Crumbling Walls
When the hour is night
And the hopelessness is sinking in
And the wolvers all cry
To feel they’re not worth hollering
When your eyes are red
And emptiness is all you know
With the darkness fed
I will be your scarecrow
You tell me to hold on
Oh, you tell me to hold on
But innocence is gone
And what was right is wrong.
Prologo
It’s
where my demons hide
Listen, listen
I would take a whisper if that's all you had to give
But it isn't, is it?
You could come and save me and try to chase the crazy right out of my
head
I'm out on the edge and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough
Le
tremavano le mani.
Per
quello che voleva fare non era un buon segno. Ci voleva mano ferma,
eppure le
dita tremavano mentre chiudeva il rubinetto della vasca.
Aveva
letto tanti libri, ma nessuno l’aveva preparata alla
sensazione di una mente
quasi separata dal corpo.
Le
mani tremavano, le dita esitavano e il cuore batteva forte come un
tamburo
nella cassa toracica, come se stesse accumulando più battiti
possibile prima
che tutto finisse.
Ma
la sua mente era lucida e distante, come se stesse osservando la vita
di
qualcun altro.
Si
guardò intorno.
L’appartamento
era tirato a lucido e profumava di limone e detergente per mobili. Il
sole del
pomeriggio morente entrava dalle finestre, ampie vetrate affacciate sul
cielo
terso di una bella giornata. Sembrava che le pareti gialle
riverberassero i
raggi di sole.
Era
tutto così allegro e vitale da sembrare
una realtà parallela, un mondo
attraverso uno specchio.
L’unica
nota stonata in quel quadretto di insopportabile perfezione era la
musica.
Quella
canzone era troppo triste per un mondo così ridente.
Aveva
creato quella playlist con attenzione ed era l’unica cosa che
non le sembrasse
estranea nella propria casa.
Quella
e il sole al tramonto, morente.
Si
chiese se si sentissero così tutti quelli che decidevano di
fare ciò che stava
per fare lei. Così assolutamente determinati, freddi,
impassibili.
Se
avesse scavato un po’ più a fondo, si sarebbe
forse resa conto che non c’era
nessuna traccia di freddezza nelle sue decisioni.
Ma
la disperazione più profonda è un sentimento
bizzarro: può distruggere ogni
barlume di razionalità oppure restituire un distacco
impensabile, ma sotto
sotto, è sempre un fuoco che arde facendo terra bruciata di
ciò che tocca.
Ma
lei stava tergiversando e non c’era più tempo.
Alzò un po’ il volume della
musica, poi lanciò il telecomando lontano e lo
sentì cadere con un tonfo sordo.
Si
diede un’ultima occhiata allo specchio, giusto per
controllare che i capelli
fossero proprio come li voleva, poi sistemò una cornice sul
bordo della vasca.
Era
una foto piuttosto vecchia, ma era sempre stata una delle sue
preferite. Aveva
appena conosciuto Charlie quando era stata scattata, era l’ inizio.
L’acqua
era calda contro la pelle e lo sciabordio si unì alla musica
giusto un po’ più
forte.
Afferrò
il coltello d’argento. Era un oggetto piccolo, ma affilato
quanto bastava. Lo
aveva scelto perché lo aveva portato Charlie in quella casa.
A
quanto ne sapeva, era un vecchio cimelio di famiglia, ma non era per
quello che
lo aveva scelto.
La
simbologia era tutto per lei, quando si parlava di suicidi.
Ecco
il perché della foto accanto alla vasca e del coltello.
Sarebbe finita proprio
da dove era iniziato tutto e quando la lama affondò nella
carne tenera del
polso, pensò che fosse un po’ come recidere
l’amore che l’aveva legata a
Charlie.
Come
se tagliare vene e poi le arterie, affondando nella carne con
l’argento del
coltello, fosse un modo per gridare al mondo che era lui, che Charlie
l’aveva
uccisa. Perché era colpa sua, solo colpa sua. E lui doveva
saperlo, non doveva
dimenticarlo mai.
Affondò
l’arma nell’altro polso e poi la tenne in mano
mentre si sistemava contro il
bordo della vasca.
Le
ferite erano profonde, sarebbe andato tutto come doveva andare.
Avrebbe
fatto male per poco, si disse. Presto sarebbe giunta
l’incoscienza e poi la
morte.
Tenne
in mano il coltello e se lo rigirò tra le dita sempre
più stanche. Lentamente,
tutto acquistava un aspetto nuovo.
Era
come se il mondo intorno la raggiungesse attutito, come se una grossa
bolla di
sapone l’avesse inghiottita.
Sbuffò
una mezza risata e voltò il capo.
Aveva
letto abbastanza da ricordare vagamente che la stanchezza sarebbe stata
seguita
dalla perdita di coscienza e dalla morte e sapeva che quelli erano gli
ultimi
minuti che le restavano.
Non
ci furono flash della sua vita, ricordi felici che la traghettassero
con
dolcezza dall’altra parte. Non aveva più nulla del
genere.
Le
restava solo la terra bruciata che Charlie si era lasciato dietro,
insieme a un
vuoto grande come una casa e a un insopportabile dolore al petto.
Pensò
a Charlie. In quegli ultimi istanti di vita, lasciò andare
tutto il resto e
pensò solo a lui affinché l’odio e la
rabbia le crescessero dentro e
diventassero una forza in grado di sopravvivere persino alla morte.
Guardò
la foto. Era una bella immagine e lei era più giovane,
più radiosa, più viva.
E c’era Charlie, che era un po’ ovunque,
quasi come se fosse proprio
accanto a lei. E lui riempì la sua mente proprio mentre
scivolava verso l’oblio
e tutto divenne un vortice di colori, di tenebre e di lui,
dell’uomo che aveva
amato terribilmente.
Non
c’era spazio per altro. Solo Charlie.
Ci
vediamo all’inferno, bastardo.
*
L’abitacolo
era caldo e piacevole in confronto all’umidità e
alla pioggia che batteva
contro i vetri dell’auto.
Una
canzone triste riempiva l’aria, ma a Sofi sembrava piacere
così Martin accettò
di non cambiare stazione. Per il resto, erano entrambi in silenzio,
anche se
era piuttosto piacevole. Sofi sorrideva vagamente con la testa poggiata
contro
il finestrino.
“E’
stato un bel weekend”
Lei
alzò la testa per guardarlo e sorridergli.
“Lo
è stato, sì”
“Avevo
davvero bisogno di un paio di giorni di totale relax. Il college mi sta
uccidendo”
“Diciamo
che a ucciderti è il college e Amy”
“Io
e Amy ci siamo lasciati. Non c’era più il legame
di una volta, non poteva
continuare ancora a lungo”
“Be’,
forse dovresti dirlo anche a lei, allora. Magari smetterà di
intasare la nostra segreteria di
messaggi”
Martin
sorrise.
“Glielo
dirò”
“Ma
già che affrontiamo l’argomento, mi chiedevo
quando mi presenterai la tua nuova
fiamma”
Martin
arrossì e si maledisse per essere stato colto in fragrante.
Dopotutto,
avrebbe dovuto immaginarlo.
Lui
e Sofi si conoscevano da molto tempo e avevano vissuto insieme per
l’ultimo
anno. Doveva sapere che non avrebbe impiegato molto a scoprire la
verità.
“Ehm,
non penso che sia il momento giusto”
“Andiamo,
posso affrontare la ragazza. O il ragazzo. Non sono una che
giudica”
Martin
le scoccò un’occhiataccia e la vide sorridere con
le labbra e con gli occhi,
come non le vedeva fare da un po’. Il suo sorriso esagerato
non copriva mai il
dolore in fondo ai suoi occhi, ma lei non aveva mai voluto parlare e
lui non
aveva chiesto.
“No,
io sono sicuro che tu sia pronta a incontrarla. Sì,
è una lei. Ed è per lei che
sono preoccupato”
Sofi
ridacchiò e si appoggiò di nuovo al finestrino.
Martin
riportò l’attenzione sulla strada quando
sentì un sobbalzò e il rumore di
qualcosa che si rompe. Poi l’auto iniziò a
sobbalzare e fu costretto ad
accostare.
Lui
e Sofi si scambiarono un’occhiata.
“Abbiamo
bucato una gomma”
“Ma
abbiamo quella di riserva, giusto?”
“Sì,
ma penso di aver bisogno un aiuto per cambiarla”
“Non
dirlo”
L’espressione
sul volto di Sofi era così costernata che Martin
dimenticò per un momento la
situazione e quasi scoppiò a ridere.
“Temo
proprio che sia così”
Poi
aprì la portiera e scese a trafficare con gli arnesi
abbandonati nel
bagagliaio. Sofi alzò gli occhi al cielo, legò i
capelli e chiuse la lampo
della giacca, poi lo seguì.
“Prendi
la ruota” le urlò Martin mentre azionava il crick.
Sofi
afferrò l’oggetto, ma era così pesante
che finì per scivolare a terra e
schizzare fango su tutti i pantaloni.
Soppresse
un’imprecazione e si
chinò per
sollevarlo di nuovo quando si sentì chiamare.
“Sofi”
Martin
la guardava, ma in realtà il suo sguardo andava oltre, come
se stesse guardando
alle sue spalle. Oppure ancora oltre, verso qualcosa che lei non vedeva.
“Sofi,
corri”
“Cosa?”
Lo vide abbandonare il crick e alzarsi di scatto.
“Corri!”
le gridò e poi scattò verso il bosco, schizzando
fango mentre correva. Sofi
impiegò un momento per registrare i fatti, poi si
slanciò nella sua stessa
direzione, arrancando un po’ dietro di lui.
Correre
verso il bosco era stato un errore, dovevano immaginarlo.
Le
scarpe erano fradice di pioggia, incrostate di fango e pesanti da
sollevare.
Gli sembrava di indossare i pesi alle caviglie che usava quando si
allenava.
Solo
che stavolta non c’era nessun allenamento e qualunque cosa li
stesse
inseguendo, era reale.
Sofi
arrancava dietro di lui e Martin continuava a pensare a lei e a
voltarsi
indietro per controllare che fosse lì.
Sentiva
che si avvicinava. La cosa che li inseguiva era sempre più
vicina, la sentiva
come un alito gelido sul collo.
Non
sarebbe servito correre.
Per
quanto potessero essere veloci, la creatura lo sarebbe stata di
più. Scansò un
albero.
Stava
diventando sempre più lento e affaticato; alle sue spalle,
il respiro di Sofi
era sempre più affannoso.
Con
panico crescente, comprese che non avrebbero retto ancora a lungo. Non
a quel
ritmo e sicuramente non fino a quando non avessero trovato qualcuno che
li
aiutasse.
Erano
in mezzo al bosco, a chissà quante miglia dal primo centro
abitato.
Saltò
una radice, ma sentì che Sofi inciampava e cadeva a terra.
Tornò indietro per
aiutarla ad alzarsi.
“Non
credo di farcela ancora per molto” ammise.
“Fermiamoci
e combattiamo” propose poi mentre tentava disperatamente di
rimettersi in
piedi. Era sporca e infreddolita, bagnata fino al midollo e senza armi,
ma
combattere era tutto ciò che le restava.
Non
sarebbe riuscita a correre ancora per molto.
Martin
la afferrò per le spalle e la scosse con poca grazia.
“No.
Dobbiamo correre. Devi correre”
“Aspetta,
perché io?”
“Correremo
entrambi. Vai avanti”
“Non
riesco a capire. Cosa c’è là, Martin?
Da cosa stiamo fuggendo?”
“Non
ora. Ora devi prometterlo, Sofi. Qualunque cosa succeda, qualunque cosa
tu veda
o senta, non devi voltarti mai. Se ti volti, sei perduta”
Sofi
avrebbe voluto fargli un milione di domande, ma lui la spinse via prima
che
potesse fare altro che annuire e le urlò di correre.
E
lo fece. Corse e lo sentì fare altrettanto dietro di lei,
mentre le urlava di
non fermarsi mai, che sarebbe andato tutto bene e che non doveva mai
voltarsi.
Sofi
non si voltò mai, neanche quando sentì un grido e
poi la voce di Martin smise
di parlare. Allora pianse e scoppiò in singhiozzi che le
mozzarono il respiro,
ma non si fermò.
Riusciva
a pensare solo alle sue ultime parole. Se
ti volti sei perduta.
La
pioggia era sempre più forte e le scivolava sugli occhi, tra
le ciglia e in
bocca.
Sapeva
di aver appena abbandonato al suo destino il suo unico amico. E faceva
più male
dei rami che le schiaffeggiavano il volto, le gambe e le braccia.
Chiuse
gli occhi, come se facesse male guardare le cose.
Fu
un attimo.
Scivolò
a terra, cercando disperatamente
di respirare e trovandosi la bocca piena di pioggia e lacrime.
Cercò di aggrapparsi a un ultimo
brandello di coscienza, ma quando voltò la testa, tutto
divenne scuro e freddo,
come se tutta la luce fosse stata portata via.
Non
sapeva davvero più dove fosse il mondo, cosa fosse, se
ci fosse, ma le
mancava terribilmente. C’era solo l’eco della sua
voce che chiedeva aiuto.
Note
dell’autrice:
Se
siete arrivati fino a qui, sono contenta.
Sì,
è vero, fino ad ora non è ancora comparso nessuno
dei nostri eroi, ma non
temete. Dal prossimo capitolo cominceranno ad arrivare, uno per volta.
Sperando
che vogliate proseguire la lettura, ovviamente.
Per
chi volesse, ho un gruppo su Facebook dedicato alle mie storie su cui
si può
trovare tutto riguardo a questa, compresa la playlist.
Sì,
c’è una playlist.
Vi
lascio il link, casomai a qualcuno interessasse. Non ricordo se
l’ho reso
privato, ma nel caso potete sempre fare richiesta per entrare.
https://www.facebook.com/groups/1441808206046120/
Alla
prossima!