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Autore: jmatta    13/07/2008    1 recensioni
Un racconto di un evento passato che preferirei non capitasse mai più...ma che però voglio pubblicare per esprimere il mio stato d'animo.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sabato pomeriggio era arrivato…mancavano pochi minuti e poi sarei partita alla volta di casa tua.. sarebbe stata la prima volta. Il sole splendeva caldo nell’aria e nel cielo non c’erano tracce di nuvole…tutto era perfetto. Solo una cosa non riuscivo a capire.. perché tanta decisione? Perché prima era diverso? Perché, se mi avessi chiesto prima di venire da te, non sarei mai venuta? Cosa m avevo spinto quel sabato? Forse sapevo la risposta a queste domande. Solo non volevo ammettere che fosse vera. Così mascherai la mia incredulità con una strana sfrontatezza. Ero vestita molto semplicemente: un paio di pantaloni neri abbastanza attillati e una maglia a maniche lunghe color avorio. Mi concentrai soprattutto sul trucco. Forse è meglio dire che esagerai un po’. Usai l’eyeliner e la matita nera. Era strano perché di solito quando uscivo con te le altre volte non mi truccavo più di tanto. Soddisfatta del lavoro passai all’ombretto. Era del colore della sabbia: giallo ocra. Finito il make – up, mi incamminai verso l’auto dove mia madre mi attendeva per portarmi a casa tua. In auto miliardi di pensieri passarono veloci come le strisce bianche della strada. La radio dava canzoni mielose e sdolcinate degli anni che furono. Questo influì molto sul mio stato d’animo.. tanto da rabbuiarmi un po’. Sapevo benissimo perché provavo queste sensazioni.. Stavo combattendo con la mia coscienza e con il dolore del giorno prima. Ma non me ne importava. Io volevo guardare avanti, venendo da te. Era una specie di modo per dimenticare. So che è brutto da dire così, ma io la vedevo in questo modo. Dopo pochi minuti mi ritrovai davanti al tuo cancello. Aspettai che mia madre andasse via prima di suonare il campanello. Restai in attesa poco prima di sentire il cancello aprirsi e vederti spuntare dalla porta con un sorriso. Lo ricambiai, presa alla sprovvista. Volevo autoconvincermi che era una buona idea venirti a trovare. L’entrata della tua casa era accogliente. Tutto in legno. Davanti a me saliva una scala, anch’essa in legno. Chissà cosa ci sarà mai stato al piano superiore.. non lo saprò mai. Mi facesti accomodare in salotto. Mi sedetti su una sedia. Tu dovevi andare a fare una cosa prima di venire lì con me. Io ti lasciai andare. Era il momento giusto per dare un’occhiata a quel posto. Ero un po’ eccitata perché era la prima volta che ci entravo e mi sembrava strano che avessi potuto invitarmi. Era molto colorata come stanza. Il tavolo era sulla destra, vicino alla finestra. Il divano era abbastanza grande con il telo verde acqua. Il televisore era posto giustamente davanti ad esso. Ad un tratto due foto attirarono la mia attenzione e la mia curiosità. Una ritraeva tuo fratello, Nicola, quando aveva poco più di sei anni. Era in piedi con delle bermuda ed una canottiera. I capelli mossi e scuri. Asciutto come adesso. Sorrideva divertito. L’altra ritraeva te. Eri seduto sulla sella della tua bicicletta malandata con addosso uno zaino pieno di cianfrusaglie. Avevi i capelli incolti, lunghi e ricci. Erano di un colore più chiaro di quello attuale. In quella foto avevi appena tredici anni e sorridevi. Ma a differenza di tuo fratello, tu avevi gli occhi tristi e persi nel vuoto. Rimasi sbalordita. E un male cominciò a pungere nello stomaco. Decisi di tornare a sedermi dov’ero prima. Dopo qualche minuto tu spuntasti da una porta e mi invitasti a seguirti. Salimmo per un scala. Mi ritrovai in una piccola mansarda addobbata come una camera. Sui muri c’erano un sacco di scritte e riconobbi la tua scrittura sbilenca. Per lo più erano nomi di gruppi rock. Sulla parete sinistra c’era il tuo computer obsoleto. Vicino c’erano i bongo. Mi confessasti che furono il primo strumento che suonasti da giovane. Davanti a me c’era un letto e sopra di esso una piccola finestra. La cosa che però mi piaceva di più in assoluto era la batteria che avevi messo sulla parete destra. Era bellissima. Si vedeva che te ne prendevi cura. Stonava in quell'ambiente un po' polveroso e disordinato. Illuminava la stanza con il riflesso del sole che le batteva contro. Mi sedetti sul letto dopo la tua insistenza costante. Avevi detto che c’era una sorpresa per me e sparisti giù dalla scala. Rimasi nuovamente sola con i miei pensieri in quella stanza accogliente ed improvvisata. Mi resi conto di essere appena entrata nel tuo piccolo mondo. Già ti vedevo seduto al computer ad ascoltare i vostri ultimi concerti. Oppure affacciato alla finestra che ti fumavi una sigaretta. Mi alzai e mi avvicinai alla batteria, curiosa di vederla da vicino. Era la prima volta che ne vedevo una. E apparve un’altra immagine di te che la suonavi. Proprio in questo momento ci fu un’altra puntura nello stomaco. La ignorai un’altra volta e mi sedetti davanti al computer. Cinque minuti dopo spuntasti dalle scale con in mano una pila di cd. Mi chiedevo cosa ci facessi con quelli in mano.. Cosa volevi fare? Come se tu mi avessi letto nel pensiero, mi rispondesti: “adesso ti faccio sentire la sorpresa!” Mi facesti accomodare di nuovo sul letto e ti sedetti davanti la batteria. Accendesti con il telecomando l’hi-fi ed aspettasti che iniziasse la canzone. Prendesti intanto le bacchette da un’anta. Pochi secondi dopo cominciasti a suonare la canzone del cd. La riconobbi. Era “Californication” dei Red Hot Chili Peppers. Mi ricordai solo allora che tu e il tuo gruppo facevate la loro cover. Rimasi a bocca aperta nel sentire quanto bene suonassi. Ero meravigliata dalla tua bravura, per me sconosciuta fino a quel momento. Finita la canzone ti girasti verso di me, ridendo dopo avermi sorpresa con la bocca spalancata. D’impulso battei le mani. Ero esterrefatta. Ma mi sussurrasti che non era finita lì la sorpresa. Ti preparasti per una nuova esibizione. Questa volta sembravi più nervoso e concentrato di prima. Non ne capivo il motivo, ma rimasi in silenzio aspettando la prossima canzone ansiosa di sapere di cosa si trattasse. Cominciasti a suonare. All’inizio non avevo capito che canzone fosse.. poi capii tutto. Stavi suonando “Nothing compares to you” di Sinnead O’ Connor. Era la nostra canzone. Era stupendo vedere con quanto amore ed attenzione la stessi suonando. Ci mettevi davvero tutto il cuore. E questo mi fece capitolare in uno sconforto atroce. Non potevo credere che stesse succedendo. Mi sentivo in colpa. Il perché non volevo accettarlo. Lo sopprimevo. Alzai gli occhi al cielo implorando che la canzone finisse. Ero sull’orlo del pianto. Fortunatamente la canzone finì, risparmiandomi un doloroso scorrere di lacrime. Cercai di sembrare contenta della sorpresa che mi avevi fatto. E ci riuscii. Ti sedesti vicino a me e mi presi la mano. Ero immobile. Non osavo fiatare per paura di ferirti. Quasi non respiravo. Già mi immaginavo cosa volevi fare. D'altronde era da più o meno 2 anni che uscivamo assieme. Ero agitata. Anzi angosciata. Poi accadde: tu mi baciasti. Era proprio quello che volevo evitare quel giorno. Ora come avrei potuto reagire? Cosa avrebbe detto la mia coscienza che aveva ronzato per tutto il tempo? Tutto tacque. C’eravamo solo io e te avvinghiati in un bacio proibito. Provai una nuova tattica: lasciarmi andare. Detto fatto partecipai attivamente al bacio in corso. Ma fu il mio secondo sbaglio. Mi ritrovai in men che non si dica stesa sul letto, con te sopra. In me era in atto una lotta intestina senza pari. Successe tutto troppo velocemente perché me ne accorgessi. Infatti mi ritrovai nuovamente distesa ma questa volta c’era qualcosa che non andava. Aprì gli occhi di soprassalto. Ero rimasta solo in mutande. Come era potuto accadere? Mi guardai intorno per capire cosa stava succedendo e rabbrividii nel notare una mano proprio sopra a dove prima c’era il mio reggiseno. Era appoggiata a peso morto. Seguii la linea del braccio e vidi te steso in parte a me, anche tu solo in mutande. Stavi dormendo beato. Avevi un viso da angioletto. Rimasi incantata a guardarti per pochi minuti, poi mi ridestai. Tornai alla realtà. Speravo che non fosse successo niente di irreparabile. Mi fermai a ragionare. Non poteva essere successo qualcosa di quel genere. Se no come mi spiegavo il fatto di essere in mutande?! Avrei dovuto non indossarle… Così trassi un sospiro di sollievo. Lentamente cercai di togliere la tua mano e di alzarmi, facendo attenzione a non svegliarti. Cercai i miei vestiti e li indossai. Ora il dolore allo stomaco era peggiorato di gran lunga. Sembrava quasi che volesse stritolarmi le budella. Ma questa volta non lo ignorai. Sapevo che avevo sbagliato. Mi ero spinta troppo in là. Avevo superato il limite da me severamente imposto. Non potevo più tornare indietro. Dovevo ammettere che ero una persona spregevole perché ti avevo usato per cercare di dimenticare colui che poche ore prima mi aveva abbandonata. Non riuscirò mai a perdonarmi per quello che ti ho fatto. Non basterebbero 1000 scuse per cancellare tutto. Io ho giocato con i tuoi sentimenti. Era questo che non volevo accettare.
  
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