I’ll get you
Prologo: “This boy”
Giugno
1995
L’Amber Taverns era uno dei pub
a Warrington che trasmettevano la partita di rugby
della nazionale inglese.
Quella sera l’Inghilterra affrontava la Francia per il
terzo posto alla Coppa del mondo, in Sudafrica.
Il ragazzo si congratulò con se stesso: non poteva
scegliere serata migliore per il suo colpo.
Davvero, cosa poteva chiedere di meglio di un pub pieno
zeppo di tifosi inglesi ubriachi fradici? Tifosi incazzati perché la propria
squadra stava letteralmente facendo schifo, e quindi non molto attenti ai loro
averi, dove per “averi” il ragazzo intendeva sostanzialmente i loro portafogli.
Magari sarebbe riuscito a procurarsene uno traboccante di deliziose e profumate
sterline.
Ok, ora però era il suo stomaco a parlare. Perché sì,
stava morendo di fame e perché deliziose
e profumate potevano essere di sicuro le patatine fritte, un po' meno le
banconote. Patatine fritte dorate e croccanti, che gli facevano venire
l'acquolina in bocca e che continuavano a essere servite ai clienti al bancone,
lì dove c’era il televisore con la maledetta partita in onda.
Basta! Il ragazzo decise di darsi
una mossa, altrimenti non avrebbe mangiato neanche quella sera. Solo due giorni
prima era ancora nella casa della sua ultima famiglia affidataria, a Liverpool,
e ora eccolo, lontano dalla sua città natale, scappato dopo essersi stancato di
tutto e tutti, di essere spedito da una casa all'altra dall'età di cinque anni,
come il semplice testimone di una staffetta, solo perché era un tantino vivace
e indomabile.
Era un piccolo vagabondo di dodici anni ormai, in fuga,
povero in canna e con lo stomaco vuoto. Aveva deciso che per far fronte a quel
bisogno, doveva riprendere a fare ciò per cui sembrava aver sviluppato da
qualche anno un vero talento: rubare.
Non c'era altro modo per mangiare, prima di tutto, e per
raggiungere più velocemente la sua destinazione: la grandiosa città di Londra.
Lo stomaco in quel momento gli ricordò la sua fastidiosa
presenza e il ragazzo si fece coraggio.
Avanzò ulteriormente nel locale intriso di odore di
frittura, birra e sudore, e storse il naso. Meglio non essere vicino a un
tifoso inglese quando la sua squadra stava perdendo: era una vera tortura non
solo per l’udito, ma anche e soprattutto per l’olfatto.
Tuttavia il piccolo doveva sopportare e avvicinarsi per
poter sgraffignare ciò che gli serviva.
Così prese un profondo respiro e si intrufolò nella calca
davanti al bancone. Lui era piccolo e mingherlino e scivolava bene in mezzo
alle persone ammucchiate, tutte intente a bere e urlare contro qualche
giocatore che non stava facendo il proprio dovere.
Individuare gli obiettivi più semplici non fu complicato.
Erano lì, incuranti che un piccolo ladro stesse per sfilare loro ciò che
causava quel rigonfiamento nella tasca posteriore dei pantaloni.
Le sue dita erano ancora piccole e affusolate, nessuno
avrebbe percepito il loro tocco lieve e sfuggevole.
Sfilò il primo portafoglio, uno di tela azzurra, da un
ragazzo che stava urlando, “Fottuto Andrew, muovi il culo!”
Il secondo, di pelle nera, tutto logoro, apparteneva a un
uomo che poteva essere benissimo suo padre, e che stava guardando pigramente la
televisione, con fare assente, come se fosse in un mondo tutto suo, suo e del
suo boccale di birra mezzo vuoto.
Il terzo, un elegante e nuovissimo portafoglio lucido e
decisamente gonfio, proveniva direttamente dalla giacca di un distinto signore,
distinto solo nell’aspetto perché in effetti era già sbronzo a metà partita.
Ok, l'Inghilterra non era messa bene quella sera, ma cazzo, un po' di contegno!
Si trattava pur sempre di una semplice partita di rugby.
Proprio mentre il piccolo controllava che la refurtiva
fosse al sicuro, la Francia realizzò un'altra meta e tutti i tifosi reagirono
pesantemente, rossi in viso, imprecando e alzando le mani verso il televisore,
come se potessero davvero arrivare ai fottuti giocatori della loro nazionale.
Coglioni, pensò il ragazzo
quando si sentì spingere a terra, sul parquet sporco e appiccicoso.
Subito si rialzò, pulendosi alla bell'e meglio i
pantaloni e la giacca troppo grande che aveva sgraffignato prima di scappare da
Liverpool.
Apparteneva a quello stronzo che era così vigliacco da
picchiare sua moglie. Aveva provato ad alzare le mani anche su di lui, quando
aveva capito che non era poi così facile domarlo, ma il giovane ragazzo non
aveva alcuna intenzione di farsi anche solo sfiorare dalle sue mani luride.
Così l'aveva colpito una, due, tre volte con quella mazza da baseball che
avevano comprato proprio per lui, per aiutarlo a scaricare la sua rabbia. E lui
l'aveva fatto. Solo che si era scaricato sul corpo di quel folle. Poi era
fuggito, senza preoccuparsi delle condizioni in cui aveva ridotto l'uomo.
In ogni caso, se l'era meritato. Bastardo di merda!
Ora il ragazzo si precipitò fuori dal locale, con
noncuranza, per non dare troppo nell'occhio. Con la stessa compostezza con cui
era entrato, varcò la soglia del pub e fu libero. Al sicuro, nell'aria fresca
della sera.
Ridendo divertito, mentre sentiva il peso nelle sue tasche,
che voleva dire tutto per lui, si allontanò con passo affrettato fino a trovare
un vicolo stretto e poco illuminato, dove poter esaminare il bottino con
tranquillità.
Si sedette con la schiena contro il muro freddo, e
cominciò a prendere il primo portafoglio, quello elegante e lucido che si
rivelò essere anche ben fornito. C'erano almeno centocinquanta sterline più
qualche spicciolo. Aveva fatto bene ad adocchiare il distinto signore con la
giacca sofisticata e le guance rosse per il bere. Beh, con questo era a posto
per un po'. Significavano cibo e qualche vestito più caldo per la notte e
ancora cibo...
La gioia per aver trovato un tale tesoro era così immensa
che non fu scalfita dalla delusione per aver trovato una misera banconota da
dieci nel portafoglio di tela del ragazzo.
Ci riuscì, però, il rendersi conto che mancava un
portafoglio all'appello. La realizzazione lo lasciò davvero sconvolto. Cos’era
accaduto? Ricordava che fossero tre. Ricordava di aver preso il secondo e di
averlo infilato nella tasca della giacca. Ricontrollò ancora una volta, ma
niente da fare. Era sparito. Dove diavolo era finito? Forse l'aveva perso
quando era caduto? O forse nel breve tragitto dall'uscita del pub?
Dove cazzo-?
"Stai forse cercando questo?" fu la domanda che
giunse improvvisamente alle sue orecchie.
Con uno scatto il ragazzo balzò in piedi, osservando
l'uomo all'inizio del vicolo. Nella fioca luce del lampione, poteva vedere
questa sagoma alta e magra, e cosa assai più importante, aveva un portafoglio
dall'aspetto familiare in mano. Il giovane ragazzo spalancò gli occhi quando
riconobbe l'uomo a cui aveva sottratto il secondo portafoglio.
Voleva chiedergli come avesse fatto a riprenderselo, ma
si ritrovò non solo incapace di parlare, ma soprattutto non molto desideroso di
farlo, semplicemente perché non si fidava. In questi casi non bisognava fidarsi
mai.
Dal canto suo, l’uomo osservò il piccolo ladro con un
sorriso sul volto: poteva percepire perfettamente la sua paura, era bravo a
nasconderla, ma era evidente che lo temesse, pensando magari che fosse un
poliziotto.
E come biasimarlo, era ancora un ragazzino.
"Immagino che tu ti stia chiedendo come abbia fatto
a riprenderlo." disse l'uomo, e il ragazzino annuì in modo impercettibile,
provocandogli una piccola risata, "Segreti del mestiere, figliolo."
John aggrottò le sopracciglia, titubante. Mestiere un
corno! E se quel tizio fosse stato uno sbirro? Se stesse solo cercando di
avvicinarlo perché l’aveva visto rubare e poi l'avesse arrestato? E se avesse
scoperto da dove veniva e ciò che aveva fatto? Questa volta non sarebbe stato
spedito solo in un orfanotrofio, l'avrebbero rinchiuso in un cazzo di
riformatorio e lui sapeva bene che luoghi fossero quelli. Li facevano passare
come centri di custodia per giovani delinquenti, ma la sostanza non cambiava:
rovinavano i ragazzi, invece di correggere il loro cattivo comportamento.
“Hai fatto un bel lavoretto dentro al pub. Ho visto come
hai sfilato i portafogli, sai, ti ho notato subito quando sei entrato, anche se
tu non te ne sei accorto." esclamò con una punta di ammirazione,
"Dopotutto, te lo si leggeva in faccia, cosa avessi intenzione di fare. E
se posso permettermi di darti un piccolo consiglio, dovresti stare più attento
a queste cose. Sono molto importanti per la buona riuscita del colpo."
Il ragazzo non disse nulla, si limitò a continuare a
guardarlo, ancora teso e pronto a scappare al primo movimento sospetto
dell’uomo. Lui era più piccolo e veloce, l’avrebbe seminato in men che non si
dica. Un vero gioco da ragazzi.
"Sei un tipo taciturno tu, eh? Come ti chiami?"
continuò a dire l'uomo, mentre camminava verso di lui.
Più gli si avvicinava, più poteva vedere quanto fosse
giovane questo ragazzo. Quasi un bambino, come quelli che lui era stato
costretto ad abbandonare a casa sua. Questo ragazzino non poteva essere molto
più grande del suo primogenito.
"Pete."
Lo sguardo che il ragazzo ricevette fu uno molto
comprensivo e quasi...affettuoso?
"Se mi dici il tuo vero nome, ragazzino..."
iniziò l'altro, ridendo, "Potremo
condividere il contenuto di questi altri due bottini, che ne dici?"
John guardò sbalordito, mentre l'uomo estraeva altri due
portafogli dalla sua giacca e li mostrava proprio a lui.
"Dove li hai-?" iniziò a chiedere, prima di
pensare e riuscire a fermarsi dal cominciare a dare confidenza a questo
perfetto sconosciuto.
"Presi? Beh, c'è stata una piccola rissa al pub.
Colpa di un fottuto francofilo. E dannazione, le ammucchiate di quel genere
sono una manna dal cielo per gente come noi."
"Poveri?"
"Ladri.” rispose con una risata.
‘Pete’ stava abbassando lentamente le sue difese e l’uomo
voleva solo dirgli che non aveva alcun bisogno di temerlo, perché non gli
avrebbe fatto del male. Fin dal primo momento in cui l’aveva visto, aveva
percepito la disperazione nei suoi occhi, lo stesso bisogno di scappare verso
un posto e una vita migliori. E lui voleva solo aiutarlo, perché gli ricordava
troppo se stesso e i suoi bambini, bambini che sicuramente ora dovevano odiarlo.
"Quindi…” disse il ragazzo, fissandolo ancora
incerto, ma non totalmente chiuso in sé, “Non sei uno sbirro?"
"Hai mai visto uno sbirro rubare qualcosa?"
Il piccolo ladro scosse appena il capo, senza distogliere
lo sguardo dall'uomo.
"Allora non lo sono." commentò questi,
sorridendogli dolcemente, "Ora me lo dici, il tuo nome?"
Lui si guardò le mani incerto, non si fidava ancora del
tutto, ma il sorriso dell'uomo era così rassicurante. Era come se volesse
dirgli che d'ora in poi sarebbe andato tutto bene.
Come se volesse dirgli di fidarsi di lui perché in fondo,
erano nella stessa situazione.
Così annuì.
"Mi chiamo John. John Lennon."
"Bene, John Lennon, sei di queste parti?"
"Liverpool."
Lo sconosciuto sembrò essere preso in contropiede e il
suo sorriso vacillò: "Liverpool?"
"Sì, perché?"
"Anch’io sono di Liverpool. Sembra che abbiamo non
solo un'abilità in comune, ma anche le stesse origini." rispose l'uomo, e
la sua espressione si chiuse improvvisamente in qualcosa di malinconico e
triste, "Come sei finito qui?"
"Sono scappato." rispose John, tornando a
sedersi per terra.
"Da cosa stai scappando?"
John guardò l'uomo, mentre lo raggiungeva a terra:
"Persone che vogliono mettermi in gabbia."
"In gabbia? Chi vuole mettere in gabbia un
piccoletto come te?" domandò l’altro, incredulo.
"Quei mostri che vogliono affidarmi per forza a una
famiglia. Io non ho bisogno di una famiglia. Ho anche preso a mazzate l'ultimo
stronzo che doveva prendersi cura di me."
"A mazzate?"
"Sì. Voleva picchiarmi e mi sono difeso."
L’uomo annuì vagamente: "Capisco."
"E tu che ci fai qui?"
"Anche io sto scappando dalla gabbia."
"Cosa hai fatto?" gli chiese John, ora
sinceramente interessato a questo strano sconosciuto che gli si era avvicinato.
Forse, dopotutto, poteva fidarsi.
"Ho messo in pericolo mia moglie e i miei due
figli.” disse con un gran sospiro, “E ho preferito abbandonarli, piuttosto che
vederli soffrire a causa mia."
"E ora che farai?"
"Andrò a Londra per rifarmi una vita."
"Anche io voglio andare a Londra." esclamò John
e finalmente sorrise di un sorriso genuino.
L'uomo si voltò a guardarlo, sorpreso, e rise debolmente:
"Vuoi venire con me?"
"Sì. Tu mi aiuti ad arrivare a Londra e io ti aiuto
con qualche furto."
"In effetti…” disse l’uomo pensieroso, “Insieme
potremmo farcela."
John annuì: “Certo che possiamo farcela, John Lennon
riesce sempre in tutto.”
"Bene, sembra che abbiamo un affare, John."
esclamò l'uomo, porgendogli la mano, "Che ne dici di chiamarmi Jim?"
Note
dell’autrice: buon salve e buona Pasqua. J
Così, iniziamo con questa nuova storia, una AU… sì, adoro
le AU. :3 Ne ho scritta praticamente una in ogni fandom
in cui ho scritto ff, quindi, i Beatles non potevano
farla franca.
Non c’è molto da dire per ora, il prologo dice poco, ma
in effetti è il compito di un prologo.
Ringrazio kiki per la
correzione, _SillyLoveSongs_ per alcuni consigli, e ringostarrismybeatle per sopportare le mie paturnie sempre.
Il prossimo capitolo, “It won’t be long”, beh… se riesco a tradurre il nuovo capitolo
di Pesce d’aprile per martedì, arriverà mercoledì. :D
Ancora auguri.
Kia85