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Autore: EmmaEvans    15/04/2014    0 recensioni
"I suoi occhi incontrarono una figura a qualche metro di distanza da lei:era una ragazza, vestita con la divisa di Serpeverde, o per lo meno, quello che ne rimaneva; gli occhi erano velati, sconvolti, spaventati e pieni di terrore; Il viso, con degli schizzi di sangue sulla fronte e sulle guance, era di un pallore quasi spettrale."
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Era nello spogliatoio dei Serpeverde, seduta su una delle panche, le mani tra i capelli, i gomiti appoggiati alle ginocchia e lo sguardo puntato in basso, tra le scarpe. Era sudata e aveva il fiatone.  Non si ricordava né cosa ci facesse lì, né come mai aveva il cuore che batteva a mille come se avesse appena fatto una maratona di cento chilometri. Aveva solo un pensiero martellante in testa:  perché l’aveva fatto? Perché? Non si ricordava nemmeno a cosa si riferisse, ma dentro di se sapeva perfettamente che doveva scappare. Doveva scappare più lontano che poteva. Chiunque, appena avesse visto cosa era stato fatto, avrebbe capito tutto e tutti avrebbero accusato lei, perché era stata lei a fare ciò che era stato fatto.
Sollevò la testa, con il polso si tolse delle lacrime che le appannavano la vista e solo in quel momento si accorse del sangue. Del sangue cosparso sulle mani, sotto le unghie, sulle braccia,  sui vestiti. Ed era troppo sangue per essere il suo. Troppo sangue per essere quello di qualcuno ancora in vita. E subito dopo, una sensazione di puro terrore la invase. Un’ondata di agghiacciante paura, di consapevolezza che ciò che era successo era irrimediabile. Si guardò la divisa da Quidditch, completamente distrutta, strappata in brandelli. Si guardò di nuovo le mani, tremanti ora, chiedendosi di nuovo e disperatamente: Cosa ho fatto?. Si alzò di scatto guardandosi attorno terrorizzata che qualcuno potesse vederla e capisse…ma capisse cosa? Cosa aveva fatto?
Fece un giro su se stessa, controllando che non ci fosse nessuno, ma i suoi occhi incontrarono una figura a qualche metro di distanza da lei: era una ragazza, vestita con la divisa di Serpeverde, o per lo meno, quello che ne rimaneva; gli occhi erano velati, sconvolti, spaventati e pieni di terrore; il viso, con degli schizzi di sangue sulla fronte e sulle guance, era di un pallore quasi spettrale; i paragomiti e i paraginocchia così lacerati che sembravano un allungamento naturale della divisa distrutta; le scarpe, una volta verdi, erano marrone scuro, quasi un viola torbido; i capelli rossi sciolti erano appiccicati a ciocche, sporchi di terra, pioggia, sudore e…sangue; Non capì subito che la ragazza che guardava attraverso lo specchio era lei stessa. C’era qualcosa che non andava. Stranamente, la sua attenzione non andò a focalizzarsi sull’enorme quantità di sangue che, di certo, non era suo; si concentrò sul fatto che portava la divisa di Serpeverde e lei non era una Serpeverde. Cosa ci faceva con addosso quella divisa? Era una Grifondoro, lo era eccome, ne era certa; quella divisa non era sua…
La sua attenzione fu attratta da qualcosa, una specie di massa scura dietro le sue spalle, immobile e a terra. Il cuore ricominciò a battere a mille, se lo sentiva fuori dalla cassa toracica. Cosa diavolo era? Qualcosa le disse di non girarsi, di limitarsi a guardare la massa dallo specchio. Ma, nonostante la folle paura, si voltò e scoprì che non avrebbe mai dovuto farlo. Non era affatto una massa: era una pozza di sangue scuro, forse lo stesso sangue che aveva addosso. La pozza spariva dietro la fila di armadietti al centro dello spogliatoio. Si mosse di qualche passo e appena fu sufficientemente vicina si rese conto che quello era sicuramente sangue umano. Con gli occhi seguì la pozza che si trasformò in striscia di sangue, come se qualcuno avesse trascinato un corpo per tutto lo spogliatoio. La traccia spariva dietro un’altra fila di armadietti. Decise di seguirla, ignorando la sensazione che le diceva di non farlo. Camminò lungo la prima fila di armadietti, facendo attenzione a non pestare il sangue. Voltò a sinistra e poi ancora a sinistra. Si ritrovò nello stesso identico posto di prima, davanti alla pozza, solo che adesso c’era un corpo, di un ragazzo steso a terra, apparentemente senza vita e con il viso voltato dall’altra parte. Di nuovo, la sua attenzione si concentrò sulla cosa sbagliata: ma se quella era la stessa pozza di prima, perché non aveva visto il corpo? Si guardò attorno e riconobbe la panca dove era seduta prima, gli armadietti… solo lo specchio non c’era più.
Volse lo sguardo verso il ragazzo, attratta da un particolare che l’aveva fatta trasalire: sulla fronte del ragazzo, c’era una cicatrice, rossa e quasi luminescente, a forma di saetta, da cui scorreva un rivolo di sangue nero. Harry? Pensò la ragazza, sentendosi prendere dal panico. Si inginocchiò, sentendosi il cuore scoppiare nel petto. Con la mano voltò il viso del ragazzo. Le si mozzò il fiato, si sentì crollare il mondo addosso, perse l’equilibrio e cadde indietro: gli occhi di Harry la guardavano, senza vederla, vacui e senza vita.  
Lei avrebbe voluto urlare di paura e di dolore, ma non ci riuscì.  Il corpo del ragazzo era completamente coperto di sangue, numerose ferite si aprivano sul petto e correvano per tutto il suo corpo. Sembrava che un lupo avesse deciso di sbranarlo vivo. Emma sentì le lacrime scorrerle sul viso, prendendo coscienza del fatto che era stata colpa sua. Si mise a gattoni e raggiunse il corpo di Harry in un pianto silenzioso, inzuppando la divisa del sangue del ragazzo. Gli posò una mano sul petto, sussurrando: “mi dispiace, mi dispiace, perdonami”. Avrebbe voluto essere lei la morta per mettere fine a quel straziante dolore. Penosamente, chiuse gli occhi di Harry con una cupa carezza e posò la testa vicino a dove, qualche momento prima, batteva il cuore del ragazzo ancora in vita. Pianse sul suo corpo, aggiungendo al sangue e al fango, le sue lacrime.
Poi sentì una specie di soffio roco, come quando uno scatolone pesante viene trainato lungo il pavimento. Proveniva da fuori lo spogliatoio. Sollevò la testa e ascoltò con le orecchie tese. Di nuovo, sentì quel rumore. Si alzò, sfoderando la bacchetta e, trovando il coraggio di dire “Chi c’è?”, si voltò verso la porta dello spogliatoio. La porta era socchiusa e vide una strana ombra passare velocemente. Non avrebbe mai voluto lasciare il corpo di Harry lì, abbandonandolo, ma se c’era qualcuno, l’avrebbe ucciso sicuramente. Con un coraggio che non sapeva di avere, si avviò verso la porta e la spalancò, uscendo sul corridoio. Guardò a destra: il corridoio era stranamente pulito, come una corsia perfettamente disinfettata di un qualche ospedale. C’erano solo dei tendoni, perfettamente bianchi, a intervalli regolari, come degli arazzi muti su uno sfondo senza vita. Comunque non sembrava esserci anima viva. Guardò a sinistra: il corridoio era uguale a quando aveva guardato a sinistra, pulito anche se… c’era qualcosa, più o meno a cinque, sei metri da lei, qualcosa che rendeva la sua vista più…più opaca… del normale.
Era una figura umana, o per lo meno simile ad una forma umana, sottile, alta e tremendamente magra. Troppo magra e troppo alta per chiunque. Non portava vestiti, era semplicemente ricoperta da questa patina bianca sporca, non aveva capelli, e al posto degli occhi aveva due orbite vuote che la fissavano. La bocca era un taglio lievemente socchiuso come se cercasse aria, da cui uscivano leggeri sbuffi di vapore.
Emma sentiva il respiro rantolante di quell’essere come se le stesse addosso. Le sembrò di sentire sussurrare il suo nome e le venne la pelle d’oca. Indietreggiò con la bacchetta alzata. Non riusciva a proferire parola. Si sentiva schiacciare all’altezza della gola.  L’aria non riusciva più a passare attraverso le corde vocali e permetterle di urlare. Il suo istinto le disse di correre, correre veloce, lontano da quello spettro. Si voltò e corse come mai aveva fatto in vita sua, sfamando la sensazione di fuga e dimenticandosi totalmente di Harry. Doveva uscire da quel corridoio, doveva uscire dallo stadio… ma più correva, più si rendeva conto che anche lì c’era qualcosa di sbagliato. Il corridoio non finiva mai, le svolte che faceva non portavano mai ad un corridoio diverso e più di una volta le sembrò che da quel luogo ci fosse già passata. Decise di fermarsi. Si voltò con il cuore in gola. Lo spettro non c’era più, il corridoio era perfettamente sgombro. Girò su se stessa un paio di volte, calmandosi quel poco da ritrovare la ragione.
Si chiese cosa ci fosse dietro quelle tende. Una voglia di improvvisa di andare a scoprire cosa ci fosse al di là, la invase. Si avvicinò ad una delle tante e, appena la sua mano sfiorò la tenda, quella si mosse, come scossa dal vento. Doveva esserci un’uscita! Ecco perché le sembrava di girare in tondo! Afferrò la tenda con forza, pregustandosi la libertà e l’aria fresca del parco della scuola. Sorrise e tirò con forza: un paio di occhi vuoti la guardavano al di là del vetro.
 
Si svegliò di colpo e si ritrovò seduta, sudata e con quella che poteva essere scambiata con una tachicardia. Era nel suo letto, nel suo dormitorio,in quella che, per quell’anno, sarebbe stata la sua casa: Serpeverde. Non realizzò subito lo strano pensiero che aveva fatto: per quell’anno? Che cosa significava? – Sono sempre stata un’orgogliosa Serpeverde!- pensò. Poi si chiese come mai si era svegliata sudata. Non ricordava più nulla del sogno. Sapeva solo che non voleva più rifarlo, aveva una sensazione particolare addosso, una sensazione fastidiosa: come se qualcuno la stesse spiando. Ma le sue compagne stavano tutte dormendo, così si convinse che la strana sensazione fosse data dal sogno, che nemmeno ricordava. Si passò una mano tra i capelli, cercando di calmare un po’ i battiti del suo cuore, che ancora rimbombava forte nel suo petto. Si mise giù, sul letto, appoggiò la testa sul cuscino guardando la sua amica che sonnecchiava nel letto accanto. Poi, anche lei, piano piano ri- scivolò tra le braccia di Morfeo.
Non si accorse degli occhi vuoti che la fissavano fuori dalla finestra della sua camera.
 
 
  
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