Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Nika L Majere    15/04/2014    3 recensioni
SPOILER TERZA SERIE!!!
Moriarty è tornato. Londra trema. E Sherlock è prigioniero di Baker Street.
Il gioco ricomincia e gli scacchisti sono pronti. Ma questa volta c'è molto, molto di più da perdere.
Sherlock è cambiato: la sua corazza è stata scalfita e ora ne deve pagare le conseguenze.
Attenzione: Sherlolly incontrollata.
"Per questo è bene evitare con cura le emozioni e tutto ciò che vi gravita intorno. Meglio affrontare le cosa da un punto di vista freddo e distaccato. Non è per sentimento che si cambia, ma per il secondo principio della termodinamica.
Esso cita: «Questo principio tiene conto del carattere di irreversibilità di molti eventi termodinamici, quali ad esempio il passaggio di calore da un corpo caldo ad un corpo freddo.»"
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Quattro – in cui le porte vengono aperte
 
Non aveva mai saputo cosa volesse realmente dire la frase "sentirsi mancare la terra sotto i piedi".
Sì, certo, aveva provato una sensazione molto simile quando Mary gli aveva sparato; ma in verità in quel momento il suo cervello era troppo intento a trovare il modo di non morire per concentrarsi sulle meravigliose e poetiche sensazioni di contorno. Ma solo in questo momento può davvero comprenderne il significato.
È come se l'intero mondo che lo circonda perdesse di consistenza e lui si ritrovasse a fluttuare su una gelatina molle e instabile. Gli ci vuole qualche attimo di smarrimento prima di comprendere che quella gelatina sono in realtà le sue gambe.
Trema pericolosamente anche se il corpo non lo da a vedere. Un moto di vertigine che gli capovolge la prospettiva e lo costringe a serrare gli occhi. Il cervello sconnesso. Il cuore che accelera. Le orecchie si riempiono di un fischio acuto. Qualcuno-ha-sparato-a-John. Si rigira le parole in testa, come se a ripeterle possano divenire meno concrete. La cosa gli sembra tanto inverosimile da fargli credere sia tutto uno scherzo. È disarmante scoprire con quanta facilità il suo animo arrivi direttamente alla fase della negazione, pur di proteggersi.
Molly appoggia le sue mani su quelle dell'uomo, ancora ferme sulle sue spalle. Sono calde, nonostante il freddo di fine gennaio. Calde e delicate. Lei è calda e concreta e viva. Lei è qui e ora. Basta quello a farlo rinsavire. Mani che ti guidano sempre nella giusta direzione, sia che ti schiaffeggino sia che appena ti sfiorino
Sherlock si impone di non vacillare oltre: cinque minuti dopo corrono fuori dall'appartamento.
La corsa in taxi è la più lunga e sfibrante di tutta la sua vita. Molly seduta accanto a lui si ordina di rispettare ogni centimetro di Sherlock, dal corpo trattenuto e teso all'ansia che gli fa tremare le mani. Desidera afferrarle e riempire quel silenzio assordante con parole futili, ma non lo fa. Guarda fuori dal finestrino per tutta la durata del tragitto. Sherlock si è scavato un solco nell'indice della mano destra a furia di martoriarlo. Vorrebbe chiedergli a cosa stia pensando, cosa stia sentendo. Rimane zitta, perché mai lo aveva visto così inquieto: un bambino davanti all'armadio che nasconde l'uomo nero. Non le ha nemmeno chiesto come sia potuta accadere una cosa del genere.
Arrivati al Bart's Sherlock scende dal taxi come una colata di lava scura e ribollente. Non si ferma nemmeno ad aspettarla, mentre Molly paga il tassista in tutta fretta: "tenga pure il resto" non sa nemmeno quanto abbia pagato. Non ha importanza.
"John Watson!" La voce solitamente così bassa e controllata fa tremare l'intero atrio. Sherlock al banco del triage sovrasta una povera infermiera di molto più bassa di lui "Dov'è?"
"Ah, lo hanno portato qui mezz'ora fa. Dev'essere ancora in sala operatoria."
"DEV'ESSERE? Perché di norma dove li mettono i pazienti da operare d'urgenza?"
"Sherlock" una mano sul braccio.
"Che c'è?"
Molly si ritrae come se si fosse scottata, avvampando di vergogna e rabbia insieme. Gli scocca un'occhiata gelida.
Sherlock si rende vagamente conto di quanto sta accadendo, di quanto ridicolo sia scomporsi così in mezzo a tanta gente, di quanto - maledizione - stia mostrando di se stesso che non dovrebbe far vedere: si irrigidisce con le mani dietro la schiena; con solerzia rialza la barriera tra lui e il mondo esterno. Ricollega il cervello e scollega il cuore. Ma si può realmente smettere di sentire qualcosa, Sherlock Holmes? Preoccuparsi non serve a niente: sia che John viva, sia che... Dio, non vuole nemmeno pensarci.
Ma ora deve tornare lucido. Cristallino, come quando ha premuto quel grilletto. Perfettamente padrone di se stesso anche nell'atto finale della sua personale tragedia. Il suo sguardo si rischiara.
Molly lo percepisce e finalmente si concede di rilassare i muscoli delle spalle: ora che lui è tornato, lei può lasciarsi andare.
"Domando scusa. Noi saremo in sala d'attesa: la prego di venirci ad avvisare appena si saprà qualcosa" i suoi modi affettati sono traditi solo dallo sfarfallio delle ciglia.
L'infermiera arriccia il naso in una smorfia di disappunto.
"Non stai dimenticando niente?" Molly al suo fianco lo guarda con aria sorniona, così fuori luogo in un momento come quello. Sherlock ne è alquanto infastidito.
"Io? In che sen... No, non ci pensare nemmeno!" È puro terrore quello che si palesa negli occhi del moro. Come se già l'ansia per John non fosse abbastanza. Se Moriarty entrasse in quel momento puntandogli una pistola alla testa sarebbe decisamente più a suo agio.
"Io ci penso eccome! Non vorrai lasciarla da sola proprio adesso?"
"E secondo te io cosa dovrei fare? Non sono mica un'ostetrica!"
"Stalle vicino, tu razza di idiota!" Molly gli tira un pugno sul braccio "Muoviti. O ti devo schiaffeggiare ancora?"
Sherlock la guarda, poi guarda il pavimento, si volta al banco del triage, torna su Molly e poi fissa con desiderio le porte d'uscita, mordendosi il labbro.
"Non t'azzardare!" La patologa gli si pianta davanti.
"Ma scusa, sei una donna: perché non ci vai tu?"
"Ma che ragionamento beota! È la moglie del tuo migliore amico, mica la mia. E poi ti vuole bene: ti ha addirittura amorevolmente sparato. Più intimi di così si muore!"
Il detective alza un sopracciglio tutt'altro che convinto: "non dovrebbero esserci altre fasi intermedie prima?"
Molly intreccia le braccia al petto e cerca di sembrare più imponente, tentativo inutile, mentre gli parla come se avesse a che fare con un bambino che non vuole fare i compiti: "Sherlock Holmes chiedi da solo dove devi andare o ti prendo a calci da qui al reparto ostetricia"
Lo farebbe, Sherlock ne è consapevole. Serra forte gli occhi, raccoglie la sua dignità da terra, fa finta di non pensare a John steso su un tavolo operatorio e si volta verso l'infermiera contro cui poco prima aveva urlato.
"Mary Morstan Watson. Dovrebbe essere qui anche lei.. Parto prematuro"
L'infermiera lo guarda fintamente seccata. Poi annuisce, digita qualcosa al computer: "Ecco.. Terzo piano, la sua stanza è la 302. Ma se l'hanno già portata in sala parto, lei deve imboccare qual corridoio e seguire le indicazioni" il suo sguardo si addolcisce "Dica che è lei il padre: le faranno meno storie"
Sherlock deglutisce a vuoto "Detto sinceramente: preferirei rimanere solo il padrino..."
 
La incrocia a metà del corridoio, seduta su una sedia a rotelle, scortata da due infermiere. Ha lo sguardo stravolto dal dolore delle contrazioni che ormai devono essersi fatte ravvicinate e lunghe. Sherlock non vuole nemmeno pensare a cosa si deve agitare dentro di lei: la vita di sua figlia per quella del marito? Forse meglio lasciarsi andare entrambe, che l'oblio ha un che di dolce. Lui lo sa bene. Ma sa anche che c'è sempre una valida ragione per restare ancorati a questo mondo, per quanto sia sporco, inumano e inospitale.
Quando Mary lo vede, il lungo cappotto nero così fuori posto nel bianco asettico, gli occhi aprono uno spiraglio alla speranza. No, non speranza: gratitudine.
"Sherlock!" Il detective insegue a passo svelto lo strano corteo, legandovisi con una catena invisibile come se ne dipendesse anche della sua vita. Fluttuano nel corridoio affrontando una sudicia corrente contraria. Lui è deciso a remare fino a riva e portare tutti in secca, dovesse scorticarsi le mani fino all'osso.
Mary si volta per guardarlo negli occhi, nella voce le trema l'urgenza di sapere: "Dov'è John?"
"Sta bene, non ci pensare"
"Stai mentendo..."
"Ovvio che sto mentendo!"
"Che premuroso" Mary si agita sulla sedia, cercando in tutti i modi di trovare sollievo. Le contrazioni ora sono lunghe, la spaccano di un dolore reso amplificato dalla paura.
"Senti, al momento credo sia più importante che tu ti concentri sul parto, che dici?"
"Non ce la posso fare.. Non sono in grado di.." Rassegnazione. Paura. Sgomento. Inadeguatezza. Delusione. Cosa si agita sul fondo del suo animo, così in profondità da impedirle di nasconderlo? Sherlock non ci crede. Si rifiuta di crederci. Lui ha dato due volte la vita per John; una delle quelle quali era riservata anche a Mary e alla creatura non ancora nata. Come si permetteva lei, come poteva anche solo pensare di poter dire "io non"? Non picchierebbe mai una donna, ma ora vorrebbe colpirla con forza in pieno viso. Ora comprende la delusione che mosse le mani di Molly quando si ritrovò il segno bruciante delle sue dita stampate su entrambe le guance.
"Fermati" accelera il passo e tenta di fermare l'infermiera che spinge la sedia.
"Assolutamente no! Dobbiamo portarla in sala parto d'urgenza!"
"Ogni quanto ha le contrazioni?"
"Ogni 3 - 4 minuti. Le si romperanno le acque da un momento all'altro, quindi..."
"Quindi abbiamo tempo! Ho detto fermati!" Sherlock si para davanti a Mary e si inginocchia ai suoi piedi in modo da avere gli occhi alla stessa altezza. Sono mare in tempesta. Entrambi. Si fondono l'uno dentro l'altra con un atto che non ha nulla di sporco e molto di puro. Quante sono le forme d'amore che ti stai ritrovando a scoprire, Sherlock Holmes?
Le poggia le mani sulle ginocchia, semplicemente perché è troppo terrorizzato per permettersi di osare di più. Ha paura di romperla. Di rompersi a sua volta.
"Stammi bene a sentire Mary: tu farai nascere questa bambina, che sarà perfetta e straordinaria come voi due. E John sopravviverà perché tu gli stai dando il motivo migliore di tutti per farlo. Devi essere calma e lucida: hai la responsabilità di due vite tra le mani, ma in fondo questo lo sapevi già quando hai deciso di essere moglie e madre. Concentrati. Respira e concentrati. Andrà tutto bene"
A Mary sfugge una lacrima. È un'ex assassina, ma è pur sempre donna. Tra poco potrebbe essere molto, molto di più. E gli occhi del detective sono così buoni che sarebbe un delitto non assecondarli.
"Saresti un padre perfetto"
"Non dirlo neanche per scherzo" si concedono entrambi un sorriso liberatorio. Poi Mary scatta in avanti, arpionando con forza le spalle dell'uomo di fronte a lei, affondando le dita nella stoffa pesante del cappotto.
"Sherlock.. Sto per partorire in mezzo al corridoio.."
"Ok, muoviamoci"
 
Arrivati davanti alla sala parto Sherlock esita: se varca quella soglia non tornerà più indietro. Qualsiasi cosa accadrà là dentro, lui perderà una parte di se. Negli ultimi mesi si è già messo in discussione fin troppo per i suoi gusti. Si ferma sulla porta, le infermiere che spostano Mary dalla sedia a rotelle a quella del parto. Dal tempo passato e da come la donna si contrae è evidente che sta entrando proprio ora nella fase di espulsione.
"Scegli, fratellino: entri e ti perdi; oppure resti qui e rimani come sei" Mycroft è un'ombra dannatamente reale al suo fianco. "Qualunque sia la tua scelta, qualcosa cambierà"
"Sherlock..." Mary singhiozza, lo guarda supplicandolo "Ti prego non lasciarmi da sola..." Alza una mano a fatica nella sua direzione.
"Forse è meglio perdersi, non trovi? Restare fermi è noioso" l'uomo non si volta: si concede il dubbio di non sapere se la figura comparsa al suo fianco sia vera o frutto del suo inconscio. Molly c'è sempre, da qualche parte dentro e tutt'attorno a lui. Quel profumo troppo dolce che lui ha imparato ad apprezzare.
"Maledizione." Chiude gli occhi e si getta oltre la porta taglia-fuoco.
Chi è che sta nascendo proprio ora, Sherlock Holmes?
 
"Ok, sta andando benissimo.. Respiri, respiri.. E spinga!"
Mary conficca le dita nella mano di Sherlock lasciando dei profondi segni rossi che marchiano la sua pelle fin troppo chiara. Un grido saturo di forza, aspettativa, dolore ma anche speranza. Si aggrappa a lui come se fosse l'ultimo appiglio prima che le emozioni, tutte troppo forti, tutte troppo intense, la trascinino via e la facciano svenire.
Sherlock si sente piccolo. Piccolo, stupido e impotente davanti all'incredibile e meraviglioso miracolo che si sta consumando tra quelle pareti.
Ha cercato di rimanere il più distaccato possibile: si è arreso non appena si è reso conto che questo è l'attimo più importante di tutta la sua vita. Quella creatura vedrà prima lui e poi, forse, suo padre. In questo momento Sherlock ha generato quella bambina tanto quanto i coniugi Watson.
"Bravissima.. Ancora un piccolo sforzo e.. Spinga!"
Mary gli stritola le dita. Sherlock si sente uno sciocco, ma stringe gli occhi dal dolore.
"Giuro che se tuo marito sopravvive, lo ammazzo io dopo"
"Non dire stronzate..."
"Ecco la testa!"
La signora Watson si contrae un'ultima volta. Stringe così forte la sua mano tanto da rendere le dita ancora più pallide. Sherlock trema insieme a lei. Una parte di lui vorrebbe fuggire in preda alla paura. La sua parte più buona, quella migliore nonostante tutto, è terribilmente orgoglioso di lei.
Il pianto della bambina riempie la stanza. Il detective si trova a sorridere come un perfetto idiota, mentre Mary strofina la fronte sudata sul dorso della sua mano e sorride a sua volta. Sorridono senza ritegno. Senza rendersene conto, lui stampa un bacio sui capelli scompigliati di lei. Poi la consapevolezza gli piomba addosso come una frana. É tutto sbagliato. Tutto dannatamente sbagliato! Tenta di ricomporsi, pieno di imbarazzo, mentre lei tiene ancora salda la sua mano nella propria. Nel petto gli si agita un animale in gabbia. Una chimera dal manto squamato che porta i colori della paura, del sollievo, dello sconforto, dell’euforia, dell'inadeguatezza e forse anche il verde oscuro dell'invidia. Proprio quest'ultimo gli fa accendere un campanello di allarme.
Lasciare fluire. Lasciar crollare la diga. E poi dopo cosa ti rimane? Lasciar uscire vuol dire permettere a qualcosa di entrare. Sei disposto a questo Sherlock? Sei disposto ad accettare di essere incompleto?
"Sei davvero uno stupido ragazzino"
"A volte è la stupidità che ci porta a scoprire chi siamo"
È arrivato il momento di scegliere. Ti concederai di aprire gli occhi? Oppure preferirai essere codardo, Sherlock?
"Mary, scusami, io..."
Lei comprende al volo e lo lascia andare. Nel suo sguardo una gratitudine infinita.
Lui annuisce serio, ma non perde nemmeno un secondo. Non vuole vederla, quella piccola creatura coperta di sangue. Non è lui che dovrebbe trovarsi lì. Il disagio gli crolla addosso quasi fosse una doccia d'acqua gelata mentre scappa dalla sala parto come se stesse andando a fuoco.
 
Molly, seduta nella sala d'attesa in fondo al corridoio, ha fatto fuori un intero pacchetto di fazzoletti. Nel senso che li ha meticolosamente fatti a pezzi uno per uno e ora si ritrova in grembo una miriade di piccoli coriandoli bianchi.
Non li ha seguiti fino alla sala parto per non sconvolgere ulteriormente l'equilibrio già precario in cui versa Sherlock; ma adesso è corrosa dal bisogno di sapere. Quando lo vede gettarsi fuori dalla porta ha un moto di sgomento, pensando al peggio, ma poi lo vede alzare gli occhi al soffitto e prendere un lungo sospiro. Dopo tanti anni passati a stretto contatto e in cui lei ha dovuto arrangiarsi per comprendere i suoi ottusi e cervellotici silenzi, ormai conosce alla perfezione il significato di ogni suo gesto. Ha imparato a leggerlo come se fosse un antico trattato di magia oscura; complesso, intrigante e irrinunciabile. Lui stringe gli occhi, ma rilassa la bocca: sta cercando di rimettere insieme i cocci di se stesso.
Molly vorrebbe avvicinarsi. Si alza. Poi ci ripensa.
Rimane ferma a studiarlo nascosta nell'anonimato dei genitori che balbettano stupidaggini sconnesse al vetro delle incubatrici.
Sherlock si massaggia le mani con lentezza, l'espressione concentrata gli indurisce lo sguardo evidenziando le rughe che gli si formano intorno agli occhi e che lo rendono ancora più affascinante. Potrebbe essere un ragazzino o un uomo vecchio come il tempo e sarebbe sempre bellissimo: una quercia salda e antica in un bosco di fragili betulle.
Lei è il piccolo salice piangente che oscilla i suoi lunghi rami nel vano tentativo di raggiungerlo.
Lo vede portarsi le mani al collo: nel caos generale si è dimenticato di togliersi sciarpa e cappotto e ora se ne libera con un gesto secco e infastidito, gettandoli su una sedia lì vicino. È impacciato nei movimenti, che sembrano costargli un'immensa fatica. Non sono fluidi e armoniosi come al solito. Questa volta hanno un ritmo diverso. Sherlock non lo sa, o non se ne rende conto, ma lui è pura musica in tutto ciò che fa. Anche ora è una dissonante partitura contemporanea, disturbante e irrequieta. Molly vorrebbe poter incidere ogni sua sfaccettatura su un disco da portare sempre con se e riascoltare per ore e ore, renderlo la colonna sonora della sua vita.
Com'è stata sciocca a pensare che potesse davvero liberarsi dal suo giogo.
A un tratto un'infermiera esce dalla sala parto con un piccolo involto di coperte bianche a quadrati rosa. Si avvicina al detective. Lui si ritrae. Guarda quasi con orrore il fagotto tra le braccia della donna. Gli occhi scivolano immediatamente oltre, pur di non vedere.
La patologa muove un passo verso di lui: vorrebbe avvicinarlo, dirgli che non c’è nulla di sbagliato in tutto questo. Eppure, per una qualche ragione non riesce ad avvicinarsi. Forse vuole scoprire cosa sceglierà di fare questa volta Sherlock Holmes.
L'infermiera dice qualcosa. Lui scuote la testa e porta avanti le mani in un chiaro segnale di protezione. Molly sente il cuore rimbombarle in gola. Si torce la sciarpa tra le mani, mentre si morde il labbro.
Non rovinare. Non vacillare. Apri quella porta, Sherlock. Spalancala e guarda quanto meraviglioso è il mondo fuori dalla tua fortezza. Fallo per noi. Fallo per te.
Sherlock guarda intensamente l'infermiera. Poi annuisce, le sue labbra formulano un "va bene" stanco e lei si gira quel tanto che basta per mostrargli l'interno della coperta: Molly vede una piccola testa bionda fare capolino oltre l'orlo e gli occhi le si riempiono di luce.
Vorrebbe piangere da quanto è bello il sorriso che illumina il volto del consulente investigativo. Di una dolcezza disarmante che la fa innamorare di lui ancora una volta. Ogni atomo del suo corpo freme dalla voglia di raggiungerlo e stringergli le braccia al collo.
L'infermiera sorride soddisfatta, poi con mossa repentina e sicura al tempo stesso gli mette la bambina tra le mani. L'uomo si blocca, cessa di respirare, visibilmente sconvolto. Poi accetta quel minuscolo dono e si porta la piccola Watson al petto. Quelle mani, abituate ad avere a che fare con agenti chimici, pistole, coltelli e criminali, la stringono dolcemente; la cullano piano, ondeggiando con serenità.
Molly decide che ora può avvicinarsi. Sherlock la vede, abbozza un sorriso e sbatte le palpebre nel tentativo di nascondere gli occhi lucidi, ma sa perfettamente che lei li ha notati.
"Non dire niente" si abbassa un poco, giusto per permettere a Molly di incontrare i due occhietti socchiusi.
Lei fa come gli viene chiesto, però si concede una licenza: nell'allungare una mano per accarezzare un delicato pugnetto, appoggia la testa al braccio del detective. Inspira il suo profumo. Avverte il suo calore oltre la stoffa scura della giacca. Percepisce il cuore che gli rimbomba nel petto scatenato da chissà quale “reazione chimica”, come direbbe lui.
Per un minuto rimangono così, senza parlare, senza guardarsi. Tra poco dovranno tornare a fare i conti con la dura realtà. Ma per il momento è tutto troppo perfetto per permettersi di non viverlo fino in fondo.
E questo, non c'è dubbio, è il più bel lampo che potrebbe illuminare le loro vite.
 
Un'ora più tardi sono ancora intorpiditi nella sala d'attesa, dopo che Sherlock ha provato con scarso successo a intrufolarsi nella zona delle sale di chirurgia. La piccola Watson è stata portata via dalle infermiere che hanno assicurato loro il suo ottimo stato di salute, nonostante le due settimane d'anticipo. Mary invece è sotto sedativi: non riusciva a calmarsi, ma aveva bisogno di dormire e riprendersi almeno un poco. Di John non hanno saputo ancora nulla.
“Tieni: ne hai bisogno” Molly gli porge un bicchiere di carta contenente del liquido scuro che pretende di essere caffè.
Sherlock la ringrazia: ora che parte dell’adrenalina è defluita necessita di qualcosa che lo tenga sveglio. Prende un sorso, poi fa una smorfia. “Il tuo è più buono”
La patologa arrossisce per quell’inatteso complimento, poi si rende conto che forse sott’intende qualcos’altro.
“Ah, perdonami.. Vado subito nella cucina del reparto dipendenti e te ne preparo uno decente”
Il moro vorrebbe sorridere a quell’atteggiamento che definire infantile sarebbe un eufemismo, in così forte contrasto rispetto alla Molly agguerrita che lo ha minacciato poco prima. Invece agita una mano a mezz'aria come se volesse scacciare un pensiero fastidioso.
“Stavo solo sottolineando quanto il caffè delle macchinette sia deludente" per non dire terribile.
“Sì.. certo” la donna rigira il proprio bicchiere ormai vuoto tra le mani, mentre abbassa gli occhi. È la prima volta che restano da soli da quando gli è piombata in casa qualche ora prima. In realtà è la prima volta che restano da soli dopo tanto tempo. C'è un quieto imbarazzo che aleggia tra di loro.
Sherlock sospira. “Vieni qui e siediti. Non ti mordo”
Molly ciondola fino alla sedia e ci si accascia completamente svuotata; si sfrega gli occhi resi piccoli dalla spossatezza. Pensa a quanto ingiusto sia che il prezzo che Sherlock deve pagare per una giornata di libertà dal suo appartamento sia una giornata di prigionia in ospedale, oltretutto per un motivo così meschino. Anche lui ha gli occhi stanchi, le palpebre sempre più pesanti minacciano di serrarsi da un momento all'altro. Troppe emozioni, probabilmente. Una centrifuga che lo ha ribaltato da dentro a fuori e lo ha restituito al mondo più stropicciato di prima. La patologa sorride all'irriverente pensiero che lo vede come un gatto dal pelo arruffato mentre soffia contro un'immensa lavatrice.
Dal canto suo, lei è totalmente in balia degli eventi: quella mattina in obitorio le hanno nuovamente negato il permesso per le analisi sul presunto cadavere di Moriarty; poi poco dopo la telefonata di Mycroft che le intima di uscire dall'ospedale dove l'attende Anthea con già in mano i fogli per il rilascio del detective; quindi la corsa in Baker Street. Non si è nemmeno soffermata a pensare a come e quando Mycroft avesse saputo dell'attentato ai Watson, né di come avesse fatto ad avere tutto disposto con tempistiche così perfette. Come se sapesse, come se quei documenti fossero già pronti sulla sua scrivania da tempo immemore. Molly si trova a chiedersi se ci sono dei fogli che alla dicitura causale recitano: attentato a Miss Hooper. Poi si rende conto con sgomento che quella mattina ha pagato al tassista un cifra esorbitante.
Sospira rassegnata. Sembra sempre che lei non riesca in alcun modo ad avere pieno controllo della sua vita: ci sono sempre fattori esterni, personalità più forti che decidono il percorso al posto suo. È decisamente snervante, la fa sentire innocua e troppo dolce come una margherita, in attesa solo che il prossimo innamorato abusi di lei e le strappi via ogni cosa. Anche adesso, in questa sala d'aspetto, è cedevole e liquida, proprio come il suo nome. Vuoi che sia stanchezza, vuoi che sia ansia Molly proprio non riesce ad apparire dura.
Invece Sherlock al suo fianco siede rigido, una stalagmite di ghiaccio rovente che si espande a ogni respiro. Le dita che tamburellano sulle ginocchia mentre il suo sguardo passa in rassegna le persone intorno a loro, saettando dall'una all'altra, cercando qualcosa che Molly non riesce ad afferrare.
"Quale rebus stai cercando di risolvere?"
Sherlock si volta, incrociando il suo sguardo. Le luci violente e impersonali dei neon rendono il suo volto una maschera di cera. Molly prova a leggervi qualcosa, qualsiasi cosa, ma il consulente investigativo è talmente bravo a dissimulare ogni stato d'animo che la patologa rimane un'analfabeta davanti a quello sguardo.
"Guardali" gli occhi azzurri scattano verso le persone accalcate davanti al vetro della nursery "Tutti così felici. Tutti così..." Indugia, inciampa nella ricerca.
"Realizzati?"
Sherlock serra a pugno la mano libera dal bicchiere "Realizzati... Non importa nient'altro all'infuori del loro piccolo nucleo di esistenza. È tutto così ridicolo. Consacrare la propria vita a pannolini e notti insonni per..." Sputa le parole con disprezzo "tutta quella promessa di futuro che fuori di qui sa Dio cosa andrà a creare. Tutto quel potenziale... E magari lì in mezzo c'è una mente geniale, la più brillante di tutte, e a seconda di cosa il destino le ha riservato potrebbe diventare il nuovo Moriarty e io sono qui a chiedermi chi la fermerà se così fosse."
Molly è colpita. Non si aspettava una tale manifestazione emotiva, né la profondità della ricerca che sta spingendo Sherlock oltre il confine della sua fredda ragione. Prova tenerezza per questo cavaliere vestito di nero che non si schianta contro le pale dei mulini a vento, ma si sente ridicolo davanti agli occhi mansueti di una pecora.
"Se così fosse... Magari lì in mezzo c'è un nuovo te"
Gli sorride apertamente. Sherlock la guarda con stupore, le iridi tremano per un momento. Poi torna in se: il potere calmante di questa piccola donna; la sua pazienza che rimane immutata nonostante lui a volte incarni il peggio dell'irritabilità; la sua totale fiducia riposta nella certezza che dovunque il mondo vada a finire, Sherlock Holmes ci sarà per fare in modo che tutto segua la giusta direzione. Sente qualcosa divampare all'altezza dello stomaco. Prende un nuovo sorso di liquido amaro, pur di tenere impegnate le labbra prima che queste sputino il suo solito veleno. Acidità, piuttosto che cedere alla più amabile dolcezza.
Questa volta però Molly ha intuito il sottile puzzle che ha di fronte. Sorride compiaciuta.
"Sai.. Dovremmo avere un bambino"
Sherlock si strozza con il caffè.
Molly spalanca la bocca in un'espressione di completo imbarazzo.
"No, cioè, intendevo... Non io e te.. Cioè non noi due insieme.. Quello che volevo dire"
"Molly, decisamente la conversazione è un campo che non ti si addice" l'uomo tossisce nel tentativo di riprendersi.
Molly prende un lungo respiro.
"Quello che volevo dire è che ci farebbe bene. Almeno, a me di sicuro, vista la mia età.. E poi prima, con la bambina... Sai, si dice che per capire la vera natura di una donna bisogna metterle un bambino tra le braccia"
"Sì, ma tu non hai preso in braccio la bambina" Sherlock la osserva con divertita curiosità "stai insinuando che sono una donna?"
Molly apre e chiude la bocca senza davvero trovare un modo sincero per rispondergli. Arrossisce di una tinta tenue quando capisce che l'unico modo per uscirne pulita è tentare di spiegarsi. Ed è forse più imbarazzante che dare della donna all'uomo che le sta di fronte.
"Quello che sto cercando di dire.. Sì, quello che sto cercando di dire è che eri radioso con quel fagotto al petto" Molly si stringe nelle spalle e gli sorride.
Il detective annuisce pensieroso. La patologa è pronta a credere di aver visto l'ombra di un sorriso aleggiare intorno alla sua bocca. "Quindi secondo te io, che mi drogo regolarmente, rischio la vita per risolvere crimini, sono colpevole di omicidio e faccio esperimenti chimici in casa, sono adatto a fare il papà"
"Beh, insomma.. Tutti hanno un margine di miglioramento" il sorriso si incrina per l'imbarazzo.
Ha davvero pensato a loro due con un loro fagotto da stringere?
Buon Dio, sì che ci ha pensato. E non per la prima volta, a essere onesti.
Sherlock scuote la testa sorridendo beffardo: "solo tu puoi" gli sale in gola una leggera risata "sì, solo tu.."
"Solo io cosa? Cosa?" Molly si agita provocando in lui un riso più profondo.
Purtroppo dura troppo poco perché lei se ne possa beare. Il detective torna serio, lo sguardo si rabbuia di una tristezza che in questo momento è troppo stanco per tentare di nascondere. Si porta una mano al viso nel vano tentativo di cancellare quell'espressione addolorata. Un respiro lungo, sfibrato, dolente.
La patologa esita. Si morde il labbro. Poi con delicatezza posa una mano su quella che ancora stringe il bicchiere ormai vuoto.
Resta così per tempo infinito, lo sguardo piantato su di lui in una muta supplica. Lui non la guarda. Quel dolore è un privilegio solo suo. Lei rimane immobile, un'ombra pallida nella luce artificiale.
Quando il bicchiere di carta cade a terra Molly sussulta come se avesse sentito il suono di uno sparo.
Le dita di Sherlock strette intorno alle sue.
Una preghiera a sua volta: assoluzione per quell'uomo vile che non ha il coraggio di stare solo, ma ha troppa paura di ammetterlo.
Quanta tenerezza, quanta disperazione in un singolo gesto.
"Andrà tutto bene, vedrai" la voce della donna gli scivola addosso in una carezza leggera. L'uomo si azzarda a guardarla negli occhi: vorrebbe chiederle quali prove ha a supporto di questa tesi, pur sapendo che prove non ce ne sono. Solo in questo momento si rende conto che l'unica cosa di cui ha bisogno ora è avere fede. Quindi decide di avere fede in lei.
"Sherlock.. Ti prego, non allontanarmi mai più" gli occhi di lei sono infiniti come il tempo.
Lui non risponde, ma Molly potrebbe giurare di aver sentito la presa intorno alle dita serrarsi un po' di più. Come prova le basta. È diventata maestra nel farsi bastare le piccole cose.
Lui continua a guardarla. Studia il suo volto leggendovi tutto, ogni singolo pensiero, dal più piccolo al più indicibile. Per la prima volta lei non se ne vergogna: che legga ogni segreto, al diavolo ogni riverbero di dignità!
Donami una parte di te. La più piccola. Quella che usi meno. A me andrà bene.
"Molly, io.."
"Ah, eccovi qui!" L'infermiera del triage trotterella verso di loro. La mano di Sherlock si ritrae con lo scatto secco di una frustata e lui balza sull'attenti, pronto ad affrontare l'inevitabile. Qualunque cosa stesse per dire ormai è sfumata nella miriade di ticchettii perduti.
Molly è una statua di sale.
L'infermiera continua, implacabile: "Ci tenevo a dirvelo personalmente"
Sherlock porta le mani dietro la schiena. Il pollice ha ripreso a scavare solchi nelle altre dita. Il corpo teso trattiene il respiro. Ha già capito tutto, da come le si curvano le sopracciglia, da come tiene le cartelle sul braccio.. Ma in questo momento non riesce a fidarsi del proprio cervello: ha bisogno di sentirselo dire. Solo così potrà essere vero.
"L'operazione è andata a buon fine: John Watson è stato trasferito nel reparto di terapia intensiva. Dovrà rimanere sotto stretta sorveglianza, ma il peggio è passato"
L'orologio riprende a scorrere. Sherlock torna a respirare.
 
 
 
 
 
 
Note
Aggiorno in anticipo, per farmi perdonare l’immenso ritardo dello scorso capitolo.
Beh, non ho molto altro da dire. Ho curato questo capitolo in maniera particolare (maniacale è il termine corretto). Un plauso al mio moroso che ha la pazienza e la testardaggine di leggere in anteprima e costringere la mia fangirl interiore a rigare dritto: ti darò un premio per ogni volta mi hai sentito nominare Sherlock/Ben. Ergo andrò in bancarotta!
Non oso pesare quando arriveremo ai capitoli rossi…
Spero vi sia piaciuto. ;)
  
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