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Autore: Girl_in_Blu    16/04/2014    3 recensioni
One shot ambientata nella gioventù di Vegeta, quando era ancora un soldato di Freezer, durante una guerra su un lontano pianeta, chiamato dai suoi abitanti Umek.
La battaglia, la lotta, l'aspetto e la reazione degli abitanti di Umek, scateneranno nel principe dei saiyan diverse consapevolezze...
Spero vi piaccia ;)
Estratto: "Cosa c’era su Umek di tanto importante?
Non gli interassava, si era sfogato, aveva combattuto e ucciso e gli era bastato finché Ginew e la sua squadra non erano giunti, non avevano impartito rogne anche a lui e la curiosità si era accesa, prendendo origine da un pugno infastidito da un formicolio pungente e frustrante."
Continua...
Genere: Angst, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Freezer, Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Principe dei Saiyan'
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So che dovrei postare l'ultimo capitolo di Red Shadow (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2510769&i=1) ma per giorni ho avuto in testa questa fic e ho dovto scriverla. Oggi sono stata libera, quindi eccola qui, spero vi piaccia, mi raccomando fatemi sapere ;)












 
La guerra di Umek

 
 


I raggi caldi di quella stella, troppo vicina, s’infiltravano nella pelle, la attraversavano seguendo le vene, penetrando nei fasci muscolari e atterrivano; accasciavano al suolo caldo e arido, abbattevano come armi, come guerrieri, ed erano l’unica difesa naturale che quella roccia potesse permettersi.

Cosa cazzo c’era poi sul quel pezzo di terra, lui, proprio non lo capiva. Non comprendeva cosa Freezer volesse dai suoi abitanti.
Pochi giorni e il pianeta era stato conquistato, ma lui era ancora lì ed era un’umiliazione restare a guardare come gli uomini guidati da un altro impartissero ordini.
Lui era stato la mano della morte, la guerra corroborante che aveva distrutto, annientato, eppure non aveva il diritto di muovere alcun ordine, nemmeno il diritto di sapere il perché di quel viaggio.
Cosa c’era su Umek di tanto importante?

Non gli interassava, si era sfogato, aveva combattuto e ucciso e gli era bastato finché Ginew e la sua squadra non erano giunti, non avevano impartito rogne anche a lui e la curiosità si era accesa, prendendo origine da un pugno infastidito da un formicolio pungente e frustrante.
Incredibile come coglioni come quelli fossero forti, una squadra di eccellenza, un’eccellenza d’idiozia anche. Com’erano venuti, saltellando, saltellando se n’erano andati.
-Vegeta, Nappa, assicuratevi che non si ribellino. Che non violino il campo in cui li abbiamo confinati- aveva ordinato il capitano, aggiungendo di evitare un ulteriore sterminio, che quegli esseri sarebbero serviti come schiavi.
Da dove nasceva tutta quella magnanimità, Vegeta proprio non lo capiva. Era giovane, troppo, era preso da se stesso, da ciò che avrebbe voluto e arrabbiato contro un destino che aveva le sue stesse fattezze.
-Ne abbiamo a sufficienza di schiavi- sussurrò tra sé –tsk!-.
-Perché non ti scegli una schiava, mio Principe?- chiese Nappa grattandosi la nuca, pensiero.
-E’ inutile che tocchi, che controlli, li perderai tutti- gli urlò Radish ridendo maligno e imitando il suo gesto, passandosi una mano nella folta chioma.
-Smettetela, siete ridicoli. Nappa, non ho bisogno di una schiava- ribatté il ragazzo, troppo disinteressato a quella proposta.

Lui non aveva bisogno di schiavi, soprattutto di femmine, era il principe dei saiyan e non avrebbe mai contaminato se stesso con esseri inferiori alla sua razza, al suo irraggiungibile rango.
Il suo orgoglio, smisurato e smodato, era castrante e bastava solo il suo ego a gonfiare quel giovane di una virilità potente come la forza che emanava.

Gli abitanti di Umek erano umanoidi, dalle fattezze simili ai saiyan ed erano interessanti, questo Vegeta lo ammise a se stesso.
Quando, dopo poche ore di volo, aveva raggiunto il villaggio segnalato dal radar, era rimasto impietrito.
Per un attimo, quegli umanoidi gli ricordarono i saiyan. Quegli esseri avevano la pelle di un colorito simile alla sua, non troppo scura, né chiara, gli occhi e i capelli neri come la pece e i lineamenti spigolosi, mancava loro la coda a rendere palese l’appartenenza a razze diverse e, ovviamente, la potenza.
Fissò una femmina, osservando le sue forme, le gambe lunghe e muscolose scoperte dal vestito che poco copriva. Deglutì, continuando a tenere lo sguardo fisso su di essa e poi dalla mano, avvolta di bianco, emanò una sfera di energia e la uccise. Non le aveva dato il tempo di urlare, o di correre né iniziare a provare terrore.
L’aveva osservata curioso e il suo sguardo era stato ricambiato da una simile emozione, gli aveva sorriso e lui aveva semplicemente agito.
Durante la battaglia notò che solo alcuni, gli uomini più forti e sicuramente addestrati, combatterono seguendo tecniche e tattiche, sì inutili ma pensate, magari provate e, in fine, attuate.

C’era qualcosa di strano negli abitanti di Umek, qualcosa di familiare, incredibilmente familiare, al di là dell’aspetto.

Non avevano alta tecnologia, il suolo era arido, la terra spoglia, il cielo era povero e la luce accecante.
Che cosa voleva Freezer da Umek?
Quattro giorni avevano disseminato il terreno di cadaveri, di sangue rosso raggrumato sul suolo nel nero più cupo. A terra erano sparsi stracci di abiti, cocci, armi rudimentali, resti di alieni e abitanti.
L’aria pesante per il caldo fu attraversata dal vento che portò con sé un odore misto di carburante e corpi che si consumavano.
Intravide il fumo in lontananza, domandandosi perché bruciassero alcuni di quegli inetti.
Che senso aveva quel gesto? Non si erano mai comportati in quel modo.


Il tempo, su quel pianeta, sembrava inalterato: non trascorreva, non riusciva Vegeta a distinguere il passare delle ore da quello dei giorni. Era tutto falsato dalla noia che si era instillata in lui dopo la fine di quella guerra.
Non esistevano notti su Umek, la rotazione del pianeta era lenta, forse non esistevano nemmeno i giorni su quel pianeta. Gli abitanti, forse, nemmeno possedevano una concezione del tempo, o semplicemente la loro era troppo dissimile da quella cui lui era abituato.
L’aria del campo era stata coperta da una lastra di metallo, gli schiavi isolati, ma non ancora trasferiti.
Quella missione, presentatasi come una solita, si stava rivelando troppo diversa, puzzava di lercio, c’era qualcosa che non quadrava ed era strano che ancora non si fossero organizzati per deportarli alla base.

Uno scoppio e i soldati si mossero tutti verso l’origine di quel dissesto.
Possibile che fosse scoppiata una rivolta?
Ricevettero, Vegeta e la sua squadra, l’ordine di volare verso l’epicentro di una scossa del terremoto che adesso scuoteva ogni cosa, la terra stava tremando, per recuperare ciò che potesse servire, qualsiasi cosa lasciata dai soldati e di tornare alle navi e partire.
-Se ne occuperà la squadra Okume- aveva risposto la voce metallica proveniente dal ricevitore, alla domanda di Nappa su come recuperare gli schiavi.
Volarono, colti dalla frenesia, dall’agitazione che nasce dopo un periodo di stasi. La terra tremava, ma loro non lo avvertivano, percepivano solo il frastuono delle rocce che si rompevano, delle montagne che si sgretolavano.
Il pianeta stava per essere distrutto, comprese Vegeta che si fermò dubbioso, colto da troppe domande.
-Andate- ordinò, voltandosi e volando nella direzione opposta, verso il campo dove erano radunati gli abitanti di Umek.
Non li avrebbe salvati, certo, ma non capiva perché la sua squadra fosse stata spedita nella direzione opposta allo stanziamento di ricerca scientifica e al reclutamento di mano d’opera, dove c’erano i materiali preziosi, le attrezzature ad alta tecnologia.

Perché spedirli dove non c’era nulla d’importante?

Solo l’eco delle grida di supplica in una lingua sconosciuta, giunse alle sue orecchie.
Attivò il radar, cambiando frequenza, per cercare di ascoltare e si avvicinò lentamente.
-Dobbiamo sterminarli tutti- domandò un soldato, poteva essere uno dei tanti armati e col casco.
-Il padrone non vuole superstiti- replicò qualcuno dalla base, ma non riconobbe la voce.
-Ma tanto il pianeta esploderà comunque-
-Obbedisci soldato. Impartisci l’ordine di sterminarli e poi, tu e il tuo plotone, abbandonate il pianeta-.
Un suono, simile a uno scatto, segnò la fine della comunicazione.
Gli spari, le urla, i colpi energetici, si susseguirono velocemente, per istinto, Vegeta intervenne, partecipando a quell’eccidio.
Uno dopo l’altro, gli abitanti di Umek caddero sotto i suoi colpi eppure, più combatteva, più notava che erano addestrati, che possedevano del potenziale, che avrebbero potuto essere soldati migliori di quelli che si nascondevano dietro le armi.

Sentì all'improvviso una pressione sul collo, era stato braccato, preso alle spalle, e il respiro affannoso bloccato da un braccio che faceva pressione alla gola. Respirava a malapena e un colpo, un pugno allo stomaco, lo spinse a reagire d’istinto.
Diede un calcio a chi lo aveva colpito, facendo forza sulle gambe, roteò su se stesso, invertendo la posizione, era lui ad avere in pugno il nemico.
Un movimento secco, crak, il collo spezzato. Lo aveva ucciso e aveva ricominciato a respirare regolarmente.

La salvezza è sempre accompagnata dalla morte, la vita per uno, in guerra, è la morte per un altro.
La salvezza di Vegeta era inevitabilmente la fine di ogni nemico, non esistevano vie di fuga, stadi intermedi che contemplavano pace o serenità.
Vegeta sarebbe morto in guerra, ne era certo, ma non sapeva quando sarebbe giunto quel momento.

Era forte, era giovane, prometteva e imponeva a se stesso di migliorare e finché avesse avuto uno scopo, non sarebbe morto. La guerra lo avrebbe preso, quando stanco e vecchio, avrebbe deciso di morire, non prima di essere diventato lui il padrone dell’esercito in cui adesso lottava, finché non avesse combattuto per il suo di vessillo e non per quello di un altro.
La morte e la guerra avrebbero preso Vegeta, il più grande guerriero della sua razza, il principe dei saiyan che non rispondeva a nessuno se non a se stesso, e non un soldato dell’esercito di Freezer.
Sarebbe morto con onore, come il suo rango avrebbe richiesto.

E comprese Vegeta, che su quel pianeta c’era una popolazione dalla possibile crescita, che sarebbe diventata forte, importante, forse anche evoluta scientificamente ed era un pericolo, poiché riuscivano spinti dagli oppressori a reagire.
Si erano ribellati, ecco perché li stavano sterminando. Avevano le palle quegli umanoidi, preferivano morire piuttosto che servire.
Li odiò Vegeta con tutto se stesso, provava disprezzo per il loro coraggio, per un’integrità ligia al suicidio piuttosto che all’autoconservazione, erano stupidità e ignoranza a muovere quegli stupidi esseri, ne era certo.
Com’era certo che entro pochi anni, quella popolazione avrebbe rappresentato un pericolo per Freezer e il suo impero.
La missione non era distruggere, né conquistare o depredare.
La missione originale consisteva nel verificare se gli uomini di Umek potessero essere sottomessi, se potessero diventare una forza lavoro, come un tempo lo erano stati i saiyan.

La domanda che Vegeta si pose, chiudendo per un attimo gli occhi, massaggiandoli con i polpastrelli sporchi di sangue nemico, riguardava la fine di quel pianeta: il terremoto era stato indotto, voluto da Freezer?


 
***



-Ottimo lavoro, principe Vegeta- gli disse il tiranno accennando un sorriso, che poco aveva a che fare con la congratulazione appena espressa.
Era un sorriso maligno, rivolto più a se stesso che a chi aveva dinanzi.
Si sentiva beffato, preso per il culo da quella lucertola insulsa.
-Purtroppo non siamo arrivati in tempo, quel pianeta era instabile come i suoi abitanti, troppo selvaggi- aggiunse, annullando il sorriso e assottigliando lo sguardo.
-Ti sei fatto valere, ma hai disobbedito ai miei ordini-
Ancora ordini, ancora subordinazione, ancora qualcuno cui ascoltare e obbedire.

Le domande che lo avevano tormentato fino all’incontro con il tiranno, lasciarono il loro posto a un cumulo di frustrazioni e nonostante non ci fosse più spazio per altro rammarico, rabbia e dolore, quell’ordine e quel sorriso sparito, la cui scia portava con sé un rimprovero, portarono un nuovo rancore: la consapevolezza che avrebbe vissuto ancora in quel modo e che quella vita adesso non gli bastava.

Quanto avrebbe potuto sopportare?

Eppure la domanda che avrebbe dovuto porsi Vegeta era un’altra: gli abitanti di Umek rappresentavano una minaccia futura, che andava sterminata sul nascere, possibile che il fato si accanisse contro popoli guerrieri?
Odiava gli abitanti di Umek, li odiava e li disprezzava, erano morti in schiavitù, e per quel saiyan non esisteva morte peggiore.
No, in realtà Vegeta nel profondo sapeva che erano morti per non vivere da schiavi, ed era consapevole che loro erano morti in libertà, ma ammetterlo significava infliggere un colpo mortale al suo orgoglio, già ferito in battaglia.
La consapevolezza di essere un soldato di Freezer, un suo uomo, una sua proprietà, lo frustrava perché non poteva morire in quella condizione, non voleva, e avrebbe esalato il suo ultimo respiro in libertà, di questo era certo.
Avrebbe ottenuto la sua personale vendetta, un giorno avrebbe ucciso Freezer, riscattandosi così da tutte le umiliazioni subite.

Era un ragazzo, Vegeta, quando atterrò su Umek, quando le coincidenze del fato, quando un pugno allo stomaco, quando i suoi abitanti decisero di crepare per non perdere se stessi che comprese.
Comprese, Vegeta, che l’unica cosa che non avrebbe sopportato sarebbe stata un mancato riscatto.
Avrebbe sopportato tutto, con la consapevolezza, che in futuro sarebbe stato lui a dettare gli ordini.
Quella scoperta, quella consapevolezza acquisita durante la guerra di Umek, creò una debolezza poiché fino allora Vegeta non aveva creduto di essere umiliato, aveva creduto solo in se stesso e nella sua forza, senza fare i conti con ciò che lo circondava.

L’umiliazione nacque dalla scoperta di non essere altro che un soldato che deve obbedire, ma soprattutto dalla consapevolezza di essere stato fottuto dal fato.
Quanto avrebbe dovuto aspettare prima di ottenere la sua vendetta? Eppure, chiedendoselo a denti stretti, stringendo i pugni e ringhiando, sapeva che ben altre domande restavano senza risposta, ma la rabbia era troppa, l’orgoglio anche, l’ego straripante, le sue priorità erano altre…
 





























































 
   
 
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