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Autore: Defiance    15/04/2014    3 recensioni
SPOILER THE WINTER SOLDIER!!!
“Non vai con lui?” chiede sorpreso, dirigendosi verso di lei mentre la consapevolezza di un imminente addio si fa prepotentemente strada dentro di lui.
“No” ammette Natasha, come se fosse l’ultima cosa che vorrebbe fare.
“Né resti qui” prosegue il Capitano, senza riuscire a impedire al suo tono sicuro di incrinarsi leggermente.
“No” conferma la donna con un sospiro malinconico; abbassa lo sguardo e fa una breve pausa, prima di riprender parola.
“Ho bruciato le mie coperture… devo trovarne una nuova”
Dalla storia.
Natasha e Steve: tanto diversi, eppure allo stesso tempo dannatamente uguali.
La storia parte dal loro addio nella scena finale di CATWS, per poi prendere un piega autonoma e completamente diversa.
Cosa accadrà ai due eroi? Si incontreranno di nuovo o quell'addio resterà effettivamente tale?
[Romanogers]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff, Steve Rogers
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: i personaggi della storia non mi appartengono. La ff è stata scritta senza alcuno scopo di lucro


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DAMAGED





 
 
 
 
 
“Dovresti essere onorato questo è il suo massimo per dire grazie”
La candida e dura voce di Natasha lo costringe a voltarsi.
È strano tanto quanto raro che il suo tono sia scherzoso; di solito, il massimo ottenibile da lei è uno sfrontato e pungente sarcasmo, motivo per cui, in un primo momento, Steve stenta a credere che a parlare sia stata veramente la donna.
“Non vai con lui?” chiede sorpreso, dirigendosi verso di lei mentre la consapevolezza di un imminente addio si fa prepotentemente strada dentro di lui.
“No” ammette Natasha, come se fosse l’ultima cosa che vorrebbe fare.
“Né resti qui” prosegue il Capitano, senza riuscire a impedire al suo tono sicuro di incrinarsi leggermente.
“No” conferma la donna con un sospiro malinconico; abbassa lo sguardo e fa una breve pausa, prima di riprender parola.
“Ho bruciato le mie coperture… devo trovarne una nuova”
Un cartellino ancora rosso. Non è sicura di riuscire a cancellare i segni che il suo passato vi ha lasciato sopra… non in questa vita, comunque.
“Ci può volere tempo” le fa notare Steve, forse nel vano tentativo di impedirle di andare via, chissà dove.
Ne avevano passate troppe negli ultimi tempi, insieme, nel bene e nel male, cosa che l’aveva resa un po’ una costante nella sua vita caratterizzata da fantasmi e ricordi lontani.
“Me lo auguro” è la risposta di Natasha, nonostante nemmeno lei sia veramente sicura che ciò che desidera di più sia di sparire dalla circolazione per un bel po’.
Ha bisogno di capire chi è, oltre alla Vedova Nera; credeva di averlo capito, ma quella che sembrava l’unica scelta giusta della sua vita si era tramutata in un secondo in un grandissimo errore e questo aveva scosso quell’equilibrio che aveva trovato entrando a far parte dello S.H.I.E.L.D.
“La cosa che mi avevi chiesto, mi hanno contraccambiato qualche favore. Ora me lo fai tu un favore? Chiami l’infermiera?” dice, ignorando la morsa allo stomaco che comincia ad avvertire.
“Non è un’infermiera” butta giù lì Steve, reggendole il gioco.
“E tu non sei un agente dello S.H.I.E.L.D.”
Non più, pensano entrambi, ormai incerti anche sul fatto che lo siano mai stati.
“Com’è che si chiama?” domanda, fingendosi interessato.
“Sharon… è simpatica” lo informa Natasha, raccogliendo le forze per non mostrare ciò che realmente pensa di lei.
Non la conosce, non sa quale sia effettivamente il suo carattere, quindi dovrebbe astenersi dal giudicare, ma proprio non ce la fa… eppure, le persone a cui tiene davvero sono così poche e il Capitano Rogers è una di quelle.
Vorrebbe vederlo felice, fuori dalla prigione che Peggy Carter costituisce per lui.
Dopo una breve pausa, la donna si avvicina all’uomo e gli stampa un casto bacio sulla guancia: un gesto che parla da solo, un amaro addio.
“Sii prudente Steve. Forse faresti meglio a fermarti qua” è il suo ultimo consiglio, prima di sparire e lasciare il giovane da solo, a rigirarsi tra le mani il fascicolo del suo vecchio, migliore amico, Bucky.
[Re-interpretazione della scena finale di CATWS]

 
***
 
Freddo.
Natasha non sentiva tanto freddo da anni ormai; le sembrava di essere di nuovo in Russia, tanto gelida era l’aria che respirava.
Sola.
Di nuovo sola.
Ma in quel momento, da un lato, era contenta di esserlo, era contenta che nessuno fosse lì a vedere come si era ridotta.
Nel corso della sua turbolenta vita, aveva imparato a nascondere le sue emozioni, - perché ne aveva e anche tante -, ma non le piaceva mostrarle alla gente: aveva un istinto di sopravvivenza troppo elevato per offrire da sé, su un piatto d’argento, armi per ferirla.
Eppure, mentre osservava la buia notte dalla finestra di quell’hotel, situato in un posto sperduto del New Jersey, non poteva fare a meno di desiderare la compagnia di qualcuno.
Qualcuno con cui parlare, con cui aprirsi e, per la prima volta dopo tanto tempo, dare sfogo ai suoi sentimenti.
Alla rabbia, per ciò che era stata in passato; al rancore verso Clint Barton che sì, l’aveva salvata, ma tempo dopo l’aveva anche abbandonata; all’odio per sé stessa, per essersi prima trasformata in un’assassina, poi fatta usare dall’Hydra e infine per l’indipendenza e la freddezza che stava perdendo.
Natasha Romanoff non aveva mai avuto bisogno di nessuno nella sua vita, ma è risaputo che quando si ha un assaggio di qualcosa che piace, poi la si brama sempre di più… e lei quel maledetto assaggio lo aveva avuto.
E lo aveva avuto con Steve.
 
“Tu cosa vorresti che fossi?”
“Che ne dici di un’amica?”
 
Amici.
Forse era davvero questo che erano diventati alla fine.
Come altro si poteva definire un rapporto come il loro, basato sulla fiducia, sulla lealtà e sulla complicità?
 
“Non è che sia facile trovare qualcuno con analoghe esperienze di vita”
 
No. Steve aveva ragione, è praticamente impossibile.
Ma loro si erano trovati lo stesso e lui aveva imparato a capire il linguaggio dei suoi occhi e ad ascoltare i suoi silenzi; come quella volta in casa di Falcon, quando le si era avvicinato, le aveva chiesto cosa le stesse accadendo e lei si era aperta, confessando la sua paura di non sapere quale posto ricoprire nel mondo.
La sua paura di sbagliare ancora… E con un nonnulla lui era riuscito a farla sentire meglio.
Natasha non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, ma le mancava il Capitano; le mancava avere qualcuno accanto, qualcuno al fianco di cui lottare o semplicemente qualcuno con cui parlare.
Le mancava quella soddisfacente sensazione di non essere più sola, di aver trovato il suo posto, un amico… eppure, ne era consapevole, quella era stata una sua scelta.
Aveva deciso lei di andarsene.
 
***
 
Il tempo fuori dalla finestra rassomigliava in tutto e per tutto il suo stato d’animo: grigi nuvoloni ricoprivano completamente il cielo, l’avvertimento di un incombente acquazzone.
Ed era così che Steve si sentiva, come se nel suo cuore piovesse da anni.
Quando era stato scongelato, aveva provato un vertiginoso senso di disorientamento che lo aveva destabilizzato completamente, quella sensazione che si avverte quando si riceve una brutta e inaspettata notizia e il pavimento sembra sparire da sotto i propri piedi.
Si era svegliato e aveva realizzato che non aveva perso solo un ballo, bensì tutta la vita della donna che amava, di coloro che aveva conosciuto.
E poi, mentre tentava di reagire a modo suo a quella novità, mentre cercava di metabolizzare l’accaduto, Nick Fury lo aveva coinvolto nel progetto Avengers e aveva cominciato a lavorare per lo S.H.I.E.L.D.
Aveva scelto di continuare a svolgere il lavoro per cui era ‘morto’: proteggere le persone, l’unica cosa che sapeva fare, combattere.
Poi era arrivata lei e tutto gli era sembrato diverso.
Era come avere un’alleata, un’amica.
Avevamo molto in comune, Nat, pensò Steve, rigirandosi dall’altro lato del letto.
Nell’ultimo anno gli era capitato più volte di pensare alla Vedova Nera, molte più di quanto gli piacesse ammettere.
Era un sogno ricorrente, il desiderio di avere una minima certezza nella sua vita e lei, per due anni, lo era stata.
La voglia di ricevere sue notizie era un’esigenza frustrante, la preoccupazione per la sua incolumità quasi insopportabile.
Sapeva che probabilmente Natasha non si stava ponendo alcuno di quei problemi, che era andata avanti e quasi sicuramente non sentiva la mancanza di nessuno, ma lui era diverso e non riusciva a smettere di pensare ai suoi occhi letali e seducenti allo stesso tempo, a quant’era bello avere qualcuno su cui poter fare affidamento.
Non riuscendo a prendere sonno, si rialzò dal letto e cominciò a ciondolare per la stanza, domandandosi per l’ennesima volta dove si trovasse la sua amica.
Si sentiva nuovamente estraneo al mondo che lo circondava: non aveva trovato Bucky e Sam aveva quasi rischiato la vita per salvarlo, da qui la sua decisione di non coinvolgerlo più in nessuna delle missioni che si auto-imponeva da quando lo S.HI.E.L.D. era morto e Fury era partito per l’Europa scomparendo nel nulla.
Gli restava solo Tony Stark, se proprio aveva voglia di compagnia, ma doveva proprio essere disperato per rivolgersi a quel megalomane di Iron Man.
In un gesto automatico, si avvicinò all’armadio e ne tirò fuori uno scatolone, dove aveva conservato tutti i suoi effetti personali risalenti alla sua vecchia vita.
In preda a un impeto di rabbia, rivoltò il contenitore cosicché tutto il contenuto si sparse sul pavimento.
Tra i tanti oggetti, fu un piccolo album da disegno a catturare la sua attenzione: non lo aveva più preso in mano da quando aveva raffigurato il volto Peggy ottanta anni prima, né ne aveva più sentito l’esigenza; in quel momento, tuttavia, le quattro mura della sua stanza sembravano soffocarlo, tant’è che aveva il respiro irregolare.
Afferrò la matita e cominciò a muoverla sulla carta, con voga, disegnando tutto ciò che era per lui causa di perturbamento, come se tirare pugni a un sacco non fosse più sufficiente a scaricare la tensione e quella fosse l’ultima via d’uscita per sfogarsi.
Rappresentò il volto di Bucky e Sam; sé stesso, intrappolato nel ghiaccio; Nick Fury… e lei.
Sì, raffigurò anche il volto di Natasha, ma proprio mentre stava per completare il disegno, la collera divenne indomabile ed esercitò una pressione tale che la pagina si lacerò.
Scagliò l’intero album nel cassonetto e afferrò il giubbotto: non sapeva dove sarebbe andato, l’importante era riuscire ad allontanare quei pensieri.
 
***
 
Steve camminò per ore quella notte, finchè non raggiunse lo Smithsonian.
Ovviamente, era chiuso a quell’ora, ma rappresentava comunque l’unico posto in grado di ricordargli chi era, la sua unica possibilità di capire cosa fosse rimasto del ragazzo che cercava di arruolarsi nell’esercito quasi un secolo prima.
Restò immobile davanti all’ingresso dell’edificio, fissando il vuoto, e non si mosse neanche quando la pioggia cominciò a venir giù impetuosamente, bagnandolo da capo a piedi.
“Cos’è? È il destino di tutti supereroi diventare egocentrici come Stark?” esordì alle sue spalle una voce che lo fece impietrire.
L’avrebbe riconosciuta anche in mezzo ad una rumorosa folla di un migliaio di persone.
Natasha?!” sussurrò voltandosi nella direzione da cui il suono proveniva e vide la donna avvicinarsi a lui e coprirlo con il suo ombrello.
“Steve” disse solo lei e si guardarono per diversi istanti prima che uno dei due trovasse il coraggio di parlare.
“Devi recuperare qualche altro fossile?” domandò ironicamente il Capitano, nel tentativo di scoprire per quale motivo la Romanoff si trovasse lì.
E a quell’ora poi.
“In realtà sono qui per una visita” ammise lei.
“E chi saresti venuta a trovare?” chiese ancora Steve, senza toglierle gli occhi di dosso.
“Un ‘simpatico’ nonnetto che se ne va in giro a salvare il mondo indossando una patriottica uniforme blu, bianca e rossa” rispose Natasha, trattenendo le risate alla vista dell’espressione del giovane.
“Carina. Davvero, la tua gentilezza è sempre sorprendente” replicò lui. “E tu di solito vai a trovare i ‘nonnetti’ a quest’ora della notte?”
“Solo quando non posso aspettare l’alba” disse lei, facendogli cenno di seguirla nella sua auto.
“E da sottolineare, che se non fosse stato per me, sicuro ti saresti preso una bronchite questa notte” aggiunse poi, accendendo il motore e guidando verso casa sua.
 
***
 
Steve e Natasha rimasero in silenzio per tutto il tragitto, finchè non raggiunsero l’appartamento di lui, che gentilmente la invitò a salire.
Il Capitano andò ad asciugarsi e a mettersi addosso dei vestiti puliti; nel frattempo la russa accese un fuoco niente male e si accomodò sul divano di fronte al caminetto.
“Che ci fai qui, Nat?” domandò più schiettamente lui, raggiungendola e sedendosi accanto a lei.
“Mi sembra di avertelo già detto” replicò lei, sussultando alla vista dell’amico, la cui canottiera bianca metteva in risalto ogni singolo muscolo del suo possente corpo.
Si affrettò a distogliere lo sguardo dal giovane e cominciò a fissare imperterrita le fiamme che ardevano dinnanzi a lei.
“È successo qualcosa?”
La donna scosse lentamente la testa.
Steve, dal canto suo era perplesso: quell’atteggiamento non era affatto da Natasha.
“Nat, stai bene?” chiese ancora, ma la Vedova Nera si limitò a rivolgergli uno dei suoi disarmanti sguardi e a rispondere con un altro quesito, che in realtà equivaleva ad una risposta: “tu stai bene?”
Tra i due calò nuovamente il silenzio finchè lei non gli porse un pezzo di carta.
“Era tra la legna nel caminetto” lo informò poi, mentre il Capitano continuava ad osservare il disegno che la ritraeva e che aveva realizzato solo poche ore prima.
Avrebbe voluto dirle qualcosa, qualsiasi cosa; che non significava niente, che lo aveva gettato via perché era arrabbiato, perchè lei, quella fottutissima Vedova Nera, gli mancava come non mai e non era ancora riuscito a perdonarla per essersene andata via, per non aver tenuto abbastanza a lui da restare al suo fianco… ma le parole gli morirono in gola.
“Da bambina volevo diventare una ballerina” disse all’improvviso Natasha, il volto illuminato dalle fiamme.
Solo in quel momento Steve si accorse che aveva gli occhi lucidi.
“Sognavo di viaggiare per il mondo e conoscere l’amore, l’avventura, la felicità. E invece sono stata rapita e trasformata in una fredda, spietata, calcolatrice macchina assassina. Quando conobbi Clint pensai di avere una via d’uscita, di poter essere salvata. E invece anche lui mi ha abbandonata dopo un po’; l’unica consolazione che avevo era di fare la cosa giusta lavorando per lo S.H.I.E.L.D., ma mi sbagliavo. E dulcis in fundo, quando le cose si sono complicate ho fatto la cosa che so fare meglio: sono scappata, non pensando a cosa e a chi mi stessi lasciando alle spalle. Sono abituata a pensare solo a me, Steve. E forse è lo stesso motivo per cui sono qui questa sera” ammise la donna, voltandosi a guardare l’amico.
Le lacrime spingevano prepotentemente contro i suoi occhi, ma lei sapeva di non poter piangere: la Vedova Nera non piange mai.
“Mi dispiace, okay? Avrei dovuto aiutarti a trovare Bucky, avrei dovuto…”
Il Capitano non riuscì più a trattenersi, a quel punto, tutta la rabbia che aveva provato sfumò come se fosse appartenuta ad uno dei suoi sogni e non alla realtà.
“Va tutto bene, Nat. Siamo entrambi un po’ fuori posto, siamo danneggiati, ma questo non vuol dire che dobbiamo essere soli”
Natasha avvertì le forti braccia di Steve stringerla a sé e lo lasciò fare, era ciò di cui aveva bisogno, sentire che lui c’era ancora, che era lì per lei.
“Lo hai trovato?” chiese senza allontanare il volto dal petto dell’uomo, che scosse la testa.
“Magari…”
“No. Ho chiuso con questa storia. Lo hanno visto allo Smithsonian, sa chi sono, chi siamo. Se gli importasse sarebbe venuto e non c’è più nessuno che gli fa il lavaggio del cervello, per cui…” la interruppe lui, stanco di perseguire cause perse.
Natasha si strinse ancora di più a Steve, cercando di infondergli forza, ma la verità è che in quel momento lei stessa si sentiva troppo vulnerabile per adempiere a questo compito.
Le era bastato rivederlo perché una verità contro la quale aveva lottato per due anni riemergesse, la conferma che lei era ancora capace di provare dei sentimenti e che ne aveva paura.
Continuava a fissare il petto di lui, tracciando con le dita le linee del suo fisico ben fatto, cosa che causò non pochi brividi al Capitano ma riuscì comunque a camuffarli.
“Mi sei mancato, Steve” ammise Natasha, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo del giovane, ma non poté non percepire i muscoli di lui contrarsi per la sorpresa.
L’uomo portò le dita sotto il mento di lei e le sollevò il viso, in modo da guardarla negli occhi.
“Allora resta” disse, in un tono di quasi supplica.
A quanto pare, quel gesto era troppo intimo per la Vedova Nera, la quale scattò immediatamente e corse a rimettersi il suo giubbotto di pelle, mentre mille pensieri avevano cominciato a invadere la sua mente.
“Non posso. Non dovrei neanche essere qui. Che scema” blaterò, trafficando nella sua borsa in cerca delle chiavi dell’auto.
“Nat?!” provò a fermarla lui “ma che diavolo ti prende?”
“Non capisci? Sei un idiota Steve! Pensi che all’infermiera faccia piacere che io sia qui?” reagì lei, dirigendosi rapidamente verso la porta.
“Natasha, non l’ho mai chiamata” le urlò dietro il Capitano e lei si arrestò, sentendo lo stomaco sgrovigliarsi.
“Come? Perché? Credevo ti piacesse” esclamò sbalordita la ragazza, voltandosi verso di lui con gli occhi sgranati.
Non si era accorta che nel frattempo l’aveva raggiunta e ora si trovavano a pochi centimetri uno dall’altra.
“Diciamo solo che non era la donna che volevo al mio fianco” spiegò Steve, azzardando un ulteriore passo verso di lei.
Quello che il Capitano non si aspettava, fu ciò che accadde dopo.
Perché sì, non capita mica tutti i giorni che Natasha Romanoff ti salti addosso e ti baci.
Fu un bacio casto, seguito da un intenso sguardo che racchiudeva in sé una marea di parole non dette, sentimenti non confessati, mentre i due realizzavano in un istante ciò che avevano negato a sé stessi per troppo tempo.
E all’improvviso le labbra di Steve furono di nuovo su quelle della russa, coinvolte in un violento bacio passionale; poi fu il turno delle mani, che cercavano le une il corpo dell’altro, frementi di conquistare ciò di cui si erano private per anni.
Natasha si sentì sollevare da terra, per poi toccare con forza il tavolo della cucina, mentre il frastuono degli oggetti lì posati fino a pochi istanti prima, e che ora giacevano per terra, rimbombava nell’aria.
La canottiera del Capitano fu subito strappata via, mentre le sue mani si insinuavano prepotenti sotto la maglietta della spia e i loro respiri affannosi si rincorrevano spregiudicatamente.
Proprio in quel momento, il campanello suonò e i due si paralizzarono all’istante.
Natasha cercò di recuperare contegno, ma aveva ancora il volto stravolto dalle sensazioni che gli ultimi quindici minuti della sua vita le avevano inferto, mentre Steve, una volta regolarizzato il respiro, realizzò che la sua canottiera era completamente in pezzi e che non aveva tempo di prenderne una nuova.
La donna abbozzò un sorrisetto di scuse, misto a imbarazzo e divertimento, che lo stesso Capitano ricambiò prima di aprire la porta.
Ed ecco un’altra cosa che nessuno dei due si aspettava di vedere materializzarsi davanti ai propri occhi: Nick Fury, in tutta la sua imponenza.
“Rogers! Ce l’hai un po’ di scotch?” domandò burberamente, entrando senza attendere alcun invito.
“Oh, agente Romanoff. A quanto pare mi risparmierò la tappa in New Jersey allora” asserì poi, guardandosi attorno divertito.
“Pronti a tornare in azione?”

 
Fine.

 
***
 
Angolo Dell'Autrice
Salve a tutti! Prima FF nella sezione Captain America!
Dopo cinque ore di duro lavoro sono riuscita a pubblicarla finalmente, ci ho dedicato molto tempo e impegno, quindi confido che mi facciate sapere cosa ne pensate ;)
Mi auguro che la storia vi sia piaciuta, 
a presto,
Bell.

PS. Io quei due [Nat&Steve] li amo *^*

 
  
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