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Autore: Geed    19/04/2014    0 recensioni
tu riempi il vuoto che ho dentro. tu sei il vuoto che ho dentro.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Insieme vuoto
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Le sono sempre piaciuti i lunghi viaggi in macchina, soprattutto di notte, immersa nel silenzio e nell'oscurità. Passava accanto alle città, vedeva le luci che illuminavano il suo tragitto come a volerle fare compagnia, e si chiedeva cosa spingesse le persone a rimanere sveglie fino a tardi. Passava accanto a centinaia di vite, le sfiorava senza mai poterle toccare. Ad ogni finestra illuminata le arrivava come una piccola scarica elettrica, che le passava lungo la schiena, la teneva sveglia.
Le bastava chiudere gli occhi per poter vedere una mamma accanto alla culla del figlio, per osservarlo estasiata ad ogni suo respiro; figli che tornano a casa tardi, trovando entrambi i genitori sul divano in preda all'ansia; mariti e mogli che rimangono svegli, seduti in cucina con una tazza di caffè per fare i conti e arrivare a fine mese; amici che bevono e festeggiano, senza alcuna particolare ragione, mossi dal semplice desiderio di passare del tempo con le persone a cui vogliono bene; coppie che litigano, lanciano i piatti del servizio buono contro il muro, strappano le foto delle vacanze e maledicono il giorno in cui si sono incontrati; amanti che si incontrano e si amano fugacemente, desiderosi che quegli attimi siano eternità; donne e uomini soli che piangono in una notte senza luna. Così lei, seduta sul sedile posteriore della macchina, diventava una piccola spettatrice che assisteva a mediocri scene di vita. Eppure lei trovava tutto così meraviglioso.
Ma d'altronde sua madre le diceva sempre "tu sei strana" con un tono rassegnato, come di una madre che sognava per la figlia una personalità diversa. Ma lei ormai non ci faceva neanche più caso, ci aveva talmente fatto l'abitudine che ne era convinta anche lei. E ovunque andasse, si sentiva sempre fuori posto. Ha impiegato anni per poter stare fuori posto senza farsi notare più di tanto, si è allenata per non mostrare segni di insofferenza. Perché se qualcuno avesse notato che per tutto questo tempo ha sempre indossato una maschera, sicuramente le avrebbe strappato via la maschera e il costume che si era faticosamente cucita addosso, facendola rimanere nuda e al gelo, per poterla deridere e ferire, colpendola più volte dove le ferite ancora non si sono cicatrizzate.
E la cosa di cui lei aveva più paura era scoprire e mostrare le cicatrici. Non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio, per paura di vedere quanto sono stati inutili i suoi tentativi di nasconderle e vedere quanto è fragile. Per questo faceva fatica a ricordare come fosse il suo stesso viso, la grandezza dei suoi occhi, la forma delle sue labbra, il suo naso. Non sapeva che aspetto aveva quando rideva. Non ha mai voluto sapere se lei fosse una di quelle persone i cui occhi dicono tutto.
Una parte di lei, però, ci sperava. Desiderava che i suoi occhi parlassero al suo posto, mostrassero i suoi stati d'animo, perché è sempre stata una che non parla molto. Non lo fa se non è necessario. Quando risponde alle domande, lo fa in modo pertinente, non aggiunge mai altro, neanche pour parler. Se alle persone interessa così tanto, mi chiederanno il perché, si diceva sempre. Ma non lo facevano mai, così lei si convinceva che non valeva la pena raccontare la sua vita, i suoi pensieri, e il più delle volte rimaneva in silenzio in mezzo al chaos. Così la sua testa era una specie di frullato di parole, e quelle poche volte in cui doveva parlare, le parole erano talmente tante che faceva fatica a contenerle, a dirle con calma, certe accadeva che si scordava delle sillabe o intere parole.
Preferiva osservare le persone e ascoltarle, è sempre stata brava in questo. Non faceva fatica, lo considerava la sua unica qualità. Non capiva come gli altri fossero così ciechi, come facessero a non notare determinate cose. Guardavano ma non vedevano. Riusciva a leggere negli occhi degli altri, come se i loro pensieri e le loro emozioni fossero un libro aperto; vedeva la loro anima nuda. Per questo quando qualcuno le parlava, lei lo guardava fisso negli occhi, come se le parole uscissero direttamente dalle pupille. E quando le persone le raccontavano delle proprie sofferenze, lei soffriva realmente insieme a loro. Così piccola e fragile, portava con sé quelle parole piene di dolore, se ne faceva carico, metteva il dolore degli altri insieme ai suoi, li mischiava fino a non riuscire quasi più a distinguerli. Non era un problema, se questo aiutava gli altri a stare meglio. Lei aveva la sua maschera.
  
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