che ha usato il Cidex per disinfettargli pure il…”
Tiro una bella gomitata a CC, mentre Mellie rientra col vassoio del tè. “Vi ho sentite, voi due!”, CC sbotta con qualcosa di incomprensibile e io rido.
Mentre beviamo, Mellie non perde di vista O’Leary che sembra avere un sonno piuttosto agitato. Comprensibile, visto tutto quello che gli è successo.
“Dobbiamo organizzarci per i turni. CC, rientra in ospedale, tu smonti alle otto, poi arrivo io…”
In men che non si dica, Mellie ha distribuito orari per turni, riposo e lavoro in maniera impeccabile, in modo che nessuna di noi si esaurisca e che abbia lo stesso riposo.
Ha avvertito pure le famose zie, le quali hanno già cominciato a tenere d’occhio la casa, quindi O’Leary e la sorvegliante in carica sono al sicuro.
Visto che non c’è più niente per me, torno a casa, non prima che Mellie si sia raccomandata di non far parola con nessuno di quel che è successo in queste ore e mi abbia dato un cambio di vestiti per sostituire i miei, che non erano comunque decenti per andarci in giro. La vestaglia di Sherlock è persa. Troppo sangue, strappata. E’ ormai inutilizzabile. Lo so che al mondo ci sono migliaia di vestaglie, ma è l’unico regalo che lui mi abbia mai fatto, anche se per averlo ho dovuto sacrificare la mia cucina.
Torno a casa, sono distrutta. Mi volto ancora per guardare Mellie che accarezza teneramente la testa di O’Leary. Sembra dimentica di tutto, fuorché dell’uomo sdraiato sul suo divano che al tocco delle sue mani sembra tranquillizzarsi. Mi viene un tuffo al cuore, come sempre. Ho assistito a tante storie belle storie d’amore, ma non ne sono mai stata veramente la protagonista. Ho un lavoro che adoro, una vita che mi piace, ma da quando ho incontrato Sherlock, sembra che tutto ciò  che ho non sia sufficiente, non più. Eppure è molto di più di quello che hanno gli altri.
Non biasimo Mellie per ciò che ha fatto. In fondo, io non mi sono comportata diversamente da lei, anche Mellie ha mentito per proteggere l’uomo che ama. Ma a lei è andata meglio, io invece non ho niente, niente, niente…
Inforco stancamente la bicicletta e torno a casa.
*
Molly non è tornata, stanotte.
Il letto è sfatto, ma quando sono andato nella sua stanza era già freddo. Avrebbe anche potuto fare un pisolino nel pomeriggio, per quel che ne so. Non vi sono tracce della presenza di un altro uomo, intendo  residui organici od odori particolari. Di certo se ha passato la notte con O’Leary, non l’ha fatto qui. Al di fuori dell’ambiente di lavoro, Molly non è certo la persona più ordinata del mondo, quindi gli elementi in mio possesso non sono sufficienti a provare alcunché.
In ogni caso, Molly stanotte non è rientrata.
E’ rimasta fuori, molto presumibilmente con l’ispettore. E questo fa male, mi fa male un punto nel petto che non conosco e non c’è John ad aiutarmi o, eventualmente, a prendermi a calci nel sedere in modo più o meno metaforico.
Suona il cellulare, dal display vedo che è il mio caro fratello. Caro si fa per dire.
“Fratello mio?”
Prima che faccia a tempo ad aggiungere altro, lo interrompo e sbotto in un: “Dubito che a quest’ora del mattino tu abbia chiamato per informarti del mio stato di salute. Hai già fatto colazione e spazzolato i tuoi soliti dolci alla crema? Oppure ora le tue preferenze si sono spostate sul cioccolato?”
Sento Mycroft che sospira dall’altra parte del telefono. Non riesco a fare a meno di punzecchiarlo e comunque se la piantassi, credo ci resterebbe molto male. “Fratello mio, è imperativo che tu lasci l’Irlanda, per non dire l’Europa, entro le prossime due ore. Rimani in attesa di ulteriori istruzioni che ti verranno impartite al momento debito.”
La comunicazione viene chiusa bruscamente e una parte del mio cervello si chiede oziosamente in che parte dell’Europa o, molto più probabile, del mondo andrò a finire. Non spreco nemmeno le energie per domandarmi come Mycroft come abbia saputo di Ben e come si sia potuto organizzare in così breve tempo, è noioso. Aspetto che Molly rientri per comunicarle la notizia.
Come se fosse stata richiamata dal mio pensiero, la mia quasi-coinquilina compare sulla porta di casa sua. Le scarpe in mano, l’espressione stanca e indossa abiti non suoi.
“Sei arrivata, Molly. Bene, giusto in tempo. Mycroft mi ha informato che dobbiamo lasciare l’Irlanda entro le prossime due ore e…”
“Io non vengo.”
“Ma Molly, la tua sicurezza…”
“Io resto qui, Sherlock.” Il suo tono è deciso, ma ancora non mi guarda.
Molly evita i miei occhi, il suo corpo si irrigidisce e quando mi avvicino di qualche passo, avverto distintamente il profumo della colonia che usa O’Leary.
Ah.
Certo.
Ho capito.
Ora il dolore che provavo prima è diventato lancinante.
E’ innamorata di O’Leary. E come biasimarla? E’ un bell’uomo, intelligente, a suo modo colto e suppongo che il suo fascino sia più o meno irresistibile, per una donna.
Va bene, nessun problema. Star da solo mi protegge.
“Capisco. Allora le nostre strade si separano qui. Addio, Molly Hooper”.
Giro sui tacchi e aspetto la macchina di Mycroft che, sono certo, non tarderà.
*
E’ ovvio che non sono riuscita a chiudere occhio.
Ho promesso a Mellie che non avrei detto niente e non posso lasciar da sole le mie due colleghe in questa situazione, con O’Leary ancora in pericolo di vita.
Osservo dalla finestra Sherlock che sale sull’ennesimo macchinone nero – ma quante macchine tutte uguali ha il MI6?
Non un bacio sulla guancia, non una stretta di mano. Però neanche io gli ho dato alcuna spiegazione, ma non dubito che Sherlock capirà che qualcosa mi ha trattenuto qui. Di certo non un altro uomo.
Quando l’auto svolta l’angolo e scompare dalla mia vista, scoppio in un pianto dirotto.
Non ho nemmeno più la vestaglia da stringermi addosso.
 
 

 
Epilogo – parte 1
Tre anni dopo
 
L’SMS di Lestrade mi convoca immediatamente a New Scotland Yard. In questi tre anni, Gordon è diventato sfacciato, infatti il testo del suo messaggio dice: “Vieni immediatamente, se puoi. Se non è possibile, vieni lo stesso”. Cretino! E’ comunque il suo messaggio in codice per segnalarmi un caso che è almeno un otto.
Quindi, in men che non si dica mi ritrovo sul taxi che mi conduce al commissariato.
A proposito, sì. Sono rientrato a Londra circa due anni fa, dopo aver pazientemente distrutto completamente la rete criminosa che Moriarty aveva messo in piedi. In pratica, ho continuato a fare in mezzo mondo quello che avevo iniziato a fare a Galway. Non sono fiero di me stesso, né delle azioni che ho compiuto, ma tutto quello che ho fatto era necessario e non poteva essere evitato. Ho rivisto John, il quale dopo avermi conciato per le feste, mi ha abbracciato e mi ha presentato sua moglie Mary. Donna brillante, ma c’è qualcosa di inquietante in lei che non mi convince del tutto. Dal momento che John è felice, farò finta di non avere sospetti sulla sua “adorabile” consorte. Anche Mrs. Hudson ci ha provato a stendermi e meno male che non ha più una forza sufficiente nelle braccia perché altrimenti al posto della padella in teflon,  sulla testa mi avrebbe pestato una casseruola di Le Creuset e forse non sarei qui a raccontarvela. Meno male che Lestrade si è limitato a scoppiare a piangere e ad abbracciarmi, e per fortuna che è durato poco.
Entrata drammatica nell’ufficio di Lestrade, con tanto di sciarpa blu di cashmere e Belstaff svolazzante.
“Eccomi, Gawain!”
“Per la miseria Sherlock, è Greg! Vabbeh, lasciamo perdere. Conosci la catena di pub O’Dowd? A Londra ce ne sono diversi.”
Annuisco.
“Stamattina il proprietario George O’Dowd è stato trovato morto nel suo appartamento di Londra. Ieri è capitato lo stesso anche suo fratello e comproprietario della catena Robert, solo che lui abita a Galway, in Irlanda.” Galway? Mi irrigidisco, ma Lestrade che anche lui guarda che non osserva, non si accorge di niente e prosegue. “Pare che i due fratelli fossero implicati in faccende poco chiare, cose di droga e prostituzione qui a Londra e in Irlanda. Niente di sicuro, ma di certo quei due non erano brave persone, anche se sono sempre stati abbastanza abili da non far mai ricondurre le tracce a loro.  
“Quindi ritengo sia necessario indagare qui e a…” concludo con una certa fatica, dopo tutto questo tempo il pensiero di quel posto mi disturba. “Galway.”
“Non è necessario. Sta per arrivare… Ah, eccolo. Buon giorno, Ispettor O’Leary.”
Mi giro di scatto e sulla porta vedo la faccia sogghignante di Fintan O’Leary, completo di Burberry e l’espressione da iena ridens di ordinanza. Lo so, lo so che non sono uomo da sentimenti, ma questo individuo si è preso quello che era mio e che avrebbe dovuto restare tale. Con una certa soddisfazione, noto che ha il girovita appesantito.
“Oh, ma guarda, nientepopodimeno che Sherlock Holmes.”
Devo essere diventato livido perché Lestrade mi guarda con un’espressione sinceramente preoccupata. “Sherlock stai bene?”. Al mio gesto di lasciar perdere, Gavin rivolge l’attenzione a quell’altro. “Vi siete già incontrati?”
“Oh, no… E’ che ho sentito taaaaanto parlare di lui che mi sembra di conoscerlo da anni. Almeno tre. Fintan O’Leary al tuo servizio, Sherlock Holmes”. Detto ciò, si profonde in un inchino esagerato che sembra tutto tranne che ossequioso.
Lestrade ci guarda perplesso prima di rispondere al telefono interno che ha iniziato a squillare. Dopo una breve conversazione, si alza dalla scrivania. “Devo lasciarvi per qualche minuto, torno subito.”
Rimaniamo soli, io e questa sottospecie di iena ridens irlandese.
Faccio molta fatica a guardarlo in viso soprattutto a causa dell’espressione che John chiamerebbe senz’altro “maledetta faccia da culo.”
“Rimarrò qui fino a quando il caso non sarà risolto. Mi farai da guida ai migliori pub di Londra mentre indaghiamo?”
Lo fisso torvo, sibilando: “Contaci.” E più che una promessa, sembra un insulto. “La tua famiglia non sentirà la tua mancanza?”
Fa spallucce. “Ogni tanto mia moglie è contenta di liberarsi di me.”
Un tuffo al cuore, si sono sposati.
“Tra le altre cose, adesso si trova a un congresso negli Stati Uniti perché ha appena pubblicato uno studio sul rigor mortis. Abbiamo lasciato i gemelli alle zie, sono sempre  contentissime di spupazzarseli un po’…
Due gemelli, e mi sento morire dentro, peggio di quanto mi sia capitato in questi tre anni.
“… sai, si chiamano Pat e Rosemary, in onore di Pat Finucane e di Rosemary Nelson, i due avvocati che…”
“So benissimo chi sono Pat Finucane e Rosemary Nelson. Sono felice di sapere che la tua famiglia stia bene, salutami Tracey.” Mi sfugge dalla bocca prima che possa frenarmi.
“Tracey? Ah, Molly, sì,  è da tanto che si è ripresa il suo nome! Va bene, dovrebbe venire a cena a breve…”
Venire a cena?
Venire a cena?
VENIRE A CENA?
Forse mi è sfuggito qualcosa. “Tu… tu non sei sposato con Molly, allora?”
“Molly? Perché dovrei essere sposato con Molly? Brava ragazza, intendiamoci. Anche carina e a dirla tutta mi ha salvato le chiappe quando Moriarty mi ha fatto fare quel bucone nella pancia. Ma comunque no, Molly non è la mia signora. Mia moglie è la sua collega Melanie, Mellie per gli amici, anche se quando siamo in intimità ha altri nomign…”
Lo interrompo bruscamente:  “Quindi nemmeno i gemelli sono figli di Molly.”
“Sei proprio un genio come dicono, non c’è che dire.” O’Leary mi fissa, le braccia conserte sul petto e l’espressione di chi sta cominciando a capire e a divertirsi alle mie spalle.
In quel momento torna Lestrade; ora so benissimo cosa devo fare e mi dirigo verso la porta, dietro di me la risata fragorosa di O’Leary. “Sherlock, ma che diavolo…”
Mi giro e mi fermo appena il tempo di biascicare: “Le mogli dei due fratelli sono in combutta per subentrare ai loro mariti per il traffico di droga, andate a interrogarle subito prima che lascino le rispettive città. ” e scappo via più veloce che posso, ché di tempo ne ho già perso troppo.
Appena esco dalla sede di New Scotland Yard chiamo il mio caro, caro fratello Mycroft che tuttora occupa una posizione di secondo piano all’interno del governo inglese, anche se dopo tutta la faccenda di Moriarty ha avuto una piccola promozione.
“Fratello mio. Fammi preparare l’aereo privato del governo. Si vola a Galway.”
“Si tratta di un dieci?”
“Oh, no. Diciamo almeno un quindici”.

 
 
Epilogo 2

Dalla mia permanenza in Irlanda nel mio palazzo mentale ci sono entrato molto di rado. E con “molto di rado”, intendo forse un paio di volte. Mi sono liberato definitivamente di James Moriarty, ma è anche vero che lui ha preso possesso del mio personale rifugio e lo ha trasformato nel festival dell’anarchia; il mio sancta sanctorum è diventato più qualcosa di suo, a voler ben guardare.
L’attuale situazione, però, richiede un minimo di raccoglimento. Spero vivamente che Moriarty sia impegnato a mettere ulteriormente a soqquadro l’ambiente, in modo che io possa concentrarmi sul da farsi.
Speranza vana, infatti appena accedo al mio palazzo mentale mi ritrovo davanti i due mentecatti per eccellenza: uno è il solito Moriarty, l’altro la new entry ispettore O’Leary.
Moriarty mi viene incontro con fare di amicizia. “Sherlock! Non mi avevi detto che O’Leary era uno matto come me!” e si gira verso l’ispettore, guardandolo con aperta ammirazione. “Sai, non avevo idea che tu fossi una persona tanto stimolante. Averlo saputo prima, me ne sarei rimasto in Irlanda e avrei fatto ammattire te. Di sicuro hai più senso dell’umorismo del nostro Sherlock e, come certamente saprai, una persona così alla fine o ti annoia, o ti delude oppure entrambe le cose.”.
O’Leary annuisce vigorosamente, poi rifiuta con cortesia: “No, guarda, mi è bastato quel bucone nella pancia che mi hai fatto fare da uno dei tuoi scagnozzi. E comunque io ho una famiglia alla quale badare e mia moglie è spesso via per lavoro, quindi devo badare ai bambini. Non credo che a Mellie faccia piacere che io vada in giro ad inseguire psicopatici su e giù per l’Irlanda.”
“Soprattutto perché già ne ha in casa uno!”, esclama Moriarty ed entrambi si mettono a ululare dalle risate e a darsi delle gran pacche sulla schiena. “ A proposito, scusami per l’aggressione. Niente di personale, era una cosa di lavoro. Spero non ti sarai offeso….” E ancora giù a ridere come  e peggio di una iena.
Quando si ripiglia un po’, O’Leary si asciuga le lacrime che hanno preso a scendergli copiose lungo le gote. “Oh, ma tu non sai, tu non sai. Questo qui”, e fa cenno col mento verso di me. “E’ più fuori di testa di me e te messi assieme: pensa che per tre anni ha creduto che io avessi sposato il suo ammmoooooreeeee Molly Hooper e avessi fatto i miei due bimbi assieme a lei.”
“No, ma davvero? Tre anni senza fare una mossa con Molly? Guarda, gliel’ho sempre detto che Molly è simpatica e so per certo che è l’unica santa del Regno Unito, se non di tutta l’Europa, a disposta a prendersi uno così. Ma lo hai visto? Chi se lo piglia? Per essere un bell’uomo, niente da dire. Ma per il resto… Sia quel che sia, lui… niente. Non mi ascolta… e vedi un po’ in che stato si ritrova!”
Ancora pazze risate da parte di entrambi i mentecatti e vigorose pacche sulle spalle, mentre io potrei ritenermi offeso. “Uhhhh, basta, basta, Moriarty, sei troppo simpatico. Smettila di farmi ridere, ché dopo me la faccio addos…”
Non sento la fine della frase perché me ne vado sbattendo la porta. Ne ho abbastanza, di loro. Già non li sopporto nella vita reale, figuriamoci quando occupano abusivamente il mio palazzo mentale.
Imbecilli.
E mi accorgo che l’aereo è appena atterrato.
 
* * *
Con Mellie a quel congresso, io e CC dobbiamo sobbarcarci anche i suoi turni. Non è un problema, lo abbiamo già fatto e a sua volta quando sia io che CC abbiamo dovuto assentarci, le altre due hanno fatto backup. Da quella notte di tre anni fa, le cose sono andate migliorando, intendo a livello professionale. Non dico che non ci siano problemi o non litighiamo mai, tutt’altro, ma tra noi tre si è instaurato un certo tran-tran e il lavoro fila via liscio come l’olio. Ho ragione di credere che siamo diventati uno dei reparti più efficienti dell’ospedale di Galway, peccato che i nostri pazienti non siano più in grado di mettere una buona parola per noi. In ogni caso, un paio di liti grandiose tra CC e Mellie ci sono state, più che altro perché da quella notte, Mellie ha cominciato a rispondere a tono a CC quando questa esagerava.
Per quanto mi riguarda… beh, è stato con un sospiro di sollievo che ho abbandonato i tacchi a spillo, le mini ultracorte, le scollature ombelicali e – soprattutto – quella odiosa zazzeretta bionda, falsa come una moneta da tre euro. Ora i miei capelli sono ricresciuti, ma ho conservato una certa eleganza nel vestire in quanto richiesto dalla mia posizione, forse anche perché ci sto prendendo gusto a vedermi carina. Le cose vanno bene, mi sono fatta degli amici ed esco spesso, anche se dal punto di vista sentimentale sono ancora da sola. Non che non abbia avuto delle occasioni, ma non voglio prendere in giro nessuno; semplicemente non mi sono più innamorata e non sono mai stata così disperata da mettermi con un uomo che non mi interessa per davvero.
A proposito di uomini, ho letto che Sherlock è ritornato a Londra, che la sua reputazione è stata ripristinata e che ha ricominciato a catturare i cattivi su e giù per il Regno Unito, tranne che in Irlanda, forse perché questo è il territorio di Fintan.
Ok, smettiamola, tutto questo fantasticare non mi salverà dalla pila di scartoffie che devo compilare. E aspetto ancora un paio di cadaveri, prima che la giornata lavorativa sia finita. Oh, qualcuno sta entrando, saranno i miei cadaveri. Strano, non li aspettavo prima di un paio d’ore.
“Grazie, CC, sistemali pure nell’angolo libero…” dico senza alzare gli occhi dal foglio.
“Non sono CC”, risponde una voce profonda che non ho mai dimenticato, forse quella voce l’ha riconosciuta la mia anima prima delle mie orecchie.
“Sherlock!”, mi alzo e volto di scatto e sbatto il fianco contro lo spigolo della scrivania, come succede di solito. “Ahia, chemmmale!” borbotto.
Ma il dolore passa subito e mi ritrovo a fissare Sherlock in viso.
Non è cambiato moltissimo, ma i suoi occhi hanno un’espressione stanca che non sono abituata a vedergli e ciò mi fa male. “Ciao, Sherlock, ti trovo bene”. E’ una mezza bugia, solo mezza perché lui rimane sempre uno degli uomini più affascinanti che abbia mai visto, anche se vedo dei capelli bianchi tra i suoi riccioli e una ruga che forse non c’era gli attraversa la fronte.
“Ciao, Molly Hooper.”
Perché è tornato? Non poteva rimanersene a Londra? Avevo raggiunto un equilibrio e adesso il mio cuore si è sconquassato soltanto a vederlo.
“Sei qui per un caso, vero?”
“Sì, sono qui per un caso.”
“Oh… ho capito… come posso aiutarti? Purtroppo qui non si possono dare dita od orecchie di straforo…”
“Non hai capito, Molly Hooper. Sono qui per un caso, ma stavolta si tratta di qualcosa di personale…”
Sento il colore abbandonare la mia faccia, all’improvviso. “Oddio, è successo qualcosa? John? Greg?”
“Non conosco nessun Greg, ma ti posso garantire che stanno tutti bene.”
 “Greg è Lestrade, scemo!” Mi porto la mano al petto. “Oh, meno male. Per un attimo mi sono sentita morire.”
Ghigno beffardo di Sherlock. Un’espressione amara gli attraversa gli occhi, ma potrei aver visto male.
“Molly Hooper, io mi sono sentito morire per tre anni.”
Ha i lucciconi agli occhi e immediatamente a me viene un magone che mi stringe la gola.
“Perché ti sei sentito morire?”
“Perché sei rimasta qui e perché fino a stamattina pensavo che tu fossi felicemente sposata con O’Leary. Perché non me lo hai detto?” ringhia irosamente. “Perché mi hai fatto credere che fossi innamorata di lui?”
Cado dal proverbiale pero. Ma cosa sta dicendo? Il nodo alla gola c’è ancora, più forte che mai, ma adesso è per la rabbia. “Cosa? Chi ti ha mai fatto capire che mi piacesse Fin?”
“Avevi addosso il suo profumo, quella sera. Non sei tornata a casa a dormire e non sei voluta venire via con me. Era solo logico che lo pensassi.”
“Certo che non sono venuta a casa quella sera e certo che avevo addosso il suo profumo: l’ho dovuto trascinare di peso fuori dall’obitorio e portarlo in un posto sicuro prima che mi morisse dissanguato sotto il naso… e non potevo lasciare sole le mie colleghe.”
“Non hai detto niente…”
“Ah! Questa è bella, ha parlato Mr. Io-Dico-Sempre-Tutto”. A questo punto, sono davvero arrabbiata, ma prima che riparta con un’altra tirata - lavorare con CC mi ha dato una certa esperienza in questo senso – mi blocco sul posto e respiro profondamente, fino a quando sono pronta a fare la domanda cruciale: “Sherlock, perché ti ha fatto stare male il fatto che io potessi essere sposata con Fintan? E che i miei ipotetici figli li avessi fatti con lui?”
Non riesce a guardarmi negli occhi, ha le mani affondate nelle tasche del suo Belstaff e inizia a parlare a voce molto bassa, tanto che mi devo avvicinare per sentire cosa dice.
“Perché non è con lui che devi stare.”
E rieccolo, il solito Sherlock che anni fa mi ha detto: “for the sake of law and order, I suggest you to avoid any future relationship”. Evidentemente non è cambiato di tanto così.
“Tranquillo”, sbotto amaramente. “Non c’è nessuno nella mia vita.” Evito di aggiungere l’ovvio ‘tranne te’, ma perché un po’ di amor proprio mi è rimasto. “Bene, se questo è tutto, io continuerei con le mie scartoffie. E’ stato bello vederti dopo tanto tempo, Sherl…”
Non faccio in tempo a finire la frase che l’unico e solo Sherlock Holmes mi afferra per la vita e mi dà quello che è il bacio più elettrizzante di tutta la vita.
Dura parecchio, o almeno mi sembra, perché quando rimaniamo senza fiato ci stacchiamo e scoppiamo in una risata folle.
Quando riesco a riprendermi mormoro. “E questo cosa vuol dire?”
“Quello che volevo dire, appunto.”
Gli prendo le mani tra le mie e sollevo il viso a guardarlo. “E adesso che si fa, Sherlock? Cosa siamo esattamente io e te?”
E’ a disagio ed esordisce: “Io non sono bravo coi sentimenti…”
“No, è vero. Ma sei bravo con le deduzioni.” Lo faccio sedere sulla mia sedia e  gli copro gli occhi con le mani. “Deducimi, Sherlock. Che cosa hai visto di Molly Hooper?”
Il suo viso assume l’espressione sconcertata.
“Se ti è più facile vai nel tuo palazzo mentale…”
Fa una risatina sarcastica borbottando qualcosa su un posto mal frequentato, ma congiunge i polpastrelli e porta le mani così unite sotto il mento.
* * *
Ritrovo i due pazzi furiosi seduti a un tavolo. Entrambi stanno fumando degli enormi sigari, sono in maniche di camicia – e le maniche arrotolate fin sopra i gomiti – e giocano a quello che ha tutta l’aria di essere poker.
O’Leary si è tracannato una pinta di Guinness e ne ha un’altra a metà; Moriarty è più morigerato ed è a un quarto di una bottiglia di Bushmill.
Non appena mi vede, Moriarty si alza e si precipita ad abbracciarmi. “Oh, povero Sherlock, quanto mi dispiace! Ti ha dato il due di picche, vero? Guarda, non sai come ti capisco. La cara, cara Molly Hooper ha scaricato anche me e non hai idea di quanto mi sia dispiaciuto, mai avuta una donna così…”
“Moriarty, piantala! Non capisci quando è ora di smetterla con gli scherzi! Questo poveraccio sta male, non vedi che faccia da morto in piedi? Coraggio, genio di Baker Street, cosa ti serve? Adesso ti siedi, ti bevi un bel bicchiere di whiskey e racconti.”
“Mi ha chiesto di dedurla”, borbotto cupo.
Moriarty scoppia a ridere, con quella sua risata folle. Stavolta sembra però divertirsi più sinceramente del solito. “E qual è il problema? Tu lo fai sempre con tutti!”, poi parlando fra sé e sé, biascica scuotendo il capo ripetutamente : “Hai tu visto come l’amore lo ha reso fesso?”
“Sì, ma stavolta sono cose…” esito, “personali e un po’…”
Si avvicina O’Leary e si siede a cavalcioni della sedia, lo schienale rivolto contro il suo petto proprio come quella volta a Galway, una vita fa. “Non importa. Sapessi cosa dico io a Mellie… Coraggio, esprimiti!”
Prendo fiato e… “L’Irlanda le ha fatto bene: la pelle è più luminosa e fresca; per fortuna è tornata ad avere i suoi capelli castani. Gli altri non le stavano male, ma i suoi sono talmente belli che viene voglia di toccarli. Sono contento però che abbia conservato il buon gusto nel vestire perché i suoi vecchi abiti facevano orrore solo a vederli. Però non è importante come è fisicamente, l’importante è che Molly sia Molly perché non c’è nessuna che…”
Moriarty e O’Leary sembrano svanire nel nulla e io trasalgo perché qualcosa mi è piombato in grembo a mo’ di sacco di patate. Apro gli occhi e scopro che quel qualcosa non è qualcosa, bensì Molly Hooper che prende a baciarmi in un modo che mi fa dimenticare anche come mi chiamo… e tutto l’universo mondo!
*
Sherlock e Molly in tutt’altre faccende affaccendati non si accorsero che nell’obitorio non erano più soli. D’accordo, c’erano i pazienti, ma quelli se ne stavano buonini sui loro tavoli di acciaio senza fiatare. Era però entrata CC che alla vista dei due innamorati – possiamo chiamarli così, ora? Sì? – sbuffò rumorosamente, con fare rassegnato.
“Ecco, ci risiamo. Un’altra grande donna che capitola davanti a un uomo. Io non riesco proprio a capire…. Minimo minimo, questi idioti fra un paio d’anni mi sparano fuori un’altra coppia di gemelli come hanno fatto gli altri due.
*
L’autrice di questa storia conferma che è andata proprio così.
 
Fin. Anzi… Deireadh.
Thanks for reading.
Nisi
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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