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Autore: Francine    16/04/2014    2 recensioni
Camus osserva placido la tettoia verde. Non è cambiato nulla, dice. Con quei suoi capelli liscissimi, accidentaccio a lui. E Milo non sa come entrare in argomento. Prenderlo con le buone, aspettando il momento in cui abbasserà la guardia e sganciare la bomba, oppure vuotare subito il sacco e beccarsi una caterva di insulti prima che l’altro gli spacchi la bottiglia di vino in testa?
Tanto la bottigliata mi arriverà lo stesso, si dice lo Scorpione.
Genere: Commedia, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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E tramonta questo giorno in arancione
 


Devo presentarti qualcuno, ha detto Camus. Stupendolo. Perché anche lui deve presentargli qualcuno. O meglio, deve dirgli qualcosa. E Milo ha giurato a se stesso che sarebbe stata la prima faccenda che avrebbe sistemato, una volta tornati dall’aldilà. La seconda, visto che se non avesse chiesto scusa a lei, prima, non avrebbe avuto nulla di cui parlare a lui. Se non al passato. E se proprio deve rimetterci gli occhi – o i gioielli di famiglia – che sia per il presente ed il futuro, e non per il passato.

Anche io, gli ha risposto Milo. Facciamo da mio zio, domani pomeriggio alle sei?

Da tuo zio, ha risposto Camus. Pregustando il sapore delle polpettine di verdure di nonna Melpomenê e l’ouzo di zio Kostas. Da tuo zio. Alle sei.

E adesso ci sono, da suo zio. Tutti e due. Al loro tavolo. Quello più riparato.
Dove tenersi per mano, e sussurrarsi parole d’amore occhi negli occhi, lui e lei. 
Dove sbirciare le ragazze per scegliere la più carina del giardino senza darlo troppo a vedere – e senza che i loro fidanzati se ne accorgano – loro due. Che sembrano due fotomodelli appena sbarcarti dal set fotografico.
Quello dove spendere i pomeriggi giocando a scacchi, un retsina di quello buono come compagnia. E il frinire delle cicale.
Solo che adesso le cicale e i grilli tacciono. Non è ancora stagione. Maggio sta per finire e fa piacere godersi la frescura del tardo pomeriggio.
Ed è bene vuotare il sacco al confine con la notte in arrivo, piuttosto che in pieno giorno. Perché la notte porta consiglio, ha pensato vigliaccamente Milo.
Perché Camus s’incazzerà. Come una biscia a cui hanno pestato un callo sulla coda.
Ma magari, domani, vedrà la faccenda da un altro punto di vista. Migliore. Più calmo. Anche se lui, nel frattempo, ci avrà rimediato un occhio nero o due. Pazienza, mi farò curare dalla mia infermiera. A cui Milo ha detto – ordinato – di stare lontana dal Kallistê. Perché con suo fratello ci vuole parlare lui, prima. E convincerlo che stavolta no, non è come le altre volte.
Che stavolta fa sul serio.
E sa che Camus non sarà disposto a crederlo tanto facilmente, nemmeno mettendo sul piatto della bilancia il fatto che s’è fatto ammazzare, per lei.
Per Athena, certo. Ma quello l’ha fatto come Santo.
Per lei, l’ha fatto come uomo.

Camus osserva placido la tettoia verde. Non è cambiato nulla, dice. Con quei suoi capelli liscissimi, accidentaccio a lui. E Milo non sa come entrare in argomento. Prenderlo con le buone, aspettando il momento in cui abbasserà la guardia e sganciare la bomba, oppure vuotare subito il sacco e beccarsi una caterva di insulti prima che l’altro gli spacchi la bottiglia di vino in testa?
Tanto la bottigliata mi arriverà lo stesso, si dice lo Scorpione.

Non sfasciatemi il giardino, si è tanto raccomandato zio Kostas. L’ho appena riverniciato, ha detto. Aggrottando le sopracciglia. Lui gli ha promesso che no, non sarebbe stato come quella volta che con Aiolia si sono ubriacati come spugne, ma lui non gli ha creduto. Ho capito. Preparo i secchi d’acqua, ha detto, e lui, sotto sotto, gliene è stato grato.

È bello essere tornato, dice Camus. Gli occhi immersi nel verde delle foglie dei limoni, mentre il sole inizia la sua discesa oltre i colli. Il gelato nella brioche resta nel piattino. Intonso. Camus lo ha guardato con sospetto. Non si fida. Non gli è mai piaciuto, nemmeno quando lei lo portava a gustarlo in gelateria, a Catania. Il gelato si mangia nella coppetta. O nel cono.
Mi sento come se avessi la possibilità di fare tutto quello che non ho potuto fare… prima.

E Milo annuisce. Perché anche lui ha avuto la stessa sensazione tornando indietro. La possibilità di fare tutto. Di sistemare le cose lasciate a metà. Di concludere i discorsi interrotti. Quella caducità che non comprendi fino a quando la giostra non si ferma e ti obbligano a scendere. Con gentilezza o con un solenne calcio nel culo, poco importa. Tu sei lì, a chiedere un altro giro. Uno soltanto. E ti viene detto che no, non è possibile. Tocca scendere. E accomodarsi lungo la fila di anime che se ne va verso l’inferno.

Annuisce. Meglio non sbilanciarsi. Non ancora.

È per questo che volevo parlarti, gli dice Camus.
Sono tutto orecchi, fa lui. Dimmi.
Devo presentarti una persona, confida Camus guardando l’orologio. Una persona che non conosce la puntualità, purtroppo.

Milo sbatte le palpebre. Stai a vedere che.
Una ragazza, chiede. Incrociando le braccia. Pregando che il suo istinto ci abbia preso. Pregando che non sia lei.

Camus annuisce. Sì, dice. Era la persona da cui andavo quando sparivo per un po’. Quando era il mio compleanno. Quella per cui mi hai messo in croce per farti rivelare il nome. Rammenti?

Lo rammenta bene. Erano seduti a questo stesso tavolo, quanto tempo fa?
Dieci anni, si risponde Milo. Ed eccoli qui. Gli stessi di ieri. Un po’ di anni sulle spalle e tra i capelli lo Scorpione, lo sguardo triste e distaccato di un ventenne innamorato del mélo, l’Acquario.

Ah, dice lo Scorpione.
Non sei contento, chiede l’Acquario.

Pensava che Milo avrebbe sfoderato un sorriso dei suoi. Uno di quei ghigni soddisfatti che gli facevano perdere la pazienza.
Invece no.
Milo è diventato cereo. Bianco come la tovaglia che Kostas ha steso sul tavolo. Immacolata. Candeggiata alla perfezione da nonna Melpomenê, che Athena ce la conservi ancora a lungo. E Camus si chiede perché.

No, no. Contentissimo, mente Milo. Sapendo di mentire. Sapendo che Camus sa che lui sta mentendo. E che lo attaccherà al muro come un quadro antico non appena avrà intuito il perché. Ma lui deve dirglielo. Adesso che la guardia è abbassata. Prima che arrivi questa persona. E che Camus attacchi lei accanto a lui sul muro.
Come ritratti di famiglia, pensa.

E allora che c’è, domanda Camus. Insistendo. Chiedendosi perché Milo abbia fatto quella faccia. Ma come, mi hai messo in croce per anni e adesso non vuoi sapere chi è?
Niente. Scherzi? Dimmi, dimmi. Sono tutto orecchie, gli risponde lo Scorpione, sfoggiando un sorriso largo e falso come una moneta di cioccolato. Per poi congelarsi. Gli occhi allargati. Il terrore che gli serpeggia sulla pelle.
Camus sbatte le palpebre. Perplesso. Che c’è, chiede, prima di voltarsi. E non vedere Milo che scuote la testa e le fa segno di andarsene via, che no, non è il momento e che no, non avrebbe mai dovuto presentarsi al Kallistê.

Oh, giusto tu. A quest’ora si arriva, le domanda Camus. Alzandosi. Due baci sulle guance, come si usa in Francia, e come lei ha insegnato a Milo, e l’Acquario si fa da parte.
Scusami. Non sono riuscita a trovare parcheggio, si giustifica lei, un giornale sottobraccio. Sorridendo.

Milo, ti presento mia sorella minore, gli dice. Prendendola per mano. Mostrandogliela. Felice di togliersi quel peso. Non che ci fosse dietro chissà quale segreto di stato – o meglio, c’era; ma appartiene al passato, oramai – ma voleva dirglielo.
Perché è brutto non potersi confidare con un amico. E mantenere un segreto, con un amico. Un segreto imposto, e non scelto. Ed è una cosa ben diversa. Che sa di fiele e acido.
Ho una sorella, avrebbe voluto dirgli non sa nemmeno lui quante volte. E basta. Tutto qui. Niente di così trascendentale. Solo la voglia di scaricarsi dalle spalle quel sacco di mattoni di cinquantacinque chili. Forse sessanta, pensa guardando meglio sua sorella. Che sorride a Milo. Complice. Forse anche troppo.

Milo che non si muove. Nemmeno l’avesse appena rinchiuso dentro un Freezing Coffin di tutto rispetto.
Che hai? Che ti piglia?

Sua sorella sorride. Anzi, ride. Solleva un sopracciglio, mentre un angolo delle labbra rosa si piega all’insù.
Non gliel’hai detto, vero?

Detto? Detto, cosa? Camus lo chiede a lei, guardando lui.
Non te l’ha detto, risponde lei, a se stessa e a suo fratello, guardando Milo.

Gli occhi di entrambi i francesi sono due mezzelune affilate.
Blu, lui. Verde edera, lei. Ma ambedue gli promettono molto, molto dolore.
E le mani di Camus iniziano a prudere, ricordando la stretta d’acciaio di Milo attorno al suo collo. A prudere tantissimo. La brioche col gelato. Certo. Come ho fatto a non capirlo prima? Camus sorride. Il ghigno della fiera che sta per avventarsi sul coniglietto indifeso.

Vuoi dirmelo tu quello che non mi ha detto lui, p’tite?
Non credo ci sia molto da dire, Etienne. N’est-ce pas?

Aspettate, dice Milo. Allargando le braccia davanti a sé. Per proteggersi, pensano entrambi i fratelli, battendo – pestando – un piede a terra. Taptaptap. Al quadrato.
Aspettate. Parliamone con calma, eh?

Entrambi lo fulminano con lo sguardo. Sbuffano. E poi si siedono al tavolo.
Hai cinque minuti, dice Camus. Con la voce di ghiaccio e le braccia incrociate davanti a sé. Sa che non c’è nessuno oltre a loro e che nessuno si affaccerà in giardino fino a quando Milo non avrà vuotato il sacco. E lui non l’avrà sistemato per bene. Eppure sente lo sguardo di Kostas addosso. Li sta osservando da dietro le tendine della porta-finestra che dà sulla terrazza. Questa me la paghi, Kostas, pensa. Ma prima, mi occupo di tuo nipote. E poi penserò a mia sorella.

Proprio con lui? Non ha aspettato che Milo parlasse. Nemmeno la guarda in faccia.
Lei sbuffa. In effetti, risponde. Nera in viso. Gli occhi fissi sul collo dello Scorpione.

Non avevo cinque minuti, chiede Milo, perplesso, prima che un colpo di vento scompigli le pagine del giornale.
Non vuoteresti il sacco nemmeno se ne avessi cinquanta, di minuti, gli dice Camus. Ma porca miseria! Proprio con lei? Con tutte le gonnelle che ci sono in giro?!
Tranquilla, tranquilla. Ci parlo io con tuo fratello, ringhia lei. Facendogli il verso. Certo, come no? Avrei dovuto occuparmene io. Come al solito!
E anche tu. Con tutti i ragazzi che ci sono sulla piazza, proprio lui?
E io che ne sapevo che tipo fosse, lui? E che vuol dire, poi? Lui è lui. E per dirla tutta, potevi anche avvisarmi tu, già che c’eri. Lei si giustifica. Guardando in cagnesco il fratello. Che ricambia la cortesia.
Avanti, non…
TACI!, ringhiano all’unisono i francesi. Fissandosi negli occhi. Incazzandosi. A livello esponenziale. Minuto dopo minuto.

E mentre il giorno tramonta in un cielo arancione e le pagine del giornale svolazzano per la terrazza, Kostas decide che ne ha abbastanza e smette di osservare la situazione da dietro la tendina bianca. Non gli sfasceranno il pergolato. Questo basta. E suo nipote è maggiorenne e vaccinato a sufficienza per uscire dal ginepraio in cui si è cacciato coi suoi stessi piedi.

Nonna Melpomenê gli lancia uno sguardo eloquente. E quelli, chiede. Indicando con una mano i secchi sul pavimento.
Kostas si stringe nelle spalle. Non servono, dice.

Si azzufferanno. Insulteranno suo nipote. Gli terranno il broncio per un po’. Forse gli toglieranno il saluto. Per qualche giorno. Non per sempre.
Si odieranno. Ma poi faranno pace. Come sempre. Perché nessuno di loro ha il cuore davvero arrabbiato. Però, meglio tenere i secchi pieni d’acqua a portata di mano. Non si sa mai, con questi francesi in giro…
 
 
Note:
Questa storia l’avevo in mente da tempo. Credo da quando ho visto questo bellissimo disegno che heiligerShadowfax ha fatto per la sottoscritta. L’espressione di Milo è stu-pen-da.  

Senza pretese, senza clamori, ho scelto di giocare un po’ con il flusso di coscienza. Se vi sentite come appena scesi dalle giostre, state tranquilli: è una cosa voluta.
 
Questo è un racconto fuori continuity. Uno di quelli usciti fuori mentre avrei dovuto dedicarmi ad altro. Che ha sgomitato ed ha preteso un posto tutto suo.
Non so in che modo Camus e Milo siano tornati alla vita dopo la battaglia con Ade, e dopo che gli dei han ben pensato di rinchiuderli dentro alla roccia. Confesso di non averne la più pallida idea. Che Athena abbia schioccato le dita e fatto qualcosa di utile anche per loro, una volta tanto? Hai visto mai? E poi lo sanno tutti che i cancelli dell’Ade sono come la porta girevole del Ritz

Il filo conduttore di questa storia è la canzone Bartali di Paolo Conte, che vi invito ad ascoltare, almeno una volta.
E se quando un francese s’incazza, s’incazza per bene... figuriamoci due!

Il Kallistê ve l’ho mostrato in precedenza. E Kostas e Melpomenê si sono gentilmente prestati ad ospitare questa chiacchierata… di famiglia?

E in ultimo, un grazie a Sen e a Keiko, che si sono prestate come cavie per questo piccolo esperimento. Che spero vi strappi un sorriso in questo pigro pomeriggio di primavera.
 
   
 
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