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Autore: Tomoko_chan    16/04/2014    10 recensioni
Naruto se ne è andato e ha portato con sè un pezzo di cuore dei suoi amici. Hinata è rimasta sola, ma il suo amato le ha lasciato comunque "qualcosa" per ricordarlo. Fra amici che tornano, nuovi colleghi, ultimi desideri da onorare, gruppi da riformare, cosa succederà alla allegra combriccola?
Alzò una mano e lentamente saggiò la pelle candida e setosa della sua guancia, la accarezzò dolcemente, e con il pollice gli sembrò quasi di riuscire a palpare la tragica via segnata dal passaggio delle sue lacrime, dove dopo meno di un secondo una vi si pose, ribelle. Si scoprì stupito di notare la realtà di quella goccia, concreta e umana. Non sapeva che gli angeli potessero piangere.

Torno con il promesso sequel di "Filosofia di vita.". Dedicata a Arcx e a Puffin, mie fedelissime e amatissime amiche.Song-fic, con canzoni di Ludovico Einaudi, Negrita, Evanescence, System of a Down,Serj Tankian.
[ NaruHina "unpochinoparticolare" ] [Coppia a sorpresa, KibaHana, SakuSaso, ShikaIno, accenni ad altre coppie, altre coppie in futuro, accenni a triangoli]
[DarkandLights][YinYang][Angst vs fluff][OOC giustificato]
19esimo capitolo dedicato al giorno dei morti, omake leggibile anche senza conoscere la storia precedente. Angst-Drammatico.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanabi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Kiba/Hanabi, Shikamaru/Ino
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli ultimi sognatori.'
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Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Nuvole nere.
[Tempo avverso.]
 
 
[Ludovico Einaudi: Nuvole Nere - Da ascoltare!]
Strinse i capelli, lasciando sgocciolare l’acqua nella doccia. Uscì dalla cabina, non pensò a coprirsi, si asciugò brevemente e si infilò l’intimo, per poi andare in camera. Si diresse allora verso l’armadio con il grande specchio e, osservando il suo riflesso pallido e stanco, vide Kiba, sveglio, a letto.
<< Perché sei già sveglio? >> chiese allora, premurosa, asciugandosi i capelli con un asciugamano.
<< Ho dormito poco e niente questa notte. >> rispose lui, tornando a fissare il soffitto.
<< Appunto, cerca di dormire ancora. >> ma lui non l’ascoltava già più, perso nei suoi pensieri, così si avvicinò al letto e si sedette al suo fianco << Kiba… >> chiamo flebile, ma lui non rispose, né diede segno di averla sentita. Gli accarezzò una guancia irsuta << Cosa ti preoccupa? >>
Kiba l’afferrò per il polso e l’attirò a sé, perdendosi nei suoi occhi bianchi e lasciando che i capelli bagnati gli rinfrescassero il viso e il petto nudo.
I vent’anni di Hanabi l’avevano resa una bellissima donna, dalle gambe lunghe e sottili, i capelli scurissimi e il viso allungato e meno morbido. Era diventata professionale, si era diplomata con il massimo dei voti e raramente sorrideva, dopo averne passate di tanti colori. Vedere la sua onee-san – la sua dolce ‘kaa-chan – rischiare la sua morte e quella del suo bambino, vederla così sola, così inconsolabile, letteralmente senza cuore, era stato davvero duro. Non riusciva ancora a capire dove avesse trovato la forza per affrontare tutto quel dolore, ma ci era riuscita. Così, in quei cinque anni, l’obbiettivo di Kiba era cambiato: ora desiderava soltanto lenire il suo dolore e aiutarla a ridere, a stare meglio. Così raramente le diceva qualche suo problema – che poi erano davvero pochi, rispetto ai suoi - .
Allungò l’altra mano sul suo viso, prendendo ad accarezzarla, a pettinarle i capelli bagnati, a sfiorarle il collo, mentre lei chiudeva gli occhi e si rilassava.
<< Ti amo. >>
Hanabi aprì gli occhi, si allungò come un gatto per baciarlo. Si mise a cavalcioni su di lui, incurante del corpo bagnato, e si strinse a lui, per baciarlo ancora. Dopo un po’ si staccò e si appoggiò con il viso al suo petto, proprio dal lato del cuore. Il suo corpo fresco dopo la doccia ghiacciata faceva a pugni con quello caldo del moro, che comunque l'abbracciava, come sempre.
<< Dimmi, cosa c’è? >> chiese ancora, lasciandosi accarezzare dalle mani esperte di lui.
<< Secondo te… dovrei perdonarlo? >> chiese Kiba, tornando a fissare il soffitto bianco << Insomma, come ha fatto Hinata? >>
<< Provarci non costa nulla. >> rispose lei, ascoltando assorta i battiti del suo cuore.
<< Invece sì, c’è troppo in gioco. >> affermò il moro << Però lei è intelligente, prima di fidarsi avrà valutato la situazione, giusto? >>
<< Esatto. >> concordò la ragazza << Puoi fidarti. >>
Kiba capovolse le posizioni con un colpo di reni, mormorando un << Non voglio pensarci ancora. >>
Le baciò il collo, la spalla, lasciando scivolare la spallina, per poi scendere sul seno e morderle quei piccoli boccioli di rosa, guidato dai gemiti della ragazza. Scese ancora, le baciò i fianchi, le tolse le mutandine con i denti, mentre le sue mani esperte la facevano sospirare maggiormente.
Fecero l’amore, per non pensare, per non pensare.
 
Gli baciò il collo, massaggiandogli le spalle sotto il getto dell’acqua calda. Cercava inutilmente di farlo rilassare, data la nottata che avevano avuto. Avevano passato tutto il tempo a parlare delle frasi di Hinata, di Sasuke, e a ricordare, seppur dolorosamente, Naruto.
Lo abbracciò, facendo aderire il suo corpo al suo. Shikamaru si voltò e Ino osservò i suoi occhi arrossati e si chiese, per un attimo interminabile, se erano lacrime o acqua a bagnargli il viso.
Poi non ci pensò più, travolta dalla disperazione di lui, che la baciò con foga. Infilò le dita fra i suoi capelli bagnati e si lasciò sollevare, lambire, toccare. Non aveva importanza, niente ne aveva più. Voleva dargli conforto. Non c’era mai riuscita.
 
Di ritorno dalla sua passeggiata fino all’usuale saluto a Naruto, Hinata si stava cambiando, indossando vestiti eleganti e scuri. Nessun tocco di colore, per lei, no. Non era più capace di colorare la sua vita di allegria: l’unico a farlo, per lei, era il piccolo Kurama, che arrivò proprio in quel momento. I capelli arruffati, la maglia messa male.
<< ‘kaa-chan! Aiutami! >> chiese il bambino, litigando con i vestiti << Mi sono incastrato! >>
La donna sorrise e l’aiutò, per poi baciargli i capelli folti, che prese a spazzolare.
<< ‘kaa-chan, quando torna Sakura-oba-san ? >> domandò ancora il piccolo, guardando con occhi dolci la madre.
<< Adesso glielo chiediamo. >> rispose lei, prendendo il cellulare per scrivere un messaggio alla rosa.
Poi tornò a guardare gli occhioni del figlio, perdendosi in un mare di ricordi.
 
Chiudere occhio, in quella città infernale, era impossibile, già lo sapeva.
Sasuke non riusciva a dormire. Per anni si era sottoposto a cure e farmaci, oppresso dal continuo incubo di quel dannato giorno, di quel dannato incidente. Non riusciva a dormire, Sasuke, e rare volte aveva dormito otto ore di fila, durante il suo viaggio. Però, in quella casa, in quella dannata città, Sasuke era tornato a passare notti insonni, oppresso da ricordi troppo vividi nella sua mente psicolabile. Si era fatto una doccia, ormai mattina, si era infilato le prime cose che aveva pescato nella valigia ancora da disfare ed era uscito di casa, l’inseparabile amica sigaretta fra le labbra, le mani in tasca e la chitarra sulla schiena. Era uscito a piedi, quella mattina, alla ricerca di un tetto, di un cunicolo, di un paio di scale, un posto isolato dove poter rimanere solo e tranquillo in quella città senza speranza. Era salito sul tetto di un edificio abbandonato, ritrovandosi faccia a faccia con il cielo e la metropoli. Prese a strimpellare qualche accordo a caso con la sua chitarra, tentando di rilassarsi, invano, finché sentì il telefono squillare. Sul display: Hinata.
Non seppe se rispondere o no. Non sapeva cosa aspettarsi. Non sapeva più se voleva affrontare tutto ciò che quel nome significava. Improvvisamente ebbe  paura, ma nonostante tutto, rispose.
Nessuno dei due parlò per un attimo interminabile. Riuscì a sentire perfettamente il suo respiro pesante, in eco al suo.
<< Raggiungimi. >> disse Sasuke, in un sussurro roco. Aveva capito che le emozioni da lei provate erano le stesse delle sue, e adesso la voleva vicina.
<< Vorrei tanto. >> rispose Hinata, in tono altrettanto grave.
<< Che vuoi dire, Hinata? >>
<< Sei irraggiungibile, Sasuke. >> spiegò la donna << Irraggiungibile. >>
Sasuke sospirò, stropicciandosi gli occhi con pollice ed indice.
<< Dobbiamo parlare. >> annunciò allora, non sapendo cos’altro dire.
<< Dammi l’indirizzo. >> rispose lei, altrettanto stanca.
Lui glielo diede e, senza troppi complimenti, Hinata chiuse la chiamata.
Dopo neanche mezzora, l’esile figura della ragazza apparve dalle scale antincendio. Lo raggiunse e, sempre in silenzio, si sedette accanto a lui, lasciando che le gambe penzolassero dal bordo dell’edificio.
Si guardarono, occhi Paradiso dentro occhi Inferno e viceversa, poi lui distolse lo sguardo, incapace di reggerlo oltre. Troppo dolore.
 << Non hai paura di cadere, Sasuke? >> chiese allora la donna, guardando il paesaggio.
<< No. >> rispose lui << Tu hai paura? >>
<< No. >> disse lei << Ci sei tu. >>
Sasuke sospirò. Per un attimo le accarezzò una mano.
<< Mi dispiace non esserci stato anche prima. >> mormorò << Vorrei che mi raccontassi cosa è successo in questi anni. Dal principio. >>
Hinata si voltò verso di lui e lo guardò negli occhi, ricordando tutto quello che le era capitato.
Sospirò: sapeva che sarebbe arrivato quel momento, ma non era servito a niente prepararsi.
<< Devo… devo per forza partire da prima. Devo parlare di lui. >> annunciò, per poi cominciare il racconto << Qualche giorno prima che scappasse, io avevo scoperto di essere incinta. L’avevo capito quasi subito, così avevo richiesto una visita. Non ne parlai con nessuno. Quando lui scappò… ebbi paura. Tantissima. Non volevo crescere mio figlio da sola. Così lo andai a cercare, incapace di accettare di perderlo. Il giorno dopo, a casa, glielo dissi. Fu felicissimo. Aveva un motivo per rimanere. Uno in più, almeno. Decidemmo di non dirlo a nessuno, almeno finché non avrei compiuto il terzo mese. In modo che fosse totalmente sicuro. >>
Sasuke ascoltò, attento, poi gli venne un dubbio, che espose subito.
<< Kurama… il nome lo ha scelto lui, vero? >> chiese, incuriosito e nostalgico.
<< Sì. >> annuì la donna << Un giorno, mentre lui stava scrivendo ed io leggendo, vicini, in soggiorno, alzò improvvisamente lo sguardo dai suoi fogli e mi disse: “Dobbiamo chiamarlo Kurama. Perché deve essere furbo come una volpe, non come noi!” >> chiuse gli occhi, per un attimo << Riesco perfettamente a ricordare la sensazione di felicità che m’invadeva in quel momento, la stessa di quando mi sfiorava il ventre, dove stava crescendo la nostra piccola birba. >>
Sorrise appena, poi aprì gli occhi al mondo, nuovamente.
<< In seguito, ogni equilibrio si ruppe. >> lo ricordò con occhi vuoti, gli stessi di quel periodo << In ospedale, non facevo altro che pensare a lui, a lui, a lui. Ero totalmente scioccata. Tanto da dimenticarmi di Kurama. I medici si erano accorti subito che ero incinta e lo dissero a Hanabi, ma lei non mi disse nulla. Aveva capito e non voleva infierire oltre. >> le vennero quasi le lacrime agli occhi, ma Hinata non piangeva più da tempo, ormai << Poi… non ebbi cura di me. Rimasi per giorni a letto. Rischiai di perderlo… rimasi due settimane in ospedale, ancora, in una camera del tutto simile alla sua, il dolore era atroce, non smettevo di rimproverarmi, ero totalmente apatica… Finché i nostri amici non mi fecero capire che era mio dovere mantenere suo figlio, il suo erede, in vita. E quando vidi gli occhi di Kurama…! Che gioia, che fu! >>
Si coprì il viso con le mani, improvvisamente angosciata.
<< Ma io… ero depressa. Ne ho sofferto a lungo. E’ stato un inferno. Desideravo così tanto tagliarmi la gola e raggiungerlo… così tanto… e mi sentivo così sola, doppiamente, perché avevo perso anche te… ma c’era Kurama! Non potevo arrendermi! Lui, i suoi primi passi, i suoi sorrisi, le sue prime parole, i suoi abbracci. Kurama, Kurama mi ha salvato, mi sta curando. >>
Si voltò verso Sasuke, che rimase in silenzio. Lo vide deglutire, provato da quel racconto, dai sensi di colpa. Raggiunse la sua mano bianca, la prese, intrecciò candidamente le sue dita alle sue, che al contatto trattenne a stento un brivido. Gli strinse la mano.
<< Tranquillo, non devi dire niente. >> lo rassicurò, ignorando la fitta al petto che le serrava il fiato << Lo so che ti dispiace, lo so. Ma niente di ciò che mi è accaduto è stato causato da te, e se anche ci fossi stato non avresti potuto fare molto. Solo Kurama è riuscito a fare qualcosa. >>
Sasuke osservò placidamente il volto smagrito della Hyuga, incapace di dire altro. Osservò la propria mano stretta a quella di lei e capì che, in quel viaggio durato anni alla ricerca di qualsiasi cosa in grado di alleviare la sua pena, non aveva mai trovato ciò che desiderava perché quel qualcosa era lì, a Tokyo, a portata di “mano”. Lo ammise soltanto in quel momento, quando riconobbe un calore familiare invadergli le membra e il suo petto vibrare forte, sollevato: aveva sempre desiderato affetto, amicizia, comprensione, e come uno stupido non aveva riconosciuto quelle qualità in ciò che gli era stato intorno ed era scappato. Decise, così, di prepararsi ad uno dei discorsi più lunghi della sua vita e sospirò, mai pronto abbastanza.
<< Sono scappato. >> ammise, guardando il vuoto << Non tolleravo di rimanere in una città dove per anni ho vissuto sulle strade insieme a… a lui. Non sopportavo di vedere gli stessi posti, i bar, gli angoli dove suonavamo, i tram che prendevamo, le scritte sui muri, casa mia, casa vostra… Non lo sopporto neanche adesso. La verità è che volevo dimenticarlo. Lenire il dolore. Non sopportavo di rivedere la sua immagine accanto ad ogni figura a me familiare. Non sono riuscito a rimanere qui neanche una notte. Sono fuggito. Andai all’aeroporto e presi il primo volo in partenza. Senza rendermene conto, sono finito a Barcellona. Gli era piaciuta così tanto, in tour… presi una camera in affitto e visitai la città al crepuscolo, come avrebbe voluto lui. Sono scappato da qui per non vederlo ovunque, ma tutto quello che ho fatto l’ho fatto a nome suo. Per lui. >> sospirò, tentando di calmare l’emozione che gli serrava la voce << Ho tentato di fuggire. Ho visitato tantissimi posti, Hinata. Ho imparato a fare tantissime cose. Ma ogni cosa… ogni cosa, mi riportava qui. E così, due sere fa, mi sono ritrovato per l’ennesima volta in un aeroporto e ho fatto il check in per Tokyo. >>
<< Perché non ci hai avvisato, Sasuke? >> chiese Hinata, tentando di distogliere l’attenzione da quel discorso difficile << Perché non ci hai mai telefonato? >>
<< Perché… >> vacillò, combatté con il vecchio Sasuke per farsi forza e dirlo << Perché se avessi sentito una qualunque fra di voi, non sarei mai riuscito a partire. Mai. Se avessi sentito la vostra voce… sarei tornato immediatamente. Volevo dimenticarvi, Hinata. Volevo dimenticare il mio passato. Volevo dimenticare di essere Sasuke Uchiha. >>            
Entrambi voltarono lo sguardo verso l’orizzonte di Tokyo, tempestato da grattacieli e case popolari. Il cielo non era più terso: quella mattina intravedevano grandi nuvole nere in avvicinamento, paurose e maestose, che non promettevano niente di buono. Si era alzato un venticello debole, che soffiava abbastanza da emettere un suono stridulo e petulante, quando la brezza si infrangeva contro l’aria, gli alberi, gli spigoli delle case.
<< Mi capisci, Hinata? >>
Continuava, il vento, a soffiare, a parlare, a salutare. Non sembrava più primavera: soltanto una giornata triste e buia, nostalgica.
<< Avrei fatto la stessa cosa, Sasuke. >>
Le nuvole si avvicinavano, mentre il tempo scorreva inarrestabile, lasciandoli fermi lì, sul cornicione di un edificio abbandonato, incapaci di controllare il loro destino.
<< A volte mi manca terribilmente, sai, Sasuke? >> mormorò lei, appoggiando il viso alla sua spalla, continuando a guardare tristemente quelle nuvole portatrici di tempesta << A te manca? >>
<< La verità? >> ribatté lui, appoggiando la testa su quella di lei << Sempre. Non a volte. Sempre. >>
<< Sempre. >> ripetette lei, in un sussurro.
Chiuse gli occhi, ascoltando il cuore di Sasuke, quello vero, quello caldo, quello premuroso, mentre lui le cingeva le spalle allungando un braccio, stringendola a sé, nascondendo il naso fra i suoi capelli. Si rilassò. Si sentì bene, solo per un po’.
 
Rientrarono a casa alle sei del pomeriggio, quando ormai si era già fatto buio, con quelle corte giornate. Hinata era entrata in casa, aveva alzato il viso e incontrato lo sguardo preoccupato di Hanabi e Kiba, che sapevano che lei quella mattina non era andata a lavoro, lasciando la Moon’s eyes in subbuglio. Non che a lei non importasse, certo, ma quella mattina si era sentita così compresa, così bene, per una volta, che non era riuscita a muovere un passo, a scostarsi, neanche per andare a mangiare. Così non le importò che la disapprovassero, né che disapprovassero la sua scelta di portare a casa Sasuke, che era entrato in casa seguendola silenzioso.
Kurama accorse dalla camera accanto e stese le braccia verso la madre, che prontamente lo prese in braccio.
<< ‘kaa-chan! >>
<< Ciao, amore mio. >> lo salutò lei, sfiorandogli una guancia con il naso << Più tardi ordiniamo il ramen, contento? >>
<< Sì! Grazie ‘kaa-chan! >> lui la strinse, guardando di sottecchi Sasuke, l’intruso, di poco distante << Anche lui mangia con noi? >>
<< Sì, birba. >> rispose lei, guardandolo in tralice << E si chiama Sasuke-ji-san. Lo chiamerai così? >>
Il bambino la guardò, poi annui vigorosamente, con un gran sorriso.
<< Hai fatto tutti i tuoi compiti, Kurama? >> chiese allora la madre, premurosa.
Kurama, dopo un attimo di esitazione, scosse la testa con forza, scompigliandosi i capelli.
<< Allora vai, su. >> disse, rimettendolo a terra << Poi me li fai vedere. >>
Il bambino allora corse su, nella sua stanza, manco fosse caricato a molla.
Hinata si voltò verso gli altri << Io salgo sopra. >> disse, ritirandosi al piano superiore.
Sasuke fece per seguirla, ma Kiba gli chiese di fermarsi. Doveva parlargli.
<< Che intenzione hai? >> chiese infatti, guardandolo truce.
<< Sei diventato il sostituto di Hiashi? >> scherzò Sasuke, infastidito.
<< Rispondi alla mia domanda. >> ribatté lui << Sei qui per rimanere? >>
Sasuke distolse lo sguardo, che ricadde su una delle innumerevoli foto di lui sparse per casa. Non poteva deluderlo.
<< Sì. >>
Rispose soltanto con una semplice affermazione e non seppe ben spiegarsi ciò che accadde poco dopo. Non si rese conto che Kiba lo aveva colpito in viso fino a quando si ritrovò scaraventato a terra, la gota e il labbro dolente. Kiba uscì di casa di corsa, senza dire niente, e Hanabi, dopo avergli lanciato uno sguardo preoccupato, lo seguì a ruota, incapace di interpretare ciò che era appena accaduto.
Sasuke sbuffò, enormemente scocciato.
 
In bagno aveva trovato tutto ciò che gli potesse essere utile per non fermare il sangue che scorreva a fiotti dal labbro, leggermente gonfio. Sulla guancia capeggiava un livido nero grande quanto una casa, ma non se ne preoccupò.
Uscì in salotto e non trovò nessuno. I suoi “amici” non erano ancora tornati e la stanza appariva vuota e silenziosa. Dopo poco però, quando le sue orecchie si erano abituate al suono del silenzio, sentì una melodia al pianoforte, proveniente dalla sala musica, all’ultimo piano. Salì le scale, quasi ipnotizzato, e il suo cuore ebbe un sussulto più forte man mano che la musica diventava più alta.
Arrivò davanti alla porta della stanza, chiusa, e non ebbe il coraggio di aprirla. Raramente l’aveva sentita suonare il pianoforte, ma quel lamento armonioso, quell’urlo straziante intriso nella musica, quella tristezza profonda e nostalgica, non potevano che appartenere allo sparito di Hinata.
Non aprì la porta per verificare se era lei. Non né aveva la forza. Ogni battuta, ogni nota, era un coltello nel cuore. Ogni suono era una ferita che si riapriva. Si ritrovò all’improvviso appoggiato contro il muro, quasi non si reggeva in piedi. Si voltò e si lasciò scivolare lungo la parete, finché non arrivò a terra. Chiuse gli occhi, perdendosi in quella melodia andate, che lo portava verso altri luoghi, verso altri notti buie, verso capelli biondi e sguardo spensierato.
Lo stesso guardo che vide quando aprì gli occhi, sentendosi tirare per una manica da una manina piccolissima. Kurama, davanti a lui, lo chiamava, gli occhi azzurri spalancati, un peluche di una volpe dai grandi occhi rossi stretta al petto.
<< ‘suke-ji-san >> chiamò, la voce teneramente infantile << Che ci fai qui? >>
Lo aveva fatto. Lo avevo chiamato zio. Lo aveva chiamato ‘suke, come faceva lui. Spalancò gli occhi, quasi non ci credette, ma il suo cuore aveva fatto un balzo tale che aveva creduto di morire. Cos’erano tutte quelle forti emozioni che provava, così, all’improvviso, tutte insieme? Perché si lasciava trasportare così facilmente verso porti sconosciuti, verso tempeste burrascose?
Che fosse la sua anima che tornava finalmente ad albergare nel suo corpo?
Che fosse Naruto che si stava impossessando di lui?
Che fosse quello, l’amore?

<< Shhh. >> mormorò al bambino, ancora confuso, facendo segno di sedersi accanto a lui.
Il bambino si sedette, strinse a sé il peluche, chiuse gli occhi e si mise in ascolto.
Sasuke si stupì: quel bambino era proprio figlio d’arte, se era capace di lasciarsi trasportare così dalle note, esattamente come soleva fare suo padre.
Rimasero entrambi in ascolto di quel suono drammatico, quasi arrabbiato, triste, dolce in certi punti, forte in tanti altri. L’altalena di emozioni si riversava in quella musica che presagiva mal tempo, esattamente come le nuvole nere di quella mattina.
Lacrime cominciarono a scorrergli sul viso, fortemente emozionato, e non seppe perché. Non le fermò, consapevole che quel bambino così attento al suono del pianoforte avrebbe mantenuto il suo segreto. Pianse, pianse ancora una volta, e si sentì bambino, si sentì solo, si sentì fuori dal suo corpo, perché Sasuke non piangeva mai, almeno quello di un tempo, mentre lui adesso si lasciava andare ai sentimentalismi. Pianse, pianse in silenzio, ascoltando la disperazione di Hinata Hyuga, vedova non ancora sposata, mamma sola, corpo martoriato, anima spezzata, cuore a metà.
<< La mia ‘kaa-chan oggi è triste. >> mormorò il bambino, senza aprire gli occhi << ‘kaa-chan pensa a ‘tou-chan. >>
Sasuke pianse ancora più forte.


 
<< Sasuke, Kurama... statele vicino. >>



 

Angolino di Tomoko.
Finalmente in vacanza!
Eccomi qui, sono tornata con un nuovo capitolo, angst, come preannunciato!
Sentimenti, sentimenti a tonnellate. Ecco qui una panoramica iniziale sui
sentimenti brucianti di tutti, Sasuke e Hinata che si sfogano a vicenda 
raccontando un pò di cose che spero vi colpirano, il nostro Kurama che con
le sue piccole frasi riesce a incentrare il punto della situazione e....
il motivo delle canzoni al piano! Ludovico Einaudi, qui, nella mia storia,
da voce ai sentimenti di Hinata, è lei a suonare! Spero che l'idea vi piaccia!
Importante.  Mi piaceva come idea di inserire un'immagine dei nosti 
beaniamini così come ve li presento, tutti insieme, ma è ovvio che non esiste.
Se qualcuno di voi è bravo a disegnare o con il computer, ha voglia di creare
un'immagine per me? Potete mandarla a claudietta.27@live.it  !
Ringrazio tutti, come sempre n.n
Un bacio!



 
 
   
 
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