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Autore: StellaBieber98    18/04/2014    8 recensioni
"Come fai a farlo?"
"A fare cosa?"
"Ad essere sempre nel posto giusto, al momento giusto. A proteggermi..."
"E' quello che so fare meglio Jenny: prendermi cura di te."
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guardian Angel




 
Ciao cucciole, sono tornata.
No, non sono impazzita, so che ho aggiornato oggi pomeriggio Guardian Angel e soltanto ieri Housemate, ma il problema è che ho avuto un grave problema di famiglia che non vi sto a spiegare... e domani, per questo problema, parto per Torino e starò una settimana lì. Ho finito i giga al cell e non avrò neanche la Wi Fi in hotel perciò, visto che non voglio lasciarvi un’intera settimana senza capitolo, ho deciso di aggiornare questa sera.
Spero che il capitolo vi piaccia e lasciate qualche recensione se volete ed io continuerò appena torno cioè domenica prossima. Mi mancherete, non so come sarà stare una settimana intera senza poter controllare le mie ff…
Ad ogni modo spero che possiate perdonarmi. Risponderò a tutte le recensioni appena ne avrò la possibilità.
Un grosso bacio, Stella <3


 
      CAP II
 
 
Il pomeriggio passò in fretta.
Dopo aver pranzato, mi sedetti sulla veranda e stetti tutto il tempo immersa nei miei pensieri.
Iniziai ad osservare le nuvole che si rincorrevano e giocavano a nascondino con il sole.
Adoravo dare loro una forma e ben presto il cielo diventò un teatro delle mie fantasie e quei meravigtliosi batuffoli candidi ne divennero i personaggi.
Ben presto arrivò il tramonto, che con una colata d’oro e rosso tinse l’orizzonte.
Non mi sentivo molto bene: ogni volta che pensavo a quel ragazzo, mi veniva sempre più vogli di incontrarlo di nuovo, era come una calamita. Come se il suo ricordo avesse il potere di farmi dimenticare i miei genitori e di far nascere in me il desiderio di vivere e di scoprire il mondo che mi circondava.
Poi però i fantasmi del mio passato mi apparivano ed alla felicità più sincera subentrava il senso di colpa. Ad un tratto era come se mi rendessi conto che non potevo essere felice, che il mio destino fosse quello di essere triste perché i miei genitori erano morti.
Dovevo assolutamente rivedere lo psicologo, non potevo alternare così velocemente momenti di felicità a momenti di depressione, ma la cosa più importante per me in quel momento era rivedere lui.
Dovevo capire come mai avesse quell’effetto su di me, come riuscisse a spazzare via con un semplice sorriso rtutte le mie paure.
Senza che me ne rendessi conto era calata la sera e fu come se quel manto di stelle e quel tetro velo mi facessero da guscio avvolgendomi, proteggendomi. Mi sentivo al sicuro.
Non avevo voglia di cenare, così rientrai in casa, salutai la zia e filai a letto.
La zia non battè ciglio, forse si era accorta dai miei occhi vuoti e privi di espressione che c’era qualcosa che non andava.
Rientrai nella mia stanza, mi misi a letto e dopo essermi coperta fino alla testa, fui vinta dal sonno.
                                                                            ****
 
"Avanti Jenny, a che ora hai intenzione di andare a prendere questo gelato?!" mi disse la zia dalla cucina
"La calma è la virtù dei forti!" le gridai dalla mia stanza in risposta.
Erano trenta minuti che ero davanti allo specchio e non avevo ancora deciso cosa indossare. Sapevo che dovevo sbrigarmi ma anche il look doveva essere quello giusto.
Sul letto era ammassata una montagna di vestiti; aprii l’armadio per l’ennesima volta e presi un vestito giallo, lo indossai: sembro un pulcino, pensai.
Me lo tolsi e ne presi un altro color pesca, mi guardai allo specchio:
Perfetto, mi manca solo la zia vestita da ananas ed ho fatto un meraviglioso composè di frutta!
Tolsi anche quello e alla fine optai per uno color panna composto da un corpetto dai bottoni dorati, che si allacciava dietro la nuca e una gonna a balze.
Poi corsi in bagno e presi la spazzola ed iniziai a pettinare i lunghi capelli color nocciola, lasciando sciolti i morbidi boccoli che arrivavano poco sotto il seno.
Quando mi sentii abbastanza bella per poter uscire, andai dalla zia e le annunciai di essere pronta.
Lei mi guardò sbalordita: "Il tuo completo mi sembra un po’ troppo elegante per un semplice gelato con tua zia. Cìè qualcosa che dovrei sapere?!" mi disse con sguardo sospettoso.
Dopo averle risposto che non avevo nulla da dirle, lei prese la borsa e scendemmo di casa.
Appena fuori dal portone alzai la testa verso i balconcini e da uno di essi vidi Giorgia, la quale, appena anche lei si accorse di me, mi fece un rapido occhiolino e poi rientrò in casa.
Sorrisi divertita e, dopo che la zia chiuse a chiave il portoncino, ci incamminammo verso la piazza.
                                                                                 ****
 
la gelateria che quel ragazzo mi aveva indicato, era proprio di fronte al Battistero.
Indicai la direzione alla zia ed entrammo nel negozio.
Diedi un’ochhiata in giro ma lui non c’era.
Io e la zia ci sedemmo ad un tavolino.
Perchè non c'è?!- pensai delusa.
"Cosa vi porto?" disse una voce che proveniva dalle mie spalle.
La riconobbi all’istante.
Mi girai e lo vidi.
Con la maglietta da lavoro era ancora più bello dell’ultima volta che lo avevo visto.
Anche lui mi riconobbe ed infatti mi salutò dicendo: "Ehi ciao!"
Lo salutai anche io e stemmo a fissarci per i secondi che furono i più lunghi della mia vita, poi, purtroppo, la zia si intromise: "Ah voi vi conoscete?"
"Si"
- rispose lui- "Ci siamo incontrati ieri in piazza"
"Davvero e come?"
"Beh Jenny ha avuto una crisi ed io…"

gli lanciai una di quelle occhiatacce del tipo: DI UN’ALTRA PAROLA E TI UCCIDO e perciò fu costretto a bloccarsi.
"Avevo perso il cellulare e stavo entrando nel panico e lui lo ha ritrovato e me lo ha riportato" continuai la sua frase, cercando di reparare l’irreparabile.
La zia mi guardò un po’ perplessa, ma non disse niente.
Dopo aver preso le nostre ordinazioni il ragazzo misterioso si allontanò e ritornò poco dopo con i gelati.
Quando finimmo di mangiarli, arrivò il momento di pagre il conto.
Dissi alla zia di uscire e che ci avrei pensato io.
Ero convinta che non mi avrebbe mai permesso di pagare, ma fu come se avesse intuito il motivo della mia richiesta.
Così mi sorrise e fece come le avevo detto.
Mi avvicinai alla cassa e lui fece lo stesso mettendosi dietro il bancone, pronto a battere lo scontrino;
"Mi dispiace di aver fatto il guastafeste Jennifer, credevo che avessi detto tutto a tua zia"
"Non volevo farla preoccupare inutilmente. Aspetta ma… tu come fai a sapere che quella era mia zia e come sai il mio nome?"
"Beh, per quanto riguarda il tuo nome ieri ce lo avevi scritto sulla collana e per tua zia ho tirato ad indovinare"
rispose con una disinvoltura che nessun ragazzo che conoscevo aveva mai mostrato.
Lo disse così velocemente e in modo naturale che sembrava fosse una cosa scontata per lui.
Per fortuna avevo la battuta pronta:
"Avresti anche potuta scambiarla per mia madre no?!"
"Se fosse stata tua madre ci avrebbe fatto il terzo grado sul nostro incontro!!"

Gli rivolsi un sorriso, che lui ricambiò con uno da vero furbetto.
"Quanto ti devo?" gli chiesi, impaziente di saldare il conto. Quel ragazzo aveva già intuito tutte quelle cose su di me! Era strabiliante!
"Niente, vedila come un risarcimento per aver vuotato il sacco di fronte a tua zia" mi disse fissandomi con quegli occhioni nocciola.
"Non credo che il bar sia tuo, perciò a mio parere, è meglio se mi trattassi come tutte le altre clienti, non vorrei essere responsabile di un licenziamento"
Fece cenno di si con la testa, evidentemente a disagio.
UNO A UNO- pensai, ma lui ritornò in vantaggio:
"Chi ti da la certezza che io ti tratti come una cliente diversa?! Ora scusami, ma devo andare,il mio turno di lavoro è finito e poi ho un appuntamento!"
Detto ciò uscì dal bancone e si avviò verso l’uscita dove una ragazza sui diciotto anni, lo stava aspettando. Lo seguii con lo sguardo e vidi che i due si stavano abbracciando.
Vidi che la bionda iniziò a ridere, probabilmente per una battuta di lui e poi si avviarono insieme percorrendo una stradina sul lato destro della gelateria.
Non si era nemmeno cambiato, se ne era andato con quel completo da albero di natale, verde e rosso.
CHE STRONZO- pensai tra me e me.
Uscii anche io e la zia, ancora impegnata al cellulare, mi disse, tenendo la telefonata aperta, che doveva scappare a lavoro e mi chiese se volevo che mi accompagnasse fino a casa.
Non avevo nessuna intenzione di andarmi a rinchiudere di nuovo e così, dopo aver rifuitato la sua offerta, ci separammo: lei diretta verso l’uficio, io verso un luogo gremito di gente.
 
                                                                               ****
 
Il rumore dell’acqua aveva sempre avuto un effetto calmante su di me. Mi sedetti sul muretto e chiusi gli occhi. Iniziai ad invidiare il fiume: il suo corso era stato già scritto, scavato dal terriccio e dalla ghiaia; avrebbe continuato a scorere senza mai fermarsi per anni e anni e non avrebbe mai cambiato corso, non si sarebbe mai girato, sarebbe andato sempre avanti, attraversando città e regioni.
Il mio percorso invece, era contorto e misterioso; prima o poi sarebbe giunto al termine.
Una vibrazione mi distolse dai miei pensieri; presi il cellulare e lessi il messaggio:
ALLORA COME è ANDATA? RISPONDI SUBITO, NON FARMI STARE SULLE SPINE. GIADA.
Non volevo risponderle; non volevo dirle che l’unico ragazzo che era riuscito ad abbattere l’insormontabile muro che avevo costruito tra me e la gente, molto probabilmente era già fidanzato e ancora più probabilmente ci provava con tutte le “sue clienti”. Non volevo pensare a lui, né ammettere che ci ero cascata anche io come un’ingenua.
Decisi di mentirle per non affrontare il problema: NON è ANDATA, NON C’ERA AL BAR; IL SUO TURNO ERA GiA' FINITO.
Dopo un po’ mi arrivò un messaggio di risposta da parte sua che avevo già previsto:
L MI DISPIACE! VA BE’ PUOI RIPROVARCI DOMANI.
NON CREDO PROPRIO- pensai e perciò decisi di risponderle con un insignificante “OKAY”.
 
                                                                          ****
 
Appena all’entrata del ponte, c’era un uomo che strimpellava delle note su una chitarra classica e un gruppo di gente gli stava intorno, ascoltando la canzone.
Percorsi Ponte Vecchio lentamente, osservando le dorate vetrine scintillanti dei caratteristici negozietti d’oro, che raccoglievano al loro interno un ingente numero di cinesi e giapponesi, a mio parere gli unici disposti a spendere tanti soldi in vacanza.
Sentii che qualcuno mi afferrò un braccio; mi girai di scatto, impaurita.
Un tizio strano, basso e un po’ buffo mi si era piazzato davanti: aveva un cappellino color arcobaleno per ripararsi dal sole, una macchina fotografica legata al collo e una mappa della città in mano. Mi chiese qualcosa in una lingua a me sconosciuta.
Anche se me lo avesse chiesto in italiano o in inglese non avrei saputo rispondere, lì anche io ero in veste di turista.
Mi fissò per alcuni minuti, poi comprese che non avrei potuto aiutarlo e così chiese la stessa cosa a qualcuno che si trovava alcuni passi avanti a me.
La vovce del ragazzo che gli rispose mi fece tremare le gambe e un brivido mi percorse l’intero corpo.
Non potevo crederci: quello sciupafemmine era di nuovo davanti a me; mi stava forse pedinando?!
Appena finì di dare inidcazioni stradali, si girò e mi vide.
Presi il cellulare dalla borsa, facendo finta di scrivere un messaggio. Non avevo alcuna intenzione di parlargli.
Sicuramente era un tipo molto sfacciato, perché con quella sgualdrina al seguito mi si avvicinò e mi salutò sorridendomi.
Potevo ignorarlo e andarmene ma la rabbia esplose in quel preciso momento. "Che cos’altro vuoi da me?"
Mi guardò in modo strano. "Che ti è successo?"
"Cosa vuoi che mi sia successo?! Sono solo incazzata!"

"Em…" disse avvicinandosi di più a me: " Fammi indovinare… una tua amica ti ha dato buca eh?"
" Sei proprio spiritoso, sto morendo dalle risate!"
" Ho l’impressione che tu sia arrabbiata con me!"
"Certo che sei perspicace!"
gli risposi con fare pungentemente ironico.
Feci per andarmene, ma lui mi prese un lembo della maglietta e mi impedì di muovermi. " Che ti ho fatto, si può sapere?"
"Vorresti negare che ci hai provato con me, quando eri fidanzato con barbie?!"
"Veramente io ho solo preso la tua ordinazione! E quella ragazza non si chiama barbie ma Naomi!"
rispose con una risatina che mi fece saltare i nervi. Diventai tutta rossa, segno che tra poco avrei dato fuori di matto. Fu come se lui già lo sapesse, perché non si scompose e questo mi fece infuriare ancora di più.
"Non ho voglia di parlare con te, sei solo uno sconosciuto per quanto mi riguarda"
"Quindi ammetti di esserti fatta un film?"
"No, sei tu che hai sbagliato approccio"
"Sei gelosa, Jennifer?!"
mi chiese divertito.
Avrei voluto strozzarlo in quel momento.
" Prima di tutto non sono gelosa di un ragazzo di cui non so nemmeno il nome e poi, se proprio lo vuoi sapere, non mi ha dato buca nessuno! Ho un appuntamento anche io".
Sembrò seriamente sorpreso, segno che ero stata abbastanza convincente.
In realtà non avevo nessun appuntamento, lo avevo detto solo per vedere la sua reazione, che devo dire mi soddisfò quel tanto che mi serviva.
"Esci con un ragazzo?" mi chiese, con aria sbalordita.
"Non credo che sia affar tuo, però si!" gli risposi, mentendo spudoratamente.
"In effetti" continuai "Non dovrei parlarne con te, sei un perfetto sconosciuto! Adesso devo andare". A questo punto la cosa più intelligente da fare sarebbe stato girare i tacchi e svignarsela ma rimasi al mio posto, fu lui ad andarsene.
Lo seguii ancora con lo sguardo, come avevo fatto prima e lo vidi avvicinarsi alla barbie e darle un bacio sulle labbra.
Ero certa che sapesse che lo stavo guardando perché prima di incamminarsi con lei mi lanciò una veloce occhiata e poi scomparse tra la folla.
Prima di rincasare, feci un giro per la città, aspettando che calasse la sera.
Continuavo a pensare a quel ragazzo e a come riuscisse a farmi dimenticare i miei problemi, ma anche a quanto fosse stronzo.
Quando credevo che fosse interessato a me, ero distratta e non ero attanagliata dal senso di colpa verso i miei genitori. Ma quando lui non c’era, i ricordi mi piombavano addosso, schiacciandomi, soffocandomi.
Ero stanca di vivere così. Pensai che presto sarebbe arrivata mia cugina e che sicuramente avrei dimenticato i miei genitori per qualche mese, ma quando lei se ne sarebbe andata sarebbe ricominciato tutto daccapo, e non volevo che riaccadesse.
Dovevo fare pace con il mio passato, ma non sapevo come fare.
                                                                              
                                                                              ****
 
Quando tornai a casa era gia le ventuno e trenta e sucuramente la zia mi stava aspettando per la cena.
Salii velocemente le scale e, entrata in casa, la trovai indaffarata a preparare qualcosa sui fornelli.
Mi salutò, chiedendomi dove ero stata. Le dissi la verità, tralasciando la parte con quel ragazzo.
Annunciò che quella sera avremo mangiato uova strapazzate e toast, poi mi disse che aveva telefonato mia cugina e che l’avrei dovuta richiamare il giorno dopo perché voleva parlare con me.
Dopo aver cenato, andammo entrambe a dormire: la giornata era stata pesante.
Così appena mi infilai nel letto, fui inghiottita dalle tenebre e i miei occhi si chiusero senza indugiare.
  
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