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Autore: Tempie90    18/04/2014    1 recensioni
AU tradotta dal sito di FF fanfiction.net, è un'esperimento che abbiamo deciso di fare io e anitagaia.
La storia parla di una Beckett ancora novellina facente parte della Vice squad del 12° distretto, ovviamente le modalità in cui conosce Castle sono altre! XD
Speriamo vi piaccia e abbiate la pazienza di leggere i nostri aggiornamenti!
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Salve a tutte! 
Mi scuso per l'immenso ritardo nel pubblicare l'aggiornamento. Colpa mia, Anita non c'entra nulla XD 
Sono stata male ed ho qualche problemino, ma ci sono. Ho appena finito di tradurlo e spero che la mia mente non abbia fatto brutti scherzi facendomi scrivere boiate...
Il capitolo è un po' tosto...Insomma, cominciano i guai! XD
Buona lettura e scusatemi ancora.
=) 
                                


                     Capitolo 13


“Ho bisogno di una doccia.”
Le parole giunsero come attraverso una foschia fino alla mente di Rick. Quando arrivarono al suo cervello, Kate era già scivolata fuori dalle lenzuola, i vestiti sul braccio, senza voltarsi a guardarlo.
Lentamente si alzò su un gomito, chiedendosi cosa stesse succedendo. Avevano ancora tutta la notte davanti, no? Lui non doveva tornare a casa, dal momento che sua madre si sarebbe occupata di Alexis. Avrebbe solo dovuto telefonarle più tardi. Giusto per controllare.
E Kate l’aveva invitato quindi dedusse che anche lei avesse del tempo. Forse si sbagliava.
Certo non si aspettava che lei scappasse in bagno subito dopo che loro l’avessero…fatto.
Si sedette sul letto cercando di scrollarsi l’ansia di dosso, sentendosi comunque solo ed esposto nel letto di Kate.
Tanto valeva vestirsi, visto che lei non aveva chiaramente intenzione di passare la notte lì con lui.
Afferrò i boxer dal pavimento e li indossò, poi si guardò intorno alla ricerca dei pantaloni. Trovò una delle sue scarpe ricordandosi che l’altra era finita sotto il letto. Si inginocchiò sul pavimento e allungò la mano per recuperarla.
Le sue dita trovarono facilmente la punta in pelle della scarpa ma urtarono anche qualcos’altro, sembrava di cartone. Huh. Forse Kate aveva qualche scatolo di vestiti sotto il letto? Rick tirò entrambe le cose verso di lui curioso.
Era una scatola. Una scatola di grandezza media di cartone bianco e righe rosse che dovevano essere qualche tipo di decorazione.
C’era uno spazio nella parte anteriore, dove avrebbe dovuto esserci scritto qualcosa riguardo il contenuto, ma era vuoto. Kate sicuramente non pensava che quello che ci fosse stato dentro avrebbe potuto dimenticarlo.
Lanciò uno sguardo verso il bagno ma l’acqua era ancora aperta, nessun segno del suo ritorno nell’immediato.
E Rick voleva sapere.
Tolse il coperchio, lentamente, godendosi la suspense. Forse erano solo foto di lei bambina ma…
Oh. Una cartella. Una spessa cartella rossa, nessuna iscrizione, nessuna indicazione su di essa. La prese, la sfogliò, e si bloccò alla vista della foto alla prima pagina.
Merda.
Quello era…
Era.
Johanna Beckett lesse accanto all’immagine straziante del corpo della donna riverso contro un muro sudicio.
Merda. Il fascicolo? Aveva il fascicolo dell’omicidio di sua madre?
Col cuore in gola scrutò la pagina, la sua mente a registrare le informazioni senza sforzo. 9 gennaio. Coltellate multiple. Washington Heights. Attribuito a una gang violenta.
C’erano i dettagli naturalmente, terribili e cruenti dettagli; e pensare che Kate aveva visto…
Girò la pagina, oh dio, il referto dell’autopsia, tutti i possibili indizi che i poliziotti avevano trovato.
La qualità non era delle migliori, le parole erano un po’ sfocate e Rick si rese conto che quello non era il file originale.
Non era nemmeno una copia.
L’aveva fotografato.
Probabilmente Kate non era autorizzata ad averne una copia, non poteva portarlo fuori dall’archivio o qualsiasi altra cosa, così aveva fatto delle foto ad ogni pagina e le aveva stampate.
Intelligente. Era piena di risorse.
Tornò alla prima pagina, la ‘sintesi’ e cominciò a rileggere con più attenzione. Sua madre era stata un’ avvocato per uno studio in città, aveva sentito il suo nome prima, aveva 48 anni quando fu assassinata. No un attimo, 47. E’ morta prima del suo compleanno.
9 gennaio 1999. Kate doveva avere… 19 anni.
Dio.
Doveva frequentare il college, la sua vita stava per iniziare con tutti quei sogni e speranze, ancora nulla di scritto.
Cinque anni fa.
Se fosse stata una persona completamente diversa? Se fosse stata spensierata e un po’ sciocca, senza nessuna importante consapevolezza negli occhi?
Ingoiò la strana sensazione che gli si era creata in gola cercando di concentrarsi sul file, sfuggire al dolore che gli stava gonfiando il cuore.
Non riguardava lui. Nulla di tutto ciò, l’omicidio, il cuore spezzato, Kate.
Aveva messo in chiaro che non voleva una vera relazione con lui, che non poteva dargli più di quello, del sesso occasionale, una mezza amicizia.
E a lui stava bene. No?
Fece scorrere le dita sul referto autoptico, esitò. Avrebbe dovuto mettere tutto nella scatola, spingerla sotto il letto prima che lei potesse accorgersene ma…
Era un giallista di successo, aveva soldi. Aveva i mezzi a sua disposizione, ciò che Kate probabilmente non aveva. Conoscenze, come un patologo forense che aveva conosciuto ed incontrato più volte quando scriveva di Storm, il dottor Clark Murray. Se gli avesse chiesto di dare un’occhiata al file…
“Che cosa stai facendo?”
Alzò di scatto la testa.
Kate era in piedi davanti la porta della camera da letto, i capelli ancora bagnati ma già in jeans e maglione, uno sguardo insondabile negli occhi. Uh.
“Io, ehm…” Si guardò e si rese conto che era seduto sul pavimento in mutande mentre leggeva il file di sua madre.
Grande, Rick.
“La mia scarpa era sotto il letto e quando l’ho presa…”
“Hai trovato una scatola e hai pensato bene di curiosare nelle mie cose? Eh Castle?”
Merda. Merda. Non si stava mettendo bene.
Vi era tanta rabbia latente sotto l’apparente freddezza della sua voce.
“Kate, io…”
Lei avanzò di un paio di passi fino a raggiungerlo, si piegò sulle ginocchia, gli strappò il file dalle mani, i suoi movimenti bruschi mentre gettava tutto dentro la scatola assicurandosi che fosse lontano da lui.
Poi alzò li occhi verso di lui, uno sguardo furioso, bruciante che gli fece scorrere un brivido lungo la schiena.
“Non sono affari tuoi!” Disse con calma, la sua mascella rigida, la vena del collo pulsante. “Mi hai sentito, Castle? Questo è mio. Mia madre, il mio caso. Non è foraggio per i tuoi libri, non è finzione. Questa è la mia vita!”
Gli stava spezzando il cuore.
“E scoparmi non ti dà il diritto di intrometterti!” Concluse arrabbiata.
Scopare? Era questo per lei?
“Kate…” Disse cercando di ignorare il dolore provocato dalle sue parole. “ So che non ne ho il diritto, ho solo pensato che… Forse avrei potuto aiutarti…” Si alzò in piedi lentamente come se lei fosse un animale selvatico da non spaventare. “Sai che ho i soldi. Conosco persone. Se organizzo una squadra chiedendo loro di lavorarci, ci sono buone probabilità…”
La sua voce si spense quando vide il suo volto, ferito, sulla difensiva e completamente furioso.
“Non hai ascoltato una parola di quello che ho detto?” Chiese con calma apparente. “ Mia madre, Castle. E tu vuoi cosa? Aizzare l’intera città, la CIA su di esso? Pensi che il denaro risolverà il caso?”
“Beh di sicuro potrebbe aiutare…”
“Basta!” Lo interruppe bruscamente, a denti stretti, gli occhi pieni di rabbia.
Non sapeva cosa dire. Non era quello che voleva? Catturare l’assassino di sua madre? Non riusciva a capire quanto più facile sarebbe stato avendone le risorse?
“Kate.” Disse sfiorandole il braccio.
Lei si ritrasse subito.
“Per l’amor di Dio, Castle. Io sono un poliziotto. Ho passato ogni istante del mio tempo libero scrutando quel file, memorizzando ogni dettaglio e tu pensi…Pensi che assumendo gente i nuovi indizi appaiano magicamente fuori? Lascia che ti dica una cosa: Non accadrà!”
“Non puoi saperlo…”
“Col cavolo che non lo so!” Alzò il mento in segno di sfida. “Sto bene. Potresti non crederci ma io sono maledettamente brava in quello che faccio. E diventerò presto una detective. Non sono riuscita io a trovare qualcosa pensi che qualcun altro ci riuscirà?” Concluse con un respiro, furente. “Nessuno vuole questo bastardo dentro quanto lo voglio io, Castle!”
Egli schiuse la bocca, non riusciva  trovare le parole di fronte a così tanta passione e disperazione.
“Quindi grazie ma non ho bisogno del tuo aiuto!” Disse alla fine fermamente. “Non ho bisogno dei tuoi soldi. E di sicuro non ho bisogno della tua pietà!”
Cosa?
“Non si tratta di pietà!”
“Ah, no? E di cosa allora, Castle? E’ la mia ricompensa per poter venire a letto con te? Dovrò avere i soldi per lavorare al caso di mia madre perché sono brava a letto?”
Il suo stomaco si contorse ma raddrizzò le spalle con un’indignazione crescente per il modo in cui aveva respinto così velocemente i suoi sentimenti. Perché non capiva che voleva renderle le cose solo un po’ più facili?
“Si certo, Kate. Questo è quello che faccio con ogni donna con cui vado a letto, sai? Le invito a casa mia, porto loro una tazza di caffè sul posto di lavoro e mi propongo di aiutarle a risolvere l’omicidio della madre! Diamine, hai capito tutto di me!”
Il sarcasmo fu così pesante nella sua voce; lei impallidì ma non si ritrasse.
“Devi andare!” Disse invece. La sua voce vuota, priva di emozioni.
Ci sarebbe mai stato un modo per avvicinarsi a lei?
“Capisco.” Disse, assolutamente scoraggiato, improvvisamente pronto a lasciar perdere. Lui non capiva lei e lei non capiva lui. Non aveva idea del perché avesse pensato che tutto ciò avrebbe potuto funzionare.
Lei si voltò, la scatola stretta tra le braccia, come un bambino con un oggetto prezioso. E lui si vestì velocemente: pantaloni, maglietta, scarpe. Quasi inciampò sui suoi stessi piedi nella fretta di uscire da quella casa.
Si era sbagliato. Non poteva aiutarla. Lei non era nemmeno disposta ad aiutare se stessa.
Kate stava aspettando in salotto, vicino alla porta con gli occhi come la pietra.
Il messaggio era abbastanza chiaro.
“Suppongo che tu non voglia che ti richiami…” Disse piano, orgoglioso del fatto che la sua voce non vacillò.
Lei non rispose.
“Kate..” Sospirò, avrebbe voluto un finale migliore di quello.
Era così bella, anche nella sua testardaggine, il dominio scuro dei suoi capelli contro il viso pallido ma determinato. Ricordò il modo in cui lei lo aveva guardato quando era esplosa in mille pezzi nel suo letto, con la bocca aperta e gli occhi serrati…E il suo cuore doleva.
“Per favore…” Mormorò odiandosi per questo.
“Basta, vattene!” Disse, la sua voce forte, inflessibile. “Fai ciò che è giusto, Castle. Per entrambi. Vattene!”
Voleva parlarne. Voleva combattere con lei. Ma Kate aveva già deciso e nulla di buono ne sarebbe uscito.
Forse aveva ragione. Forse doveva lasciarla andare, senza voltarsi, lasciarla sola con i suoi fantasmi. Rick si passò una mano sul viso, le spalle basse, poi si voltò e si diresse verso la porta.
La sua mano si chiuse sopra la maniglia e ricordò ancora, come quella sera fosse stata tanto disperata con lui, nemmeno il tempo di togliere i vestiti, desiderio così bisognoso eppure così forte, il modo in cui lei continuava a volere di più nonostante i corpi fossero già uniti.
 
Si sbagliava. Lei si sbagliava.
Si voltò di nuovo, spinto da qualcosa più forte di lui. Non le permise di indietreggiare ed allontanarsi. Le mise le mani sul collo, i pollici sulla sua mascella e le baciò la bocca, dolce ma sicuro, una lunga, tenera pressione delle labbra.
“Ti sbagli, Kate!” Le disse e finalmente poté vedere le sue difese crollare, il dubbio nei suoi occhi. “ E non mi dispiace. Lo so che sei un buon poliziotto ma tu sei troppo coinvolta. E due menti sono meglio di una!”
Lei non disse nulla, lo guardò nella penombra, e lui non riuscì a capire a cosa stesse pensando.
Ancora…Doveva dirglielo.
“Potrei amarti, Kate. Potrei amarti e potrei aiutarti. Se solo me lo lasciassi fare…”
I suoi denti stavano scavando sul suo labbro, gli occhi brillanti e lui fece un passo indietro capendo che in quel momento non era appropriato forzarla ancora per prendere una decisione.
“Pensaci!” Disse solo. Poi si voltò e uscì senza guardare indietro.
  
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