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Autore: Fuecchan    15/04/2014    0 recensioni
One Shot ispirata a questa canzone https://www.youtube.com/watch?v=j-fWDrZSiZs
Aokise - Missing Moment - Shonen-ai (Kuroko no basket)
[E se Aomine avesse trovato la ragazza?]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I won't put my hands up and surrender.

Aokise (Kise Side)

-Aominecchi!-

-Huh?-

Si girò verso di me, tenendosi ben salda la cartella sulla spalla e guardandomi. Mordicchiava lo stecchino del gelato, passandoselo da un lato all'altro della bocca, con un rapido movimento della lingua. Sul fiume si specchiava il sole che lentamente moriva all'orizzonte, lasciando una splendida scia di colori, che si mischiavano con le nuvole: arancione, giallo, rosso sangue, rosa confetto.

Adoro il tramonto.

-Aominecchi, tu... Tu mi piaci!-

Ed ecco il più grosso sbaglio della mia vita.

I grilli sembravano voler coprire quelle parole, col fruscio delle fronde sulle rive del fiumiciattolo che costeggiava la strada.
Ma in un attimo, nonostante il vano tentativo delle cicale di cantare più forte possibile, quella frase arrivò.

-Ryota... Io ho la ragazza...-

 

.I know you think that I shouldn't still love you, 
Or tell you that.
But if I didn't say it, well I'd still have felt it 
where's the sense in that? –

 

Il perfetto finale di una perfetta storia d'amore. No?
Eppure dentro mi era rimasto un vuoto. Di certo non era la mia storia damore quella. Ma la storia d'amore di Aominecchi, con qualche ragazza della scuola, probabilmente.
Chissà che taglia di reggiseno porta.

Lui non aveva minimamente voluto perdere il nostro rapporto di amici, di eterni sfidanti, forse per avere un confronto ed una vittoria sicura, conoscendolo. Chi ero io? Lo scemo del villaggio, il pagliaccio della Teiko.

Premetti il mio asciugamano sulla faccia, lasciando che si impregnasse del sudore che mi colava dalla fronte. Alzai gli occhi, guardando i lucernari al neon della palestra. Sospirai, un lungo sospiro.
Era evidente che non ci stavo con la testa. Non ci stavo nemmeno col corpo, di conseguenza. Mentre giocavo Murasakibaracchi quasi non mi calpestava.
Mi rannicchiai su me stesso, abbracciando le gambe e guardandomi attorno, lasciando che l'asciugamano che avevo usato prima, mi proteggesse il collo completamente fradicio.
La guancia poggiata contro il braccio, guardavo dritto verso il campo, dove ancora stavano giocando. Solo che al posto mio era entrato Kurokocchi: almeno tentavano di insegnargli a tirare a canestro.

-Ahn! Kurokocchi è davvero carino quando si impegna!-

Sorridente continuai a vagare con lo sguardo per tutto il campo, incontrando i movimenti rapidi di Aominecchi.
Socchiusi gli occhi osservandolo con attenzione: ogni movimento, ogni piegamento e rilassamento dei muscoli, le gocce che impregnavano la sua pelle scura. Era magnifico, quasi come della statuaria greca antica e-
Mi tirai l'asciugamano sulla testa coprendomi il viso, sentendolo tremendamente caldo, bollente se possiamo dirlo. Strofinai sopra la stoffa ruvida e morbidamente dentellata, e sospirai, schiaffeggiandomi anche, un momento.

Stupido.

Sapevo perfettamente che era difficile trattenere tutto quel sentimento. Un sentimento derivato dall'ammirazione, dal fatto che forse, probabilmente, era la meta più agognata della mia vita, nel basket e a livello sentimentale.
Ma perché andarci ancora dietro, perché pensare ancora a lui?

Perché quando vuoi ha un sorriso magnifico, brillantec Quando fa canestro, quando gioca, sfida e vince. Per quello avevo accettato di sfidarmi ancora con lui, perché mi accontentavo di vederlo felice come mai in vita sua, grazie al basket. E un piccolo contributo potevo darlo io, no?

Alzai la testa sentendo l'allenatore gridare per qualche minuto di pausa.

Mi alzai, sentendo cigolare le scarpe gialle con strisce nere sul pavimento lucido del campo da gioco. Non guardai nessuno, avevo ancora sulla faccia l'asciugamano giallo canarino, con un piccolo pulcino sorridente che cantava ricamato sopra. C'è da chiedersi come avrei fatto a camminare, ma tutto pur di non incontrare Aominecchi, in quel momento. Avevo bisogno di buttarmi dell'acqua fredda sulla faccia ed i polsi, o mi sarei sentito davvero male.

Da quella confessione era passata circa una settimana, dove i nostri sguardi non si erano scontrati nemmeno per volere divino, o per coincidenza. Da un lato andava anche bene così, non mi facevo la minima illusione.

Dall'altro no.

Mi mancavano quegli occhi blu, di quel blu oltremare, che si illuminavano maledettamente alla luce del sole, prendendo sfumature cobalto e celeste. Dannazione se mi mancavano.

Nel mio camminare andai a scontrarmi con qualcosa, o qualcuno. Alto e spalle larghe.

-Gaaah-! Murasakibaracchi! Scusami! Non volevo venirti addosso.-

Nei miei pensieri mi ero dimenticato di crearmi uno spiraglio per potermi fare magistralmente strada tra i vari attrezzi della palestra, tappetini, sedie e panchinette di legno.
Non venne risposta, forse aveva in bocca qualche pocky che aveva comprato allo spaccio della scuola prima di venire agli allenamenti, nonostante sapesse che non era per nulla salutare, tra un allenamento e l'altro, mangiare schifezze e roba varia.
Alzai gli occhi, scostandomi lentamente l'asciugamano dal viso e poggiando il bordo sull'attaccatura dei capelli, strofinandolo.

Due occhi blu mi guardavano.

La mano dalla pelle scura era poggiata sul fianco, una piccola smorfia, quasi di disapprovazione, si era dipinta su quel volto che tanto amavo veder sorridere.
Ma per me, non sorrideva più.

-A-Aominecchi..!-

Sorrisi lentamente.
Ma lui non ribatté niente.
Anzi, il silenzio che si era creato tra noi due mi stava logorando l'anima.
Trattieniti Kise, non saltargli al collo, non dire quanto lo ami, devi rimanere in silenzio e guardarlo camminare per la sua strada, con la sua dolcissima fidanzata, e chissà, dei futuri dolcissimi figli e tutto il teatrino.

Abbassai di colpo il viso, sorpassandolo, dandogli una spallata. Il mio viso era basso, mentre correvo, arrivando a grandi falcate verso gli spogliatoi. Il cuore in gola che batteva all'impazzata, senza fermarsi, e gli occhi che bruciavano dannatamente, come se un gas nocivo fosse entrato dentro ai miei polmoni e mi uccidesse lentamente, soffocandomi.

Sbattuta la porta dello spogliatoio, mi ci accasciai lentamente. L'asciugamano era dietro la schiena, contro la porta, tra di essi, schiacciato, ma non importava. Le gambe stese per terra, il sedere contro il pavimento freddo e asciutto, la schiena contro l'entrata, la nuca anche.
Gli occhi chiusi come se volessero trattenere quelle lacrime che già incessantemente colavano senza che niente, e soprattutto nessuno le avesse provocate.
Eppurec Il solo pensiero di quella realtà, talmente fattibile da esser palpabile, mi uccideva, mi faceva sentire vinto e perso in me stesso, nei miei sentimenti.
Non mostrarlo, quell'amore, tienilo caro, per chi ti meriterà di più, Kise.
Fallo per te.

Ma che senso ha?

I promise I'm not trying to make your life harder 
Or return to where we were 

 [Winter High]

Speravo di aver mantenuto quella promessa che mi ero fatto tanto tempo fa. Quando ancora vestivamo quelle camicie sul celeste, i maglioni bianchi, e camminavamo per le rive del fiume per tornare a casa, a piedi, sotto il sole che tramontava ai nostri piedi, nell'acqua tiepida e calda.

Così tanti anni ed ancora non riuscivo a dimenticare il suo sorriso, che sembrava essersi spento in un ghigno. Il ghigno della bestia, solitaria, chiusa in gabbia e lasciata a leccarsi le ferite da lui stesso causate al proprio corpo. Una bestia che, oltre alla tenue luce blu della notte, non vede nulla, se non le ombre delle sbarre della propria cella. Nulla.
E in quei momenti, sul campo da basket, avevo visto quella bestia uccidermi, travolgermi, io, povero cacciatore.

E come potevo evitare di decidere di lasciarti andare nella tua bestiale solitudine, Aominecchi?
Ah, quanti anni che non pronunciavo quel nome. Ma l'intonazione era sicuramente cambiata.
Bisognava prendere in considerazione il fatto che erano passati tre, o forse quattro anni, in cui avevo represso tutto, persino la mia voglia di emularlo, di seguirlo.

Ma avevo fatto il bravo.

Non avevo interferito con la sua vita sentimentale, né con la sua carriera di canestrista. Con niente. Mi ero praticamente levato di mezzo, di mia spontanea volontà, perché diciamolo, lui aveva smesso di parlarmi, aveva smesso di dire ogni minima cosa. Solo forse, durante le partite, si era più uniti.
Il basket era l'unica cosa che ci univa, a quel tempo.
Ma ora che giocavamo in squadre nemiche, come avrebbe potuto unirci ancora?
In nessun modo, quella era la semplice risposta. Solo vederlo giocare in quel modo, beh, mi aveva portato a pensare che forse per noi della Kiseki, noi giovani e sognatori giocatori della Teiko, non c'era più posto nei ricordi di Aomine.

Strinsi la sciarpa, delicatamente, lasciando che la punta del naso uscisse fuori, per prendere un po' d'aria.
Odio il freddo. Davvero, non mi piace. Le giornate sono sempre grigie, sempre temprate da quei nuvoloni che coprono il cielo. Poche volte riesco a bearmi di quei raggi caldi, di un sole fisicamente più lontano dalla Terra.

Mi poggiai alla panchina fuori appena dalla palestra dove si era tenuto il Winter High, per noi della Kaijo, miseramente fallito contro la Touou.
Sospirai, lasciandomi andare contro la spalliera freddissima della panchina, alzai gli occhi e fissai quel cielo, non terso, non celeste e traforato dai raggi del sole caldo, che baciano la pelle.
Ma un cielo grigio, pesante come un macigno, pesante come quella conquista.
Ma da un lato pensavo di essermi liberato, ponderai mentre mi rigiravo quella lattina caldissima tra le mani.

-And when we meet 
Which I'm sure we will 
All that was there
Will be there still 
I'll let it pass 
And hold my tongue 
And you will think 
That I've moved on.... -

 

Avevo avuto bisogno di stare un po' da solo, così avevo chiesto a Kasamatsu-senpai di lasciami un po' lì. Sapevo la strada per tornare a scuola, quindi non era minimamente preoccupato di lasciarmi là da solo, seduto, a guardare quel pesante cielo che mi sovrastava. Che odio.
Sbuffai mogiamente, socchiudendo gli occhi. Stesi le gambe lasciando che si poggiassero sui talloni. Il viso scattò guardandosi lentamente intorno.

Strinsi la presa e non mi trovai più la lattina tra le mani.

-Eeeeee-hh? ~ -

Mi alzai di scatto in piedi.
Come era possibile che una lattina avesse vita propria, gambe e tutto il resto? Insomma, non poteva essere scappata da sola. Mi chinai cercandola sotto la panchina. Ma quando mi girai trovai un'alta figura scura che la sorseggiava, la mia lattina, come se non fosse successo niente, come se non avesse appena rubato una lattina dalle mani di una persona senza che essa se ne accorgesse.

-Aominecchi!-

Appena sentitosi chiamare si girò lentamente verso di me. Lo sguardo però scattò subito alla lattina che scosse lentamente, sentendo quanto ne fosse rimasto del contenuto. Vuota, sembrava dalla faccia ricolma di disappunto che aveva assunto. Fece schioccare la lingua, lanciando a caso l'oggetto verso il più vicino cestino.
Canestro.
Ovviamente.

-Cosa vuoi?-

Sobbalzai, sentendo la sua cruda domanda, che però non sembrava detta con quel tono da bestia. No. Era un tono arreso. Arrendevole. Completamente distrutto, da se stesso, evidentemente. La saliva non era più bastata a leccarsi le ferite.
Povero Aominecchi. Se solo mi avesse permesso di rimanergli accanto in tutto quel tempo, probabilmente non sarebbe ridotto così.

E io? Cosa si poteva dire di me?
Che non avevo minimamente cambiato quello che pensavo di lui da allora, quel sorriso, e quell'amore, dovevano essere da qualche parte in quel freddo pezzo di marmo che era in quel momento. Non poteva averlo seppellito del tutto, no, c'era, ed io lo sentivo. E soprattutto lo vedevo, nell'espressione sofferente, quasi come se soffrisse solamente a respirare, a vivere. Le occhiaie infossate.

-Q-quella lattina era mia-

Le mie spalle si strinsero automaticamente come per autodifesa, una difesa che in quel frangente non serviva a nulla, purtroppo. Non potevo difendermi da qualcuno che probabilmente mi aveva buttato nel dimenticatoio. E, beh, essere dimenticato era la più grande paura che potessi avere, e che ho tutt'ora, anche.
Inspirai lentamente, avvicinandomi a lui appena, passo dopo passo, le mani in tasca, come se volessi atteggiarmi a duro, per non morir davanti a quegli occhi, le cui sfumature celesti erano morte e sepolte.

-Okay.-

Tagliò corto semplicemente. Ora quello a farsi avanti era lui, e la cosa mi spaventava un pof dato che, con nessuna espressione particolare mi prese il polso, trascinandomi da qualche parte. Non sapevo bene dove, ma sembrava una sorta di giardinetto per bambini, dove c'erano alcuni di essi che giocavano spensieratamente, ignorando completamente il freddo e la poca neve che era rimasta dalla nevicata scorsa.

Forse voleva parlarmi. Ma di cosa poi?
Di noi? Del fatto che forse si era stancato di avermi intorno? E come poteva essersi stancato di me, se intorno non potevo più stargli. Sia perché me lo ero proibito io, sia per il semplice fatto che ora andavamo in due scuole diverse.
Non capivo, e più tentavo di arrivare a capo di questa cosa, più il cervello mi scoppiava, quasi si accartocciava su se stesso per quanto stessi pensando.
Cosa rara, diranno alcuni.

Inspirai lentamente guardandolo, non appena si fermò.

-Aominecchi cos- -

-Sparisci.-

Eh?
Davvero me lo aveva detto? Davvero mi aveva detto di sparire, lui che mi aveva trascinato fin lì per qualche motivo sconosciuto? Davvero mi trattava in quel modo, dopo che per tre anni mi ero tolto di mezzo, completamente, definitivamente, dalla sua vita?
Inarcai le sopracciglia con gli occhi lucidi: vuoi il freddo, vuoi che stavo per scoppiargli a piangere in faccia. Come quella volta, in palestra. Fortunatamente avevo avuto la forza, allora, di andarmene e rifugiarmi nello spogliatoio.
Ma questa volta via di fuga non ve nferano, ero completamente bloccato, non potevo scappare, mi avrebbe fermato, questa volta. Sembrava fermamente deciso a volerla chiudere là quella questione, in quel momento, senza troppi preamboli.

-Cos- Perché?! Io non ho fatto niente!-

Strinsi i pugni, piegandomi un pof, alzando la voce, dato che non ce la facevo più. Non reggevo. Non doveva pensare di aver a che fare con un giochino, da mandare al diavolo quando più gli pareva e piaceva. Che diavolo. Era in quei momenti che mi sentivo felice di essermi allontanato da lui e avergli lasciato lo spazio di fare il diavolo che gli pareva. Perché quella, sì, era l'ultima goccia.
Ma prima che io potessi dire altro, o potessi mettermi a piangere, o fare una qualsivoglia azione, lui si girò di scatto, lasciando che la mia schiena collidesse contro un muretto che separava la strada dall'area dei giochi per bambini.

-Invece sì! Cazzo!-

Cominciò, colmo di rabbia e frustrazione. Le sue grandi mani premevano sulle mie spalle, che erano strette, impaurite, come un cagnolino spaventato che tiene la coda tra le gambe perché il suo padrone sta usando la cinta per insegnargli un pof di disciplina.
Ma io l'avevo imparata da me, che motivo c'era di essere tanto rudi e bruschi? Nessuno.

-Sei sempre qui! Cazzo, vattene!-

Disse.
Semplicemente mentre parlava, aveva iniziato a puntellarsi un dito sulla tempia, insistentemente.
Come ero sempre lì? Nella sua testa? Ma perché, come avevo fatto io ad esserci, nonostante gli anni trascorsi, le donne che avrà avuto, no? Che posto potevo occupare dentro la sua mente, figuriamoci se potevo ambire ad un posto nel suo cuore. Ero marginale, come un cane, no?

Spalancai gli occhi tentando di alzare una mano, ma desistetti, guardandolo allontanare le mani e dandovi un colpo per sbatterle contro il muro, all'altezza della mia faccia.
Il mio viso era sofferente, come se non avessi colpa di una cosa del genere, e non l'avevo! Non ero stato io ad insinuarmi nella sua testa, era stata una sua scelta avermi lì dentro no? Vero?

-Aominecchi ioc-

-No taci... Smettila. È colpa tua, e basta... Ora sparisci...-

Spalancai gli occhi, sentendo il cuore che mi saliva in gola. Le lacrime che salivano. Tre anni, di lacrime e disperazione trattenuta, per chi?
Per un ragazzo che mi dava la colpa di essere sempre nei suoi pensieri, sempre a quanto sembrava dalla voce disperata dell'altro. Non potevo avergli rovinato così la vita no? A quanto pareva sì, ma non era mia intenzione! Insomma io mi ero fatto da parte! Non volevoc Complicargli la vita! Era l'ultima cosa che desideravo.

Le labbra si aprirono, snudando i denti in un'espressione di dolore, le lacrime che finivano gocciolanti dal mio mento e le mani che spinsero, pesantemente, il petto di Aomine per allontanarlo da me.
In quel momento avevo una grandissima paura che potesse ferirmi, ma non emotivamente. Oh, quello lo aveva largamente fatto, senza troppi problemi a quanto pareva. Ma non volevo che mi picchiasse, non avevo fatto nulla.
Per lui avevo subìto le pene della mia anima, che continuava a ripetermi ogni giorno che sarei dovuto essere egoista, chiedergli di lasciare quella sgallettata, e stare con me, solo con me, permettermi di curargli l'anima, di guarirlo da stesso, e la bestia la quale è diventato.
Invece no.

-Q-quando... Quando capirai Che quello che ha qualcosa che non va sei tu...?-

Chiesi.
La voce mi tremava, mentre tenevo le labbra serrate, ora, i pugni stretti lungo i fianchi dopo averlo allontanato.
Non vidi che espressione assunse Aomine nel momento in cui lo avevo spinto, ma ad una prima occhiata sembrava abbastanza sorpreso della cosa.
Forse si aspettava che sarei rimasto lì impassibile a capo chino a prendermi le batoste che mi avrebbe mortalmente inferto.
E invece questa volta non era così. Anche io ero, e sono, un essere umano, non potevo permettermi di farmi mettere i piedi in testa a quel modo, non più, non da lui ovviamente.

Non spiccicava parola, dopo che dissi quella frase. Allorché mi dette il coraggio di andare avanti, con tutto quello che pensavo. Ma che fu espresso in una sola frase. Un sunto di disperazione, solitudine, dolore.

-cFatti un esame di coscienza, Daiki.-

Tirai lentamente su col naso, e poi, con un colpo dell'avambraccio sul suo petto, lo scostai violentemente.
Quasi come se volessi scappare dalla bestia.
Per quella volta aveva vinto lui, mi aveva ucciso, disintegrato definitivamente. Senza ritegno e senza rispetto, come suo solito. Non rispettava nulla, i sentimenti altrui, e sopratutti i miei, che erano stati compressi come una scatola con la molla, sino ad esplodere in quel modo. Se si gira troppo la manovella, poi il pagliaccio esce, no?

Ma la priorità per me era allontanarmi da quel ragazzo.
In quel momento. Ero terrorizzato a morte che potesse inseguirmi e prendermi a cazzotti, cambiarmi i connotati, mandarmi in terapia intensiva. Beh lo poteva fare, bastava ricordarsi le alzate di mani che aveva avuto con Haizaki. Ah. Altro ragazzo da incubo quello.
Non volevo che mi raggiungesse nemmeno per chiedermi scusa.
Non volevo nulla da lui. Assolutamente niente che non fosse un tombale e mortale silenzio.
Aveva superato il limite, questa volta, un limite che non era dato superare a nessuno per rimanere nei limiti della decenza.

Eppure lui aveva avuto il coraggio di superarli, e anche di molto. E perché dovevo assistervi proprio io?

Ah.
Non volevo saperlo. Assolutamente. No, non era affar mio.

Mentre camminavo, sentii il bisogno di premermi le mani sulle orecchie, il cuore faceva tanto male che non riuscivo a tenere il petto all'infuori, anzi mi ritrovai praticamente in piedi in posizione fetale.
I pettorali sulle ginocchia, lo stomaco sulle cosce, che tentavano di prendere più aria possibile, per quanto fredda e secca, per far funzionare al meglio il cervello, e soprattutto il cuore che batteva all'impazzata. Credevo di star per avere un infarto.
Ma l'unica cosa che uscì, fu un urlo straziante.
Basta, ero stanco. Ero distrutto da tutto quello. Non potevo più reggere.
Le lacrime uscivano violente, bagnandomi i pantaloni della tuta. Piangevo così forte che poteva sentirsi l'eco a tre isolati, sicuramente.

Ma non mi importava, in qualche modo dovevo pur cacciarlo fuori. Ero arrivato al limite della sopportazione, un limite che forse è più grande di quello di una persona nella media, a livello di pazienza.

Piano i lamenti di dolore diventarono piccoli singhiozzi smorzati, i denti stretti, e il respiro era meno accelerato, il cuore non sembrava più così veloce come se fosse un battito di ali di colibrì.
Ora era tutto avvolto in una grigia disperazione. Esasperazione.

In lontananza, Kasamatsu-senpai mi aspettava a fine marciapiede. Lo sapeva.

 

-I will go down with this ship 
And I won't put my hands up and surrender [..]-

 

[Spring]

Il sole.
Ah che manna.
Alzai gli occhi verso la finestra della classe. Li chiusi e lasciai che il sole che filtrava dalla finestra arrivasse sino alla pelle del mio viso. Sorrisi.
Era così bello avere un pof di sole dopo quel rigido inverno.
Bisogna premettere che di freddezza non ve n'era arrivata solo dal clima stagionale. C'era un'altra freddezza che aveva coinvolto tutto di me, anche il mio cervello, i sentimenti, la mia anima provata da una povera bestia.

Quella bestia era sparita. Non essendoci stati tornei fino a quel momento, non avevo comunque avuto modo di vederlo, se non nelle mie occasionali visite durante gli scontri. Certo, non andavo lì per vederlo e...
Ma chi voglio prendere in giro. Ovvio che ci andavo per vederlo, per vedere se quella bestia era ancora intenta a sbranare i giocatori avversari.
Forse però c'era una bestia più forte di lui.
Kagamicchi. E forse sapevo anche il perché. La sua era una zona alimentata da pensieri diversi da quelli di Daiki.
Ovvio. Solo lui, o quasi, ancora combattono con certi criteri, certi pensieri, che forse li fanno sentire troppo al di sopra del resto dei giocatori.
Egocentrismo a non finire, per farla breve.

Kasamatsu-senpai, dopo quel giorno, non chiese più niente.
Pian piano, ritornai il solito di sempre, il solito solare ragazzo, che non manca mai di fare il modello per qualche rivista, beh mi piace farlo dopo tutto no? Perché rinunciarvi? Anzi, forse era un modo per far comparire più possibile il mio viso e mostrarlo a Daiki, quasi come se fosse un ritorno della sua coscienza, per il modo brusco e animalesco con cui mi aveva trattato.

Ammetto che forse, in minima parte, ero felice di non averlo visto, in nessun modo, né sentito, né altro. Avevo bisogno di tempo per rimarginare la mia anima, dopo che la diga che conteneva tutti i miei sentimenti era crollata, distruggendo tutto al suo passaggio, persino me stesso.
Eppure sono solito dire sempre quello che penso, esternare tutto.

Ma per lui, beh, era stata una necessità quasi come se si trattasse di pura sopravvivenza.

Ma non importava.

La campanella mi fece aprire gli occhi, fortunatamente mi potevo permettere qualche momento di tregua dato che era l'ultima ora, e suonata quella campanella potevo tornarmene a casa. Non me la sentivo di andare agli allenamenti, soprattutto perché dovevo cercare il mio agente per mettere a punto alcuni incontri ed alcune interviste che dovevamo programmare. Ero sia studente che lavoratore, dovevo organizzarmi in qualche modo no? Potevo equilibrare tutto senza pensieri.

Ma soprattutto avere tutta la giornata occupata, per me, era di vitale importanza, per non abbandonarmi al mare impetuoso di sentimenti e pensieri che solitamente custodivo in una brocca di vetro. Visibili certo, ma non potevano fare alcun male, apparentemente.

Stirai le braccia, quando senti una voce famigliare chiamarmi dalla soglia della classe, da cui tutti piano stavano uscendo.

-Kise.-

Alzai lo sguardo, sorridente, lasciando tintinnare un piccolo orecchino di un blu oltremare, che avevo comprato il natale scorso.
Carino no?

-Kasamatsu-senpai!-

Mi alzai prendendo la borsa ed avvicinandomi a lui. Fortunatamente mi aveva riferito che gli allenamenti erano stati cancellati, quel giorno l'allenatore aveva una ricorrenza in famiglia, e appena la campanella era suonata, era scappato di corsa a casa senza pensarci due volte. Beh tanto meglio! Non avrei avuto il rimorso di aver saltato un allentamento per andare dal mio agente.

Tutto normale, come ogni giorno.
La routine, piano, colmava il senso di vuoto che provavo dentro di me, che mi aveva lasciato quella litigata avuta qualche mese addietro. Ma quasi avevo dimenticato la nauseante sensazione che avevo avuto in quel momento, avevo dimenticato il lancinante dolore al petto, le parole di Daiki. Quasi tutto.
Tranne il suo viso.

Non potevo pretendere troppo da me stesso dopotutto, no?

Andava bene così.

Varcata la soglia del cancello della scuola, guardai Kasamatsu-senpai osservare allarmato lforologio.

-Ah! Scappo a casa Kise, ci vediamo domani!-

Disse.
Non ebbi il tempo di dire niente, che si era già avviato, con una corsetta saltata, nella direzione per casa sua. Sembrava quasi che volesse allenarsi nonostante tutto. Ahn! Il senpai! Che tipo simpatico che era, assolutamente.
Inspirai lentamente l'aria che diventava gradualmente primaverile, e splendidamente fresca, solare, allegra. Quello contribuiva a farmi stare considerevolmente meglio, non c'erano dubbi.

Sentii il cellulare suonare. Un messaggio.

 

[20xx-xx-xx]
Mittente: Aominecchi
(ܤÜ)
Oggetto: Nessuno

-Abbassa lo sguardo.

 

Aspetta.
Guardai innumerevoli volte il mittente. Non avevo ancora cambiato il nome. Beh, non avevo motivo di farlo. In fondo avevo preferito tenere il nome, così nel caso mi avesse chiamato, avrei potuto ignorare la chiamata. Ma un messaggio è impossibile da ignorare. Lo avevo letto ormai.

Quasi automaticamente ubbidii, trovandomi davanti, alla fine del marciapiede, un lenzuolo.

Se era uno scherzo non era affatto divertente.

Mi chinai sui talloni e lo presi, dopo aver riposto il cellulare nella tasca della divisa, nei pantaloni.
Era un semplice lenzuolo di cotone bianco, ma sembrava scritto dall'altra parte.
In romaji, strano.
Lo girai lentamente e lessi, rimanendo sorpreso di quello che vi trovai scritto. Non sapevo a cosa fosse riferito, non lo sapevo minimamente.

 

I GIVE UP.

                 -Aomine.

 

Alzai lentamente gli occhi.
Lo sguardo si andò a posare su di una figura che era seduta su uno dei pali a U, di spalle. Spalle larghe, una giacca blu scuro, quasi nero, e stava evidentemente armeggiando  col cellulare.

-Aomine.-

 

[20xx-xx-xx]
Mittente: Aominecchi
(ܤÜ)
Oggetto: Nessuno

-Sono innamorato.
E sempre lo sarò.

 

-[..]There will be no white flag above my door 
I'm in love and always will be –

 

Fin.

 

Spazio dell'autrice:
Eccoci tornati con una bella Aokise. L'ho scritta in una notte e fatta betare, quindi dovrebbe andare bene. Vagando tra la mia playlist anni '90 ho trovato questa canzone e non ho potuto resistere per scriverci una storia, e per loro era perfetta ( https://www.youtube.com/watch?v=j-fWDrZSiZs )
Spero capiate i riferimenti alla canzone, ci tengo particolarmente.

Commentate, sono sempre graditi di qualsiasi natura siano <3
-Fue

   
 
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