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Autore: Tomi Dark angel    14/04/2014    6 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Noah, dobbiamo tornare indietro!-
John si dimena, forza disperato gli artigli ferrei di Noah. Lo sente sbuffare infastidito, grugnire qualcosa in lingua straniera, ma non se ne cura. Sherlock è solo contro la stessa creatura che ha tentato di ucciderlo. Lui è forte, John lo sa bene, ma può difendersi adesso, dopo una battaglia estenuante combattuta tra palazzi in caduta libera e umani che sparavano a vista su di lui?
Ognuno ha un limite, ognuno combatte la sua linea di rottura, ma spesso è meglio non forzarla. John ha toccato quel confine tante volte, l’ha superato, l’ha scavalcato con le sue sole forze. E ancora adesso, se ci pensa, fa male. Ricorda il dolore più di ogni altra cosa, le urla, le lacrime trattenute. Un soldato deve imparare a valicare i propri limiti, nell’esercito è la prima cosa che insegnano, ma John si rifiuta di pensare che Sherlock voglia farlo. Non è logico, non è razionale. Rischiare tutto per cosa? Per proteggere lui? Non ne vale la pena, non per John.
-METTIMI GIÙ!!!-
Ma Noah non ascolta e anzi, con un possente battito d’ali accelera, slancia il corpo verso l’orizzonte dorato di crepuscolo morente. Respira a fondo l’aria pulita delle terre ancora libere dal grigiore umano, i giovani polmoni di bambino dilatati, limpidi. Quella distesa, dove mare e terra s’incontrano in dolci abbracci di sabbia umida e ciuffi d’erba smeraldina, è tutto ciò che rimane del loro dominio. Noah conosce bene quelle zone, così come gli è nota la giusta strada da percorrere.
Piega appena un’ala, vira leggermente a destra e sale su, verso il cielo, verso le nuvole. Respira il vento, si fonde con esso e fuggevole, sguscia tra mulinelli d’aria e raggi di sole dorato.
John si dimena ancora per un po’, si ferisce le mani a furia di sbatterle contro l’acciaio di scaglie affilate. Alla fine però, il corpo cede alla stanchezza e gli occhi si abbassano esausti, ma non sconfitti. È allora che poggiano lo sguardo sul nuovo mondo, sulle terre sempre immaginate e mai viste davvero.
Da bambino, John amava fantasticare. Immaginava che oltreoceano si stendessero magnifiche terre verdeggianti, draghi gentili e luna park pieni di giocattoli. Col passare del tempo, gli ultimi due elementi sparirono dalla sua testa, per lasciare il posto a nuove fantasie più realistiche, più dolorose, maggiormente impossibili. Eppure, non ha mai smesso di pensarci.
Adesso però, la realtà è davanti ai suoi occhi, respira, vive… ed è molto più bella di quanto abbia mai immaginato.
Laddove Dio non ha posto mano per realizzare il perfetto intreccio di terra, acqua e cielo, lì hanno operato i draghi. Il nastro d’acqua tinta d’oro che sboccia dalla cascata più grande che John abbia mai visto, cade a strapiombo verso il basso, tuffa i suoi rami liquidi in uno spumeggiare di cristallo che poi sfocia in un fiume sinuoso, volto ad allontanarsi indisturbato tra piccole rapide e mulinelli indomiti che baciano l’erba, sfiorano i fiori che ne emergono e abbracciano le radici sporgenti di alberi massicci, dai tronchi d’argento. Il muro che erige la cascata si inerpica verso l’alto in un intrecciarsi di rocce, erba e fiori selvatici, svetta contro le nuvole, alta come una montagna, possente come il più immenso dei mastodonti.
E proprio in contrapposizione all’aggraziarsi dell’acqua gorgogliante, alle spalle della cascata vi è un vulcano immenso, ribollente di lava trattenuta, ma ricoperto di salici piangenti. È strano, è bellissimo. L’intero distendersi del panorama si srotola in una lotta infinita tra fuoco e acqua che si intrecciano, danzano, si respingono.
Poi, ci sono i draghi.
Possenti, armoniosi, come splendidi angeli travestiti intenti a solcare i venti, i cieli, il mondo intero. Al bacio gentile del sole, le squame variopinte rispondono con il più strabiliante spettro di luci e colori che John abbia mai visto. Il risultato è che ogni cosa, dalla più piccola alla più grande, appare dipinta di cristalli adamantini, preziosi e sempre in movimento.
-Dio mio… è questa casa vostra?- chiede John, guardando verso Noah. Lo vede annuire prima di slanciarsi verso il punto più alto della cascata, oltre le nuvole. I draghi fin lassù non giungono quasi mai. È un posto isolato, un punto cieco dovuto al muro che le nubi costruiscono radente il gettarsi della cascata. Ma è lì che la casa di Sherlock prende vita.
Gigantesca, a due piani. Ha il tetto spiovente e il porticato esterno sorretto da colonne bianche, di gusto antico. Sembrerebbe un tempio, se non fosse per le finestre aperte e la porta sradicata. Ma è umana. Quella casa è artificiale.
Noah atterra dolcemente, tiene sollevata la zampa stretta intorno a John per darsi il tempo di lasciarlo andare e tenerlo d’occhio mentre barcolla, colto dalle vertigini. Poi, le scaglie cominciano a ripiegare, gli organi si spostano per lasciare spazio a una dimensione ridotta, controllata, umanoide. È un processo veloce, accurato, che accartoccia l’immensità di una mole bestiale in un corpo piccolo, fragile di bambino.
Noah lo guarda, sostiene con entrambe le braccia il corpo abbandonato di Molly, che improvvisamente appare più grosso e ingombrante.
-Ehm… aiuto.-
John sorride e corre a soccorrerlo. Stringe a sé il corpo dell’amica, le bacia la fronte con dolcezza e si assicura che stia bene. Respira con calma, ancora un po’ pallida, ma illesa. Tutto grazie a Sherlock.
-Non finirò mai di ringraziare quel pazzo esibizionista del tuo amico.- ammette infine. Sorride, stringe a sé il prezioso regalo che Sherlock gli ha concesso. Una vita, un’amica, una sorella.
-Eh? Che significa esi… esbizista?-
John ride, si inginocchia per portare il viso a poca distanza da quello di Noah. Vorrebbe scompigliargli i capelli, ma servirebbero entrambe le mani per due diverse piccole teste.
-Esibizionista. Significa che gli piace stare al centro dell’attenzione.-
Noah batte le mani, ride spensierato.
-Ah! È proprio Sherlock!-
John ricambia il sorriso e annuisce gentilmente prima di tornare a rivolgere l’attenzione alla casa, squadrandola con attenzione, le pupille ristrette per la troppa luce.
-Che posto è questo?-
Noah saltella verso la porta sradicata e la spinge di lato per lasciare spazio a un John sempre più interdetto.
-La casa di Sherlock, è ovvio.-
L’interno della casa è… bizzarro. Sembra l’antico rimasuglio di una casa un tempo bellissima. Adesso però, le scale che si addossano alle pareti circolari dell’androne per condurre al piano superiore, sono cadenti, fatte a pezzi da ali troppo grosse e artigli troppo affilati. Il lungo tavolo d’ebano che un tempo doveva occupare maestoso metà sala giace a terra rovesciato, il pavimento è cosparso di cocci di vetro, i muri graffiati. Dalle finestre filtra una luce chiara, tranquilla e morbida come drappo di seta, ma niente riuscirebbe a sottrarre il macabro da quell’atmosfera devastata. John non può credere che un tipo elegante come Sherlock viva lì.
-Ma cosa… che è successo qui?- domanda titubante, fissando i muri anneriti. Noah non risponde, ma afferra il tavolo e lo ribalta senza sforzo, piccolo ma forte. Sbatte appena le ali, graffiando i muri, e spazzola dal vetro la superficie legnosa, incisa da profondi graffi.
-Ecco fatto.- Scende con un balzo e fa segno a John di appoggiarvi Molly. Se non cominciasse a pesare, gettata a peso morto tra le sue braccia, John non lo farebbe. Quel tavolo è sporco, graffiato, instabile. Eppure, John si fida del giudizio di Noah, sente che sotto quell’aspetto da bambino si nasconde qualcosa di più, qualcosa di troppo.
Gli occhi di chi è cresciuto troppo presto, John li conosce bene. Il suo sguardo di bambino era identico a quello di Noah, con la sua quasi mancanza di innocenza, con la sua stanchezza, con il suo eccesso di comprensione. I bambini non dovrebbero crescere presto, mai, ma questo al mondo non interessa. Un’innocenza compromessa è quasi invisibile agli occhi di chi non l’ha mai provata sulla propria pelle. Purtroppo, dall’alba della guerra tra umani e draghi, troppi bambini hanno assunto quello sguardo, troppi bambini hanno imparato a non versare più una lacrima per qualcosa che non sia un cadavere amico. Mai pianto per un giocattolo, mai pianto per un ginocchio sbucciato. Mai più.
-Dov’è la tua famiglia, Noah?- domanda John d’impulso, ma Noah non risponde. Gli fa segno di seguirlo, sfila con eleganza felina tra i frammenti scricchiolanti, con ali troppo grandi per quel corpo minuto. La coda violetta striscia sinuosa alle sue spalle, sgomberando il cammino dai detriti per far sì che John non si faccia male.
Oltrepassano il soggiorno, superano una cucina devastata, inutilizzata da anni, finché non raggiungono l’unica stanza in ordine.
È grande, immensa. Ha il tetto a cupola, le pareti ricoperte da librerie alte fino al soffitto, il parquet graffiato leggermente da artigli che con attenzione hanno calcato quel pavimento. In un angolo, incastrato tra i libri, sbuca un camino sagomato da morbide volute e incisioni antiche, incomprensibili. Al suo interno vi arde una fiamma nera e viola, sospesa a pochi centimetri dai ceppi immacolati. Getta tutto intorno un danzare di luci ed ombre, misti alle tinte arcobaleno del guizzare lucente delle lingue roventi impazzite, mai immobili.   
Davanti al camino vi è un tappeto enorme, di velluto, dove giace abbandonata la custodia di un violino.
-Siediti sul tappeto, ma ti consiglio di non toccare la custodia del violino. Ah, togliti le scarpe.-
John obbedisce e si sfila lentamente le scarpe, ipnotizzato da tutti quei libri antichi, giovani, grandi e piccoli. È come guardare in viso entità anziane o ancora bambine, abbigliate in pelle o stoffa, carta o altri materiali sconosciuti. Sono colorati, consunti, nuovissimi, arrecanti lettere e simboli arcani. John non ha mai visto un così vasto assortimento di tomi.
 -Meglio?- chiede Noah, accennando ai piedi nudi di John, ancora posati sul parquet. Solo allora l’ex soldato si accorge che il pavimento è caldo, piacevole come una carezza sulla pelle.
-Come… come fa ad essere così caldo?-
-Il fuoco.- Noah indica la fiamma fatua che danza lenta e pacifica nel camino. –Trasmette calore al resto della casa. Le Furie Buie possono farlo, sai? Il loro fuoco può ardere per secoli, se così desiderano.-
-Aha… e perché non abbiamo portato Molly qui?-
-Perché Sherlock andrebbe in bestia. Non accetta estranei, in questa stanza. In effetti, anche io ci sono entrato solo una volta.-
John siede cautamente sul tappeto, fissa incantato le fiamme danzanti, sinuose come serpi intrecciate. Sono bellissime e pericolose, proprio come il loro proprietario.
Ipnotizzato, John allunga una mano verso il camino, si bea del calore sempre più intenso che gli sfiora le dita, affondandovi gli artigli in profondità, sempre più in profondità. Comincia a far male, ma non gli interessa. Toccare quelle splendide lingue di fuoco sarebbe come toccare le scaglie acuminate di Sherlock? John è curioso di scoprirlo.
-No.- Noah gli afferra il polso, spinge la mano ad allontanarsi e improvvisamente, l’incanto si spezza. John sbatte le palpebre, fissa stordito Noah, specchiandosi nei felini occhi lilla.
-Che… che è successo?-
Noah lo lascia andare, si alza in piedi. –Non si guarda mai troppo a lungo una fiamma eterna. In ognuna di esse c’è anche un pezzo dell’anima del suo creatore. Non si fa. È una cosa privata.-
Improvvisamente, Noah sbatte appena le ali, sforzandosi di aprirle quel minimo necessario a slanciare il piccolo corpo in alto, verso i libri più vicini alla cupola. Si aggrappa agli scaffali come un pipistrello, spinge con la coda per aiutarsi a salire ancora finché non raggiunge un tomo specifico. Lo sfila con dolcezza, le piccole dita strette sulla copertina in velluto dorato prima di lasciarsi cadere e allargare appena le ali per attutire la caduta elegante, da felino. Rilassa gli arti e raggiunge John, che ancora si sforza di non fissare troppo a lungo le fiamme ardenti nel camino.
-Tieni.- dice Noah, tendendogli il tomo. John lo afferra titubante, accarezza la copertina sulla quale spicca il disegno astratto di un drago eretto sulle zampe posteriori, le cui ali intrecciate davanti al ventre s’incontrano con la coda e formano un simbolo simile a un pentagono.
-Cos’è?- domanda John, aprendo il libro con timore reverenziale.
-Uno dei tomi più vecchi che siano mai esistiti. Io non so leggere molto bene, ma guardo le figure e capisco. Se vuoi te lo spiego, questa storia me la raccontava sempre mamma.-
John annuisce intenerito e gli scompiglia i capelli arruffati, prima a una testa, poi all’altra.
Comincia a sfogliare le pagine ingiallite, fragili di troppe ere trascorse. E improvvisamente, per John è come entrare in un altro mondo.
Quelle raffigurazioni… sono splendide. Sembrano disegni, ma non possono esserlo. Nessun pittore rinascimentale potrebbe eguagliare tanta bravura, tanta accuratezza di dettagli. Ogni pagina è decorata ai bordi da arabeschi vermigli, che contengono simboli neri ed eleganti, collegati come creature inafferrabili che tuttavia sanno tenersi per mano. Non ci vuole un genio per capire che ogni parola è scritta a mano. Ma mentre da un lato la pagina si compone di elegante scrittura, dall’altro vi sono le raffigurazioni.
La prima indica un drago informe che faticosamente si arrampica fuori da un vulcano, le ali incartapecorite come fogli accartocciati, il muso arricciato, la testa troppo grande.
-I primi draghi nacquero direttamente dal nu… nu… nuvelo terrestre.-
John sorride. –Parli del nucleo terrestre?-
Noah annuisce energicamente. –Sì, quella cosa lì. Si scavarono la strada attraverso il cuore della terra finché non raggiunsero la superficie. La loro mole era tanto grande che per uscire, essi spinsero la terra in alto, sempre più su, e ne bucarono la sommità. Così, insieme ai draghi, nacquero i vulcani. Pensa quanto erano grossi! Anche più grandi di adesso!-
John volta la pagina, osserva incantato l’immagine di un drago che, seguito da altri, annusa l’aria e cerca di spalancare le ali informi. Alle sue spalle, alcuni draghi strisciano esausti verso l’acqua per lavarsi dalla lava, altri spariscono tra gli alberi.
-La secessione… scessione…-
-Scissione.-
-Sì, l’ho detto prima io! La scississione… non ridere… comunque, quella cosa, consisté nella separazione dei draghi. Alcuni scelsero di abitare l’acqua, altri la terra, il che gli fece perdere le ali, e altri ancora il cielo.-
-Cosa… ci sono draghi anche in acqua?-
-Oh, sì. Sono pochissimi, ma ci sono. Posso continuare?-
-Sì, scusa.-
-Dicevo… ah, sì! Col tempo i draghi si evolsero, impararono a covare il fuoco nei ventri e a crescere insieme alla natura, a rispettare il mondo, a viverlo anziché sopravvivergli. Videro una benedizione nelle ali che catturavano il vento e negli occhi adattati a vedere qualsiasi cosa. Fu allora, secoli dopo, che conobbero l’uomo. Fu paura dal primo istante, sai? I draghi non erano cattivi, volevano conoscerli… mamma diceva che gli uomini all’inizio scappavano e basta, ma poi con l’avanzare delle ere costruirono delle armi. I draghi impararono a tenersi a distanza, a volte rispondevano al fuoco quando gli uomini esageravano, ma non attaccavano mai. Fu nel 1512 che ci fu la svolta vera e propria. Leonarvo Da Rici…-
-Leonardo Da Vinci.-
-Sì, proprio lui… costruì una macchina. Non so come era fatta, ma… era brutta. Mamma diceva che somigliava a un grosso arpione contornato dall’inferno. Incoccava frecce enormi, cattive, che poi esplodevano, e nessuna sa come facevano. Leonardo ne lanciò una soltanto, ma ben mirata… uccise Nevora. Era il drago più saggio, il più buono di tutti noi. Mamma diceva che non aveva mai ucciso nessuno e che, se possibile, aiutava anche le altre creature. Era grazie a lei se i draghi di tutti gli elementi restavano uniti, nonostante le loro divergenze. Ma con la sua morte…-
-Si separarono.-
-Sì. Questa fu l’ultima grande scissione della nostra storia. Molti di loro persero amici e parenti in un solo colpo. A quanto ne so, i draghi d’acqua s’inabissarono e nessuno li vide più, e quelli di terra sparirono nel cuore delle montagne. Si dice esistano anche quelli di ghiaccio e di tuono, ma di questi ultimi ci sono rimaste solo le Furie Buie. O meglio, gli Holmes.-
-Holmes?-
Noah sorride, con la punta degli artigli afferra tre pagine insieme e le gira contemporaneamente. È allora che gli occhi di John si posano sulla raffigurazione più bella che abbia mai visto.
Una famiglia: aristocratica, elegante, bellissima. L’uomo dai capelli castani, lunghi, legati dietro la nuca da un impeccabile nastro d’argento, ha un viso sottile, gli occhi azzurri, penetranti, intelligenti. Le corna da ariete che sfondano la massa di morbida chioma lucente in due diversi punti, si ripiegano argentate e sfiorano gli zigomi pronunciati in una ruvida carezza. Le squame che dal collo scendono e infine spariscono sotto il colletto della splendida veste di seta, sono color del bronzo, brillanti come preziose pietre variopinte. Si riaffacciano sui polsi e sulle mani, di cui una stretta sullo schienale della poltrona sulla quale siede una donna bellissima, al punto che Irene appare misera e quasi insignificante se paragonata a tanta eleganza, a tanta gentilezza.
Ha i capelli neri e lisci, che come morbida cascata scendono fluenti ai lati del viso pallido, importante, che sovrasta un corpo asciutto, dal seno pronunciato ma pudicamente coperto dalla veste. Sulla sommità del capo emergono le corna ricurve, ad anelli, screziate di nero e argento che riflettono bagliori di luce sulle squame d’oscuro arcobaleno visibili anche in questo caso a partire dall’attaccatura della testa, lungo il collo longilineo e sulle mani intrecciate in grembo. Guardando meglio, John si accorge che in basso, oltre la poltrona e ai piedi dell’uomo, la coda della donna s’intreccia con quella di bronzo in un gesto d’affetto quasi inconscio, pulito.
Ai due lati della coppia, stanno due ragazzi. Ancora giovani, appena sorridenti di una serenità genuina, che John non riconosce. Il primo ha folti capelli castani, corna d’ariete, un viso paffuto e scaglie di bronzo. Intreccia le mani dietro la schiena, fissando l’inquadratura con occhi all’apparenza scuri, ma in realtà specchiati d’azzurro intenso. L’altro ragazzo invece è più magro, e sorride di una tranquillità quasi disarmante. Posa una mano sulla spalla della madre. Ha capelli ricci e neri, occhi cristallini, viso pallido e squame d’oscuro arcobaleno.
Non vi è traccia delle ali ma, abbigliati in quelle veste eleganti di seta, lunghe, aderenti e luminose come fatte di polvere di stelle, appaiono più belli di un sogno. John osserva le maniche ampie, i colletti rigidi che avvolgono i colli degli uomini e quello morbido che stringe quello della donna. Poi, i suoi occhi si posano sulle iridi cristalline di quest’ultima e del secondo ragazzo. Pupille identiche, da gatto. Pupille mai viste, di un colore cristallino, limpido, che potrebbe penetrare gli abissi del tempo e delle ere, scrutando in ogni anima, in ogni avvenimento.
-Sì.- dice Noah tristemente, accarezzando la pagina con dolcezza non più infantile. –Questa è la famiglia Holmes, l’unica grande famiglia decaduta, i grandi sovrani rinnegati della nostra storia. Qui abbiamo il padre, Odirian… e sua moglie, Nevora. Ai due lati ci sono i figli, Mycfort e… Sherlock. Sherlock Holmes.-
 
Angolo dell’autrice:
Un giorno o l’altro, il cast della storia si dimetterà, lo sento. Ammazzo gente senza neanche rendermene conto! Ok, questo potrebbe diventare il nuovo “Trono di Spade”.
Sher: Ha chiamato il signor George R. R. Martin. Vuole un colloquio. Credo abbia bisogno di qualche consiglio su come ammazzare la gente…
Zitto tu, e torna a ricostruire il set che hai bruciato con un esperimento!
Sher: non era un esperimento, tentavo di scappare da Mrs Hudson. Sembra che abbia affinato una particolare propensione al palpeggio dei posteriori altrui e… sinceramente, John non è molto contento di questa cosa. Ma niente la ferma, non so come abbia fatto a sopravvivere all’esplosione che ho causato…
Ma porco… ok, sono calma. Torniamo a noi… dicevo? Ok, spazio ai ringraziamenti, ma prima voglio dirvi una cosa: all’inizio, questa storia è nata come un tentativo, un piccolo esperimento. In realtà, ero abbastanza certa di dover cancellare la storia dopo il primo capitolo, vista la mia scarsa autostima. Tuttavia, i vostri commenti mi hanno concesso di arrivare fin qui. Ho pubblicato nuovi capitoli e ne pubblicherò altri. E tutto grazie a voi. Grazie di cuore. Grazie.
 Sonia_0911: oddio, speriamo che con questo capitolo tu non debba rimangiarti il precedente commento! Forse ho azzardato troppo con tutta questa storia della famiglia Holmes, ma quando scrivo non mi accorgo neanche io di quali tasti premo… i personaggi fanno quello che vogliono, insomma. Eheh, Irene sarà un personaggio abbastanza importante in tutta questa storia, ma più in là vedremo come. In realtà, io avrei più paura che sia John a rompere la nostra cara dragonessa, se allunga un altro artiglio su Sherlock. Ok, ti saluto e ti ringrazio per la solita pazienza che dimostri recensendo ogni volta! A presto!
Sparrow: allora, signore e signori, per impugnare un idrante antiIrene o un forcone stile folla inferocita, girare a destra. Lo so, non la adoro neanche io, ma mi serviva! Lo so che scassa parecchio le arance, ma che ci vuoi fare? I personaggi antipatici devono esserci, altrimenti su chi sfoghi la tua rabbia, di tanto in tanto? Vedrò come sistemarla, ma non sarà facile XD a presto e grazie!
FKk: grazie, ma il nobel lasciamolo a chi lo merita davvero XD descrivo una schifezza in realtà, ma quella roba che Sherlock ha sciolto nel caffè di ognuno di voi sta facendo effetto. Evvai! Allucinazioni! Eh, Irene in un modo o nell’altro doveva sbucare per frantumare i cosiddetti al prossimo. Poteva mai essere il contrario? Dannata sadica… grazie ancora per il commento e a presto!
Bbpeki: no, andrò al comicon di Napoli, e no, non penso che tu sia una stalker. Ho già incontrato allo stesso evento una mia lettrice e mi regalò un disegno bellissimo dei personaggi di “Dal Sole e Dalla Luna Nacque L’Alba” che tengo sempre nel portafogli. XD Irene fa paura in qualsiasi forma, anche in quella di invertebrato. L’ho sempre trovata piuttosto… ambigua. Insomma, se io ero al posto di Sherlock le sparavo un colpo in testa e me ne scappavo. Fa paura! Eheh, attenta a ciò che dici, forse quella odiata potrebbe non essere proprio Molly. E poi scusa, chi non ci proverebbe con Sherlock? non incrociare le dita dietro la schiena e rispondi sinceramente! Comunque, appena ho il tempo per respirare correrò a leggere le tue storie. Purtroppo non ho neanche le vacanze di Pasqua, quindi sto incasinata fino al midollo. Comunque, un consiglio: quando scrivi, non rileggere. Io i miei capitoli non li ho mai corretti, altrimenti cancellavo tutto. Scrivi, affidati alla mano e alla tua testa e vedrai che andrai benissimo. A presto!!!
Kimi o Aishiteiru: ma quale autostima finita! Io trovo i miei capitoli uno più brutto dell’altro! Questo non volevo neanche pubblicarlo, pensa te… sì, in realtà Sam è rimasto incastrato tra i braccioli della MIA sedia… non guardarmi così, ti avevo detto di non sederti, Bigfoot… comunque, è rimasto lì. E adesso il lavoro sporco lo fa lui muahahahahaha!!! Tra Irene e Molly non so chi sta ricevendo più maledizioni, oddio XD romperanno entrambe, stanne certa. E come disse Ron Wesley: “Soffrirai… ma poi ne sarai felice, vedrai”. Comunque, Molly continua a restare svenuta, dovrò ricordarmi di svegliarla… cacchio. E sì, Sherlock e Irene sono difficili da relazionare, ma non impossibili… sono uno l’opposto dell’altra a tratti, quindi avrò serie difficoltà a gestirli, me lo sento. In che guaio mi sono cacciata… ok, lasciamo stare. A prestissimo e grazie!!!

Tomi Dark Angel
  
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