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Autore: Stella1994x    16/04/2014    7 recensioni
La solitudine č un beneficio o una condanna?
Tutto ciņ di cui avevo sempre avuto bisogno nella mia vita era di qualcuno che mi guardasse,
di qualcuno che mi prestasse delle attenzioni, ma soprattutto di qualcuno che mi facesse sentire viva!
Genere: Erotico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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This punishment is my redemption.



Nulla dava senso alla mia esistenza, essa non mi apparteneva. Ero succube di un mondo nero che condizionava ogni mio gesto, ogni mia azione.
Quel nero si era insinuato nelle mie ossa, trascinandomi in un baratro profondo senza via d’uscita.
Dopo anni di silenzio, avevo deciso di smettere di credere nei miei sogni, avevo abbandonato le mie necessità ed ero arrivata a credere che la cosa più semplice da fare fosse resistere alle sofferenze senza lottare.
 
Ricatti, minacce, urla, perdite, dolore… Come potevo mettere fine a tutto questo?
L’unica soluzione era quella di allontanarmi da tutti, dovevo essere sola, così imparai a rendere la solitudine mia amica. Essa era fredda, questo sì, ma era anche dannatamente silenziosa. Avevo cercato di resistere a lungo, avevo compresso i miei sentimenti in modo da sembrare una persona normale, ma questa era una condizione inaccettabile, avvertivo sempre più il desiderio di esplodere, di esistere per qualcun altro.

 

Questo era l’alibi perfetto che avevo scelto per giustificare
il delitto che avevo commesso contro me stessa.

 
 
La mia vita era stata affidata al male, controllata da un uomo dallo sguardo di ghiaccio e dai lunghi capelli color cenere, il suo nome era Gin.
Non era una persona qualunque, era diverso da tutti gli altri, riusciva ad emergere senza sforzo dalla massa!
Aveva carisma, sapeva sempre come muoversi e cosa fare, non era mai spaventato e, nelle situazioni più complicate, riusciva sempre a mantenere la calma. Era freddo, arrogante e calcolatore, sembrava quasi che non provasse alcuna emozione, ma poi riuscivo a intravedere in lui quel brivido di eccitazione attraversargli le ossa quando scorgeva il terrore negli occhi di chi incrociava il suo sguardo.
 
Quando poi il suo sguardo finì sul il mio, per la prima volta nella sua vita, provò delusione. Sul mio volto non c’era nessuna traccia di paura, solo indifferenza. Non riusciva a crederci: Come poteva, una comune donna, dimostrare indifferenza verso l’élite dell’organizzazione?
Così come la delusione, in lui nasceva il desiderio di una sfida, o meglio di una “caccia”, dove lui era il cacciatore ed io la sua preda.

Senza opporre alcuna resistenza, decisi di partecipare con tutta me stessa, dando inizio al nostro gioco.


Cosa mi aveva fatto cedere così facilmente?

 
Tutto ciò di cui avevo sempre avuto bisogno nella mia vita era di qualcuno che mi guardasse, di qualcuno che mi prestasse delle attenzioni, ma soprattutto di qualcuno che mi facesse sentire viva! Quella maschera d’apatia che mi portavo dietro da anni, finalmente veniva scossa.
 
Amore, passione, odio. Sono questi i sentimenti che più condizionano l’essere umano, eppure nei nostri incontri non c’era mai stato nulla di tutto questo, eravamo legati solo dal triste destino comune, quello di essere due anime vuote e solitarie.
 
La notte sembrava una sorta di amante perfetta, uno spazio di tempo dove ogni crimine era concesso.
Gli unici testimoni del nostro peccato erano un letto, due bicchieri di liquore e l’odore incessante di fumo disperso nella stanza.


Seduzione. Desiderio. Appagamento.
Chi conduceva il gioco?
C’ero io, c’era lui, nessun noi.

 

Prima toccava a me, lasciavo che il mio corpo lo seducesse, lo rendevo schiavo di ogni mio movimento. I nostri volti erano vicini, i nostri respiri irregolari si fondevano, i miei capelli lo sfioravano e lui s’inebriava del mio odore, il mio sguardo era fisso sul suo con aria di sfida, le nostre labbra si sfioravano ma non osavano mai unirsi, forse era una cosa troppo intima per noi. Le mie mani esploravano il suo corpo lasciando che la sua eccitazione crescesse, in questo modo i ruoli s’invertivano, le redini del gioco passavano a lui. La sua bocca bramava avida il mio corpo, le sue mani mi stringevano con forza, il tutto con eccessiva violenza. Non c’era dolcezza nei nostri gesti, non c’era calore nei nostri abbracci, solo rabbia che ci spingeva a volere di più. Stretta nella sua morsa, lo lasciavo entrare in me e, mentre lui affondava in me, io affondavo le mie unghia nella sua carne. Tra gemiti e sospiri, il nostro piacere raggiungeva l’apice, ma questo non era mai abbastanza da poterci saziare.

Entrambi sapevamo quanto potessero essere sbagliati quegli incontri, eppure non riuscivamo a farne a meno. La mia finta forza era la debolezza che mi spingeva a continuare, portando lui a credere che io fossi sua, ma in modo sbagliato. Il suo attaccamento era diventato morboso, ossessivo e, mentre cercava di sottomettermi al suo volere, io cercavo una via di fuga, da lui e da me stessa.
 
 
In opposto al mio carattere cupo e tenebroso, c’era quello allegro e solare dell’unica persona che cercava di dare un po’ di luce alla mia vita, quello di mia sorella maggiore. Nonostante fossimo cresciute separate, lei veniva a trovarmi spesso per potermi ricordare di dover continuare a lottare, ma per me non era affatto semplice. Lei aveva sempre avuto l’opportunità di vivere una vita abbastanza normale; frequentare una scuola, uscire con degli amici, essere libera di spostarsi da un luogo ad un altro… Io no, fin da piccola, la mia unica ragione di vita era quello di servire me stessa alla scienza per il beneficio dell’organizzazione, anche se questo significava farmi vivere una vita da dannata.
Per questa ragione, Akemi tentò di portarmi via da loro, con il risultato che loro mi portarono via lei, per sempre.
 
Quella volta il dolore fu troppo forte, non potevo più continuare a rimanere in quel luogo, volevo fuggire via!
Ma l’assassino di mia sorella, Gin, mi fermò.
Il mio silenzio gli urlava un “Perché?” e lui leggendo il mio sguardo rispose freddamente: «Voleva portarti via da me».
 

Era dunque colpa mia?

 
Si avvicinò a me, portò le sue mani al mio collo in una stretta ferrea, fino a farmi mancare l’aria:

«Se non scegli di restare con me, la morte sarà la tua unica alternativa e ricorda,
tu sei esattamente come noi, non c’è redenzione per il tuo peccato
».

 
Questo era vero, avevo commesso crimini imperdonabili, ma allo stesso tempo ero consapevole che dovevo cambiare strada.
Cosa potevo fare, arrendermi semplicemente alla morte?
No, dovevo cercare l’unica cosa che non avevo mai avuto, la libertà, anche se questo significava vivere consapevole di essere una persona sbagliata. Accettando questa verità, nonostante fosse una punizione, avrei avuto la mia redenzione. Così presi la mia decisione, avrei preso quel veleno da me stessa creata, l’APTX4869, su cui i miei esperimenti avevano dato dei risultati che mi potessero far sperare in un futuro diverso.
 

Se solo non esistesse il dolore che provo, la pena, la rabbia,
e quel desiderio di amore, infinito.

 

Quei tempi dove solo il nero regnava, sono passati.
Ora sono una persona diversa, finalmente riesco a scorgere raggi di luce!


 

Questo lo devo unicamente ad una persona, ma questa è un'altra storia...
 

   
 
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